MACRON A PALAZZO CHIGI, SI CERCA UN’INTESA SUI MIGRANTI

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SARRAY, ‘RAFFORZARE LA COOPERAZIONE TRA ITALIA E LIBIA’ La Libia è tra i temi principali dell’incontro a Palazzo Chigi tra il premier Conte e il presidente francese Macron, dove il nodo principale resta quello dei migranti economici, che sono la maggioranza degli arrivi. La questione è stata al centro anche dell’incontro di Conte con il presidente del governo di Accordo nazionale libico al Sarraj, con l’obiettivo di rafforzar la cooperazione sui migranti e l’auspicio di una maggiore sinergia tra Libia e agenzia Onu. 

NETANYAHU SCONFITTO, MA IL GOVERNO IN ISRAELE RESTA UN REBUS

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IL PARTITO DI GANTZ È AVANTI DI UN SOFFIO, L’AGO È LIEBERMAN Elezioni sul filo dell’equilibrio in Israele dove a spoglio di voti quasi ultimato Blu-Bianco di Benny Gantz supera con 32 seggi il Likud di Benyamin Netanyhu che ne conquista 31. Nel computo di coalizione, quella di destra avrebbe 56 seggi, quella di centrosinistra 55. Ago della bilancia resta Avigdor Lieberman con 9 seggi. La Lista Araba Unita è il terzo partito con 13 seggi. Entrambe le coalizioni non hanno la maggioranza. Netanyahu, io al governo oppure c’è il pericolo arabi, va impedito un esecutivo sostenuto da loro. 

Università: Qs; top Politecnico Milano, UniBo e Sapienza

ROMA, 18 SET – Primo il Politecnico di Milano, seguito dall’Università di Bologna e da La Sapienza-Università di Roma: questo il podio dei migliori atenei italiani secondo uno studio di QS Quacquarelli Symonds, che ha eletto con il QS Graduate Employability Rankings 2020 le 500 migliori università del mondo, soprattutto sotto il profilo della ‘occupabilità’ dei propri laureati. E’ bene segnalare tuttavia che la graduatoria tiene conto delle informazioni che le stesse università hanno inviato al fine di partecipare, che è quanto hanno fatto per l’Italia 17 di loro, che sono tutte riuscite a figurare tra le top 500 al mondo. 

Il primo posto del Politecnico di Milano nella classifica 2020 sconta in realtà la perdita di cinque posizioni rispetto a quest’anno (da 36 a 41) ma rimane il “numero 1 incontrastato in Italia”. Infatti “oltre ad essere la quinta migliore università al mondo per la proporzione di laureati occupati entro un anno dal conseguimento del titolo di studio”, si classifica sedicesima per la quantità e qualità delle partnership stabilite con le aziende. L’Università di Bologna ottiene il 18/mo posto nello stesso indicatore e sale all’84/mo nella classifica. Guadagna invece cinque posizioni la Sapienza-Università di Roma che si classifica 93/ma. Il Politecnico di Torino e la Cattolica del Sacro Cuore seguono a ruota, precedendo Padova, l’università di Pisa, l’università di Milano, Torino (Unito), Trento, Napoli Federico II, Cà Foscari di Venezia, Pavia, Tor Vergata, Milano-Bicocca e la Verona University. 

In termini assoluti la classifica premia con il primo posto il Massachusetts Institute of Technology (Mit) – con il merito di essere il primo al mondo per ‘occupabililità’ – con al secondo posto la Stanford University e la University of California-Ucla al terzo. Al sesto posto del ranking figura il migliore ateneo asiatico, vale a dire la cinese Tsinghua University. La migliore università del’Europa continentale è l’ETH di Zurigo (17/mo posto). 

Lo studio ha valutato 758 atenei, di cui 682 sono riusciti a classificarsi. Sono poi 36 i nuovi atenei che compaiono nella graduatoria top 500, che nel complesso rappresenta ben 37 paesi del mondo. 

“L’aspetto interessante della classifica – afferma il direttore della ricerca Ben Sowter – è la dimostrazione che, escluse le prime due, non esiste una correlazione perfetta tra le università che dominano la nostra classifica World University Rankings e quelle che eccellono in questa. La missione delle università varia e alcune investono notevoli risorse per aiutare i propri studenti ad entrare con successo nel mondo del lavoro. Per esempio, nel contesto Italiano, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che nella nostra classifica principale è nella fascia 511-520, in questa valutazione è tra le prime 120 al mondo. Le università sono entità complesse e ogni classifica, inevitabilmente, è una semplificazione. È importante considerare diverse prospettive per formarsi un opinione accurata del valore e della qualità di una università”.

Minori, sempre più armi da guerra


Nigrizia 

(Luciano Bertozzi) Dalla Somalia alla Nigeria, alla Repubblica democratica del Congo, passando per Afganistan e Yemen. L’uso di bambini nei conflitti e gli abusi nei loro confronti non registra flessioni ma anzi, come nel caso del Sud Sudan, addirittura un incremento. 

La Messa del silenzio

Non so bene quali radici abbia il proliferare della parola umana nella liturgia, che forse c’è sempre stato, ma proprio per il mutato contesto in cui viviamo oggi risulta essere più pesante, meno sopportabile, meno interessante.

fonte: vinonuovo.it

Viviamo in un contesto di continua e ininterrotta comunicazione; il flusso di parole e rumori è senza interruzione e ognuno di noi fa parte di una rete di connessione sempre più pressante.

In questo quotidiano abitato da tanta chiacchiera, sentiamo come oasi il momento della pace, del silenzio e della disconnessione. Un silenzio che però al tempo stesso ci fa paura, perché ci costringe a pensare e pensarci, a fare i conti seriamente con quanto viviamo; è una paura del silenzio che sembra troppo spesso aver invaso anche la Messa.

Non voglio qui parlare dell’omelia, di cui abbiamo già discusso in passato in un “tema del mese”. Ma mi pare esperienza comune che troppo spesso nelle nostre liturgie si parli molto, troppo, e a parlare è soprattutto il celebrante. Non raramente mi è accaduto di ascoltare ben quattro pensieri del sacerdote di turno: un’introduzione sul tema della domenica, l’omelia, una monizione prima del Padre Nostro e infine gli avvisi, con commenti e riprese dell’argomento del giorno.

Mi chiedo: che spazio diamo alla Parola? Che fiducia abbiamo nella Parola? Forse siamo caduti nell’errore di credere che senza continue spiegazioni, richiami, ammonimenti la Parola perda di efficacia?

O forse siamo vittime della tentazione, tipica di chi parla in pubblico, di credere che quello che abbiamo da dire sia fondamentale per l’uditorio, sia ‘salvifico’? O ancora: siamo forse sfiorati dal pensiero che chi ascolta, in realtà, non ci stia ascoltando veramente, per cui è necessario, come farebbe un professore un po’ noioso a scuola, ripetere quattro volte il messaggio per farlo arrivare a destinazione?

Non so bene quali radici abbia questo proliferare della parola umana nella liturgia, che forse c’è sempre stato, ma proprio per il mutato contesto in cui viviamo oggi risulta essere più pesante, meno sopportabile, meno interessante.

Mi viene in mente un passo di Evangelii Gaudium: «Non bisogna mai rispondere a domande che nessuno si pone» [155]. Ecco, spesso le nostre verbose liturgie sono, al contrario, fiumi di parole che rispondono a domande mai poste, parole che poco centrano il punto, forse perché ormai la varietà del fedeli presenti è amplissima, come le diversità di vita, esperienze, provenienze, formazioni.

Per questo, vorrei avanzare una proposta: come si va diffondendo la “Messa senza fretta”, che riserva un tempo abbastanza lungo alla meditazione personale e al confronto, perché non pensare a una “Messa del silenzio”?

Una Messa in cui tutto sia ridotto all’essenziale: pochi o assenti i canti, assenti introduzioni e monizioni varie, e assente l’omelia. E quando essa sia prescritta, come recita il Codice di Diritti Canonico (nelle domeniche e nelle «feste di precetto»), la Messa del silenzio lascerebbe spazio solo a un paio di domande nate dalla Scrittura e poste dal celebrante, seguite poi da qualche minuto di silenzio.

Non una Messa frettolosa, ma una Messa in cui i tempi siano gestiti con equilibrio, e dove realmente il silenzio sia presente come il respiro del momento.

Avremmo liturgie essenziali in cui far vibrare la Parola, in cui favorire il confronto tra la vita e il Vangelo, liturgie utili per condurre i fedeli a un ascolto personale, incidendo sullo strato di noia che spesso pervade l’assemblea.

Avremmo liturgie più brevi, di cui si salva ciò che conta (l’incontro con Cristo nelle Scritture e nell’Eucarestia), più adatte ai nostri ritmi di vita e probabilmente più feconde. Messe in cui non si guarda l’orologio continuamente, perché già sappiamo che non si dilaterà ‘ad libitum’ del celebrante. Perché oggi abbiamo tempi di concentrazione molto ridotti: una Messa del silenzio potrebbe venire incontro anche a questo fatto oggettivo. Chi di noi non ha mai ascoltato (o anche detto) frasi come: «vado a quella Messa perché è veloce?» Forse, dietro a tale discutibile ‘esigenza’ di fretta, si nasconde anche un bisogno di equilibrio e di silenzio, o un fastidio per troppe parole.

Qualche giorno fa proponevo di rivedere gli orari di apertura delle Chiese: unissimo a un orario più moderno la “Messa del silenzio”, forse faremmo un passo verso i cristiani di questo tempo e i loro bisogni spirituali.

Potrà anche essere faticoso, all’inizio, concederci del silenzio; ma «ogni sforzo aggiunge un po’ d’oro a un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre» (Simone Weil).

Il nostro tesoro, ci ricorda il Vangelo, è il luogo del nostro cuore ed è lì che può risuonare il mormorio leggero dello Spirito. Ma non deve essere soffocato dai rumori di troppe parole umane.

Messa a Santa Marta. La compassione atto di giustizia

L’Osservatore Romano 

Se «la compassione è il linguaggio di Dio», come possono gli uomini girare lo sguardo da un’altra parte, restando indifferenti davanti a chi è povero, solo, fragile? È proprio una questione di «giustizia», ha commentato Papa Francesco ponendosi questa domanda nella messa celebrata martedì mattina, 17 settembre, a Santa Marta.
«In questo passo del Vangelo di Luca — ha fatto subito presente il Pontefice, riferendosi al brano proposto dalla liturgia (7, 11-17) — c’è una parola che si ripete nei Vangeli: compassione. L’evangelista non dice che Gesù “ebbe compassione”, ma che “fu preso dalla compassione” (Luca 7, 13), come se dicesse “fu una vittima della compassione”». In sostanza «la compassione lo prende». Luca lo scrive esplicitamente: «Il Signore fu preso da grande compassione».
E proprio «la compassione — ha spiegato il Papa — gli fa vedere la realtà ultima di quel momento: c’era la grande folla che lo seguiva, c’erano i discepoli, c’era il corteo funebre, la mamma, il morto… ma Lui ha visto la realtà, e la realtà era quella donna, spogliata di tutto perché aveva perso l’unico figlio, e lei era rimasta vedova».
Dunque, ha rilanciato Francesco, «c’era la gente, c’erano gli amici che l’accompagnavano… ma il Signore vede la realtà: una madre sola. Sola oggi e fino alla fine della vita. La compassione ti fa vedere le realtà come sono; la compassione è come la lente del cuore: ci fa capire davvero le dimensioni. E nei Vangeli, Gesù tante volte viene preso dalla compassione». Del resto, ha fatto notare, «la compassione è anche il linguaggio di Dio». Nella Bibbia, «è stato Dio a dire a Mosè: “ho visto il dolore del mio popolo” (Esodo 3, 7); è la compassione di Dio che invia Mosè a salvare il popolo». Perché «il nostro Dio è un Dio di compassione, e la compassione è, possiamo dire, la debolezza di Dio ma anche la sua forza. Quello che di meglio dà a noi: perché è stata la compassione a muoverlo a inviare il Figlio a noi. È un linguaggio di Dio, la compassione».
«Poi — ha continuato Francesco — è vero, la compassione non è un sentimento di pena, semplice: questo è superficiale». Infatti, «anche quando vediamo morire un cane sulla strada, poveretto, sentiamo un po’ di pena». Ma «questa non è compassione. Non è dire “peccato che succedano queste cose”, no». Compassione «è coinvolgersi nel problema degli altri, è giocarsi la vita lì. Il Signore si gioca la vita: va lì, perché è il linguaggio di Dio, la compassione».
«Invece non succede lo stesso con i discepoli: non capiscono» ha affermato il Papa, proponendo «un altro passo della Scrittura, del Vangelo: la moltiplicazione dei pani. C’era la folla che aveva seguito Gesù tutta la giornata, ascoltando, tanta gente… il Vangelo parla di (cfr. Matteo 15, 38 o Marco 8, 9) 5000 uomini oltre alle donne e i bambini (cfr. Matteo 14, 21). Incomincia il buio, nel tardo pomeriggio, e i discepoli vanno da Gesù e gli dicono: “Ma, Signore, questa gente è dal mattino che ci segue: congedali, perché vadano a comprare il pane nei villaggi e noi restiamo tranquilli”. Questo non lo dicono ma lo sentono. È così: “congeda”». Al Signore, in pratica, suggeriscono: «“Dobbiamo finire qui”, erano prudenti, i discepoli… La prudenza ci dice di congedare questa gente. Io credo che in quel momento Gesù si sia arrabbiato, nel cuore, considerata la risposta: “Date loro voi da mangiare! Dopo una giornata così, voi volete che ancora vadano nei villaggi a comprare il pane? Fatevi carico della gente!”».
Dunque, ha proseguito Francesco, «il Signore, dice il Vangelo, ebbe compassione perché vedeva quella gente come pecore senza pastore. Da un lato, c’è il gesto di Gesù, sempre la compassione, e dall’altro lato, l’atteggiamento dei discepoli, egoistico. Questi ultimi cercano una soluzione ma senza compromesso. Non si sporcano le mani. Potevano dire, facendosi carico della gente: “Ma, noi andiamo e portiamo”. No. “Che vadano, che si arrangino”. E qui, se la compassione è il linguaggio di Dio, tante volte il linguaggio umano è l’indifferenza. Farsi carico fino a qui e non pensare oltre: l’indifferenza».
«Uno dei nostri fotografi dell’Osservatore Romano — ha ricordato il Papa — ha scattato una foto, che adesso è nell’Elemosineria, che si chiama “Indifferenza”. Ne ho parlato altre volte, di questo. Una notte d’inverno, davanti a un ristorante di lusso, una signora che vive sulla strada tende la mano a un’altra signora che esce, ben coperta, dal ristorante, e quest’altra signora guarda da un’altra parte. Questa è l’indifferenza. Andate a guardare quella fotografia: questa è l’indifferenza. La nostra indifferenza. Quante volte guardiamo da un’altra parte… E così chiudiamo la porta alla compassione».
A questo proposito il Pontefice ha proposto «un esame di coscienza: Io abitualmente guardo da un’altra parte? O lascio che lo Spirito Santo mi porti sulla strada della compassione? Che è una virtù di Dio…».
«E alla fine — ha detto ancora Francesco — c’è una parola che a me ha toccato, quando ho pregato con il Vangelo, oggi. Gesù dice alla mamma: “Non piangere”, una carezza di compassione; si avvicinò e toccò la bara. Si fermarono i portatori. E poi disse al ragazzo: “Dico a te: alzati!”. Il morto si mise seduto e incominciò a parlare. E come finisce? “Ed Egli lo restituì a sua madre”. Lo restituì: un atto di giustizia. Questa parola si usa in giustizia: restituire. La compassione ci porta sulla via della vera giustizia. Sempre bisogna restituire a coloro che hanno un certo diritto, e questo ci salva sempre dall’egoismo, dall’indifferenza, dalla chiusura di noi stessi».
Il Papa ha così concluso la sua meditazione: «Continuiamo l’Eucaristia di oggi con questa parola: “Il Signore fu preso da grande compassione”. Che Lui abbia anche compassione di ognuno di noi: ne abbiamo bisogno».
L’Osservatore Romano, 17-18 settembre 2019

Intervento dell’arcivescovo Gallagher all’Aiea. Per un mondo libero dalle armi nucleari

L’Osservtaore Romano

Pubblichiamo una traduzione in italiano dell’intervento pronunciato lunedì 16 settembre dal segretario per i rapporti con gli Stati, arcivescovoPaul Richard Gallagher, durante la sessantatreesima conferenza generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) in corso fino a venerdì 20 a Vienna.
Signora presidente,
Ho il grande onore di trasmettere a lei e a tutti gli illustri partecipanti a questa 63ª Conferenza generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica i migliori auguri e i più cordiali saluti di Sua Santità Papa Francesco.Signora presidente, a nome della Delegazione della Santa Sede, mi congratulo con lei e con i membri del Consiglio per la vostra elezione da parte di questa eminente Conferenza. Desidero anche cogliere l’occasione per esprimere il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine al direttore generale facente funzioni Cornel Feruta e alla segreteria per il loro generoso lavoro a beneficio di tutta la famiglia dell’Aiea.
Permettetemi di esprimere anche la profonda tristezza della Santa Sede per la scomparsa del direttore generale Yukiya Amano, e di estendere alla famiglia e agli amici del dottor Amano, come anche al personale dell’Aiea e a tutti coloro che piangono la sua morte, le sentite condoglianze della Santa Sede. Si sentirà fortemente la mancanza dell’instancabile impegno del direttore generale Amano a favore del nobile obiettivo dell’Agenzia: «Atomi per la pace e lo sviluppo». Che la nobile anima del dottor Amano riposi in pace.
Signora presidente,
La Santa Sede loda e sostiene le numerose attività dell’Aiea che hanno rafforzato la cooperazione internazionale e contribuito in modo significativo alla prevenzione della proliferazione nucleare e alla promozione del disarmo nucleare. Queste attività aiutano anche a favorire lo sviluppo umano integrale, promuovendo la cooperazione tecnica nell’ambito delle scienze nucleari e delle loro applicazioni e sostenendo l’uso pacifico delle tecnologie nucleari. Gli sforzi per garantire la sicurezza e la certezza nucleare, come anche per favorire una cultura della sicurezza, sono molto migliorati grazie alle strategie dell’Aiea per rafforzare le reti e i fori globali, regionali e nazionali, e aumentando le competenze e le capacità nei campi della sicurezza nucleare, delle radiazioni, del trasporto e dei rifiuti, nonché la preparazione e la risposta alle emergenze. Gli obiettivi più ampi della non proliferazione nucleare, del disarmo nucleare e dell’uso pacifico delle tecnologie atomiche dipendono tutti da queste strategie fondamentali dell’Aiea.
Il ruolo di Scienza e Tecnologia nel quadro degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (SDG) può essere sostenuto da diverse tecnologie nucleari. Inoltre, le loro applicazioni, così come delineate dai protocolli di sviluppo dell’Aiea, possono promuovere lo sviluppo integrale, migliorando in tal modo la nostra custodia del creato di Dio. Di fatto, i progetti di cooperazione tecnica dell’Aiea nei campi della salute umana, dell’acqua e dell’ambiente, del cambiamento climatico, della sicurezza alimentare e dell’agricoltura di precisione hanno contribuito in modo significativo ad alleviare la povertà e alla capacità dei Paesi di far fronte in modo sostenibile ai loro obiettivi di sviluppo (cfr. Dichiarazione della Santa Sede alla 62ª Conferenza generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, 17 settembre 2018). In questi sforzi Scienza e Tecnologia hanno un ruolo essenziale. Papa Francesco ha affermato che «la comunità scientifica, attraverso un dialogo interdisciplinare al suo interno, ha saputo studiare e dimostrare la crisi del nostro pianeta, così oggi è chiamata a costituire una leadership che indichi soluzioni in generale e in particolare […], un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico producano danni irreversibili non solo all’ambiente, ma anche alla convivenza, alla democrazia, alla giustizia e alla libertà» (cfr. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Pontificia accademia delle scienze, 28 novembre 2016).
Tutte le conseguenze positive della tecnologia nucleare devono, tuttavia, essere accompagnate dalla più fondamentale consapevolezza che ogni sforzo per vedere un progresso sociale, ogni sforzo per promuovere il bene comune, deve essere fondato sul desiderio di assicurare lo sviluppo integrale di ogni uomo e ogni donna. Come afferma la Dichiarazione sul diritto allo sviluppo delle Nazioni Unite del 1986: «La persona umana è il soggetto centrale dello sviluppo» (Cfr. Nazioni Unite, Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, art. 2.1).
Nel 2012 Papa Benedetto XVI ha dichiarato, in particolare, l’impegno generale della Santa Sede a «favorire l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per un autentico sviluppo» e sottolineato il «bisogno urgente di dialogo costante e di cooperazione tra i mondi della scienza e della fede per edificare una cultura di rispetto per l’uomo, per la dignità e la libertà umana, per il futuro della nostra famiglia umana e per lo sviluppo sostenibile a lungo termine del nostro pianeta» (cfr. Papa Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Pontificia accademia delle scienze, 8 novembre 2012). Inoltre, la Santa Sede è convinta che l’uso dell’energia nucleare come fonte energetica dall’impronta di carbonio ridotta, e come parte della fornitura energetica di base, deve essere decisa da ogni Stato secondo le sue necessità e possibilità, tenendo allo stesso tempo conto delle considerazioni globali. Come ha detto anche Papa Francesco, i nostri immensi progressi e la crescita tecnologici e scientifici non sono sempre stati accompagnati «da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza» (Papa Francesco, Laudato si’, nn. 104-105).
Signora presidente,
La Santa Sede riconosce l’importante contributo dell’Aiea alla realizzazione di un mondo libero da armi nucleari. Tale ruolo è caratterizzato dall’efficace combinazione delle misure disponibili secondo gli Accordi comprensivi di salvaguardia (CSA) insieme ai diversi Protocolli aggiuntivi (AP).
La Santa Sede ha firmato e ratificato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari al fine di andare oltre la deterrenza nucleare verso un mondo interamente libero da armi atomiche, e ha affermato che le armi nucleari sono armi di distruzione di massa e ambientale (Cfr. Dichiarazione della Santa Sede alla 62ª Conferenza generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, 17 settembre 2018).
La Santa Sede, inoltre, appoggia la partecipazione dell’Aiea alla verifica e al monitoraggio degli impegni presi dall’Iran secondo il Piano d’azione congiunto globale (JCPoA), come anche i costanti e pazienti sforzi della comunità internazionale per ravvivare i negoziati relativi al programma nucleare della Repubblica popolare democratica di Corea, che minaccia l’integrità del regime di non proliferazione. Le salvaguardie dell’Aiea, che rispecchiano il ruolo essenziale dell’Agenzia nelle verifiche nucleari nella regione, rappresentano un contributo fondamentale alla promozione della pace e della sicurezza e aiutano a costruire un clima di fiducia al posto delle mutue recriminazioni. L’uso delle salvaguardie dell’Aiea costituisce uno strumento importante per procedere verso l’obiettivo della denuclearizzazione. 
La Santa Sede esprime gratitudine e apprezzamento all’Agenzia per lo sviluppo di strategie per il Programma d’azione per la terapia del cancro (PACT), per l’istituzione e l’aumento di programmi di radioterapia e per l’aiuto agli Stati membri a basso e medio reddito per migliorare l’efficacia dei loro servizi di medicina delle radiazioni come parte di una strategia comprensiva per il controllo dei tumori, come anche per il sostegno alla formazione di operatori sanitari e l’impegno nella raccolta di fondi per supportare i programmi e le attività di controllo dei tumori.
Signora presidente,
Per concludere, la Santa Sede ribadisce la sua sincera gratitudine e conferma il suo fermo sostegno ai molti contributi dell’Aiea a favore della non proliferazione e del disarmo nucleari, come anche dello sviluppo e dell’utilizzo sicuro, certo e pacifico delle tecnologie nucleari.
Grazie.
L’Osservatore Romano, 17-18 settembre 2019.

La vera sfida alla democrazia è l’educazione


L’Osservatore Romano

Seminario organizzato dalla fondazione «Gravissimum Educationis» in preparazione all’incontro convocato dal Papa a maggio del prossimo anno.
Gli specialisti parlano di “cambiamento epocale” e di “società liquida”. Le democrazie contemporanee appaiono “strattonate” tra le turbolenze di un mondo in cui emergono i nuovi populismi, l’influenza di nuove élite politiche, economiche e finanziarie e un crescente divario tra classe politica e società civile. È questo il contesto — e anche la sfida storica e culturale — evidenziato al seminario internazionale voluto dalla Fondazione pontificia Gravissimum Educationis, per presentare il progetto: «Democrazia: un’urgenza educativa in contesti pluriculturali e plurireligiosi». Perché, dicono gli organizzatori, occorre di nuovo educare alla democrazia.
Riuniti il 16 e il 17 settembre presso la sede della fondazione in Vaticano, una trentina di esperti si confrontano e impostano le attività di questa iniziativa che coinvolge quattordici università nel mondo (Africa, America latina, America del nord, Asia, Europa e Medio oriente) e che si inserisce nel cammino di preparazione al grande incontro internazionale annunciato da Papa Francesco per il prossimo 14 maggio a Roma: «Ricostruire il patto globale per l’educazione». 
La Chiesa — ha detto in apertura dei lavori il cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica e presidente della Fondazione che venne fondata nel 2015 da Papa Francesco in seno al medesimo dicastero — è consapevole che «la democrazia non può essere un fine in se stessa ma sempre un mezzo al servizio della realizzazione degli ideali più alti della persona e della società». E, registrando l’attuale crisi planetaria e il diffuso «declino delle ideologie», cerca di rispondere al bisogno di una voce, di «grandi narrazioni che indicano la strada, spiegano il divenire, contengono speranze». 
Questa Chiesa — «esperta di umanità», come ebbe a dire Paolo VI — si propone «come un’istituzione planetaria con una visione ampia e una missione storico-universale». E si inserisce, perciò, nel dibattito sociale, culturale e politico. 
È questo il senso del progetto presentato in Vaticano. Esso procede lungo due direttrici: una intellettuale, mediante ricerche sul rapporto tra educazione e democrazia, e una formativa, attraverso percorsi di educazione alla cittadinanza democratica. «La vera sfida alla democrazia — ha affermato monsignor Guy-Réal Thivierge, segretario generale della Fondazione — è l’educazione. Papa Francesco afferma con forza: “Se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo prima cambiare l’istruzione”. Questo è il prezzo da pagare per stabilire un “buon governo” per le nostre comunità, i nostri Paesi e il mondo intero». 
È stata perciò intrecciata una rete mondiale di collaborazioni volta ad avviare percorsi formativi in grado di trasformare le prassi democratiche, informandole dei valori positivi della pace, della solidarietà, del bene comune. In tal modo, è stato spiegato, il progetto «vuole contribuire all’armonica convivenza di cittadini di fedi religiose, orizzonti etici e tradizioni diverse in sistemi democratici plurali, fondati sul mutuo riconoscimento delle identità e dei relativi interessi legittimi». 
In concreto si perseguono alcuni risultati specifici: organizzare un gruppo internazionale di esperti, docenti, dottorandi, attori pubblici e privati, che promuova un dibattito aperto sulla democrazia; fondare un pensiero democratico attento ai principi e ai valori del pensiero sociale della Chiesa coordinato alle nuove sfide educative; promuovere percorsi di educazione alla cittadinanza democratica rivolti al mondo scolastico e universitario; pubblicare una guida per gli educatori dei giovani.
«Il pensiero democratico e le forme politico-istituzionali della democrazia moderna — ha detto Thivierge — sono stati concepiti in un’epoca e in contesti che non esistono più oggi. Il cambiamento culturale e sociale è stato molto rapido, quindi gli adeguamenti teorici e giuridico-politici non sono riusciti a stare al passo con il mondo che cambia». Da qui l’urgenza di «ridefinire i principi, le istituzioni e le regole di convivenza per il XXI secolo». 
E, in risposta alle sollecitazioni del Papa riguardo alla necessità di ricostruire il patto globale per l’educazione, l’obiettivo del progetto è quello di «riaccendere, in prospettiva interreligiosa, il nostro impegno con e per le giovani generazioni per un’istruzione più aperta e inclusiva, in cui l’ascolto, il dialogo e la comprensione svolgano un ruolo cruciale».
L’Osservatore Romano, 17-18 settembre 2019.