Idee. Editoria, la grande fuga dei lettori

Una scena del film “Fahrenheit 451” di Ramin Bahrani ambientato in uno strano futuro in cui sarà proibito leggere o possedere libri

Una scena del film “Fahrenheit 451” di Ramin Bahrani ambientato in uno strano futuro in cui sarà proibito leggere o possedere libri

«Quanto lavoro, caro Alvaro. Proprio non ne posso più. Stiamo combattendo contro un nemico che fugge: il pubblico. Questa è una avanzata nel deserto». Così scriveva allo scrittore calabrese l’editore Valentino Bompiani all’inizio del 1946. La denuncia dell’esiguo numero di lettori nell’Italia del primo dopoguerra, costituisce ancora, oltre settant’anni dopo, la lamentela più ricorrente fra quasi tutti gli editori nostrani rivelando la loro principale difficoltà: creare lettori. È la sfida – vecchia e attuale – che sta al centro anche del nuovo saggio di Gabriele Turi Libri e lettori nell’Italia repubblicana (Carocci, pagine 156, euro 14,00). Giri le pagine, rileggi le vicende di tante case editrici grandi e piccole, ti imbatti in autori spesso familiari, ti muovi lungo il Belpaese, passi da classici, collane, cataloghi di cultura non erosi dal tempo a tutta una letteratura di consumo dimenticata, salti da una sigla all’altra, ma il nodo essenziale rimane quello: il problema della lettura o della mancanza di lettori. Tuttavia, se all’inizio del periodo repubblicano lo si poteva attribuire ad un analfabetismo non ancora debellato, al fatto che due terzi della popolazione parlava dialetto, oggi a quali cause imputare i dati sconfortanti e terribilmente inferiori a quelli, ad esempio, delle vicine Francia o Germania? Eppure qui si parla di libri: forse gli “oggetti” più straordinari, che per lo più non hanno costi alti, che servono a fini pratici, formativi, ricreativi, che in larga parte trasmettono sapere e fanno riflettere, possono arricchire ed elevare lo spirito, e non poche volte sono voci di libertà da difesa “per costituzione”… Ma oggi – per uscirne – basta ripetere queste cose, mantenere questo approccio, o l’attenzione va spostata sui processi di produzione, di diffusione, sull’apporto di distributori, tipografi, librai? Per Turi affrontare la storia dell’editoria ricavandone lezioni per l’oggi, significa fare spazio non solo ai libri e agli autori con il loro pensiero e le loro idee, ma a tutti gli attori dello scenario dell’editoria egualmente protagonisti degli ultimi sei sette decenni nella cornice di sviluppi che, in questo settore indubbiamente sono stati paralleli alle trasformazioni indotte nel paese dal sistema democratico. «Il nesso fra il libro e l’ambiente in cui nasce e vive è forte, anche se i suoi esiti non sono scontati: l’editoria non è un microcosmo separato, ma si connette con la società, risponde ai suoi impulsi e li condiziona….», scrive Turi , pure pronto a ricordare il romanzo Fahrenheit 451, in cui lo scrittore Ray Bradbury rappresenta la vicenda di uno dei «militi del fuoco» incaricati dallo Stato di bruciare i libri, ritenuti fonte di infelicità in quanto suscitatori di dubbi… Sì l’esercizio della lettura è un po’ la condizione essenziale del mercato librario, non è però – insiste Turi – l’unico modo per affrontare la storia del libro, per la quale è necessario conoscere i comportamenti di tutta la filiera produttiva.

Scrive poi lo storico contemporaneista che, se è vero che sino agli Anni ’60 nel mondo editoriale vi sono dati innegabili su cui riflettere – la tenuta di alcuni caratteri addirittura risalenti al primo periodo unitario (frammentazione di tanti centri, debolezza del Mezzogiorno, specializzazione geografica con la produzione universitaria tra Bologna e Napoli, scolastica fra Torino e Firenze, narrativa soprattutto a Milano, ecc.), oltre a dati significativi legati al fattore “appartenenza” (si tratti della libreria come nuovo pulpito nella visione del fondatore della Società San Paolo, don Giacomo Alberione, o delle “voci ” di destra o di sinistra espressioni dell’editoria di partito, dagli Editori Riuniti all’editrice Cinque Lune) o di indirizzo politico (da Feltrinelli a Rusconi), in realtà mancano ancora studi specifici per una storia dell’editoria completa essendosi concentrato l’interesse degli studiosi – salvo rare eccezioni – sul ruolo lungo i decenni degli intellettuali. Dunque conosciamo tutt’al più una storia dell’editoria come pura storia delle idee, mentre restano piuttosto in ombra le cosiddette questioni aziendali: i risultati economici delle imprese, i bilanci, i finanziamenti, le vere tirature, che pure sono parte integrante di questa affascinante realtà. Non estranee certo agli scossoni che hanno visto processi di concentrazione allarmanti dagli anni Ottanta del ’900 all’inizio del XXI secolo – esempio paradigmatico l’acquisto di Rcs Libri da parte di Mondadori. Ma qui Turi canta un po’ fuori dal coro: «In Italia gli uomini di cultura tendono a mitizzare il passato, senza pensare che l’editoria ha nel paese una tradizione lunga e complessa. Nella quale le fasi di concentrazione sono state accompagnate, almeno fino ad ora, dal proliferare di piccole e piccolissime imprese capaci di coprire quelle nicchie di mercato sulle quali non avevano interesse ad intervenire i colossi editoriali. Questo non salva certo dal rischio di omologazione, ma lo limita in modo sensibile ». Pensate che abbia ragione?

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«Il sacro è la componente essenziale di ogni fatto architettonico». Lo spazio e la luce centrali nel «rapporto dell’uomo con l’infinito»

Mario Botta, uno schizzo della chiesetta di S. Giovanni Battista a Mogno, in Ticino

Mario Botta, uno schizzo della chiesetta di S. Giovanni Battista a Mogno, in Ticino

Mario Botta, architetto svizzero, non conosce confini: ha progettato di tutto – case, biblioteche, musei, scuole, banche, alberghi… –, e in tutto il mondo. La sua prima committenza, nel 1963, quando aveva vent’anni, è stata profetica: una casa parrocchiale. Da allora ha realizzato diciassette chiese, una cappella, una cattedrale. Ha progettato spazi sacri per tutte e tre le religioni abramitiche: sua la sinagoga Cymbalista nel campus universitario di Tel Aviv e la moschea, in costruzione, aYinchuan, in Cina. Le architetture di Botta hanno una potenza simbolica che nasce dall’impronta del suo progettare: sono radicalmente espressione dell’umano nella sua integralità, corpo e anima, anima e corpo. Gli spazi che crea, i materiali che utilizza, la purezza delle forme, il rigore dei tagli di luce, il dialogo tra il costruito e il paesaggio, tutto parla il linguaggio dell’uomo: un linguaggio accogliente come un abbraccio, semplice anche quando è grandioso, familiare come una madre, un padre, un fratello. La funzione non è mai scissa dalla dimensione spirituale della vita, la nostra vita e la vita di chi verrà dopo di noi.

Per lei l’architettura porta in sé l’idea stessa di sacro. Perché?

«Il primo atto di un progetto di architettura è quello di disegnare il perimetro, quindi di separare un microcosmo dall’immensità del macrocosmo dell’intorno. Questo procedimento è anche il fondamento dell’idea di ecclesia ,che si basa sull’atto di separare una parte dal tutto, è la volontà di sacralizzare uno spazio voluto dall’uomo per distinguerlo rispetto alla natura. Inoltre lo spazio vive in quanto generato dalla luce, senza la quale non potrebbe esistere. E la luce diventa l’elemento centrale che mette in rapporto l’uomo con l’infinito».

L’architetto Mario Botta

L’architetto Mario Botta

La sua prima committenza ecclesiale risale al 1966: la cappella del convento francescano a Bigorio, nel Canton Ticino. Può dirci cosa ha significato per lei, giovanissimo architetto, trasformare un’antica legnaia in uno spazio sacro?

«Già ventenne avevo capito che la forma del sacro è la componente essenziale di ogni fatto architettonico: per la misura, per l’intensità dei rapporti che stabilisce, per la pluralità delle interpretazioni possibili, per la nozione infinita del tempo che comunica e che promuove. Quella committenza è stata un modo per misurarmi e mettere a confronto le forme contemporanee con il linguaggio antico, un esercizio grazie al quale ho compreso che – come sosteneva Carlo Scarpa, del quale ero allora fresco allievo – l’unico modo per rispettare il passato è quello di essere autenticamente moderni. Dal ripristino di quella vecchia legnaia, ogni mio intervento progettuale si è configurato con un linguaggio “altro” rispetto alle preesistenze».

Nel progettare lo spazio ecclesiale ci sono stati dei maestri a cui ha guardato? E quali sono i periodi dell’architettura ecclesiastica che predilige?

«Ho attinto dai grandi maestri dell’architettura moderna e contemporanea (Le Corbusier, Louis Kahn) ma, in particolare, ho avuto il privilegio di frequentare Carlo Scarpa, che grazie al suo linguaggio estremamente raffinato, è stato capace di dare forma e significato anche ai materiali più poveri. La forza espressiva dei materiali usati da Carlo Scarpa è quanto di meglio ha formulato l’architettura negli ultimi decenni. Ho, poi, grandi debiti di riconoscenza verso il romanico i cui esiti possiedono ancora oggi una forza evocativa straordinaria».

Lo spazio che crea è lo spazio della liturgia, lo spazio dove la comunità dei fedeli si riunisce in preghiera, dove viene proclamata la Parola e dove accade il più grande dei miracoli. Come guarda alla liturgia nell’organizzazione dello spazio?

«La liturgia esige un’organizzazione chiara e razionale dei diversi momenti che ritmano la preghiera e i riti comunitari. Le riflessioni del teologo Romano Guardini e il suo stretto sodalizio con Rudolf Schwarz sono riferimenti forti e tuttora d’attualità nell’interpretazione di un linguaggio razionale e moderno contrapposto a modelli ormai obsoleti delle tipologie ecclesiali del passato. Al tempo stesso resta la necessità di creare un luogo – proprio dell’ ecclesia – che rappresenti la continuità di una storia millenaria, un grande problema raramente risolto dall’architettura contemporanea. Resta per me fondamentale la lezione di Guardini: “Le forme architettoniche della chiesa si presentano come luoghi ove l’uomo ed il mondo si ricompongono… come simboli che visualizzano, attraverso il tempo, l’essere cristiano […] e gli edifici sono i simboli che rendono l’essere visibile attraverso il tempo”.

Cosa significa fare architettura sacra in un mondo secolarizzato?

«Significa riuscire a dare forma, spazio e identità a una collettività, a una cultura, che non sempre ha consapevolezza di un bisogno di immensità».

Lei è tra i pochi architetti viventi ad aver progettato una cattedrale. Ci può raccontare come è nata la cattedrale di Evry e come si è sviluppato il dialogo con l’allora cardinale di Parigi Jean-Marie Lustiger?

«Verso la fine degli anni Ottanta sono stato invitato a progettare una chiesa nella ville nouvelle di Evry, a sud di Parigi, che stava consolidandosi come città satellite rispetto alla capitale. Dato che veniva a costituire una nuova diocesi, ecco che la chiesa assumeva la funzione di cattedrale. L’aver scelto me è stato probabilmente dovuto all’aspetto “monumentale”, solido e materico, che caratterizza il mio linguaggio architettonico. Ricordo le discussioni appassionate e stimolanti con il cardinale Lustiger a proposito della riforma liturgica conciliare e delle nuove configurazioni architettoniche. In opposizione a certe mode post-sessantottine a favore del riuso, dei materiali poveri, delle chiese-capannone, Lustiger teorizzava un “ritorno al monumentale” come impegno per una nuova progettazione, che avesse un esplicito riferimento alla memoria e ai modelli del grande passato. È anche in quest’ottica che ho elaborato la cattedrale di Evry, consolidando la poetica già presente nel mio linguaggio, con l’uso di materiali naturali e minerali per la configurazione degli spazi, e una luce zenitale in grado di evidenziare le forme geometriche delle composizioni spaziali».

Come risolve il dialogo tra la chiesa e il contesto urbano in cui si colloca?

«L’architettura non è uno strumento per “costruire in un luogo”, ma uno strumento per “costruire quel luogo” che vuole quindi entrare a far parte della storia, della geografia, della cultura. Tra chiesa e contesto si stabilisce un rapporto di dare-avere reciproco senza interruzione di continuità. La chiesa configura il contesto e il contesto rimodella la chiesa. Per fare un esempio pensiamo all’intervento di Le Corbusier a Ronchamps e al nuovo equilibrio paesaggistico stabilitosi fra la chiesa e la collina, che ha trasformato a tal punto la lettura delle due componenti da rendere ormai impossibile pensare l’una senza l’altra». (La versione integrale dell’intervista sarà pubblicata su “Luoghi dell’Infinito” di settembre 2018)

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Inghilterra. E Amazon risponde anche alle domande sulla fede

La Cattedrale anglicana di Canterbury (foto Epa)

La Cattedrale anglicana di Canterbury (foto Epa)

Una voce amica che risponde a domande sulla religione e dice dov’è la chiesa più vicina. Alexa, l’assistente vocale e domestico di Amazon, in grado di installare l’allarme di casa, darti la lista della spesa e fornire le previsioni del tempo, è stata attrezzata anche con una serie di informazioni preparate dalla Chiesa di Inghilterra. E per chi è abituato a dialogare con il computer o il cellulare, magari al centro del salotto, sarà utile poter chiedere chi è Dio, che cos’è la Bibbia, che cosa significa farsi battezzare e fare la Comunione.

È possibile vedere la nuova via “digitale” con le domande alle quali è in grado di rispondere sul sito della Chiesa d’Inghilterra. La maggior parte dei 28 quesiti, molti di natura metafisica, programmati dentro Alexa dalla Chiesa anglicana, sono stati pensati per gli atei e i non credenti che rappresentano ormai oltre la metà dei 60 milioni di adulti britannici. Un agnostico, per esempio, potrebbe farsi raccontare da Alexa, mentre è comodamente seduto in casa, come si prega e in che cosa consiste il cristianesimo.

La novità fa parte di una nuova offensiva digitale avviata dalla Chiesa di Stato inglese con l’obiettivo di «mettere le persone in rapporto con Dio», ha spiegato ai giornalisti Adrian Harris che è stato scelto per occuparsi di questo settore. Fino al 2016 ad occuparsi di tecnologia era soltanto un dipendente part-time, con un budget di circa 11.500 euro all’anno, mentre negli ultimi anni gli investimenti sono aumentati. Soltanto nel 2017 oltre 57mila euro sono stati investiti in una campagna di promozione della fede lanciata per Natale. I risultati non si sono fatti attendere. Alcune preghiere pubblicate sulla pagina di Facebook hanno attirato oltre un milione di lettori e la Chiesa ha triplicato i suoi seguaci su Instagram e quadruplicato quelli su Facebook.

Anche se Alexa tenterà di raggiungere atei e agnostici. L’intento dell’offensiva digitale anglicana non è di aumentare i clic sui social network o di diventare una Chiesa virtuale esistente soltanto online, ma di riportare alle funzioni della domenica i fedeli. Soltanto un decimo di coloro che si dichiarano cristiani nel Regno Unito, infatti, va alle celebrazioni ogni settimana nelle 12.600 parrocchie. Purtroppo la strada è ancora tutta in salita. Con 78mila seguaci su Facebook, la Chiesa d’Inghilterra arranca ancora dietro la squadra di calcio di Scunthorpe, nella terza serie inglese.

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PROVE DI DISGELO TRUMP-PUTIN, SI LAVORA A UN SUPERVERTICE PRESIDENTE USA COL VICE DI KIM, SUMMIT SULLA COREA SI FARA’

La Casa Bianca lavora all’organizzazione di un summit tra Donald Trump e Vladimir Putin. Come riporta il Wall Street Journal, l’ambasciatore Usa a Mosca John Huntsman è stato di recente a Washington proprio per tentare di programmare l’incontro, la cui pianificazione è ancora in una fase iniziale e manca l’accordo su data e luogo. Intanto il ministro delle finanze francese Le Maire dal G7 dice: ‘evitare guerra commerciale, palla agli Usa’. Il presidente Usa ha confermato intanto il vertice del 12/6 a Singapore col leader nordcoreano Kim Jong Un dopo un colloquio di 2 ore col n.2 di Pyongyang Kim Yong Chol.

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MATTARELLA AL 2 GIUGNO, IL PAESE E’ COESO E AFFIDABILE

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CONTE AGLI ITALIANI: TENETE DURO, ORA PASSIAMO AI FATTI A Roma le celebrazioni per la festa della Repubblica. Per Mattarella dalla parata arriva ‘l’immagine di un Paese coeso e affidabile, capace di assumere responsabilità nella comunità internazionale’. Il premier Conte si rivolge ai cittadini: ‘Non fatemi i complimenti adesso, non ho fatto ancora nulla. Spero che me li possiate fare dopo. Finora sono state fatte troppe chiacchiere, ora bisogna fare i fatti. Tenete duro, teniamo duro’ ha aggiunto col pugno serrato rispondendo a chi chiedeva di ‘cacciare tutti’: ‘il paese non è corrotto’.