Berrettini vince il torneo del Queen’s

 © EPA

Matteo Berrettini vince il torneo del Queen’s, bissando il successo ottenuto un anno fa.

Sull’erba londinese il numero uno del tennis italiano ha battuto il serbo Filip Krajinovic in due set con il punteggio di 7-5 6-4.

(ANSA).

Cremona-Unahotels 62-76: per Reggio un blitz che vuole dire quarto posto

Un sontuoso Olisevicius, ottimamente supportato da Cinciarini e dai lunghi spinge Reggio nell’elite della classifica

Andrea Cinciarini
Vanoli Cremona - Unahotels Reggio Emilia
Legabasket Serie A  UnipolSAI 2021/22
Cremona, 13/03/2022
Gianluca Checchi/Ciamillo-Castoria

Il Resto del Carlino

Un blitz che vale il quarto posto. Al termine di un match fatto di break contrapposti, quello decisivo lo pone in essere l’Unahotels, che espugna meritatamente il campo di Cremona e prosegue il suo viaggio nelle alte sfere della classifica. Match winner il lituano Olisevicius, che realizza 16 dei suoi 20 punti negli ultimi due quarti, con tre triple decisive nell’ultimo. A fargli degnissima compagnia un sontuoso Cinciarini in cabina di regia e l’ottimo apporto dei lunghi.

Il primo allungo è biancorosso, firmato Hopkins-Johnson, che frutta il +10 all’8’ dopo un parziale di 14-0. Nel secondo quarto, dopo che Reggio tocca le quindici lunghezze di margine, la Vanoli reagisce con un controparziale di 20-2 che le consente, con la “bomba” a fil di sirena di Poeta, di andare all’intervallo lungo in lieve vantaggio.

Nel terzo periodo dopo un inizio macchinoso la truppa di Caja opera un nuovo strappo (15-0) che le regala un nuovo vantaggio in doppia cifra e la fa approdare agli ultimi 10’ sopra 48-61.
In avvio di ultima frazione nuovo break, stavolta dei padroni di casa: 12-2 che li riporta a -3. Ma questa volta Reggio contiene la fiammata e sospinta da un clamoroso Olisevicius opera l’allungo decisivo. Il +13 a 3’ dalla fine è il sigillo sulla contesa

Il tabellino

VANOLI: Dime 6, Mcneace 7, Pecchia 11, Poeta 7, Spagnolo 3, Kohs, Tinkle 15, Cournooh 10, Juskevicius 3. N.e.: Gallo, Vecchiola, Errica. All.: Galbiati
UNAHOTELS: Thompson 6, Hopkins 14, Baldi Rossi, Strautins 9, Cinciarini 10, Johnson 15, Olisevicius 20, Larson 2. N.e: Soliani e Colombo. All.: Caja.
Arbitri: Carmelo Paternicò, Alessandro Nicolini, Matteo Boninsegna
Parziali: 14-24, 37-34, 48-61
Note: tiri da 3: Vanoli 9/28, Unahotels 9/21; tiri liberi: Cremona 11/14, Reggio Emilia 9/14.

Calcio e fede. Acutis, la Lega Pro lo vuole suo patrono

Il presidente della Serie C, Ghirelli, da Assisi rilancia l’idea. La mamma del Beato Carlo: «Mio figlio amava lo sport, ora il suo spirito legato ai giovani calciatori può fare miracoli»
Un’immagine del Beato Carlo Acutis (1991-2006) mentre faceva trekking sul monte Subasio, ad Assisi

Un’immagine del Beato Carlo Acutis (1991-2006) mentre faceva trekking sul monte Subasio, ad Assisi

Avvenire

«Non io, ma Dio», è uno dei tanti messaggi lanciati da Carlo Acutis nel suo brevissimo passaggio terreno. Il ragazzo proclamato Beato, il 10 ottobre 2020, oggi sarebbe un giovane uomo di trent’anni. Forse avrebbe continuato a suonare il sassofono e a giocare a calcio con gli amici milanesi. Magari sarebbe andato allo stadio («dove non andava mai, ma solo perché nessuno lo portava», dice mamma Antonia Salzano) a seguire la sua squadra del cuore, il Milan, a San Siro solo per accompagnare quei ragazzi disabili o bullizzati che consolava con lo spirito del volontariato migliore. Le sue passioni le avrebbe continuamente aggiornate, come quei siti dedicati ai miracoli eucaristici e alla gioia della fede che sono diventati, per fortuna in questo caso, «virali», in tutto il mondo.

Carlo amava la rete delle porte di un campo di calcio quanto quella dei portali di Internet, perché da «influencer di Dio», come lo definisce mamma Antonia, amava ripetere: «La Rete non è solo un mezzo di evasione, ma uno spazio di dialogo, di conoscenza, di condivisione, di rispetto reciproco, da usare con responsabilità, senza diventarne schiavo e rifiutando il bullismo digitale». Parole queste di Carlo che sono scolpite nella mente del presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli, il quale lo scorso febbraio ha scritto una lettera accorata all’arcivescovo di Assisi Domenico Sorrentino, per lanciare la proposta: «Carlo Acutis patrono della Lega Pro». Ghirelli da rappresentante di quella che considera la «la Lega dei pullmini », che trasportano ogni giorno i 13mila calciatori dei settori giovanili dei 60 club della Serie C (di cui 10 hanno squadre che partecipano ai campionati DCPS, tornei rivolto agli atleti con deficit cognitivo- relazionali) ha individuato nel Beato Carlo Acutis «una fonte di luce per i ragazzi e le ragazze che hanno bisogno che qualcuno tenda loro una mano, oggi e non domani – ha scritto il presidente della Lega di Serie C all’arcivescovo Sorrentino – . Internet e palla, argonauta e sportivo, sono i segni dei giovani di oggi, sono tutto un insieme e il Beato Carlo può stare interamente con questo variegato mondo che aspira al futuro».

E il futuro rimbalza come un pallone sull’erba dello stadio degli Ulivi di Assisi. La città di san Francesco che il Beato Acutis amava e dove aveva espresso il desiderio di venire sepolto dopo essere salito al Cielo, il 12 ottobre del 2006: morto, a 15 anni, all’ospedale San Gerardo di Monza, per una leucemia fulminante. Un’esistenza vissuta in piena Grazia di Dio, quanto preco- ce: è durata appena 5.640 giorni. Ora le sue spoglie riposano nella chiesa di Santa Maria Maggiore, Santuario della Spogliazione di Assisi. Mamma Antonia, via skype, ha partecipato al convegno promosso dalla Lega Pro su Carlo Acutis, a cui ieri ha fatto seguito la partita allo stadio degli Ulivi tra la Rappresentativa Under 17 di Serie C ed i pari età dell’A.S. Gubbio Calcio 1910. Al termine della gara, i ragazzi si sono recati al Santuario della Spogliazione, guidati dal Rettore del Santuario Padre Carlos Ferreira che ha detto loro: «Fatevi amico Carlo!».

Un messaggio che ha colpito i giovani calciatori che poi alla Basilica di Santa Maria degli Angeli hanno partecipato alla Santa Messa per le società dilettantistiche umbre. Tutto all’insegna del Beato Acutis, già patrono in pectore di Internet e ora anche del “calcio dei campanili”. «Il fatto che la proposta parta dalla Serie C e da un campionato prevalentemente disputato da giovani, di talenti che un domani potranno diventare dei campioni, non può che riempirmi d’orgoglio – dice Antonia Salzano – . Se un giovane calciatore scopre la fede attraverso Carlo, beh questo è un piccolo miracolo. Lo sport fa miracoli, ma solo se nello sport entra la luce di Cristo e se il talento è accompagnato dall’umiltà. Carlo, con umiltà aveva messo da parte se stesso, si era riempito di Cristo e questo gli aveva permesso di aiutare gli altri: i clochard, le persone bisognose. Tutti quelli che incontrava e che gli chiedevano aiuto, lui gli tendeva la mano. Ora lo farà anche con i giovani calciatori».

Come San Paolo, anche Carlo Acutis è stato un “atleta di Dio”, sempre in soccorso del prossimo, ma senza mai trascurare lo sport e l’attività fisica. «Carlo concepiva lo sport, tutto, come svago e un motivo di coesione sociale. Per questo si era cimentato nel basket, in cui faceva valere i suoi 182 centimetri di altezza, poi con il tennis e il trekking in montagna, specie qui ad Assisi, sul monte caro a san Francesco, il Subasio. Amava anche il calcio, certo, perché gli dava la possibilità di confrontarsi e di unirsi agli altri suoi coetanei. All’uscita di scuola, alla Leone XIII, spesso si fermava di fronte al Tommaseo, vicino alla chiesa di Santa Maria delle Grazie c’è un piazzale enorme con dei giardinetti dove una volta spiccava un magnifico cedro del Libano che ora non c’è più. Lì si ritrovava con i ragazzi del quartiere a dare due calci a un pallone. Ogni tanto non disdegnava il calcetto, ma non lo praticava con spirito agonistico. Carlo non era capace, ma in compenso sapeva ridere di se stesso e del fatto che come calciatore, mi diceva divertito, “sai mamma, a pallone sono una schiappa”. E io ridevo con lui, mi divertiva sempre. Come mi divertì saperlo sciatore improvvisato. Su invito dei nonni andò in Svizzera e in quindici giorni, seguendo gli insegnamenti di una maestra, imparò a sciare e vinse il secondo premio in una gara di slalom. Ma poi venne da me e suo padre e disse convinto: “Basta, ora non scio più”».

Gli Acutis sono una famiglia di sportivi. I gemelli, Francesca e Michele, nati dopo la morte di Carlo, quando Antonia aveva già 43 anni – «e Carlo me lo aveva predetto che sarei diventata nuovamente mamma» – da otto anni praticano il kung fu e seguono il calcio: «Michele tifa Milan, Francesca il Napoli, mio marito la Juventus e io l’Inter, perché Angelo Moratti era un vecchio amico di mio padre. Personalmente però non amo una aspetto del calcio: il fatto che non sempre vince il migliore, e allora preferisco la dimensione amatoriale ». Gli amateur tanto cari a papa Francesco, calciofilo, ex cestista e grande appassionato di tutte le discipline olimpiche. Nella Christus vivit papa Bergoglio cita Carlo Acutis come modello da seguire dai giovani per quella capacità di comunicare che andava oltre Internet. Con la sua mostra “Segni”, sui miracoli eucaristici, Carlo ha girato il mondo e solo negli Stati Uniti è stata ospitata da 10mila parrocchie. «Carlo ripeteva: “l’Eucaristia è la mia autostrada verso il cielo”. Perciò credo che con questa nuova “catechesi del calcio” possa indicare ai giovani la via della volontà, unico rimedio contro l’accidia che dilaga tra i millennials. Carlo sapeva che le virtù vanno coltivate e migliorate, e lo sport è un bel modo per mettere alla prova la propria forza di volontà. Il suo motto era il “Cic”: concentrazione, impegno e costanza. Il “Cic”, unito alla pratica sportiva, rafforza il fisico e lo spirito e tiene lontana “mammona” che prova sempre a fare lo sgambetto e si presenta in tutte le varie forme, compresa la violenza, come quella che si vede negli stadi».

Andare oltre il tifo, essere sportivi. «Carlo per fare contenti i cugini romani giocava a indossare il cappellino giallorosso della Roma di Francesco Totti, uno che gli piaceva, perché Totti è un uomo buono che si spende molto per gli altri, specie per i bambini in difficoltà». Uno dei tanti campioni da emulare Totti, ma senza creare falsi idoli e senza dimenticare l’altro motto che Carlo Acutis ha lanciato a tutti: «Sei nato originale, non vivere da fotocopia».

Pistoiese-Reggiana 0-2, i granata tornano alla vittoria

Reggio Emilia, 18 settembre 2021 – Dopo due pareggi, torna al successo la Reggiana con un bel 2-0 sul campo della Pistoiese. Nel primo tempo, i granata hanno mostrato tutta la loro superiorità sotto ogni aspetto, ma sprecando qualche occasione di troppo frutto del dominio totale e andando all’intervallo solo sull’1-0. La ripresa è stata più di sofferenza, dove più che tecnica e tattica sono serviti il saper soffrire e lo spirito battagliero. Nel finale Lanini, al primo gol in granata, ha blindato i tre punti.

I goal: nel primo tempo sblocca la gara Rosafio, con un cross (lo ammetterà lui stesso a fine partita, non era un tiro) che diventa letale per Crespi. A sette minuti dal termine Rossi serve Del Pinto che lancia il neo entrato Lanini, bravissimo a portare palla e a battere sul primo palo Pozzi (subentrato).

La Pistoiese ha protestato in due situazioni: una su un possibile fallo da rigore di Guglielmotti (che a fine gara ha negato di aver toccato l’attaccante avversario), e in un altro momento dove l’arbitro ha assegnato punizione dal limite su un fallo di Luciani. I toscani volevano rigore (siamo a ridosso della linea del limite dell’area) e espulsione da ultimo uomo per il difensore granata

 

Le due squadre in campo

 

Serie A: Sampdoria-Inter 2-2

Sampdoria e Inter hanno pareggiato 2-2 nell’anticipo delle 12.30 della terza giornata di campionato, giocato a Marassi. Una punizione di Dimarco al 18′ ha aperto le marcature, con i blucerchiati che hanno pareggiato al 33′ con Yoshida prima del nuovo vantaggio nerazzurro siglato al 44′ da Lautaro Martinez che ha deviato in rete al volo un cross di Barella.

Un’azione quasi fotocopia, nella stessa porta, ha portato al nuovo pari doriano, siglato da Augello al 3′ st.
(ANSA).

Oltre 3000 ore live e 30 canali, le Olimpiadi su discovery+

 © ANSA

Oltre 3000 ore live nei 17 giorni di competizione, fino a 30 canali in contemporanea dedicati a tutte le 48 discipline e a tutti i 339 eventi previsti, dall’inizio alla fine della premiazione, senza interruzioni. Dal 23 luglio all’8 agosto si potranno seguire i Giochi Olimpici Tokyo 2020, la 32esima edizione, minuto per minuto su discovery+, la piattaforma Ott del gruppo Discovery, per seguire, anche on demand, tutte le gare.

Una copertura che, ovviamente, darà il più ampio spazio possibile alla spedizione italiana: sono 384 gli atleti azzurri qualificati: 198 uomini e 186 donne.
Saranno oltre 100 tra commentatori e talent, i protagonisti che al microfono racconteranno ogni istante dei Giochi.
Tantissimi gli ex atleti che affiancheranno i commentatori, ben 16 che hanno partecipato a 27 Giochi Olimpici vincendo 13 medaglie, di cui 4 d’oro: Rossano Galtarossa, Margherita Granbassi, Andrea Meneghin, Hugo Sconochini, Roberta Vinci, Francesco Panetta, Riccardo Magrini, Pino Maddaloni, Cristina Chiuso, Rachele Sangiuliano, Paolo Canè, Paolo Cozzi, Alberto Busnari, Ilaria Colombo solo per citarne alcuni.
Per non perdere nemmeno una sfumatura di ciò che accade in Giappone, ci saranno a commentare Valentina Marchei, talento del pattinaggio sul ghiaccio ma anche davanti alle telecamere, Giulia Cicchinè, volto sempre più apprezzato del pubblico Eurosport, Zoran Filicic, commentatore Eurosport al racconto dei suoi settimi Giochi Olimpici, questa volta in veste di inviato e Sara Pizzo Kashihara, influencer italo-giapponese che ci farà immergere nelle abitudini e nella cultura nipponica.
Previste interviste, speciali e approfondimenti in diretta da casa Italia e dalle sedi delle gare. Federica Pellegrini è stata, inoltre, nominata Olympic Ambassador di discovery+. Insieme ad altre stelle del firmamento mondiale – Sky Brown, Lydia Valentin, Christian S›rum & Anders Mol – è protagonista di un’articolata campagna on air, digital e social, in cui invita tutti gli appassionati ad abbonarsi a discovery+ per non perdersi nemmeno un istante dei Giochi Olimpici Tokyo 2020. (ANSA).

Europei. Il sogno è realtà. L’Italia elimina la Spagna ai rigori e vola in finale

Jorginho spiazza il portiere spagnolo e segna con eleganza. Ed è subito finale

Jorginho spiazza il portiere spagnolo e segna con eleganza. Ed è subito finale – Reuters

Delirio azzurro a Wembley. Qui Londra, a voi Italia. L’Italia va in finale, la Spagna scende dalla giostra e si ferma qui. 120 minuti per fissare il risultato sull’1-1, gol Chiesa e Morata, due juventini, poi i rigori, ultimo atto di una semifinale che resterà nella storia.

Ecco la sequenza finale. Partiamo male, Locatelli sbaglia. Fermi tutti: Dani Olmo – il migliore in campo – calcia altissimo. Ristabilito l’equilibrio. Segna Belotti, Gerard Moreno lo imita. 1-1. Tocca a Bonucci. Che spiazza Unai Simon. Gol di Thiago Alcantara. 2-2. Implacabile Bernardeschi, Italia avanti. Donnarumma respinge il tiro di Morata. Il rigore decisivo tocca a Jorginho. Gol. Con il saltello, con una classe immensa. Italia in finale. Sarà la quarta finale in un Europeo per gli azzurri. Ma l’immagine più bella era arrivata prima dei calci di rigore. Mancini che sorride. Parla ai giocatori e sorride, li sgrava di ogni peso superfluo, consegna loro la leggerezza necessaria per presentarsi tranquilli davanti al dischetto.

Diciamolo: non è stata solo una partita, ma un film, teso, emozionante, crudele nel suo consegnare la verità all’ultima scintilla del fuoco, i calci di rigore. A giocare meglio è stata la Spagna, che ha dominato per un’ora, è stata trafitta dal raggio di sole di Chiesa e – con caparbietà, con qualità – ha ripreso in mano la partita, trovando il pareggio con una giocata di Morata. L’Italia è rimasta spiazzata dalla mossa iniziale di Luis Enrique, quella di schierare il «falso nueve» – nella tradizione virtuosa dell’idea di Pep Guardiola e della tradizione che ha fatto grande la Roja – togliendo a Bonucci e Chiellini un punto di riferimento e trovando la superiorità numerica a centrocampo. Poi si è ripresa, ha avuto dieci minuti di buon calcio dopo il gol di Chiesa, ma non ha saputo affondare il colpo del ko. A Wembley sono in sessantamila, il colpo d’occhio è da calcio pre-Covid. Prevalenza di italiani sugli spalti, di sicuro sono i più rumorosi.

L’omaggio a Raffaella Carrà arriva durante il riscaldamento, con gli altoparlanti che mandano a palla «A far l’amore comincia tu». La partenza dell’Italia è faticosa. A centrocampo – il piedistallo delle nostre vittorie – l’Italia è in affanno, la Spagna domina perché pressa altissima. La mossa manda in tilt gli azzurri. Verratti non trova le distanze, Barella fatica a recuperare palla, lì davanti Immobile litiga col pallone e scivola pian piano nell’abulia. La partita vive di strappi improvvisi, l’occasione migliore ce l’ha la Spagna. Dani Olmo vince un contrasto in mezzo all’area e calcia di prima intenzione, a salvare gli azzurri è Donnarumma: riflesso da gatto, manona aperta a deviare il tiro. Solo nel finale arriva il sussulto azzurro: Insigne libera Emerson sulla sinistra, il tiro dell’esterno sbatte sulla parte alta della traversa.

Nella ripresa la partita prende un altro respiro, più alto. Il gol dell’Italia arriva all’improvviso, ed è davvero un gioiello. Nasce nel solco della tradizione italiana, quella tanto abiurata del contropiede. L’azione parte addirittura da Donnarumma, passa per Verratti, accelera nel lancio in profondità di Insigne per Immobile. A quel punto la deviazione di Laporte – in anticipo sul nostro centravanti – favorisce l’inserimento di Chiesa. L’azzurro controlla sulla sinistra, si accentra e piazza – pure lui, come un destino che si compie – l’ormai celebre «tiro a giro», il marchio di fabbrica di Insigne.

Boato a Wembley. E’ il 2° gol per Chiesa all’Europeo, il 3° nelle sue 31 presenze in maglia azzurra. E’ passata un’ora e a questo punto la partita cambia pelle, diventa più frenetica. E a dimostrazione che il calcio è uno sport semplice – bisogna fare gol – quando Luis Enrique inserisce un centravatni di nome e di peso, Morata, il logorante e avvolgente tic-toc della Spagna riacquista un senso. Il gol del pareggio spagnolo è da manuale del calcio. A trenta metri dalla porta Morata chiede triangolo a Dani Olmo, scatta per ricevere il pallone, si porta a rimorchio tutta la difesa azzurra e – arrivato davanti a Donnarumma – lo trafigge con una rasoiata sul primo palo.

Ai supplementari la partita a scacchi si è trasformata in una battaglia di nervi. La stanchezza si è fatta sentire, sono aumentati gli errori in fase di impostazione. Cambiava ancora la sceneggiatura del film, cambiavano gli attori. Alla fine c’erano dodici giocatori subentrati in campo, una nuova compagnia di giro. Sono gli azzurri a rischiare di più, la difesa dell’Italia sbanda; eppure i più stanchi dovrebbero essere gli spagnoli, reduci da un ottavo (con la Croazia) e un quarto (con la Svizzera) che sono duraturi 120 minuti. Si va avanti per inerzia, fino ai rigori. Sarà Jorginho a segnare quello decisivo e regalarci la finale, domenica a Wembley, contro la vincente di Danimarca-Inghilterra.

Avvenire

 

Euro 2020. Italia-Belgio stasera. Mancini guida la carica degli “oratoriani” azzurri

Tanti i calciatori di questa Nazionale, pronta per la sfida con il Belgio, che devono la loro personalità e la formazione al campetto della chiesa del paese in cui sono nati e cresciuti
Italia-Belgio stasera. Mancini guida la carica degli "oratoriani" azzurri

Ansa

Agli Europei di Polonia-Ucraina 2012 scesero in campo i “pretoriani” di Cesare, Prandelli. Galoppata fino alla finale di Kiev, persa nettamente contro la Spagna, ma comunque vicecampioni d’Europa con una Nazionale che visse momenti di gloria, soprattutto negli attimi di fantasia creati dai due nevroromantici per antonomasia, il “black italian” Mario Balotelli e la peste di Bari Vecchia, Antonio Cassano. Ragazzi di strada, ribelli, sognatori da incubo e fuggitivi, assai distanti dallo spirito di questa Italia di Euro 2020 che questa sera, ai quarti, punta a eliminare il Belgio del gigante buono Lukaku e ad arrivare alla finale di Wembley dell’11 luglio.

 

 

Per centrare l’obiettivo servono tutte le risorse a disposizione, a cominciare da quel valore aggiunto che forse sta nella forza degli ‘oratoriani’. «La mia prima squadra è stata l’Aurora, la formazione dell’oratorio di San Sebastiano, a Jesi». È lì, agli inizi degli anni ’70, nella sua città natale che è cominciata la favola di Roberto Mancini: l’ascesa inarrestabile del baby prodigio del Bologna e poi del n. ’10’ della Samp dell’unico scudetto vinto (1990-’91) con il suo fratello doriano ed eterno compare in azzurro, Gianluca Vialli. Nel campetto della chiesa il primo ad accorgersi delle doti straordinarie del futuro campione e ct della Nazionale fu don Roberto Vigo.

L’idolo di Belotti è don Sergio, mentre Bastoni è «un esempio di fede» per don D’Agostino


 

Una storia che Mancini alla vigilia degli Europei ha raccontato, con timidezza fanciullesca, entrando nei Giardini Vaticani, confrontandosi anche sul tema della fede con don Dario Viganò nella trasmissione di Rai 1 A sua immagine. E questa Nazionale è davvero a sua immagine, quella dell’ex ragazzo di Jesi che a don Viganò ha ribadito «quanto sia stata importante la mia formazione oratoriale». Il gusto del gioco – «del Giuoco», sottolinea il commentatore di Rai Sport ed ex azzurro Eraldo Pecci, cresciuto anche lui all’oratorio di Cattolica – fine a se stesso in un tempo come l’adolescenza, in cui anche il talento si comporta da quel perfetto amateur tanto caro a papa Francesco.

Prima di lui, il “Papa dello sport” è stato Giovanni Paolo II che, anche per spirito agonistico, era assai affine a san Giovanni Bosco, il padre fondatore della cultura oratoriale. «Quando vedo i giovani tutti occupati nel gioco son sicuro che il demonio ha un bel da fare, ma non riesce a nulla».

Il gioco che salva dalle tentazioni e i pericoli della strada l’hanno sperimentato oltre al ct Mancini e il gemello del gol Gianluca Vialli («sono figlio di Grumello e dell’oratorio del Cristo Re») di molti dei suoi azzurri. A cominciare dalla grande rivelazione di questo Euro 2020, Manuel Locatelli. All’oratorio di Pescate (Lecco) lo chiamavano ‘Zizou’, «già come Zidane», ha raccontato divertito tante volte ricordando gli esordi. È lì che Locatelli ha cominciato a fare le cose per bene: sotto la guida paterna ha tirato i primi calci passando presto nella premiata cantera dell’Atalanta per finire a 11 anni nelle giovanili del Milan. Un «predestinato» alla maglia rossonera, che invece gli viene avventatamente tolta, costringendolo a ricominciare la scalata alle vette del grande calcio. Ripartenza del ‘Loca’ dal laboratorio permanente di Sassuolo. Una “retrocessione” avrebbe pensato qualsiasi ventenne ambizioso di Serie A, ma Manuel è uno abituato a «lavorare come Oriali» (canta Ligabue in Una vita da mediano. Già, il Lele Mundial dell’82, ora team manager della Nazionale, anche lui battezzato calcisticamente all’oratorio di via Grandi a Desio. Max Allegri stravede per l’oratoriano Locatelli e lo vorrebbe alla Juventus, ma servono 40 milioni di euro. Cifre distanti anni luce dai lampioni del campetto dell’oratorio dove si gioca gratis e per amore di Dio. Mancini che in gioventù è stato parzialmente vittima dei “blocchi azzurri” (i convocati erano in prevalenza ju- ventini, milanisti o interisti) non c’ha pensato due volte ad affiancare Locatelli al compagno di squadra, il ragazzo di Calabria Mimmo Berardi. E il ct è stato ripagato da prestazioni splendide dal Manuel di Pescate che si è tolto anche lo sfizio di segnare alla Tardelli uno dei due gol realizzati fin qui, e ora sogna il terzo al Belgio.

Tra i due, a Sassuolo è spuntato Giacomo Raspadori, il più giovane del clan azzurro con i suoi 20 anni. I primi li ha trascorsi all’oratorio di Castel Maggiore, nel bolognese, «ma lì si parlava e si faceva quasi solo basket». Disciplina formativa ma Giacomino c’ha pensato un attimo e ha subito virato sul campo di pallone della Progresso. La squadra in cui ha cominciato a dare segnali di quello che ora viene accostato al «nuovo Totò Di Natale», «mi hanno dato anche dell’Aguero», dice orgoglioso Raspadori, «ma sono paragoni troppo forti per uno che ha appena iniziato ». Umiltà e consapevolezza manciniana, la stessa che fa dire al ct, messo a confronto con lo storico selezionatore Vittorio Pozzo: «Lui ha vinto due Mondiali e una Olimpiade, io ancora niente».

Tanti gol in maglia granata ma zero titoli per il cuore Toro Andrea Belotti che è rimasto sempre il ragazzo di Dossena, il paesino della Val Brembana. È qui che predica e fuma il suo buon sigaro toscano quello che il ‘Gallo’ Belotti chiama «l’eroe della mia vita». È l’arciprete don Sergio Carrara, il parroco che quando sulla ‘Gazzetta dello Sport’ lesse la dichiarazione del bomber del Torino si commosse.

Dalle intense emozioni via skype, scambiate in tempi di lockdown, tra don Marco D’Agostino e il suo ex allievo al Liceo Vida di Cremona, l’azzurro Alessandro Bastoni, è nato il libro Se aveste fede come un calciatore (San Paolo Edizioni). Qui è il giovane campione che diventa punto di riferimento del suo Prof. il quale quando lo interroga sul cosa si prova a dover marcare Cristiano Ronaldo, Bastoni candido risponde: «Don Marco, dalla difesa non passa nessuno». Una sicurezza quella del difensore dell’Inter campione d’Italia che ha fatto confessare a don D’Agostino: «Se avessi la stesa fede di Bastoni quando scende in campo, probabilmente la mia vita sarebbe diversa».

È stata sicuramente un’infanzia diversa quella vissuta in oratorio da molti degli azzurri che stanno tentando l’euroimpresa, uniti dalle origini su quei campetti polverosi di provincia e dagli insegnamenti fondamentali di qualche curato di campagna. La pratica cristiana e la fede in Dio fanno parte dell’allenamento quotidiano del centrale della Lazio Andrea Acerbi. Cresciuto nell’humus oratoriale della Voluntas Brescia, la sua storia di rinascita, dopo essere guarito dal tumore, Acerbi l’ha raccontata nell’autobiografia Tutto bene (Sperling & Kupfer). Pagine toccanti in cui rivive il percorso a ostacoli contro tutti gli avversari incontrati nel suo cammino. Il calcio è una fede per Acerbi, ma il suo credo in Dio è quello che lo guida sempre: «Prego due volte al giorno, al mattino e alla sera. Ma non per questo sono diventato un santo. Di casini ne combino ancora, ma adesso grazie a Dio so chi sono».

Ha personalità da vendere Matteo Pessina, che dall’oratorio di Monza si porta dietro la cifra rara del ‘doppio passo’: prima del calcio viene lo studio. Latinista per passione il ‘Gerrard’ dell’Atalanta è iscritto alla facoltà di Economia della Luiss di Roma. Pessina, con Raspadori (studente alla facoltà di Scienze Motorie) seguono le orme dei veterani laureati, la roccia difensiva Giorgio Chiellini e il secondo portiere Salvatore Sirigu. Quest’ultimo, cresciuto a La Caletta di Siniscola (Nuoro) era partito giocando in attacco per la squadra dell’oratorio della chiesa della Madonna di Fatima che «miracolosamente », dice lui, lo ha trasformato in un portiere. Uno dei migliori portieri d’Europa che ancora rimpiangono al Paris Saint Germain. Mancini ha fatto entrare in campo Sirigu nella gara con il Galles (forse l’ultima in azzurro per il 34enne portiere del Toro) al posto di Gigio Donnarumma per far capire una volta di più che «in questa Nazionale, non ci sono riserve, sono tutti titolari». Ciò che conta è il gruppo, lo stare bene insieme nel reciproco rispetto dei ruoli impartiti.

 

L’abbraccio tra il ct della Nazionale Roberto Mancini e Gianluca Vialli

L’abbraccio tra il ct della Nazionale Roberto Mancini e Gianluca Vialli – Ansa

 

E dopo tanta sofferenza in campo la tensione si scioglie nell’abbraccio di fratellanza tra Mancini e Vialli che, dall’alto della sua esperienza di vecchio bomber azzurro e di hombre vertical, proclama in stile oratoriano: «L’importante non è vincere, è pensare in modo vincente: la vita è fatta per il 10 per cento di quel che ci succede e per il 90 per cento di come lo affrontiamo».