La luce in fondo

Grazia Calabrò, «Inondata di luce» (2014)

Il potere della parola nell’ultimo libro di Luigi Maria Epicoco

14 novembre 2020

Non sempre usiamo le parole in modo preciso. Pensiamo siano solo funzionali a “nominare le cose” e, talvolta, le utilizziamo accostandole alla rinfusa e costringendole a essere lo specchio degli umori caotici che ci portiamo dentro. Eppure, la parola ha il potere di liberare la vita che ci abita, di evocare le immagini con cui interpretiamo noi stessi e il mondo, di proiettare scenari e indicare orizzonti che ci superano. Con le parole leggiamo la vita o la neghiamo, facciamo emergere il nostro io dal buio in cui si è ricacciato o lo mortifichiamo, salviamo gli altri oppure li uccidiamo.

Ci sono momenti nella vita in cui “mancano le parole”. Non sappiamo come declinare l’amore ma, ancor più, non sappiamo come parlare di quei passaggi traumatici che, per l’appunto, ci lasciano a bocca aperta. Se non fosse per altro, almeno per questo motivo vale la pena ritagliarsi un po’ di tempo per gustare il nuovo libro di Luigi Maria Epicoco La luce in fondo. Attraversare i passaggi difficili della vita, edito da Rizzoli. Il brillante sacerdote, amato e seguito dal grande pubblico, già autore di numerose pubblicazioni e dotato di una rara capacità di comunicare il Vangelo, ci offre qui più di un libro; mentre si scorrono le pagine di questo testo, infatti, si ha la possibilità di entrare nella propria anima, di ritrovarsi e rispecchiarsi, di lasciarsi toccare e guarire. Il volume, infatti, si propone proprio di offrire “parole” che interpretano i passaggi difficili e traumatici della vita, aiutandoci a diventare protagonisti e non più vittime della nostra storia, specialmente quando siamo costretti ad attraversare sentieri oscuri o ad affrontare difficoltà che appaiono insormontabili.

Cinque piccoli capitoli, ciascuno affidato a una parola, da cui emerge l’estro letterario di don Epicoco, capace di tenere insieme la profondità drammatica dei temi trattati con un linguaggio caldo e coinvolgente, mai cattedratico, mai distaccato, evocativo di quanto scorre nel sottosuolo delle nostre esistenze. Le relazioni, la solitudine, il silenzio, il corpo e la morte rappresentano l’itinerario del viaggio da compiere, per trovare “la luce in fondo”.

Lo scopo del libro non è quello di spiegare, definire, dare risposta ma, piuttosto, di aiutarci a guardare ai passaggi e alle crisi della nostra vita con occhi nuovi, per scoprire che «in tutto è nascosto un significato» (pagina 15), e che se anche non abbiamo potere sulle tempeste «possiamo approfittare delle onde per andare nella direzione sperata» (pagina 16). Così, l’autore ci propone una lettura prospettica su quanto la recente pandemia ha rivelato e portato alla luce, anzitutto l’importanza di coltivare le relazioni umane in un contesto globalizzato «che ha reso il mondo una rete commerciale più che una rete di persone» (pagina 31). Ma vi è anche la possibilità e necessità di vivere una solitudine “positiva”, scelta per imparare sempre e daccapo una libertà interiore capace di consegnarci a una «postura interiore che ci strappa dalla tentazione di piangerci continuamente addosso, di essere ripiegati su noi stessi, di passare la nostra vita, il nostro tempo a salmodiare solo ciò che non va, a elencare il buio, a prendercela con qualcuno» (pagine 53-54).

Non meno importanti le pagine dedicate al silenzio, dipinto come un respiro, una pausa tra una nota e l’altra della vita, un essere «scaraventati in modo traumatico dentro una folla interiore» (pagina 76), che scalpita e grida dentro di noi e che proprio il silenzio ci permette di ascoltare, interpretare e guarire.

La riflessione tocca anche delle vette filosofiche quando le pagine dell’agile testo ci propongono una lettura del significato del corpo e della corporeità. Le ultime righe, invece, sono dedicate al tema della morte che il coronavirus ha fatto ritornare sulla scena da protagonista, mentre la nostra società anestetizzata l’aveva resa un tabù. Dinanzi alla morte si può scegliere di affidarsi a un apparato religioso che plachi e addomestichi l’angoscia oppure — suggerisce l’autore — alla fede che, diversamente dalla religione, non serve solo a rassicurarci, ma «è un modo attraverso cui questa angoscia può essere affrontata, guardata negli occhi e allo stesso tempo essere superata» (pagina 135).

Del libro rimane, però, anzitutto un messaggio fondamentale che è anche al cuore della fede cristiana ma che, ciascuno, può cercare di rintracciare anche nel personale lavoro con se stesso: non arrendersi al buio, disarmare la morte, cercare “la luce in fondo” che è la benedizione nella prova, un bene nascosto in ciò che ci ha destabilizzati. Con un tratto amichevole, semplice ma mai banale, l’autore ci prende per mano per accendere piccole luci nel cuore delle nostre notti. Alla sua penna, ma ancor più alla passione umana e spirituale che trasmette in queste pagine, non possiamo che essere grati.

di Francesco Cosentino

Il bello della teologia

di: Roberto Mela

teologia

Se alcuni autori hanno avuto un grande successo nel far risorgere lingue “morte” come il latino e il greco, perché non potrebbe essere anche il caso della teologia? Non si può continuare a pensarla confinata nei seminari, come ritengono quasi tutti, con compiti funzionali. «Solo una teologia bella, che abbia il respiro del Vangelo e non si accontenti di essere soltanto funzionale, attira» afferma papa Francesco (Discorso alla Commissione teologica internazionale, 28/11/2019).

Il libro di Armando Matteo nasce da questa sana “invidia”, dall’ammirazione per la fortuna riscossa da opere di autori coraggiosi. L’autore è convinto che è possibile trasmettere la “novità” di Gesù ai confini dei cuori degli uomini e delle donne dei nostri tempi rendendola interessante, vitale. Far sentire loro che quando Gesù parlava, parlava di Dio agli uomini e degli uomini a Dio, ai quali egli rimane molto interessato.

Il “mistero” e la Luce

La “teologia” è un discorso (logos) su Dio (theos), un discorso che riguarda Dio ma anche l’uomo e la sua felicità. Essa nasce dall’avvertire un mistero che circonda l’uomo circa la sua provenienza, il senso del cammino, l’esito finale del proprio andare. Il “mistero” non è qualcosa di inconoscibile a cui arrendersi più o meno in partenza, ma ciò che proprio per la sua vastità e inesauribilità richiede sempre nuovi sforzi di comprensione e di attenzione. Una realtà – afferma Matteo – a cui approcciarsi come i topi, chiudendo gli occhi e serrando la bocca per percepirne a poco a poco il contenuto.

Dall’inizio dell’universo gli uomini hanno vinto l’angoscia trovando le parole per dire il mondo, esprimendo con esse non solo le denominazioni delle cose, ma anche il sapore del mondo. Ciò ha potuto accadere perché una condizione di possibilità vi era data: Dio, la cui etimologia rimanda al significato primordiale di “Luce”. Dio è la Luce, il Luminoso che dà possibilità di accostarci al mistero e alla realtà in genere illuminandone il senso profondo.

On the road

Gesù compare sulle strade della Palestina. Un «giovane ebreo» con cui confrontarsi «corpo a corpo», in modo necessario, unico e assoluto (P. Sequeri). Dio-uomo on the road ha rivelato il Padre con le sue parole e i suoi gesti, anche “scandalosi”, di accoglienza e di guarigione. Un Dio che per tutti è amore, che non lascia nessuno indietro, non trascura alcun uomo.

Gesù svela Dio e lo fa nell’estrema paradossalità della croce. Egli non si tira indietro dal dono totale di sé e, dopo la Pasqua, i suoi discepoli lo hanno sperimentato vivo e risuscitato dal Padre. Ad essi ora è data la possibilità di scrutare Dio, il mistero dei misteri, dando origine alla teologia, il discorso su Dio.

I Vangeli, la “bottega” della teologia

I Vangeli si presentano come la prima “bottega” della scienza teologica. Con stili diversi, i quattro evangelisti hanno ricuperato i detti e i fatti riguardanti Gesù. Con un linguaggio vivo, attraente, che attinge dal vissuto concreto della gente – specialmente con le parabole e altri strumenti linguistici –, Gesù e gli evangelisti toccano il cuore degli uomini nel variare delle loro culture, cioè “gli occhiali” con cui leggono e vivono la realtà in cui sono immersi.

La scelta del greco come lingua di scrizione mostra chiaramente il loro primario interesse ai destinatari dei loro scritti. Si tratta di mettere in rapporto Gesù con i lettori e viceversa. «È Gesù che per primo agisce in modo che la rivelazione che egli offre a riguardo del mistero di Dio non sia mai espressa in modo indifferente ai vissuti e agli immaginari del destinatario. Ciò che è in gioco nell’accoglienza o meno di quella relazione è esattamente la possibilità di un nuova relazione con la propria esistenza da parte chi ascolta in quanto vi è più radicalmente in gioco la possibilità di una nuova relazione con Dio. E viceversa. Vi è in gioco la possibilità di una nuova relazione con Dio proprio perché ne va di una nuova riuscita relazione con la propria esistenza» (pp. 59-60).

Gesù annuncia che Dio è per tutti amore e la fede è «imparare a vedere il mondo con gli occhi stessi di Gesù, a considerarne la totalità del suo punto di vista, ad apprezzarne la consistenza e bontà a partire dai suoi indici di valore (p. 60). I Vangeli sono stati scritti per far conoscere Gesù e affinché il cuore degli ascoltatori/lettori possa “ardere” e decidersi per lui. Si è creato uno spazio di un effettivo ed efficace dinamismo di presenza di Gesù, una scrittura performante, soprattutto con la “creazione” magnifica di singoli personaggi modelli di ogni possibile difficoltà a dare credito alla verità che emerge dai gesti e dalla predicazione di Gesù.

Dio non è lontano da nessuno e, dandogli credito, io posso ripristinare una relazione di prossimità con la mia vita. Dio ama tutti e inquieta per liberare. Liberando inquieta, inquieta liberando. Nei Vangeli incontriamo il linguaggio caldo e sereno delle cose, un linguaggio tratto dalla vita quotidiana. Un eloquio che illumina, scioglie, riscalda, purifica e incendia. Il lettore è inviato sempre di nuovo a mettere in questione la propria vita e il suo rapporto col mistero di Dio.

Animale non stabilizzato

L’autore riassume così il compito del teologo cattolico romano: «Comunicare Gesù assiduamente, lavorando in vista del sorgere di un desiderio della fede negli uomini e nelle donne della generazione cui egli appartiene, scrupolosamente individuando nel loro cuore gli spazi di apertura e quelli di resistenza alla decisione della fede. Promuovendo gli uni, smussando gli altri» (p. 62).

Animale non ancora stabilizzato, l’uomo è privo di istinti, cioè di risposte rigide agli stimoli esterni. Questo fatto lo mantiene libero, capace di progresso nella comprensione e nel dominio di ciò che lo circonda, capace di guidare in libertà la costruzione della propria vita. La libertà fondamentale dell’uomo gli dà la possibilità di aprirsi ai discorsi che danno senso alla propria esistenza.

La scoperta dei propri limiti, la capacità di lamentarsi, spinge l’essere umano in avanti, essendo la coscienza del proprio limite il suo tratto tipico. L’uomo è «un animale non ancora stabilizzato. Insomma, un animale semplicemente libero. Più concretamente: animale che si lamenta, comunque». (p. 70). E questo dà la possibilità del cambiamento, della mutazione, della trasformazione e del miglioramento. Cambiano in tal modo le culture, gli “occhiali” con cui l’essere umano guarda il mondo.

Il compito della teologia

Quale dunque il compito della teologia, del discorso divino, della scienza divina? È quello di fare da ponte tra il messaggio che i Vangeli rendono disponibili e le differenti stagioni della mai sopita evoluzione culturale degli uomini. Fare ponti perché la storia di Gesù, la suastoria (his- story), diventi quella dell’uomo e viceversa.

Nei quattro capitoli seguenti del libro (pp. 81-154) l’autore scorre velocemente la storia della teologia. I padri, alla luce di Platone, proposero la sapienza. Con uno sguardo positivo ad Aristotele, i dottori proposero una teologia per il Medioevo, sapendo che la mente non mente. Nell’età della ragione gli apologeti dovettero combattere sulla difensiva, situazione in cui è difficile vincere. Occorre scommettere per credere (Pascal). I mistagoghi, infine, agiscono nel regno libero della libertà. Gli “occhiali” postmoderni fanno dire all’uomo che è possibile toglierli tutto, ma non la propria libertà. E allora sarà l’occasione di chiedere a tutti: Cosa è veramente degno della mia libertà? Solo l’amore è credibile… Anche «nella postmodernità – cioè nel regno libero della libertà – l’amore possiede risorse sorprendenti» afferma l’autore (p. 152).

Teologia bella

L’ultimo capitolo della sua fatica (pp. 155-170) Matteo lo dedica al panorama odierno che pare mostrare una pressoché totale estraneità delle persone al messaggio evangelico e alla pratica religiosa. Pare interrotta la trasmissione generazionale della fede. Sembra persa la memoria collettiva della fede.

Molti testimoni oggi, a partire da papa Francesco e da molti teologi, si pongono come antenne per Dio, che sembrano mancare.

Tutti i credenti, però, devono cercare modalità nuove di trasmissione della fede, trasformando gli attuali luoghi ecclesiali. Da luoghi di celebrazione della fede dovranno «diventare soprattutto luoghi di generazione alla fede. Se uno non si incrocia e non si innamora di Cristo, lì dove i credenti pubblicamente ne celebrano la fede, sarà difficile che possa capitare altrove. Lì dove i cristiani si incontrano, lì si deve operare affinché chiunque possa incontrarsi con Gesù e la sua parola su Dio» (p. 166).

Da parte loro, i teologi dovranno sforzarsi di dare alla luce una teologia bella, capace di parlare in modo bello della singolare bellezza di Gesù, creando ponti tra la rivelazione del mistero di Dio offerta in Gesù e la “filosofia di vita” di ogni generazione presente al mondo (e che si esprime spesso in romanzi, saggi filosofico-sociologico-psicologici, film, canzoni, opere d’arte, app dei telefoni, moda dei capelli e dei vestiti ecc.).

Quale spazio c’è per un parola su Gesù? Per un parola di Gesù? Le persone lo ascolteranno se sentiranno parlare loro di una persona interessata alla loro storia di felicità. Una teologia bella, evangelica, sana e sanificante che fa interagire quotidiano e vangelo, facendo scaturire vita felice.

Credere o non credere, questo è il problema”, ricorda Matteo nella sua conclusione, dove commenta alcuni incontri di Gesù con persone che rende felici (Levi/Matteo, la peccatrice, Zaccheo, il centurione), ma anche delusi, seppur amati (il giovane ricco) (pp. 171-182).

Chiude il volume una piccola bibliografia di riferimento (pp. 183-186).

La percezione dell’amore

Mi piace riprendere la splendida pagina di von Balthasar posta a chiusura del volume (p. 153). L’amore “ostinato” della mamma schiude il bimbo e lo sveglia all’amore e alla conoscenza. Egli raggruppa tutte le vacue impressioni sensibili attorno al nucleo del tu. «Così Dio si manifesta all’uomo come amore: è Dio che illumina l’amore e lo fa risplendere e accende nel cuore umano la luce dell’amore, quella luce che è appunto in grado di vedere questo amore – l’amore assoluto: “Poiché Dio, il quale disse che dalle tenebre splendesse la luce, egli stesso rifulse nei nostri cuori, perché si rendesse chiara la cognizione della gloria di Dio nel volto di Gesù Cristo” (2Cor 6[sic!]; lege 2Cor 4,6). Da quel volto ci sorride paternamente-maternamente la Causa prima dell’essere. In quanto siamo sue creature, il germe dell’amore – come immagine (imago) di Dio – è assopito dentro di noi. Ma come nessun bambino si sveglia all’amore se non è amato, così nessun cuore umano potrà destarsi alla comprensione di Dio senza il libero dono della sua grazia – nell’immagine del suo Figliolo» (cit. da La percezione dell’amore. Abbattere i bastioni Solo l’amore è credibile, Jaka Book, Milano 2010, 105-106).

  • Armando MatteoEvviva la teologia. La scienza divina, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2020, pp. 192, € 16,00, ISBN 9788892222724.
  • Settimana News

Due secoli di libri tra Torino e Bologna

Settimana News

di: Marietti 1820

marietti

Il libro più antico è datato 1822, si intitola «Della sovranità» e porta la firma dell’ecclesiastico, scrittore e oratore francese Jacques-Bénigne Bossuet, precettore del delfino Luigi di Francia. Il volume più recente è invece «Fiordiluna» del sorprendente, e finora inedito in Italia, illustratore tedesco Einar Turkowski, che utilizza solo mine HB per creare universi poetici e visionari che fondono poesia e fiaba.

Tra l’uno e l’altro, duecento anni di storia riassunti in 16 vetrine che ospitano oltre cento tra libri, lettere, fotografie, cataloghi e folder. È la mostra «Marietti 1820-2020. Due secoli di libri tra Torino e Bologna», aperta dal primo ottobre al 29 novembre 2020 nel quadriloggiato superiore della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, in piazza Galvani 1 (qui le informazioni). La mostra è promossa dalla casa editrice in occasione del suo bicentenario, in collaborazione con l’Archiginnasio e la Biblioteca dello studentato per le missioni, e si avvale del patrocinio dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e del sostegno di Bper Banca, Emmepromozione, Edimill, Tuna bites e Libreriecoop.

La mostra

Risultato di un lavoro di ricerca condotto su ciò che resta del catalogo storico, arricchito da recenti ritrovamenti di opere ottocentesche, e su fonti bibliografiche, documenti e testimonianze, la mostra riassume duecento anni di attività editoriale. La vicenda di Marietti si può riassumere in due grandi fasi. La prima, dal 1820 al 1980, è caratterizzata dalla continuità nella gestione familiare e da un profondo radicamento territoriale (a Torino per 120 anni e a Casale Monferrato per 40); la seconda, dal 1980 ad oggi, è invece contraddistinta da una maggiore varietà di assetti proprietari, che ha portato la casa editrice prima a Genova, poi a Milano e, infine, a Bologna.

La mostra ripercorre la produzione iniziale di Marietti 1820, caratterizzata in prevalenza da testi religiosi e scolastici e, in seguito, anche da opere di sociologia, libri per ragazzi e testi filosofici, tra cui Il manifesto del partito comunista di Marx-Engels, La gaia scienza di Nietzsche, Quando dire è fare di Austin. Soprattutto la produzione del «periodo genovese», a partire dal 1980 con la direzione di Antonio Balletto, riflette le scelte di direttori di collana e collaboratori, da Claudio Magris ad Adriano Prosperi, da Giovanni Miccoli a Mauro Pesce, da Pier Cesare Bori a Gianfranco Bonola, da Paolo De Benedetti a Massimo Cacciari, da Gianni Vattimo a Pier Aldo Rovatti.

La produzione filosofica privilegia autori centrali del pensiero europeo del Novecento come Gadamer, Ricoeur, Rosenzweig (in mostra La stella della redenzione), Lévinas, Gilson, Jankélévitch, Blumenberg, accanto agli italiani Mancini, De Monticelli e Rovatti. La collana di narrativa suggerisce voci spesso dimenticate, ma ricche di fascino, come quelle delle piccole patrie geografiche e culturali, dalla Bulgaria alla Svezia passando per gli scrittori della Mitteleuropa e, in particolare, del mondo ebraico orientale. Vengono inoltre scoperti e lanciati autori giovani e allora sconosciuti, tra i quali Roberto Pazzi («Cercando l’imperatore», premio Selezione Campiello 1985), Giorgio Pressburger («La legge degli spazi bianchi», premio Selezione Campiello 1989) e Carmine Abate («Il ballo tondo»).

All’inizio degli anni Novanta nasce l’idea della «Biblioteca araba e islamica» e nel contempo Marietti stringe rapporti di collaborazione con diversi centri e istituti di ricerca. Nascono così le collane «Testi e ricerche di scienze religiose» dell’Istituto per le Scienze religiose di Bologna, diretto da Giuseppe Alberigo (in mostra i volumi di Alberigo e Melloni sul Concilio Vaticano II e il libro di Angelina Alberigo su Giacomo Lercaro); «Origini», curata dal Centro Interdipartimentale di Studi sull’ebraismo e il cristianesimo e diretta da Mauro Pesce, e «Teatro di Genova» (in mostra con testi di Brecht e Molière).

Negli anni successivi Marietti 1820 si apre alla letteratura russa e nel 2009 vince il Premio Comisso con la prima biografia dedicata a Vasilij Grossman tradotta in italiano. La casa editrice valorizza anche grandi voci della letteratura europea come Péguy, James e il milanese Luigi Santucci, vincitore del Campiello nel 1967 con «Orfeo in Paradiso».

Marietti

Bologna, 2017

Acquisita nel dicembre 2017 dal Centro editoriale dehoniano, Marietti 1820 si trasferisce a Bologna e inaugura un nuovo corso. I primi titoli arrivano in libreria nell’ottobre 2018 e da allora la casa editrice, che ha un catalogo di oltre 800 titoli di cui oltre 130 digitali, ha proposto testi inediti di Giuseppe Pontiggia, Paolo Poli, Luigi Santucci, Alexandre Koyré, Roland Barthes, tre racconti mai pubblicati delle «Mille e una notte», ritrovati nella Biblioteca dell’Università di Strasburgo e la più antica versione delle storie del marinaio Sindbad, riaffiorata dalla Biblioteca di Stato di Monaco di Baviera.

Nel campo della filosofia sono stati riproposti testi di Hannah Arendt, Martin Buber, Emmanuel Lévinas, Hans-Georg Gadamer, Jacques Derrida e la prima edizione assoluta della Favola delle api di Émilie du Châtelet, la più nota filosofa dell’Illuminismo, amica e amante di Voltaire.

Le ultime teche della mostra documentano la nascita del nuovo logo, disegnato da Simona Tonna (rielaborazione di un graffito di 3200 anni fa che raffigura un cavallo e un cavaliere) ed esempi di nuove copertine. Tra i testi recenti di rilievo, i sei volumi di oltre 5 mila pagine complessive che raccolgono i principali scritti del sociologo Franco Ferrarotti, la nuova edizione della Bibbia di Doré, che ha influenzato l’immaginario occidentale moderno e il cinema di Hollywood, e il magico «Fiordiluna» di Einar Turkowski.

I lontani

di: Roberto Mela

Motivi di un apostolato avventuroso

«E vedo in te, o amico, l’ansia di voler comprendere la mentalità dei lontani, lo sforzo per superare certe forme cristallizzate, onde fornire, su un piano d’intesa, l’abbraccio fraterno nel nome di quella cattolicità che è in ogni anima buona. […] Il mondo dei lontani è refrattario, indifferente; non crede e, quel che è peggio, non si occupa di credere. Uno strato arido pietroso come quello del cappellaccio nell’agro romano s’è steso sulla terra. Occorre una bonifica integrale, a incominciare dal dissodamento» (p. 42).

Con queste parole don Floro Mandelli si rivolgeva a don Primo con vera amicizia, ma scafato realismo venato di pessimismo pastorale, in un articolo dal titolo “Lettera aperta a don primo Mazzolari” comparso sul settimanale diocesano di Cremona La Vita Cattolica il 28 gennaio 1938. E di certo esprimeva l’animo in parte ammirato e in gran parte sconcertato per l’opera e gli scritti del discusso confratello.

Don Mazzolari vi risponderà sullo stesso settimanale con un articolo dal titolo “A un caro prete di campagna”, in data 11 febbraio 1938. Dato alle stampe come articolo nel n. 3 di maggio-giugno 1938 sulla rivista Segni dei tempi: rassegna di scienze morali, pp. 58-81, fu pubblicato nello stesso anno come volumetto a sé stante e contenente anche un articolo del 1937 «Un “lontano” si confessa».

Del 13 febbraio 1938 è invece l’articolo di don Primo “Finestre sull’eterno”, uscito su Il Nuovo Cittadino di Genova e su L’Italia il 14 luglio 1938, per onorare la figura della scrittrice veneta Paola Bianchetti Drigo morta all’inizio dell’anno.

Il volume curato da Bruno Bignami raccoglie i quattro articoli.

In effetti, due visioni opposte animavano la cura pastorale dei due amici sacerdoti, Mandelli e Mazzolari. Nella sua risposta al confratello, Mazzolari parla del problema dei lontani, di come il parroco lo avverta, della domanda su quanti siano, chi siano e dove siano. La riflessione si spinge a interrogarsi sul come siano andati lontano, con un invito a non voler catalogare ad ogni costo le persone, cercando invece il loro animo, «l’animo di colui che va lontano».

Mazzolari si domanda come si possa parlare ai lontani, guardandoli con affetto fin da lontano come il padre del figliol prodigo, respiciens a longe. Non certo con animo duro e offeso, ma chiamando tutti “amico” come ha fatto Gesù perfino col traditore Giuda.

Bisogna conservare o conquistare? si domanda Mazzolari, che dedica il volumetto “Alle anime sofferenti e audaci”. Senza abbandonare il gregge “al sicuro” nella Chiesa e nelle pratiche tradizionali della fede e della pietà, occorre essere coraggiosi, aprirsi al dialogo con le persone che vivono per tanti motivi – educazione, convinzione, pigrizia mentale – in un modo lontano da quello della Chiesa, non raggiungibile dalle prediche o dalla “cannonate” dei documenti ecclesiastici.

Duplice il lavoro e duplice il metodo, osserva don Primo: la “perseveranza” con le persone che già credono, la “penetrazione o ricristianizzazione” con le persone lontane dalla Chiesa. Bisogna dialogare con i singoli e con i gruppi, amare e farsi amare, lasciar parlare le persone e ascoltarle, accettarle con il loro mondo di convinzioni e di valori. La grazia di Dio, la sofferenza e la preghiera opererà il resto.

In ogni caso, comunque, il campo vasto dei lontani non è il campo del nemico, ma quello del regno che viene…

Sono pagine di una nitidezza spirituale e pastorale – impreziosite da citazioni letterarie che mostrano l’intelligenza e l’apertura mentale di don Mazzolari – che fanno già presentire appieno le voci che si leveranno venticinque anni dopo nel concilio Vaticano II. Inaugureranno la stagione ecclesiale nuova dell’aggiornamento, della distinzione fra errore ed errante, dell’amore per l’uomo così com’è, dell’azione testimoniale di una Chiesa “in uscita” (così si esprimerà papa Francesco), esperta di umanità, una Chiesa nel mondo e non opposta ad esso muro contro muro. L’uomo è sempre, anche se spesso inconsapevolmente, in ricerca del senso ultimo del suo camminare e del suo vivere sotto il sole.

Primo MazzolariI lontani. Motivi di un apostolato avventurosoEdizione critica a cura di Bruno Bignami (Collana Don Primo Mazzolari diretta da Giorgio Vecchio a cura della Fondazione don Primo Mazzolari s.n.), EDB, Bologna 2020, pp.120, € 11,00, ISBN 978-88-10-10959-5

settimananews

«Quello che è in crisi, sembra, è quel misterioso nesso che unisce il nostro essere alla realtà, qualcosa di tanto profondo e fondamentale da essere il nostro intimo sostentamento».

«Caro Dio – scrive una giovanissima Flannery O’ Connor nel suo Diario di preghiera citato da Vincenzo Rosito nel libro Poeti sociali (Bologna, Edb 2019, pagine 100, euro 9) — dammi un posto, non importa quanto piccolo, ma fammelo conoscere e mantenere. Se io sono quella che deve lavare tutti i giorni il secondo gradino, fammelo sapere, fammelo lavare e lascia che il mio cuore straripi d’amore lavandolo». Tienimi ancorata al presente, al qui e ora, chiede Flannery. Non farmi scappare dalla realtà, rendimi disponibile ad ascoltare quello che mi dice, mantienimi umile in senso letterale, vicina alla terra, legata a quell’humus che nutre ogni creatura vivente.

Tornano in mente le parole profetiche di María Zambrano, che già a partire dagli anni Sessanta del Novecento denunciava con chiarezza in uno dei suoi testi più noti, Verso un sapere dell’anima, le cause dell’anoressia affettiva, sociale e culturale che affligge il mondo occidentale. «Quello che è in crisi, sembra, è quel misterioso nesso che unisce il nostro essere alla realtà, qualcosa di tanto profondo e fondamentale da essere il nostro intimo sostentamento».

Da tempo — nota la filosofa spagnola — siamo ostaggio di una superbia che non riesce più nemmeno a percepire se stessa, effetto collaterale di un razionalismo cristallizzato in dogma. Zambrano attribuisce questo errore di prospettiva, che pretende di definire tutto il reale entro i suoi limiti («Si crede di possedere la totalità, si crede di avere in mano tutto») a quella mancanza di coscienza della dipendenza e del proprio limite che è l’umiltà. Quell’umiltà intellettuale, che, sola, è «compagna di ogni scoperta». Una diagnosi impietosa che, con il passare degli anni ha confermato la sua verità, smascherando un esilio di fatto («il genere umano non può sopportare troppa realtà», scrive Eliot già nel 1935, in Burnt Norton) ignorato, negato, o anche solo camuffato da indifferenza.

Dammi un posto nel mondo, dammi un compito, anche piccolo, ma reale, chiede Flannery a Dio. Massima concretezza, massima apertura al Mistero; altre variazioni sul tema “umiltà”. Compagna di ogni scoperta, la definisce Zambrano; nel caso della scrittrice americana, l’umiltà è stata madre di racconti e romanzi di miracolosa, geniale esattezza, sinceri fino alla crudeltà.

Anche un lavoro umile e ripetitivo come pulire il pavimento di un ospedale può aprire inattesi orizzonti di senso; è successo a Daniele Mencarelli, poeta e romanziere che scrive spesso sul nostro giornale (e che il nostro giornale segue dal 2010, con recensioni, interviste e pubblicazioni di stralci delle sue opere). Un ospedale è una palestra di realtà, un luogo dove, se la mente e il cuore non hanno smesso di parlarsi, si diventa bravi a intercettare gli sguardi, a cogliere al volo piccole e grandi storie nel tempo di un caffè o di una sigaretta fumata in fretta sul balcone aspettando il giro del mattino dei medici, in reparto. La casa degli sguardi (Mondadori 2018) è il titolo dell’ultimo libro di Mencarelli; la cronaca di una rinascita che ha per data di inizio la firma di un contratto di lavoro al Bambino Gesù di Roma, il 3 marzo del 1999.

Se l’immersione nella dura realtà della sofferenza dei bambini è la cura, più difficile è spiegare la malattia degli anni precedenti: «Io non sono malato — scrive Mencarelli — sono vivo oltre misura, come una bestia più consapevole delle altre bestie. Ormai agli uomini non è più permesso interrogarsi, abbracciare fino in fondo l’insensatezza su cui abbiamo costruito certezze assurde. Perché alla vita, al lavoro, al farsi una famiglia, a queste cose bisogna credere, come un soldato alla guerra. Come se non bastasse un niente a far scattare il destino, a far finire tutto. Perché finisce tutto, non rimane niente. È il niente che mi uccide, che mi ha condotto a questo presente vuoto. Dovrei solo smettere di chiedere, cercare, dovrei solo far finta di non cogliere ovunque l’assenza di qualcosa, qualcuno». L’alcol serve solo a far tacere tutte queste domande insopportabili. «Non ricordo nulla. È la frase che mi ripeto tutte le mattine. Non ricordare nulla. È il mio obiettivo della sera (…) Quattro anni sono riuscito a spazzarli via, un passo alla volta spazzerò via tutto».

Domande ostinate, incalzanti, che diventano canto, se lasciate fluire liberamente. «Undici Ottobre Novantadue — è l’incipit del bellissimo poemetto Storia d’amore (Lietocolle 2015) — sedici gli anni appena scoppiati / mille i cazzotti mille i baci /strappati dalle labbra di un paese /sgranato passo dopo passo, / senza mai soddisfarla veramente / questa fame infelice / questo desiderio cane di carne e vita / di voglie ubriache sempre in festa. / Non arriverà il sonno ma una perdita di sensi / un corpo sfinito che s’arrende / a qualcosa dentro di feroce».

Nella fedeltà al proprio compito («La scrittura è una richiesta d’ascolto. Per me è una specie di comandamento» dice Mencarelli) la realtà torna a parlare; non solo le occasioni speciali o i fatti memorabili, anche le cose che incrociamo ogni giorno lungo la strada verso casa. «La luce sul capannone — scrive Umberto Fiori, un altro poeta che ha trovato nella capacità di farsi interpellare da tutto ciò che incontra la sua cifra comunicativa più autentica — / le due finestre murate / e il fosso, lì sotto, e i platani, / hanno ragione. / Guardi, e ti chiedi / come sia possibile / imparare da loro».

L’umiltà è capace di generare meraviglie. «Non conosciamo mai la nostra altezza / (ora a parlare è la folgorante semplicità di Emily Dickinson) finché non siamo chiamati ad alzarci. / E se siamo fedeli al nostro compito / arriva al cielo la nostra statura. / L’eroismo che allora recitiamo / sarebbe quotidiano / se noi stessi non c’incurvassimo di cubiti / per paura di essere dei re».

di Silvia Guidi in Osservatore Romano

MI FIDO DI TE – Ripensare l’educazione

Mentre noi ci stupiamo dei cambiamenti in atto all’interno del mondo giovanile, i ragazzi ci chiedono di risintonizzarci su un nuovo modo di vivere, sì perché del resto non è obbligatorio fare come si è sempre fatto.

Occorre quindi prendere contatto delle novità di cui sono portatori, di come oggi rimangono in contatto con gli altri, di cosa li affatica nel sognare il futuro, come aiutarli a sentirsi adatti e capaci a questo compito così importante, comunicando loro che ce la possono fare.

Per favorire tutto questo, è necessario stabilire relazioni corrette con loro, basate sulla fiducia. Come adulti dobbiamo credere e dimostrare che è possibile il nascere di uno spazio di vita dove giovani e persone adulte o anziane, riescono ad allearsi fra di loro in un cammino comune.

Non è possibile compiere il cammino appena proposto senza sperimentare la necessità di rimettersi in gioco innanzitutto noi adulti, di affrontare anche le fatiche e i limiti che accompagnano l’opera educativa.

L’approccio che troverete è di tipo spirituale, dove questo termine fa riferimento allo Spirito del Risorto che soffia in ogni vita e che per questo coinvolge tutto quanto in essa passa, tutta quanta la persona con le sue diverse dimensioni è chiamata a mettersi in gioco e trovare un punto di sintesi. Per questo l’esigenza di un approccio spirituale chiede di passare attraverso tutto il dato umano, corporeo e psicologico che appartiene allo specifico di ogni essere umano, con il coraggio di non fermarsi lì.

Sommario

Introduzione.  

  1. PASSI PER UNA CONVERSIONE EDUCATIVA. Alcuni luoghi di conversione.  Un cambiamento di atteggiamento.  La vita al centro.  Dai giovani di oggi suggerimenti per un nuovo modello di Chiesa.  Una generazione di orfani.  Un amore gratuito: la mistica dell’educatore.  Questione di prospettiva.  I giovani ci sono, ma noi non abbiamo tempo.  Adulti e giovani: è possibile incontrarsi?  Tre passi, tre compiti, tre limiti.  Riconoscere, interpretare, scegliere.  Sono guariti, e noi?  Chiamare per nome: un’attenzione a tutti.  Il masso è già rotolato via.  Dal castigo alla relazione.  Pensare prima di agire.  Dalla pianta di fico imparate la parabola.  Mi stai diludendo.  Solidali nel faticare insieme.  Peripatetico.  A un’educatrice.  A una mamma.  
  2. PROSPETTIVE. Un’organizzazione diversa per l’annuncio della fede alle nuove generazioni.  Ripensare l’agire della comunità cristiana.  Se i giovani cambiano, la scuola non può rimanere la stessa.  Desiderio, sessualità, amore.  Internet, smartphonesocial network.  Lasciateli sbagliare.  Emmaus: il cammino di due giovani di oggi.  Sogno e realtà sull’educatore.  Conclusione.  Bibliografia.

Note sull’autore

Paolo Tondelli, prete nella diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, si occupa dei giovani e della formazione degli educatori. Assistente ecclesiastico dell’Agesci, è redattore di un blog che tratta tematiche legate all’educazione (http://donpaolotondelli.blogspot.it) ed è autore di Adolescenti e Vangelo. Una ricerca di alleanza (Paoline 2015) ed EducArte. In cammino con gli adolescenti (Messaggero 2017).

In Italia mercato del libro in timida ripresa nel 2017

Né roseo né completamente nero, l’anno da poco conclusosi per il mercato del libro italiano, che secondo i dati forniti dall’Aie (l’Associazione italiana editori) ha visto una leggera ripresa rispetto alla situazione drammatica degli anni precedenti, registrando un complessivo +5.8% nel 2017 sul 2016, frutto della somma tra l’aumento delle vendite dei libri fisici e quelli “virtuali” come e-book o audiolibri.

Gli italiani apprezzano il libro come oggetto fisico

Regge, nel nostro Paese, soprattutto il libro tradizionale, segno che le nuove tecnologie non riescono a cambiare l’approccio alla lettura degli italiani. “I nuovo media si sono molto ridimensionati rispetto a quando comparvero sul mercato – afferma il prof. Romano Montroni, presidente del Centro per il Libro e la Lettura del Ministero dei Beni e delle Attività culturali – il motivo è che non hanno mai creato lettori, ma vengono usati solo per comodità da certe categorie ed è così non solo in Italia, ma in tutto il mondo”. Quello italiano, tuttavia, è “un piccolo mercato composto, però essenzialmente dallo stesso numero di lettori forti che hanno Paesi con grandi tradizioni di lettura – circa 5 milioni – quello che ci manca sono i lettori deboli o occasionali”.

Il segreto del successo di una libreria? Un buon libraio e un buon catalogo

Stando ai dati, inoltre, peggiora la situazione delle piccole librerie indipendenti, addirittura male vanno i supermercati, dove l’oggetto libro non riesce a mettere radici. Secondo il prof. Montroni, che di librai ne ha formati centinaia, il loro lavoro non consiste tanto e solo nell’analisi del mercato di oggi, ma nella creazione del mercato del futuro. La ricetta per la sopravvivenza di una libreria fisica, dunque, è fatta di due ingredienti: “Il libraio e il catalogo. Vale a dire un libraio formato che sappia valorizzare un catalogo ricco di perle preziose e che non proponga al lettore soltanto le novità. Essere libraio non è qualcosa che s’improvvisa, pensi che in Germania ad esempio per diventarlo bisogna seguire un master della durata di due anni!”. “In difficoltà – prosegue – stanno solo le librerie che non sanno stare in questo mercato”.

Il futuro è avvicinare il popolo alla lettura

Il futuro della lettura, dunque, è nelle mani dei librai meglio formati e informati, ma non solo: “Bisogna che i governi investano nella lettura come attività culturale per eccellenza – aggiunge il presidente – nel Regno Unito, ad esempio, l’Esecutivo tra il 2011 e il 2015 ha stanziato una cifra pari a tre miliardi di euro per invitare il popolo a leggere”. Molti, in questo senso, i progetti del Centro per il Libro e la Lettura: prima fra tutte “Libriamoci”, un’iniziativa di lettura ad alta voce rivolta ai bambini, da sempre i lettori più assidui. “Per la prima volta, inoltre, è stato siglato un patto interministeriale tra i Beni culturali, l’Istruzione e la Sanità – conclude il prof. Montroni – per lavorare sull’invito alla lettura della fascia 0-6 anni che comprende diverse proposte, come regalare libri per bambini ai neogenitori, in modo da fornire loro strumenti indispensabili per l’educazione dei figli. Speriamo di partire nei prossimi mesi”.

Radio Vaticana

L’ebraismo dalla A alla Z

Teologo e docente nei licei Paul Petzel, giornalista e traduttore, nonché membro del comitato di redazione della rivistaStimmen der Zeit Norbert Reck, i due studiosi hanno commissionato a persone molto esperte del mondo giudaico – rabbini e studiosi della materia – lo studio di cinquanta parole chiave dell’ebraismo (a ognuna sono riservate due o tre pagine del testo). Il risultato del loro lavoro è stato discusso, rivisto, modificato, rifatto dagli stessi autori, dai redattori o da altri esperti. Il frutto finale raccolto nel volume va quindi attribuito a una molteplicità di “mani” che ne hanno arricchito enormemente il contenuto.

Lo studio di ogni voce (ad es. alleanza, circoncisione, croce, ebreo-giudeo, Gesù di Nazaret, grazia, ira di Dio, “Ma io vi dico” – Le antitesi, perdono, regole alimentari, Torah, vendetta, YHWH ecc.) viene articolato in una breve esposizione preliminare, a cui segue la discussione e l’indicazione di prospettive. Conclude l’articolo una stringata bibliografia, quasi tutta in lingua tedesca (vengono però indicate le opere tradotte in italiano). Alle pp. 137-138 sono elencati i nomi dei trentatré collaboratori, unitamente alla sede istituzionale di attività.

Il sottotitolo indica chiaramente lo scopo di questo volume. Delicato in tedesco (Da Abba a Ira di Dio. Illuminare gli errori – Comprendere il Giudaismo), è stato volutamente indurito in italiano, data l’importanza di una retta comprensione della religione ebraica e della pericolosità delle “pre-comprensioni” errate o incomplete esistenti nel mondo mediatico e culturale in genere, per non parlare degli stereotipi presenti a tutti i livelli della società, spesso digiuna della materia importante di cui si parla. Un libro utile, di veloce consultazione, sodo nei contenuti.

Paul Petzel – Norbert Reck (a cura), L’ebraismo dalla A alla Z. Parole chiave per rimuovere errori e luoghi comuni. Edizione italiana a cura di Gianluca Montaldi (Religione e religioni s.n.), EDB, Bologna 2018, pp. 144, € 15,00. 9788810604731

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