Ucraina L’obiettivo non può che essere il cessate il fuoco e una pace giusta

Per la Russia non è possibile perdere la guerra. Dopo l’affondamento della nave ammiraglia, bisogna attendersi una reazione. Ma non è chiaro in quale forma. Peseranno le scelte del fronte occidentale
Guerra, giorno 51: Putin può usare l'arma atomica? Che cosa aspettarci adesso

L’affondamento dell’incrociatore “Moskva” al largo di Odessa ha segnato un possibile punto di svolta del conflitto. Non tanto per gli equilibri militari, ma per i riflessi strategico-politici. Non poteva restare “impunito” dal punto di vista del Cremlino il blitz delle forze ucraine, che hanno umiliato l’Armata russa mandando a picco l’ammiraglia della flotta schierata nel Mar Nero. E poche ore dopo sono stati colpiti gli impianti nella zona di Kiev dove i missili Nettuno usati nell’attacco verrebbero assemblati. Ma la rappresaglia, nel contesto bellico, è stata tutto sommato limitata. Sono da attendersi ben altre azioni che possano essere simbolicamente paragonabili allo smacco subito nelle acque contese. Il presidente Zelensky ha evocato il rischio del ricorso russo all’arma nucleare, verosimilmente ordigni tattici, da impiegare sul campo di battaglia per vincere la resistenza e ottenere un effetto psicologico di terrore e demoralizzazione.

L’atomica, qualunque sia il suo raggio d’azione, è però un possibile boomerang sul fronte internazionale. Un tale tabù è diventato l’utilizzo delle armi che sconvolsero Hiroshima e Nagasaki da sconsigliare di lanciarle, se non in un’escalation da fine del mondo. Non è infatti difficile prevedere che se Putin ordinasse di sganciare una testata nucleare sulle truppe ucraine anche l’appoggio o la non ostilità di tanti Paesi e di parte delle opinioni pubbliche in altre nazioni verrebbero immediatamente meno. Il crimine di guerra peggiore gli sarebbe imputato perennemente, senza prescrizione, al di là delle generiche accuse di genocidio che sono state finora mosse dal capo della Casa Bianca. Va, tra l’altro, considerato che la procedura russa per gli attacchi atomici prevede tre via libera distinti attraverso la digitazione di codici che sono, per quanto noto, in possesso del presidente, del ministro della Difesa Shoigu e del generale Gerasimov. Sembra quindi improbabile che una mossa così devastante, e politicamente azzardata, possa trovare l’assenso di tutto il vertice di Mosca, quand’anche lo Zar volesse portare il mondo sull’orlo della catastrofe.

Che cosa può dunque prevedibilmente fare il Cremlino? Ecco il quesito più difficile. Nelle ultime ore, i super bombardieri sono entrati in azione su Mariupol, per la prima volta nella guerra, al 51° giorno. Non si è trattato tuttavia di un bombardamento a tappeto. Mentre l’Ucraina aspetta a giorni rifornimenti di armi pesanti americane per prepararsi a reggere l’urto dell’offensiva attesa sul Donbass, si ipotizza che ora la necessità di difendere Odessa in forze sia diminuita e quindi altre truppe possano muovere verso i fronti più caldi. Il segretario di Stato Usa, Blinken, ha ipotizzato che il conflitto possa, anche per questo, prolungarsi per l’intero anno. Una prospettiva spaventosa, viste le stragi e le distruzioni compiute finora durante poco più di un mese e mezzo d’invasione.

Ma è legittimo a questo punto porsi la domanda se Putin possa davvero perdere la guerra che ha avviato il 24 febbraio. Perdere non vuole che i soldati di Kiev varcano la frontiera e avanzano verso Mosca, ma semplicemente che resistono per mesi sulle posizioni attuali e provocano una decimazione delle truppe e dei mezzi russi. Qualcosa di inaccettabile per il Cremlino, stretto dalle sanzioni e forse presto alle prese con un possibile stop dell’acquisto di energia da parte dei Paesi europei.

Più la crisi si prolunga, più la Russia si indebolisce. E questo fa probabilmente gola all’Amministrazione Biden, che si è trovata un’occasione insperata per logorare Putin. L’incognita diventano pertanto le nuove mosse che lo Zar tenterà di mettere in campo per uscire dall’angolo. Sarà tentato da un attacco più massiccio sulle città per piegare definitivamente la difesa ucraina? O continuerà la guerra senza mutare tattica, per conquistare l’Est e poi cercare una soluzione diplomatica che lo rimetta nel consesso internazionale? Le sue scelte non saranno indipendenti dalla condotta del fronte occidentale, che per questo dovranno essere ben calibrate e coordinate con Kiev. L’obiettivo non può che essere il cessate il fuoco e una pace giusta.

Avvenire

Malgrado le sollecitazioni “ecumeniche” a prendere le distanze da Putin, a dispetto di una critica interna che pur timidamente cresce, Kirill non cambia strategia

Forse in Medio Oriente a giugno incontro con Papa. Ma cresce il fronte del no, anche interno, al patriarca di Mosca. 191 sacerdoti ortodossi firmano per fargli causa
Il patriarca di Mosca Kirill

Il patriarca di Mosca Kirill – Patriarchal Press Service / Oleg Varaov / Reuters

Malgrado le sollecitazioni “ecumeniche” a prendere le distanze da Putin, a dispetto di una critica interna che pur timidamente cresce, Kirill non cambia strategia. Anzi ribadisce la legittimità dell’azione armata contro l’Ucraina, nel segno di un legittimo meccanismo di difesa della Russia a suo dire minacciata nella propria sicurezza. Molto chiaro in proposito il sermone di domenica scorsa. Nella Chiesa dell’Intercessione in Fili, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha richiamato i fedeli all’unità. «In questo periodo difficile per la nostra patria – ha detto Kirill – possa il Signore aiutare ognuno di noi a unirci, anche attorno al potere. Così – ha continuato – emergerà la vera solidarietà nel nostro popolo, così come la capacità di respingere i nemici esterni e interni e di costruire una vita con più bene, verità e amore».

Una posizione in linea con i precedenti interventi, a partire dall’omelia del 6 marzo quando Kirill aveva evocato una natura metafisica della lotta contro l’occidente delle false libertà e del peccato ridotto a semplice variazione del comportamento umano, come dimostrano «le parate gay». Dichiarazioni che hanno creato sconcerto anche all’interno del mondo ortodosso legato a Mosca. In particolare un gruppo di sacerdoti della Chiesa ucraina rimasta fedele al patriarcato russo dopo l’autocefalia dell’altra comunità ucraina nel 2018, vorrebbe intentare causa contro il patriarca presso il Consiglio dei primati delle antiche Chiese orientali. Al momento, secondo l’agenzia l’Ukrainska Pravda, l’appello sarebbe stato sottoscritto da 191 presbiteri ma il numero è destinato a crescere. Caldo anche il fronte del “no interconfessionale” in cui avanza l’ipotesi di un’espulsione del Patriarcato di Mosca dal Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), organismo di cui fanno parte 349 membri, in particolare di tradizione protestante, anglicana e ortodossa.
«Ci sentiamo tutti arrabbiati, frustrati, delusi e, umanamente ed emotivamente, tendiamo a prendere decisioni immediate e radicali – ha detto all’agenzia Sir il reverendo Ioan Sauca segretario generale ad interim del Cec –. Tuttavia, come seguaci di Cristo, ci è stato affidato il ministero della riconciliazione e dell’unità. Come Cec siamo chiamati a essere una piattaforma di incontro, dialogo e ascolto anche se e quando non siamo d’accordo». Una decisione è comunque demandata al Comitato centrale che si riunirà dal 15 al 18 giugno per preparare la XI Assemblea generale, in programma a Karlsruhe dal 31 agosto all’8 settembre. Sullo sfondo, a conferma dell’intenzione di non tagliare il filo del dialogo, il possibile incontro tra il Papa e Kirill. Di ritorno da Malta il Pontefice aveva evocato come sede il Medio Oriente, ipotesi rilanciata domenica dal metropolita Hilarion.
Durante il programma tv “Chiesa e Mondo”, sul canale Russia 24 il capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca ha infatti sottolineato che per il colloquio si pensa a un territorio in cui «la popolazione cristiana abbia bisogno di sostegno. Quindi, ovviamente, il Medio Oriente è una delle aree prioritarie», ma non si può ancora parlare di date e località «perché il tutto è in fase di elaborazione». Sul versante cattolico, fonti non ufficiali indicano come luogo Gerusalemme, che il Papa raggiungerebbe dal Libano a conclusione della sua visita, ancora non ufficializzata, nel Paese dei cedri e come giorno il 14 giugno.
Avvenire

Ucraina. Guerra giorno 48: i proclami di Putin e i dilemmi dell’Unione Europea sul gas

Cremlino non rinuncia alla sua verità rovesciata su conflitto e stragi. Gli appelli di Kiev perché la Ue non compri più energia di Mosca devono superare il test dell’effettiva utilità di tale mossa
Guerra giorno 48: i proclami di Putin e i dilemmi dell'Unione Europea sul gas

“Quello che sta succedendo in Ucraina è una tragedia, ma la Russia non aveva scelta”. Le parole del presidente russo Vladimir Putin, in una conferenza stampa con il leader bielorusso Alexander Lukashenko, sembravano, per quella parte, aprire a una consapevolezza di ciò che l’invasione russa ha comportato. Ma tutte le altre affermazioni del capo del Cremlino sono andate nella consueta direzione. “Semplicemente non c’era scelta, l’unica domanda era quando sarebbe iniziato. Questo è tutto”. Gli orrori di Bucha, non è difficile immaginarlo, sono soltanto “un falso”. Non bastano le foto satellitari, i racconti, le testimonianze, i resoconti e le immagini di molti giornalisti dei più autorevoli media internazionali che hanno potuto andare sul posto per constatare di persona. Tutti sono complici di una gigantesca montatura che ha come obiettivo screditare la Russia. Verosimile che queste uscite dello Zar siano finalizzate a rafforzare le convinzioni dell’opinione pubblica interna, qualora fosse sfiorata da qualche notizia filtrata attraverso la cortina della censura alzata a Mosca.

Lo stesso tenore nel bilancio della guerra: “L’operazione militare speciale sta andando secondo i piani”, ha ribadito Putin, affermando che la Federazione russa vuole raggiungere tutti i suoi obiettivi in Ucraina, riducendo al minimo le perdite. Non a caso il Il presidente ha poi ringraziato i militari impegnati sul campo: “Vorrei esprimere la mia gratitudine ai soldati e agli ufficiali russi per l’eroismo e il coraggio che mostrano nel servire la nostra patria. Svolgendo compiti complessi e pericolosi nel Donbass, in Ucraina, i nostri militari proteggono gli interessi della Russia, proteggono la Russia”. Non ci sono spiragli nelle esternazioni del presidente, né incrinature nel suo soliloquio bellico. La determinazione nel ribadire una realtà rovesciata e nel proseguire il conflitto sembrano purtroppo lampanti. Resta da capire se questa strategia ideologico-mediatica corrisponda anche alla convinzione che l’offensiva possa essere condotta con successo. Ovvero, se Putin perseveri nel descrivere anche a se stesso una situazione diversa da quella effettiva, la convinzione che l’ha portato a scatenare contro all’Ucraina una guerra totale che il suo esercito non poteva sostenere.

Di fronte a questa difficoltà nell’interpretare le mosse del Cremlino, l’Europa si trova spiazzata quando ascolta i continui appelli del presidente ucraino Zelensky affinché rinunci al gas russo per mettere in ginocchio Putin e convincerlo a cercare una tregua. Le continue scoperte di nuovi atroci massacri nelle zone che sono state controllate per poche settimane della forze di Mosca scuote le coscienze e interroga la politica. D’altra parte, la rinuncia all’energia russa sembra impossibile se non al prezzo di gravissimi contraccolpi sulle economie e gli stili di vita europei. Ma il punto principale, prima che etico e di fattibilità pratica, è fattuale. Un drastico stop agli acquisti di gas servirebbe davvero a mettere fine alle ostilità e a indurre gli invasori a una trattativa? Secondo alcuni analisti, anche di parte russa, sì. Molti altri nutrono invece una serie di perplessità sugli effetti a breve termine.

La carta dell’energia è l’arma finale nell’ambito delle sanzioni e delle forme di pressioni non armate. Va giocata bene e non sprecata. E’ già stato proposto che il suo uso sia prefigurato in abbinamento alla richiesta ultimativa di un negoziato serio e concreto. Ovviamente, la risposta di Putin potrebbe essere una sfida: non ne avete davvero il coraggio, proseguiamo la guerra fino al raggiungimento degli obiettivi che ci siamo prefissati. A quel punto, l’Europa dovrebbe comunque agire, pena la perdita totale della sua credibilità come attore influente sulla scena internazionale. E se la scelta di privare Mosca di molte centinaia di milioni al giorno – il valore degli acquisti sospesi – non sortisse risultati? Ci saremmo penalizzati inutilmente. Questo dubbio mina alla base il dibattito sul potenziale stop all’energia proveniente da Mosca. E forse ci crea anche una giustificazione per conservare intatte le forniture mentre il bilancio delle vittime in Ucraina cresce a ritmi angoscianti.

Avvenire

Ucraina. La «paralisi» dell’Onu dura da 28.180 giorni

Il mondo si è fermato 28.180 giorni fa. Da quell’11 febbraio 1945, quando Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin a Jalta hanno ridisegnato il mondo…
La «paralisi» dell'Onu dura da 28.180 giorni

Il mondo si è fermato 28.180 giorni fa. Da quell’11 febbraio 1945, quando Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin a Jalta hanno ridisegnato il mondo, gli equilibri di forza mondiali e la geopolitica. Tutto è cambiato e continua a farlo. È un paradosso, chiamente. Ma non gli strumenti per governare (o tentare di farlo).

osì, dalla fine dell’ottobre dello stesso anno, con la nascita del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, i cinque membri permanenti (Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti) decidono le sorti dell’umanità. O, per essere più realisti, esercitano un «potere inverso» con il diritto di veto. Sono tutte potenze atomiche, possono tutti distruggere mille volte il pianeta con un clic, ma sono tutti anche paralizzati. Come gli interventi di mantenimento della pace o di risoluzione dei conflitti che dovrebbero applicare. Zelensky, con il suo fare da «scopritore dell’acqua calda» di cui lo accusano i suoi detrattori, lo ha ripetuto. L’impasse è congenita alla struttura di comando, cristallizzata sulle situazioni post belliche e mai modificata nonostante tutti i tentativi di estendere la platea dei membri permanenti, cambiare le regole del diritto di veto.

Un tentativo, compiuto anni addietro, anche dall’Italia con l’ambasciatore Fulci e i suoi “incontri del caffé” per creare un fronte forte che potesse sconvolgere la paralisi. Nulla però si è mosso. Durante la Guerra fredda l’«ambasciatore all’Onu» aveva il compito, per Unione Sovietica o Stati Uniti, di smontare quando abbozzato dalla parte avversa. Ora che la tipologia della Guerra cambia temperatura in continuazione, alla Russia attuale si è associata da tempo la Cina rafforzando quella forza di asse che penalizza ogni tentativo occidentale. Le risoluzioni non decollano, men che meno gli interventi pratici.

Questo crea il mantenimento, se non la crescita, di conflitti latenti. Fa sì che le crisi a «bassa intensità» sfocino in scambi di artiglieria, che i contingenti di pace non possano operare per non diventare a loro volta parti del conflitto. Il peacekeeping è minato da tempo da scandali, mancanza di fondi e scarsità di uomini. L’ingerenza umanitaria è ormai considerata alla stregua di un’invasione armata. E, soprattutto, le agenzie delle Nazioni Unite spesso si trasformano in centri di potere e di clientele. Non sono luoghi comuni, ma consapevolezze di scandali, anche recenti, che hanno minato la credibilità di queste istituzioni. Il mondo non considera una priorità quel Palazzo di Vetro e la riforma delle strutture che non lo fanno risplendere.

Perché in fondo il «potere logora chi non ce l’ha», soprattutto all’interno di un Consiglio di sicurezza dell’Onu blindato. Mentre «assistiamo all’impotenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite», come ha ricordato papa Francesco. Che ha ammesso amaramente che «dopo la Seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace, purtroppo non impariamo, ma purtroppo è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti».

Avvenire

Mosca a Di Maio: “E’ l’Ue che ci ricatta con le sanzioni”

rai news

Il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio “ha fatto confusione, come sempre. Non è la Russia che ricatta l’Unione Europea con le forniture di gas” ma “è l’Unione Europea che ricatta la Russia con sanzioni e minacce di nuove restrizioni, rafforzando le forze armate dei suoi Paesi lungo il perimetro dei confini russi e fornendo armi di ogni tipo all’Ucraina”. Lo ha scritto su Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, citando la frase di Di Maio sulla sua missione in Algeria per “fronteggiare gli eventuali ricatti russi sul gas”.

L’Arcivescovo di Kiev: “Torturate persone nella chiesa ortodossa di Lukashivka

Rai news

”In questi giorni in Ucraina sono stati  scoperti terribili crimini commessi dagli occupanti. E proprio  domenica vorrei ricordare una circostanza che ha sconvolto tutti i  credenti. Nella regione di Chernihiv, e precisamente nel villaggio  Lukashivka, nella chiesa ortodossa dell’Ascensione del Signore –  monumento di architettura – gli occupanti hanno dislocato la loro  sede, profanando la chiesa ortodossa. Vi hanno interrogato e torturato le persone”. Lo denuncia l’arcivescovo di Kiev nel videomessaggio nel 46 esimo giorno di guerra in Ucraina.

Ucraina-Russia, ambasciatore presso S.Sede: “Kirill sostiene guerra, è dalla parte dei terroristi”

(Adnkronos) – “Dubito che i russi lo ascolteranno, non si fermeranno fino a quando non avranno raggiunto i loro obiettivi”. L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, commenta così l’appello per una tregua a Pasqua rivolto da Papa Francesco durante l’Angelus “un appello per fermare i bombardamenti e le devastazioni che il Pontefice ha già fatto altre volte”. E anche questa volta, prevede il diplomatico parlando con l’Adnkronos, “faranno il contrario, non ci sono prove che i russi siano pronti a sentire gli appelli che arrivano dal Papa come dagli altri leader occidentali”.

“Dubito veramente che Mosca voglia dare seguito a questa richiesta – insiste l’ambasciatore ucraino in Vaticano – La Russia vuole solo raggiungere i suoi obiettivi, Putin deve ottenere almeno una piccola vittoria, è pronto a tutto per poterla esibire alla società russa il 9 maggio”, giorno nel quale Mosca celebra la tradizionale Parata della vittoria per ricordare la sconfitta del nazifascismo nella Seconda guerra mondiale.

Yurash assicura che “i russi non riusciranno a raggiungere alcuno degli obiettivi iniziali che si erano posti, l’unica possibilità che hanno di controllare interamente il nostro Paese è di cacciare o uccidere il 93% degli ucraini, questa è la percentuale di ucraini che sono contro di loro”.

Quanto al patriarca della Chiesa russo ortodossa Kirill non può avere alcun ruolo per la tregua tra Mosca e Kiev, perché lui “è il leader spirituale che sostiene questa guerra, lui sta dalla parte dei terroristi” è l’accusa rivolta dall’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, commentando con l’Adnkronos l’appello del Papa a “deporre le armi e a iniziare una tregua pasquale” e le dichiarazioni di Kirill, che ha invitato il popolo a unirsi contro “i nemici della Russia”.

“Come il Pontefice desidera la pace e un accordo attraverso il negoziato – sottolinea l’ambasciatore, che individua nei due leader spirituali “il paradigma di due modi diversi di pensare” – così il patriarca è completamente dalla parte dei terroristi, lui è assolutamente e concretamente a favore della guerra, non dice niente per la pace e incoraggia a fare tutto il possibile per una vittoria politica e militare della Russia”. Ma nessun argomento “può giustificare dal punto di vista religioso” la guerra di Mosca contro l’Ucraina.

Yurash conferma all’Adnkronos che i preparativi per una visita del Papa a Kiev, come da lui stesso annunciato nei giorni scorsi, vanno avanti, ma avverte che Mosca cercherà di ostacolarla perché consapevole dell’impatto che avrebbe. “In termini militari non faranno niente, ma hanno paura e faranno di tutto per renderla impossibile” afferma ambasciatore ucraino.

La visita di Francesco nella capitale ucraina, che “è sicura, come ha dimostrato ieri il viaggio del premier britannico Boris Johnson”, sarebbe “il più serio gesto di sostegno al nostro Paese e una grande espressione di solidarietà: sono sicuro che avrebbe un fortissimo impatto sulla pace”.

Agli orrori della guerra non si risponde con la guerra

Oggi, sul sito del magistrato Domenico Gallo

«La guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra cultura; […] garantire la pace mondiale dev’essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo molto più importante della scelta tra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo».

Così si esprimeva Hans Kelsen nella prefazione al suo libro Peace Through Law, scritto nel 1944.

Le immagini e le notizie che ci giungono da Bucha, da Borodyanka, da Irpin, al di là dell’orrore, ci confermano ancora una volta la verità di questo assioma. In questo contesto di assassinio di massa, esistono degli episodi ancora più oltraggiosi che offendono la coscienza dell’umanità intera, oggi Bucha e altri luoghi in Ucraina, ieri My Lay in Vietnam (16 marzo 1968). Ora come allora centinaia di persone innocenti, compresi i bambini e le donne sono state, torturate, stuprate ed uccise. Ha scritto il direttore dell’Avvenire (5 aprile) «Impariamolo una volta per tutte: i corpi straziati di Bucha non sono un’eccezione atroce, sono il volto e il corpo della guerra, Questa è il mostro, e quella è la ferocia. Sempre».

La guerra, ogni guerra scatena sempre una vertigine di atrocità che l’esile barriera del diritto bellico umanitario non riesce a contenere e le atrocità – sia pure con gradi differenti – riguardano tutte le parti coinvolte in questa procedura di assassinio di massa. Ci è stato insegnato che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale (Antonio Cassese). E tuttavia in un’epoca in cui era ancora viva la speranza di costruire un ordine internazionale pacifico, è stato concepito il disegno di una Corte penale internazionale, con lo scopo di rafforzare quelle norme del diritto internazionale che, da Norimberga in poi, interdicono quelle atrocità che turbano profondamente la coscienza dell’umanità (il genocidio, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità). Lo Statuto della Corte penale internazionale (CPI) non a caso fu firmato a Roma il 17 luglio del 1998 perché all’epoca l’Italia era ancora capace di iniziative autonome nel campo della politica internazionale. Il Trattato è entrato in vigore il primo luglio del 2002, ma non vi hanno aderito gli USA, la Russia, la Cina, la Turchia, Israele, cioè i paesi più a rischio di incorrere nelle sanzioni della Corte. A differenza di altri Paesi, gli Stati Uniti non si sono limitati a non aderire al Trattato, ma si sono attivati per boicottare l’attività della Corte penale internazionale con atti improntati a crescente ostilità nei confronti della CPI, e diretti a interferire con la piena operatività dei suoi organi, a partire dall’ufficio del Procuratore, o a indebolire il sistema di cooperazione tra Stati previsto dalla parte IX dello Statuto di Roma. Tutto ciò al fine di impedire che la Corte giudicasse gli eventuali crimini dalle forze armate americane in Afganistan e quelli commessi da Israele a Gaza.

A questo punto è importante che in Ucraina intervenga un organo di giustizia imparziale come la CPI che conduca sul campo le indagini appropriate per accertare i crimini internazionali, da chiunque commessi, e le responsabilità individuali dei loro autori. L’intervento di una giurisdizione internazionale è indispensabile per evitare che la reazione a questi orrori alimenti vendette o punizioni collettive. A questo riguardo le esternazioni di Biden che qualifica Putin come criminale di guerra e chiede che venga condotto dinanzi ad un Tribunale internazionale non agevolano il lavoro della Corte perché così facendo tolgono autorevolezza agli organi della giustizia internazionale, trasformandoli in meri strumenti dell’offensiva di una parte politica contro un’altra parte. Se gli USA volessero veramente valorizzare la giustizia internazionale per prima cosa dovrebbero ratificare lo Statuto di Roma della CPI, invece che boicottarne l’attività.

Di fronte allo sdegno e all’emozione suscitata dalla diffusione dei filmati e delle informazioni sulle atrocità compiute a danno della popolazione ucraina, cresce la richiesta di inviare armamenti sempre più sofisticati e distruttivi per consentire all’Ucraina di resistere a lungo e logorare le forze armate dell’aggressore e cresce la nostra propensione a partecipare – sia pure indirettamente – al conflitto diventando cobelligeranti. Non è questa la strada giusta. In realtà lo sdoganamento del tabù della guerra è la risposta più sbagliata e controproducente che si possa immaginare per reagire agli orrori che sono sotto i nostri occhi. Bisogna rendersi conto che la punizione di questi orrori non si può compiere attraverso la guerra, cioè attraverso un assassinio di massa perché è proprio la guerra che genera i crimini di guerra. Per questo la guerra va fermata subito, non alimentata, altrimenti «ci renderemo colpevoli della moltiplicazione delle tante Bucha, Mariupol, Mykolaiv… della morte di tante altre donne, uomini, bambini… quei bambini che non ci toglieremo mai più dagli occhi. Mai più…» (Anna Falcone). Il fatto che Biden da Varsavia e poi Stoltenberg ci abbiano avvisato che la guerra sarà lunga, lascia chiaramente intendere che gli USA puntano ad alimentare il conflitto e incoraggiano Zelensky a non accettare nessun compromesso che possa porre termine rapidamente alla guerra. Di fronte all’afasia dei leader dei principali Paesi europei, incapaci di dissociarsi da questa corsa al disastro, deve mobilitarsi la società civile, i popoli europei per chiedere la pace e l’immediata fine del conflitto in Ucraina. Un conflitto mondiale, devastante, definitivo è alle porte, solo la forza dei popoli può impedirci di precipitare in questo baratro della Storia.
adista