Adolescenti, adesso è l’ora di riprendere il cammino

MATTEO LIUT

Sorpresa: gli adolescenti hanno ancora voglia di futuro, hanno vissuto la pandemia anche come un’occasione, nonostante le innegabili difficoltà, e sentono di avere più opportunità delle generazioni precedenti. Però credono di meno e non fanno affidamento sulle figure religiose o legate alla comunità cristiana, pur continuando in larga parte a frequentare l’oratorio. Ed è con questi adolescenti, il cui maggior timore in realtà è quello di deludere le aspettative dei loro genitori (con i quali per molti di loro il legame durante la pandemia si è rafforzato), che la Chiesa italiana deve rimettersi in cammino. Il profilo dei ragazzi italiani dai 14 ai 18 anni è fornito da un’indagine di Ipsos commissionata nell’ambito del progetto «Seme diVento», promosso da tre uffici Cei: il Servizio nazionale per la pastorale giovanile, l’Ufficio catechistico nazionale e l’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia. Un percorso di quattro anni che è stato presentato durante un incontro, trasmesso anche in diretta sul Web, con gli interventi dei tre responsabili degli Uffici coinvolti, don Michele Falabretti (pastorale giovanile), monsignor Valentino Bulgarelli, (Ufficio catechistico), fra Marco Vianelli, (pastorale della famiglia), oltre al pedagogista Pierpaolo Triani, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, e di Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia.

Ed è stato proprio quest’ultimo, durante la presentazione dell’indagine sugli adolescenti italiani, a scardinare alcuni dei luoghi comuni sui ragazzi e sulla loro capacità di guardare avanti. Il dato di partenza è che quasi metà di loro, il 47%, si dichiara non credente (contro il 33% degli adulti), anche se il 37% comunque frequenta gli oratori, il che significa secondo Pagnoncelli, che di fatto anche per chi non crede è normale frequentare gli ambienti parrocchiali per i giovani. Tra le figure di riferimento, però, al primo posto c’è la mamma (61%), mentre restano in fondo educatori di oratorio e preti (1%). Per il 48% di loro, poi, l’impegno sociale è importante e la pandemia non li ha fermati: il 45% dice di essersela cavata durante le restrizioni, il 38% addirittura di avere colto un’occasione di crescita. Per il 57% la Dad è stata un’esperienza positiva e il 47% dice che la sua famiglia ne è uscita più forte. Insomma, conclude Pagnoncelli, «gli adolescenti mostrano un gran- de spirito di adattamento e un ottimismo non trascurabile. Sono pronti a tornare alla vita di sempre, mostrando una la capacità di prendere il buono, anche un’esperienza drammatica e negativa come quella che abbiamo vissuto e che stiamo per certi versi continuando a vivere. E rispetto agli elementi relazionali emerge ancora una volta il bisogno di ascolto, ma anche di libertà decisionale». È assieme a questi adolescenti, quindi, che è necessario innescare un nuovo processo di coinvolgimento che sia davvero comunitario, come ha sottolineato da parte sua Falabretti, ricordando che il progetto non è calato dall’alto ma viene offerto ai singoli territori, che saranno chiamati a declinarlo nella loro realtà. Fondamentale sarà la disponibilità degli educatori a formarsi.

Lo stile l’ha poi messo in luce Triani, che ha ricordato che «una pedagogia cristiana non necessariamente è una pedagogia solo per adolescenti cristiani». E dev’essere una pedagogia che «nasce dal desiderio di una condivisione, non dalla paura che gli adolescenti se ne vadano». L’attenzione educativa dovrà rispettare anche «la voglia di libertà espressa dai ragazzi e dovrà tenere conto anche alla pluralità dei vissuti che gli adolescenti vivono», dovrà accompagnare e anche «guardare in alto». Sui ragazzi, secondo Triani, va fatto un «investimento di fiducia». Inoltre sarà necessario «accompagnare gli adolescenti con gesti di custodia e di cura che generino a loro volta gesti di custodia e di cura» sapendo anche coltivare e stimolare la creatività dei ragazzi. Andranno inoltre aiutati a «narrare la propria vita leggendola alla luce del Vangelo, secondo lo stile dello stesso Gesù». Vianelli da parte sua ha affermato che il progetto «Seme diVento» non intende «risolvere la pastorale della Chiesa, non la vuole neanche rivoluzionare, ma vuole innescare un processo, il cui stile dev’essere quello della sinodalità». Bulgarelli, poi, ha riportato alla memoria le parole pronunciate da papa Francesco lo scorso 30 gennaio quando ha ricevuto l’Ufficio catechistico nazionale per il suo 60° anniversario: «La vera fede – disse allora il Pontefice – va trasmessa in dialetto». Questo, ha aggiunto il direttore dell’Ufficio catechistico, ci fa capire che «la nostra trasmissione della fede deve diventare l’occasione di entrare sempre di più nel quotidiano, nell’esperienza della vita quotidiana». Quella stessa quotidianità che la pandemia ha trasformato profondamente. Secondo Bulgarelli, inoltre, è ora che non ci preoccupiamo più solo dei ‘nostri’, ma «anche di quelli che sono fuori, che non riusciamo a raggiungere, che non riusciamo a intercettare. E tutto questo può avvenire attraverso il dialogo, l’incontro interpersonale, ma soprattutto valorizzando la ferialità». Tutto ciò, ha sottolineato ancora Bulgarelli, «richiede che noi adulti ci diamo tempo, ascoltiamo, impariamo ad ascoltare, attiviamo dei discernimenti personali e comunitari, cerchiamo non di far calare dall’alto delle proposte, ma di lavorarle perché possano impattare effettivamente nella quotidianità dei ragazzi. Questo implica realmente un cambio di passo da fare tutti insieme ». Il progetto, infatti, si inserisce «nell’orizzonte del cammino sinodale che i vescovi italiani hanno aperto a maggio».

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Presentato «Seme diVento» progetto che unisce tre Uffici Cei. Dall’indagine commissionata a Ipsos la sorpresa: i ragazzi guardano con fiducia al futuro e hanno vissuto la pandemia anche come un’occasione di crescita