Radio Giornale

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Pakistan. Alpino muore sul Gasherbrum IV

Il caporal maggiore scelto Maurizio Giordano

Il caporal maggiore scelto Maurizio Giordano

Una tragedia ha colpito la spedizione del Centro addestramento alpino al Gasherbum IV, vetta di 7.925 metri del Pakistan. Questa mattina alle 6, ora italiana, una scarica di ghiaccio ha investito e ucciso il caporal maggiore scelto Maurizio Giordano, 32 anni, di Cuneo, mentre era impegnato nella discesa da quota settemila al campo base, posto a 5mila metri. Le avverse condizioni meteo avevano, infatti, consigliato gli alpinisti di rientrare in attesa di una finestra di bel tempo. Durante la calata, l’improvviso crollo di un seracco ha provocato la morte del giovane militare. Giordano faceva parte della spedizione di cinque alpinisti, quattro militari e un civile, partita lo scorso 10 giugno con l’obiettivo di ripetere, per la prima volta dopo 60 anni, la via aperta nel 1958 da Walter Bonatti e Carlo Mauri, con la spedizione del Cai guidata da Riccardo Cassin.

«Provo un dolore grandissimo», dice il presidente generale del Cai, Vincenzo Torti, ricordando che «in montagna l’imponderabile è sempre dietro l’angolo». Cordoglio ai familiari è stato espresso dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta e dal capo di stato maggiore dell’esercito, generale Salvatore Farina.

avvenire

Milano. Addio a don Melesi, il «prete da galera» che tolse le armi alle Br

Don Luigi Melesi in una foto della Fondazione Carlo Maria Martini

Don Luigi Melesi in una foto della Fondazione Carlo Maria Martini

Per tutta la vita si è schierato «dalla parte del colpevole», don Luigi Melesi, il salesiano “prete da galera” morto oggi a 85 anni, all’ospedale di Lecco. Originario di Cortenova, paesino della Valsassina dov’era nato il 4 gennaio 1933, per trent’anni, dal 1978 al 2008, è stato cappellano del carcere milanese di San Vittore, dove «ha ascoltato, consolato e dato fiducia a donne e uomini senza speranza», come recita la motivazione con cui, l’Università Pontificia Salesiana di Roma, gli conferì nel 2013 la laurea Honoris causa in Scienze della comunicazione sociale.

Stretto collaboratore del cardinale Carlo Maria Martini, di cui era consigliere ascoltato, don Luigi convinse i brigatisti rossi a consegnare le armi all’arcivescovo di Milano, sventando così nuovi attentati. La sua esperienza “dietro le sbarre” è stata raccontata da Silvio Valota nel libro “Prete da galera”, in cui don Luigi ricorda i tanti incontri in carcere, da Vallanzasca a Gabriele Cagliari, suicida negli anni di Tangentopoli, ai molti volti sconosciuti, di cui svela l’umanità nascosta dietro vicende drammatiche.

«Una persona, per diventare buona, deve sentirsi amata», ripeteva don Luigi che, nel 1967, insieme a don Ugo De Censi, creò l’Operazione Mato Grosso, movimento impegnato per il Terzo Mondo sulla linea della Populorum progressio.

«Non è possibile aiutare una persona a cambiare la sua vita in meglio, se non ci si mette dalla sua parte, se non si prende a carico la sua vita e la sua storia», era il programma di questo prete degli ultimi. Che in tanti saluteranno per l’ultima volta giovedì mattina nella chiesa di Sant’Agostino, a Milano e poi, nel pomeriggio, a Cortenova.

da Avvenire

Bergamo. Il castello (vero) dell’Innominato diventa un resort a 5 stelle

Il castello dell'Innominato

Il castello dell’Innominato

Il castello (vero) dell’Innominato, di manzoniana memoria, ovvero la parte secentesca di Palazzo Visconti di Brignano Gera d’Adda (Bergamo) – quella privata, nota come Palazzo Nuovo, da distinguere da quella di proprietà comunale, chiamata Palazzo Vecchio e risalente al 1500 – diventerà un resort a cinque stelle con 90 suite di lusso. Sarà venduto per una cifra che si aggirerebbe sui 35 milioni di euro ad un facoltoso cittadino straniero che per effettuarne l’acquisto e la trasformazione ha costituito un’apposita società. L’annuncio è stato dato dall’attuale proprietà, la Rea Dalmine, durante la presentazione della Giornata di visite guidate al Palazzo.

La cessione – dove si racconta abbia abitato l’Innominato, ovvero Bernardino Visconti della omonima storica famiglia milanese – sarebbe ormai definita al 98%, hanno detto i proprietari, precisando che la vendita, ormai a un passo, verrebbe formalizzata entro fine anno. Palazzo Nuovo è uno straordinario esempio di architettura di alto profilo, ricco di una speciale bellezza.

L’acquirente è dunque un «magnate straniero» (non ne è stata comunicata la nazionalità) «innamorato dell’antico maniero»; non sarebbe nemmeno un privato già impegnato nel settore alberghiero. Simona Grossi, a nome della proprietà, nel riferire dell’acquirente, ha aggiunto: «Visto l’investimento che si sta apprestando a fare, sa sicuramente ciò che sta facendo». Quando la vendita sarà conclusa inizieranno i lavori di trasformazione di Palazzo Nuovo, che si ritiene dureranno tre anni.

Il consiglio comunale di Brignano aveva approvato nell’ottobre scorso un atto di indirizzo con la disponibilità a trasformare l’attuale destinazione di Palazzo Nuovo da residenziale a ricettivo-alberghiera. Il Comune ne trarrebbe giovamento: potrebbe incassare, fra oneri e standard urbanistici, due milioni.

da Avvenire

Istat. Allarme invecchiamento: l’Italia diventerà un enorme ospizio

Allarme invecchiamento: l'Italia diventerà un enorme ospizio

La popolazione italiana, in continua crescita negli ultimi cento anni, oggi diminuisce, e al contempo invecchia, più velocemente che mai: nel 2050 saremo due milioni e mezzo in meno, come se la città di Roma sparisse dalla Penisola. Ma il dato ancor più rilevante è che gli “over 65”, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo, vale a dire 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni.Questi sono solo alcuni dei dati emersi dalle proiezioni sociodemografiche e sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050 elaborate dall’Istat per “Italia Longeva-Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva”, e presentate oggi al ministero della Salute nel corso della terza edizione degli Stati generali dell’assistenza a lungo termine, la due giorni di approfondimento e confronto sulle soluzioni sociosanitarie a supporto della Long-Term Care.

Bomba pronta a esplodere dal 2030

La “bomba dell’invecchiamento”, pronta a esplodere già dal 2030 se non adeguatamente gestita, innescherà tra l’altro un circolo vizioso: l’aumento della vita media causerà l’incremento di condizioni patologiche che richiedono cure a lungo termine e un’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione sociale; così crescerà inesorabilmente anche la spesa per la cura e l’assistenza a lungo termine degli anziani, ma anche quella previdenziale, mentre diminuirà la forza produttiva del Paese e non ci saranno abbastanza giovani per prendersi cura dei nostri vecchi. Infatti, oggi tre lavoratori hanno sulle spalle un anziano, domani saranno solo in due a sostenerlo. «I dati presentati si riferiscono a semplici proiezioni della situazione attuale – avverte il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva – e pur non trascurando un rilevante margine di incertezza, non vi è dubbio che il quadro prospettico sollevi una questione di sostenibilità strutturale per l’intero Paese».

Gli “over 65” soli arriveranno a 4 milioni e mezzo

Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave: ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. «Curarli tutti in ospedale – commenta Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva – equivarrebbe a trasformare Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna e Firenze in grandi reparti a cielo aperto. È evidente, quindi, che le cure sul territorio non rappresentano più un’opzione, ma un obbligo per dare una risposta efficace alla fragilità e alla non autosufficienza dei nostri anziani, che si accompagnerà anche a una crescente solitudine. Le stime Istat per Italia Longeva ci dicono che, nel 2030, potrebbero arrivare a 4 milioni e mezzo gli ultra 65enni che vivranno da soli, e di questi, 1 milione e 200mila avrà più di 85 anni».

Emergenza disabilità, gli anziani saranno 5 milioni

Il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della residenzialità fondata sulla rete territoriale di presidi sociosanitari e socioassistenziali, ad oggi ancora un privilegio per pochi, con forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con la progressiva riduzione di persone giovani all’interno dei nuclei familiari. Se oggi ci sono 35 anziani ogni 100 persone in età lavorativa, nel 2050 ce ne saranno quasi il doppio: 63. «Le famiglie – commenta ancora Bernabei – pilastro del nostro welfare, saranno sempre meno numerose, pertanto i servizi sociosanitari, che già oggi coprono solo un quarto del fabbisogno, dovranno essere integrati sempre più dal supporto di badanti, da nuove forme di mutualità e, probabilmente, da un ritorno allo spirito di comunità. C’è poi la disabilità – aggiunge Bernabei – che nel 2030 interesserà 5 milioni di anziani, e diventerà la vera emergenza del futuro e il principale problema di sostenibilità economica nel nostro Paese. Essere disabile vuol dire avere bisogno di cure a lungo termine che, solo nel 2016, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben tre miliardi e mezzo pagati di tasca propria dalle famiglie».

Boeri (Inps): rimodulare i permessi della legge 104

Questo nuovo quadro impone delle risposte anche da parte del legislatore, per ciò che attiene una rimodulazione dei diritti delle famiglie con persone disabili. «Nei prossimi 50 anni – afferma Tito Boeri, presidente dell’Inps – le generazioni maggiormente a rischio di non autosufficienza passeranno da un quinto a un terzo della popolazione italiana. Non è pensabile rispondere a una domanda crescente di assistenza di lungo periodo basandosi pressoché interamente sul contributo delle famiglie. Ci vogliono politiche di riconciliazione fra lavoro e responsabilità famigliari che modulino gli aiuti in base allo stato di bisogno, ad esempio sembra opportuno rimodulare i permessi della legge 104 del 1992 in base al bisogno effettivo di assistenza».

da Avvenire

L’evento . Dopo vent’anni tra Etiopia ed Eritrea scoppia la pace

L'eritreo Issaias Aferki (sinistra, al centro) ha accolto domenica all'aeroporto dell'Asmara il premier etiope Abiy Ahmed (Ansa)

L’eritreo Issaias Aferki (sinistra, al centro) ha accolto domenica all’aeroporto dell’Asmara il premier etiope Abiy Ahmed (Ansa)

storica visita del giovane premier etiope Abiy Ahmed all’Asmara domenica scorsa, l’abbraccio all’aeroporto con l’ex nemico, il vecchio despota eritreo Issaias Afewerki, le immagini della folla festante e assetata di normalità nelle vie della capitale, la firma che sancisce la fine dopo 20 anni dello stato di guerra e l’inizio di una stretta cooperazione, che riconosce i confini e concede all’Etiopia l’agognato sbocco al mare e la libertà di circolazione e comunicazione tra i due Paesi rappresentano una splendida notizia non solo per il Corno d’Africa.
Ma, accanto alle speranze, con realismo gli osservatori rilevano che è solo l’inizio di un lungo cammino per pacificare le due nazioni sorelle e la stessa Eritrea. La quale nei colloqui di pace era rappresentata da un presidente eletto per quattro anni anni fino allo scoppio della guerra 20 anni fa. Poi, con l’alibi della situazione di non guerra-non pace (l’Etiopia non aveva applicato il trattato di pace di Algeri e non aveva restituito iltriangolo di sabbia attorno a Bademme, ndr) non si è più votato e Issaias si è trasformato nel 2000 da combattente per la libertà e l’indipendenza del suo Paese dall’Etiopia in un tiranno che ha, nell’ordine, sospeso la Costituzione, chiuso gli organi di informazione, imprigionato oppositori veri o presunti e ministri, intellettuali e compagni di partito che gli avevano chiesto di rispettare la democrazia.
Ha quindi chiuso l’università e militarizzato lo Stato imponendo il servizio militare illimitato da 17 a 50 annied espulso missionari e Ong perché «occidentali». In 20 anni di regime paranoico ha limitato gli spostamenti interni, vietato gli espatri e riempito le galere di dissidenti per motivi politici e religiosi e disertori, infiltrando il territorio nazionale di spie. Ha causato l’esodo di almeno due generazioni verso tutti i continenti, Africa compresa. L’Eritrea di Issaias Afewerki è così precipitata agli ultimi posti nelle classifiche mondiali di sviluppo e libertà. Dal 2009, inoltre, è soggetta ad embargo di armi dall’Onu per aver cooperato con i terroristi islamici in Somalia per destabilizzare l’area.
La diaspora ha subito chiesto che con la pace e la fine dello stato di emergenza arrivino non solo benefici economici e commerciali, ma la libertà con il ripristino della Costituzione sospesa – che comporta il ritorno alla democrazia con un sistema giudiziario indipendente e libere elezioni – e la fine del servizio militare a vita.Questo dovrebbe bloccare l’esodo che porta ogni giorno almeno 5mila eritrei in Etiopia. Questi temi non sono stati ufficialmente affrontati nei colloqui all’Asmara e nei discorsi ufficiali dei due leader, ma il giorno dopo balzano al primo posto in agenda. Ci si chiede se e quando comincerà la transizione democratica in Eritrea e chi la guiderà, se il tempo del regime è finito o se il dittatore proverà a restare arroccato al potere. Domande che toccano le vite sospese di decine di migliaia di persone. Dai 40mila circa intrappolati in Israele che il governo stava per deportare in Ruanda e Uganda alle migliaia di prigionieri dei trafficanti e delle milizie in Libia ai 58mila accolti nei campi profughi della stessa Etiopia. Riguardano anche tanti richiedenti asilo in Europa e in Italia perché se torna la libertà nell’ex colonia primigenia cade la motivazione per cui viene concesso lo status di rifugiato. È inevitabile a questo punto un’amnistia per chi è in carcere come disertore e per chi è fuggito all’estero per evitare la leva a vita mentre il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres ha dichiarato che non vede il motivo per cui le sanzioni proseguano.
Non sarà dunque un processo semplice. Se in Etiopia il premier – che a tre mesi dalla nomina ha già deciso la liberazione dei prigionieri politici e compiuto questo passo storico – deve affrontare la resistenza dei tigrini, che rivendicano i territori restituiti all’Asmara, e le pretese nazionaliste sul porto eritreo di Assab, in Eritrea occorre curare sofferenze decennali. Don Mosè Zerai, il prete dei migranti, egli stesso profugo eritreo, ha detto parole giuste: serve una riconciliazione nazionale che permetta a tutti di tornare e ricostruire il Paese.

avvenire

Scandalo dati Cambridge Analytica, maxi-multa a Facebook

Scandalo dati Cambridge Analytica, maxi-multa a Facebook

L’ente britannico per la protezione dei dati personali, cioè l’Information Commissioner’s Office (Ico), ha annunciato che intende imporre a Facebook una multa di 500mila sterline, pari a 565mila euro, per la mancata protezione dei dati degli utenti nel caso Cambridge Analytica, in cui i dati di milioni di utenti sono stati usati a loro insaputa. L’annuncio giunge nell’ambito dell’indagine aperta dall’Ico per accertare se sia stato fatto un uso scorretto di informazioni personali nell’ambito della campagna per il referendum sulla Brexit di giugno 2016.

La società britannica Cambridge Analytica è accusata di avere raccolto e sfruttato senza consenso i dati personali degli utenti a fini politici, in particolare per far vincere la Brexit nel Regno Unito e Donald Trump alle presidenziali Usa del 2016. L’Ico precisa che Facebook ha la possibilità di rispondere alla messa in mora prima che venga presa una decisione finale. Erin Egan di Facebook ha fatto sapere che il gruppo “esamina” le conclusioni dell’Ico e che risponderà “presto”.

da Avvenire

Tg2000. C’è il «miracolo»: sarà Sandra la prima fidanzata beata?

da Avvenire

Parla l’uomo che inspiegabilmente è guarito da un tumore dopo essersi affidato a Sandra Sabattini, la giovane che Papa Francesco ha riconosciuto venerabile

“Mi fecero fare una colonscopia e scoprirono un tumore intestinale. Da lì mi diedero 6 mesi, massimo un anno di vita. La sera prima dell’operazione mi si materializza don Oreste nel corridoio dell’ospedale, col suo sorriso disarmante, col suo modo di parlare. A un certo punto lui mi dice io ti affido a Sandra e ho chiesto a tutta la comunità di pregare Sandra per la tua guarigione”.

Così Stefano Vitali racconta ai microfoni del Tg2000, il telegiornale di Tv2000, la sua storia: dal male inguaribile alla inspiegabile guarigione avvenuta oltre 10 anni fa. Stefano fu il primo segretario di Don Oreste Benzi nella Comunità Papa Giovanni XXIII. La sua guarigione potrebbe essere il primo miracolo attribuito a Sandra Sabattini che Papa Francesco lo scorso 6 marzo ha riconosciuto come venerabile. Sandra Sabattini potrebbe diventare la prima ‘santa fidanzata’ nella storia della Chiesa. Il 29 aprile del 1984 mentre stava andando a un incontro della Comunità Papa Giovanni XXIII, a soli 23 anni, Sandra perde la vita in un incidente stradale. Don Benzi la conosceva bene. Lei aveva appena 12 anni quando le loro vite si incrociarono.

Sandra viveva nella canonica della parrocchia dello zio prete a Rimini e spesso la trovavano di notte o all’alba a pregare davanti al Santissimo seduta per terra, in segno di profondo rispetto. La sete di Dio e di giustizia sono i due binari nella vita di Sandra, studentessa in medicina che si è tanto spesa per i tossicodipendenti e i disabili. Cinque anni prima dell’incidente Sandra era fidanzata con Guido Rossi da qui l’esclamazione di don Benzi: “Nella Chiesa ci sono genitori santi e anche sposi santi. Ma non sarebbe bello avere anche una fidanzata santa?”. Concluso il processo diocesano, avviato dallo stesso don Oreste, manca il via libera della commissione medica vaticana che sta indagando sulla guarigione di Stefano Vitali per stabilire se sia davvero inspiegabile.

“Da un esame al colon – ha ricordato Alberto Ravaioli, primario di Oncologia Ospedale infermi di Rimini dal 1989 al 2012 – emerse la diagnosi della malattia da cui era affetto, non si trattava di colite ma di un tumore intestinale. Fui presente in sala operatoria il giorno in cui fu operato. Dentro l’addome io e il primario chirurgo potemmo verificare tutta l’estensione del tumore. Subito dopo iniziò la terapia e nei primi 3 mesi già ebbi un risultato straordinario. In termini tecnici noi la chiamiamo remissione clinica completa di tutta la malattia, tant’è che il marcatore ritornò subito alla normalità, in 3 mesi. Clinicamente il tumore era sparito. Pazienti col tumore dell’intestino ne ho curati a centinaia durante la mia esperienza di primario oncologo e di pazienti pienamente guariti posso affermare che c’è solo Stefano Vitali”.

“Da quando mi sono un po’ ripreso – ha aggiunto Stefano Vitali – ho sempre sentito un senso di pace e di pulizia, di cambiamento, uno Stefano completamente diverso. Sono prudente nel parlare di miracolo perché io lo so cosa è accaduto. Quello che mi piace di papa Francesco e del significato che ha dato a questo percorso di Sandra è che servono oggi degli esempi di giovani, di giovani come lei, che poi ha chiamato i santi della porta accanto che riescono a far vedere che è possibile vivere a un certo modo nella normalità”.