Un regno dove tutti sanno essere servi, oltre a costituire una mancia gigantesca, è un regalo impegnativo. Come quell’arte che si chiama amicizia

LA MORTE DI SIMEONE

(Lello Scorzelli, 1968-71, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro,
Porta della Preghiera, particolare del pannello del Nunc dimittis)

«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese… Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Lc 12,35-40)

Ancora una parabola, quella dei servi che vigilano. Con un padrone che arriva all’improvviso e, trovando svegli i servi, si mette a servirli a tavola (un’immagine fantastica, dimenticata dagli artisti!). Poi una seconda parabola, brevissima, dove è un ladro ad arrivare senza preavviso. In ogni caso – che la sorpresa la faccia il padrone o che la faccia il ladro – l’importante è non farsi cogliere in pigiama e pantofole, ma attenti, reattivi, capaci di rendersi subito utili.

L’opera scelta, che non illustra tali racconti, è per evocare due elementi in esse presenti: il servo fedele e la sua ricompensa. Rappresenta Simeone, «uomo giusto e pio», che, sentendosi premiato dall’aver potuto vedere Gesù, può cantare: «Ora lascia che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza…» (Lc 2).

Il fatto che Simeone poi muoia, non significa che sia la morte la protagonista delle parabole di oggi e che il nostro vigilare sia per timore del giudizio finale. Le vesti strette ai fianchi, tipiche di chi lavora e di chi cammina, sono lì a dire di guardarsi dal pericolo della sedentarietà; le lampade accese, dal pericolo della rilassatezza. Dopo il richiamo di domenica scorsa a farsi uno zaino leggero, eccone un altro a ricordare che c’è ancora tanto da fare e da camminare.

La figura del padrone che si mette a servizio è la beatitudine massima che Gesù garantisce a chi gli è fedele: un premio di consolazione talmente grande che, per una volta, invece d’essere secondario, è quello principale. L’abolizione della servitù, o, meglio, un regno dove tutti sanno essere servi, oltre a costituire una mancia gigantesca, è un regalo impegnativo. Come quell’arte che si chiama amicizia: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).

vinonuovo.it