Santo del Giorno 12 MAGGIO Santi Nereo e Achilleo, martiri

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Vivarini A.-D’Alemagna G. (1443)

Memoria facoltativa
Dal Martirologio
Santi Néreo e Achílleo, martiri, che, come riferisce il papa san Damaso, si erano arruolati come soldati e, spinti da timore, erano pronti ad obbedire agli empi comandi del magistrato, ma, convertitisi al vero Dio, gettati via scudi, armature e lance, lasciarono l’accampamento e, confessando la fede in Cristo, godettero del suo trionfo. In questo giorno a Roma i loro corpi furono deposti nel cimitero di Domitilla sulla via Ardeatina.

Santo del Giorno 06 FEBBRAIO Santi Paolo Miki e compagni, martiri

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Dal Martirologio

Memoria dei santi Paolo Miki e compagni, martiri, a Nagasaki in Giappone. Con l’aggravarsi della persecuzione contro i cristiani, otto tra sacerdoti e religiosi della Compagnia di Gesù e dell’Ordine dei Frati Minori, missionari europei o nati in Giappone, e diciassette laici, arrestati, subirono gravi ingiurie e furono condannati a morte. Tutti insieme, anche i ragazzi, furono messi in croce in quanto cristiani, lieti che fosse stato loro concesso di morire allo stesso modo di Cristo.

Altri Santi

Santi martiri Dorotea, vergine, e Teofilo, maestro di scuola; san Guarino, vescovo; beato Alfonso Maria Fusco, sacerdote; beato Angelo da Furci, sacerdote; beato Francesco Spinelli, sacerdote.

Boves. «I nostri preti, martiri delle SS, ci hanno insegnato la riconciliazione»

A Boves (Cuneo), teatro della prima strage nazista di civili, don Bernardi e don Ghibaudo diedero la vita per salvare la popolazione: il ricordo indelebile dei testimoni. Domenica la beatificazione
Boves in fiamme il 19 settembre del 1943

Boves in fiamme il 19 settembre del 1943 – .

Avvenire

Il 16 settembre 1943 a Boves l’aria è già gravida del dramma che di lì a tre giorni avverrà. L’Armistizio è firmato, il re e Badoglio sono scappati, l’ex alleato nazista ora è il nemico e lo abbiamo in casa. Boves e i suoi abitanti lo apprenderanno per primi: quel 16 settembre, un giovedì, il maggiore delle SS Joachim Peiper arriva per la prima volta in paese, raduna in piazza tutti gli uomini e abbaia la sua minaccia, «i ribelli nascosti sulle montagne si consegnino o Boves sarà distrutta».

Per essere più chiaro punta il cannone contro i monti verso il Santuario di Sant’Antonio e colpisce come un lugubre presagio la statua del santo, mozzandogli le braccia benedicenti (ancora oggi così rimaste).

Sarà la carne dei martiri tra poco a morire sotto i colpi delle SS di Peiper, che la domenica seguente, 19 settembre 1943, regalerà a Boves l’orrendo primato della prima strage nazifascista di civili. La sera del 19 tutta la città sarà un gigantesco rogo e si conteranno ventiquttro persone assassinate, tra le quali il parroco don Giuseppe Bernardi, 46 anni, e il viceparroco don Mario Ghibaudo, 23 anni soltanto, la cui beatificazione avverrà a Boves domenica prossima.

Indelebile nella memoria di tutti i sopravvissuti, allora ragazzini, il volto terreo dei due sacerdoti, fino all’ultimo impegnati a portare in salvo più persone possibile, a far fuggire bambini e anziani, a benedire e assolvere per strada la gente che corre impazzita. Già dal mattino ai due preti era chiaro che quel giorno sarebbe successo qualcosa di gravissimo, tanto che don Bernardi aveva portato via il Santissimo dalla chiesa parrocchiale per affidarlo alle Clarisse e aveva chiesto alle suore di far pregare le orfanelle del monastero.

Don Ghibaudo, 23 anni soltanto, e don Bernardi, 45, domenica saranno beati

Don Ghibaudo, 23 anni soltanto, e don Bernardi, 45, domenica saranno beati – sito della diocesi di Cuneo

Quella stessa mattina due tedeschi erano giunti in piazza Italia a bordo di un’auto e un gruppetto di partigiani li aveva catturati e portati in montagna. Neanche mezz’ora dopo, un reparto di SS arrivava già in paese e, senza sapere della cattura appena avvenuta, assaliva i partigiani sui monti a Castellar, il che prova che l’attacco nazifascista a Boves non è una rappresaglia ma un’azione di guerra predeterminata: sarebbe successa comunque.

Eppure Peiper non si fa scrupolo a mentire: «O entro un’ora ci restituite i due soldati o oggi Boves sarà distrutta», annuncia a don Bernardi. Il quale prende su di sé il ruolo di ambasciatore e, accompagnato dall’industriale Antonio Vassallo, si precipita in montagna.

«Avevo 11 anni e abitavo subito fuori Boves, proprio in direzione Castellar», racconta ad Avvenire Maria Lucia Giordanengo, 90 anni, «poco dopo pranzo ho visto il taxi di Luigi Dalmasso salire con a bordo il parroco e il signor Vassallo, tesi in volto e con una bandiera bianca fuori dal finestrino. Chiesi a papà cosa volesse dire…».

Un’ora dopo i due ambasciatori scendono a Boves con i due tedeschi illesi, in teoria hanno salvato la città. Prima di partire don Bernardi ha chiesto a Peiper una garanzia scritta, ma il maggiore delle SS ha risposto che la parola di un tedesco vale più di cento firme di italiani. Sta di nuovo mentendo: «Un ufficiale tedesco che da giorni aveva occupato una stanza in casa nostra con il suo cane lupo e tante armi – continua Maria Lucia – ha chiesto a mio padre la sua bicicletta e i fiammiferi ed è partito per Boves: oltre a usare i lanciafiamme, infatti, bruciavano i tetti con sfere impregnate di liquido incendiario. È tornato all’imbrunire, ha reso la bici e, prima di sparire per sempre, ci ha detto “voi restare qui, noi non bruciare vostra casa”, chissà, per lui era una forma di “gratitudine”. Fatto sta che la nostra è l’unica della zona rimasta in piedi e tutti i vicini si sono rifugiati da noi».

Solo il giorno dopo si è saputo che il parroco e Vassallo erano stati uccisi, «Boves era ancora un inferno di calore e odore, sembrava la fine del mondo, ricordo gli strilli delle mucche che bruciavano vive nelle stalle e dei muli che fuggivano terrorizzati, anche loro allo sbando dalle caserme ormai deserte».

Il fatto è che la parola di Peiper si era rivelata carta straccia: don Bernardi e Vassallo erano stati catturati ed esposti per ore su un carrarmato in piazza Italia, poi portati in giro e costretti ad assistere allo scempio tra le case che venivano incendiate con la gente dentro. «Mio padre era da molti anni il direttore della Cassa Rurale, abitavamo in piazza dell’Olmo sopra la banca e l’esattoria – racconta Franco Giraudo, 87 anni –. Dalla finestra vidi prima don Bernardi e Vassallo sull’autoblindo tedesco, poi le SS che appiccavano il fuoco alle case, anche alla nostra. Mentre con la mamma e le mie quattro sorelle scappavamo verso Cuneo, sentimmo una sparatoria tremenda, era quella in cui moriva don Mario Ghibaudo, il viceparroco».

I tedeschi sono ubriachi, hanno bevuto come spugne al Bar Bianco e ora infieriscono sulla gente, anche i due soldati rilasciati dai partigiani. Don Mario è solo un ragazzo ma i bovesani lo ricordano mentre pallido raggiunge don Bernardi ostaggio sul panzer in piazza, gli porta del caffè caldo e gli chiede l’assoluzione. Tutto intorno grida, pianti, confusione. Don Mario conduce nelle campagne le orfanelle, non ne perde una, poi torna in paese, benedice, assolve, porta in salvo, trascina via un carretto su cui è abbandonata un’anziana paralizzata (Maddalena, 90 anni, morirà due anni dopo), torna di nuovo, incontra due nonni che scappano con i tre nipotini, uno dei quali disabile in carrozzina. Un SS sta sparando sul bambino, che si salva rovesciandosi nel fossato, allora spara al nonno, don Mario corre a dargli l’assoluzione, ma sul suo braccio benedicente l’SS scarica il mitra (come il cannone premonitore sulle braccia di Sant’Antonio), poi lo pugnala al petto in odium fidei.

I quattro testimoni intervistati: 'Mai dimenticheremo il sacrificio dei nostri sacerdoti e l'orrore di quel giorno''

I quattro testimoni intervistati: “Mai dimenticheremo il sacrificio dei nostri sacerdoti e l’orrore di quel giorno”” – L.B.

«Il giorno dopo nel cortile di mio fratello, il fotografo del paese, furono trovati tre cadaveri – testimonia Francesca Ramero, 94 anni –. Uno aveva gli scarponi e lo piangemmo come mio fratello, l’altro pareva avere la gonna e pensammo fosse mia cognata, sul suo petto un blocco carbonizzato doveva essere il loro bimbo di 18 mesi. Solo a sera abbiamo saputo che invece erano i corpi di don Bernardi con la veste da prete e di Vassallo, e quello che sembrava il bambino era una trave annerita. Erano morti insieme nel tentativo di salvare la popolazione. Io avevo 15 anni ma ancora oggi rivedo l’orrore, spero almeno che fossero già morti prima di bruciare». Accanto ai due corpi, l’orologio di don Bernardi fermo alle 18.54, il suo Rosario a pezzi e due pallottole.

Boves non era stata punita, Boves era già deciso che sparisse per dare l’esempio agli italiani. Infatti proprio lì, sulle sue montagne, ai soldati allo sbando fuggiti dalle caserme dopo l’Armistizio si aggiungevano a centinaia i militari che rientravano dalla Francia, tutta linfa per le neo formazioni di “ribelli”.

Aldo Baudino, 87 anni, ha ben impressa la figura limpida di Ignazio Vian, capo dei partigiani, mentre avverte sua mamma e sua zia già scappate su a Castellar con un nugolo di bambini, «state nascosti, oggi a Boves scoppierà la guerra». «Mia mamma e mia zia cercavano di tenere zitti noi bambini nel casolare, ma il mio cuginetto ha pianto e i tedeschi, che stavano già andando via, lo hanno sentito. Siccome non c’erano uomini ci hanno lasciati andare e da fuori abbiamo visto le fiamme già alte». Per terra due morti, uno per parte: proprio al suo casolare era iniziata la guerra tra tedeschi e partigiani, ancora all’oscuro di quanto contemporaneamente avveniva giù a Boves.

«Chi fa la guerra l’ha già persa – tira le fila Francesca Ramero –, si è tutti sconfitti. Dopo l’8 settembre si aveva paura di tutti, non solo dei nazifascisti, anche tra vicini di casa si parlava poco, c’erano vendette, delazioni, violenze. La notte ricordo i colpi alla porta sia dei tedeschi che dei partigiani per portarci via la merce dalla tabaccheria, e noi zitte, terrorizzate… Vian invece era uomo d’onore, guai se sapeva che i suoi prelevavano la roba. D’altra parte ricordo anche alcuni ragazzi tedeschi che ci chiedevano rifugio nel retrobottega e lì piangevano… ».

Anche Franco Giraudo conferma la complessità di ciò che accadeva in quei giorni confusi: «Un comandante partigiano si era innamorato di mia sorella Bianca, che era bellissima, ma lei lo aveva respinto. Il 5 maggio 1945, ormai in tempo di pace, i partigiani della sua brigata dopo un processo farsa la fucilarono al cuore. La invitarono a voltarsi, ma lei volle guardarli in faccia. Gli stessi partigiani erano venuti più volte di notte a casa nostra per farsi aprire la cassaforte della banca Rurale: io e le mie quattro sorelle pregavamo chiusi in cucina mentre papà teneva duro, si è sempre rifiutato». Proprio lui che nelle carceri allestite dalle SS è stato più volte imprigionato come carne da rappresaglia in caso di bisogno (a turno gruppi di uomini erano tenuti ostaggio a questo scopo).

Bianca Giraudo, ucisa nel maggio del '45 a guerra finita

Bianca Giraudo, ucisa nel maggio del ’45 a guerra finita – Per gentile concessione della famiglia

Dal giorno dell’eccidio fino al 27 aprile 1945 Boves pagò con più di settecento case divorate dal fuoco e centinaia di morti. Eppure il sangue dei martiri ha generato una straordinaria capacità di perdono nella comunità civile, che sulle orme dei due beati ha creato una Scuola di Pace e ha stretto un patto di amicizia con Schondorf, la cittadina dov’è sepolto Peiper.

Condotta dal parroco don Bruno Mondino, Boves oggi coinvolge gli altri teatri di stragi e ingiustizie (Marzabotto, Foibe, ecc.) nel suo percorso di perdono: «Il martirio dei nostri pastori ci ha dato la forza di intraprendere Cammini di Riconciliazione, attraverso i quali la parola “nemico” non sia più attribuita a nessuno di coloro che ci ha fatto del male e una speranza nuova ci sia anche per chi, accondiscendendo alla logica della violenza, ha distrutto insieme alla vita degli altri anche la sua».

Don Bernardi e don Ghibaudo, sacerdoti martiri nell’eccidio nazista del ’43

Saranno beatificati domenica 16 ottobre 2022 a Boves, cittadina del Cuneese. Presente anche una delegazione di Schondorf, il paese del comandante delle SS responsabile dell’eccidio
Don Ghibaudo, 23 anni soltanto, e don Bernardi, 45, domenica 16 ottobre saranno beati

Don Ghibaudo, 23 anni soltanto, e don Bernardi, 45, domenica 16 ottobre saranno beati – sito della diocesi di Cuneo

I martiri di Boves, don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, oggi, domenica 16 ottobre, saranno proclamati beati. Tutto è pronto nella cittadina alle porte di Cuneo per la celebrazione presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi con il vescovo di Cuneo e di Fossano, Piero Delbosco, e il presidente della Conferenza episcopale piemontese, Franco Lovignana, vescovo di Aosta. Saranno presenti anche i vescovi Brunetti (Alba), Arnolfo (Vercelli) Miragoli (Mondovì) e gli emeriti Ravinale, Cavallotto Guerrini e Micchiardi.

Una giornata di festa per onorare i due sacerdoti «uccisi in odio alla fede» nella prima rappresaglia nazista in Italia compiuta dopo l’armistizio dell’8 settembre. Tra le 24 vittime dell’eccidio compiuto il 19 settembre 1943 c’erano anche loro, il parroco don Giuseppe nato a Caraglio, di 46 anni, e il suo giovane vice, don Mario di 23 anni, nativo di Borgo San Dalmazzo e sacerdote da soli tre mesi. Quel tragico giorno era iniziato con uno scontro tra uno dei primi gruppi partigiani e i tedeschi, con il rapimento di due SS. Il loro comandante, Jaochim Peiper, coinvolse don Bernardi e l’imprenditore Antonio Vassallo come mediatori per la loro liberazione. Nonostante l’esito positivo della trattativa Peiper ordinò di incendiare il paese. Al termine della lunga giornata don Giuseppe e Vassallo furono trucidati e bruciati, don Mario ucciso nell’atto di benedire un bovesano colpito dal fuoco di un soldato tedesco. Fin dalle prime ore del giorno si erano impegnati per cercare di salvare il paese e i suoi abitanti a costo della loro stessa vita. Seppure prigioniero don Bernardi invitò alcune ragazze a pregare con lui davanti alla salma di un soldato tedesco, un gesto che negli anni ha portato frutti di pace e di riconciliazione.

Alla cerimonia di domenica pomeriggio, che si terrà dalle 15 in piazza Avis (vicino al santuario di Madonna dei Boschi) ci sarà anche Irma, una delle ragazze che in quel tragico giorno, pregò accanto a don Bernardi e al soldato ucciso.

Il processo di beatificazione è iniziato nel maggio del 2013, la firma ufficiale del vescovo di Cuneo e di Fossano, era allora Giuseppe Cavallotto, fu apposta nel convento delle Clarisse di Boves. Dallo stesso luogo il 26 aprile del 2016 partirono le reliquie dei due sacerdoti per essere traslate nella chiesa di San Bartolomeo, ora punto di riferimento per la preghiera e la richiesta di perdono da parte di molti devoti ai due «martiri». Da qualche anno la comunità delle suore si è trasferita a Bra, ma una loro delegazione sarà presente alla cerimonia a dimostrazione del forte legame con tutta la comunità.

Numerosi gli appuntamenti che si sono susseguiti dopo l’annuncio, avvenuto il 9 aprile scorso, della volontà di papa Francesco di proclamare beati don Bernardi e don Ghibaudo. Mostre, momenti di preghiera hanno segnato questi mesi, come si è intensificato il rapporto con la comunità di Schondorf. Un’amicizia che affonda le radici nella comune volontà di lavorare per la pace iniziata quando l’Associazione don Bernardi e don Ghibaudo scoprì che Peiper è seppellito nella parte laica del cimitero della parrocchia di Schondorf.

Il parroco di Boves, don Bruno Mondino, scrisse una lettera per chiedere di incontrarsi e in poco tempo arrivò da parte del suo collega tedesco, Heinrich Weiss, la risposta affermativa. Da allora le due comunità hanno condiviso momenti di preghiera e di amicizia. Una delegazione sarà presente alla cerimonia, ci sarà anche il loro coro insieme a quello della parrocchia bovesana e della Cattedrale di Cuneo ad animare la Messa. Il quadro che raffigura i due beati è stato realizzato da don Gianluca Busi, parroco di Marzabotto, un ulteriore segnale di condivisione tra comunità che hanno sofferto e che sono rinate nel segno del bene comune.

Avvenire

Beati Martiri Albanesi (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) 5 novembre

† Albania, 1945/1974

Tra i numerosissimi cattolici di nazionalità albanese, che durante il regime comunista (1944-1991) hanno subito prigionia, torture e falsi processi, nel tentativo di sradicare il Vangelo e la cultura di un intero popolo, sono stati selezionati i nomi di 38 candidati agli altari, capeggiati dall’arcivescovo di Durazzo, monsignor Vincenzo Prennushi. La lista comprende due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti francescani, 3 gesuiti (due sacerdoti e un fratello coadiutore), un seminarista e quattro laici (compresa un’aspirante religiosa). Sono stati beatificati il 5 novembre 2016, nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Scutari.

Secondo alcune stime, in Albania, sotto il regime comunista negli anni 1944-1991, sono stati uccisi cinque vescovi, sessanta sacerdoti, trenta religiosi francescani e tredici gesuiti, dieci seminaristi e otto suore, senza contare i laici.
Le accuse con le quali venivano arrestati, torturati e a volte sottoposti a processi dall’esito già scritto erano principalmente due: quella di essere spie della Santa Sede e, specie nel caso di quanti avevano avuto contatti con l’Europa, di essere collaborazionisti del nazismo o del fascismo. C’era anche un ulteriore motivo: dato che molti sacerdoti erano anche letterati, eliminandoli fisicamente s’intendeva dare anche un duro colpo all’identità nazionale.
La dolorosa situazione dei cattolici albanesi ebbe fine quando, il 4 novembre 1990, la celebrazione di una Messa al cimitero cattolico di Scutari segnò la ripresa della pubblica professione di fede. Da allora, la memoria di quanti avevano dato la vita per la fede si è intensificata e ha portato alla richiesta d’introdurre la causa di beatificazione per alcuni di essi.
Quindi il 10 novembre 2002, nella cattedrale di Scutari, alla presenza del cardinal Crescenzio Sepe, all’epoca Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, è stata introdotta la fase diocesana del processo per accertare l’effettivo martirio di 38 candidati, capeggiati da Vincenzo Prennushi (al secolo Kolë), religioso dei Frati Minori e arcivescovo di Durazzo. La lista comprende due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti francescani, 3 gesuiti (due sacerdoti e un fratello coadiutore), un seminarista e quattro laici.
Contemporaneamente, ma in maniera distinta, sono cominciate le cause del francescano padre Luigi Paliq, morto nel 1913, e del sacerdote diocesano don Gjon Gazulli, ucciso nel 1927; le loro sono state considerate “cause storiche”.
Le tre inchieste sono state concluse l’8 dicembre 2010, sempre nella cattedrale di Scutari, alla presenza del cardinale Claudio Hummes, Prefetto Emerito della Congregazione per il Clero, e convalidate con decreto del 9 marzo 2012.
Papa Francesco si è così espresso il 21 settembre 2014, nel corso del suo viaggio apostolico in Albania, precisamente durante la celebrazione dei Vespri nella cattedrale di Scutari: «In questi due mesi, mi sono preparato per questa visita, leggendo la storia della persecuzione in Albania. E per me è stata una sorpresa: io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto! Poi, oggi, nella strada dall’aeroporto fino alla piazza, tutte queste fotografie dei martiri: si vede che questo popolo ancora ha memoria dei suoi martiri, di quelli che hanno sofferto tanto! Un popolo di martiri…».
Non molto tempo dopo, ossia nel mese di luglio 2015, sono stati presentati alla Congregazione vaticane delle Cause dei Santi i due volumi della “positio super martyrio” di monsignor Prennushi e dei suoi 38 compagni. Il 17 novembre dello stesso anno i consultori teologi si sono pronunciati favorevolmente circa l’effettiva morte in odio alla fede dei potenziali martiri. Il 26 aprile 2016, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che ufficializzava il loro martirio.
La loro beatificazione è stata fissata al 5 novembre 2016, sulla piazza della cattedrale di Santo Stefano a Scutari; a presiederla, in qualità di delegato del Santo Padre, il cardinal Amato.

Nel presentare l’elenco che segue, ordinato in base alle date di morte dei singoli Beati, precisiamo che, nel caso dei religiosi, il nome al secolo è riportato tra parentesi tonde, mentre quello religioso è italianizzato. Nelle singole schede, invece, è italianizzato anche il nome proprio di quelli che non sono religiosi. Quando possibile, verrà inserito il numero della scheda relativa al singolo personaggio.

97000 – Lazër Shantoja, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 5 marzo 1945 a Tirana

97003 – Ndre Zadeja, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 25 marzo 1945 a Scutari

92209 – Giovanni Fausti, sacerdote gesuita
95819 – Giovanni (Kolë) Shllaku, sacerdote francescano
92220 – Daniel Dajani, sacerdote gesuita
Qerim Sadiku, laico dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
96993 – Mark Çuni, seminarista dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
Gjelosh Lulashi, laico dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 4 marzo 1946 a Scutari

97010 – Alfons Tracki, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 18 luglio 1946 a Scutari

Fran Mirakaj, laico coniugato dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† settembre 1946 a Tirana

97015 – Josef Marxen, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 16 novembre 1946 a Tirana

95815 – Bernardino (Zef) Palaj, sacerdote francescano
† 2 dicembre 1946 a Scutari

97017 – Luigj Prendushi, sacerdote della Diocesi di Sapë
† 24 gennaio 1947 a Shelqet, Scutari

97018 – Dedë Maçaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 28 marzo 1947 a Përmet

97019 – Mark Gjani, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 1947 a Shën Pal, Mirditë

95822 – Serafino (Gjon) Koda, sacerdote francescano
† 11 maggio 1947 a Lezhë

92221 – Gjon Pantalia, fratello gesuita
† 31 ottobre 1947 a Scutari

97021 – Anton Zogaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 9 marzo 1948 a Durazzo

97001 – Frano Gjini, vescovo e abate nullius di Sant’Alessandro a Orosh (attualmente in Diocesi di Rrëshen)
95821 – Mattia (Pal) Prennushi, sacerdote francescano
95816 – Cipriano (Dedë) Nika, sacerdote francescano
† 11 marzo 1948 a Scutari

95817 – Dedë Plani, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 30 aprile 1948 a Scutari

97020 – Ejëll Deda, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 12 maggio 1948 a Scutari

97023 – Anton Muzaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† primavera 1948 a Scutari

Pjetër Çuni, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 31 luglio 1948 (data probabile) a Koplik, Scutari

97024 – Josif Papamihali, sacerdote dell’Amministrazione apostolica dell’Albania del Sud (Rito greco-cattolico albanese)
† 26 ottobre 1948 a Maliq, Coriza

92980 – Aleksander Sirdani, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 26 dicembre 1948 a Koplik, Scutari

95823 – Vincenzo (Kolë) Prennushi, sacerdote francescano, arcivescovo di Durazzo
† 20 marzo 1949 a Durazzo

97025 – Jak Bushati, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 12 febbraio 1949 a Lezhë

95818 – Gaspare (Mikel) Suma, sacerdote francescano
† 16 aprile 1950 a Scutari

94615 – Maria Tuci, giovane laica, aspirante delle Suore Stimmatine
† 24 ottobre 1950 a Scutari

97032 – Jul Bonati, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 5 novembre 1951 a Scutari

95820 – Carlo (Ndue) Serreqi, sacerdote francescano
† 4 aprile 1954 a Burrel, Scutari

97033 – Ndoc Suma, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 22 aprile 1958 a Scutari

97037 – Dedë Malaj, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 12 maggio 1959 a Scutari

97035 – Marin Shkurti, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† aprile 1969 a Scutari

97034 – Shtjefën Kurti, sacerdote dell’Arcidiocesi di Tirana-Durazzo
† 20 ottobre 1971 a Fushe, Krujë

97036 – Mikel Beltoja, sacerdote dell’Arcidiocesi di Scutari-Pult
† 10 febbraio 1974 a Scutari

Autore: Emilia Flocchini

Martirio e persecuzione: le storie raccontate dal cinema

Le storie di martirio e persecuzione anticristiana hanno spesso catturato l’attenzione del Cinema, nonostante siano soggetti complessi e dalle diverse sfaccettature. L’ultima grande pellicola su questo tema, che uscirà nelle sale italiane il 12 gennaio prossimo, è “Silence” di Martin Scorsese sui martiri giapponesi del XVII secolo. Per approfondire il rapporto fra il Cinema e i temi del martirio e della persecuzione, il servizio di Debora Donnini con gli interventi diSergio Perugini, esperto di cinema, che lavora presso la Commissione Nazionale Valutazione Film e l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana

Parlare del martirio cristiano è parlare di una storia di amore, non di eroismo, un amore così forte per cui si è disposti anche a dare la propria vita. Uno dei film sulla persecuzione, che recentemente ha colpito molto anche il mondo laico, è stato “Uomini di Dio” del 2010. E’ la storia dei monaci trappisti di Tibhirine, in Algeria: una vita vissuta in una profonda armonia con la popolazione musulmana locale, deturpata però dall’insorgere del fondamentalismo. Un film dunque di straordinaria attualità, ci conferma Sergio Perugini:

“’Uomini di Dio’ è un film importante, che racconta l’uccisone di questi monaci in Algeria, figure straordinarie che hanno costruito un ponte di dialogo con l’Islam, una religione che conoscevano profondamente. Il film è soprattutto un atto d’amore e di pace perché, come ricorda Papa Francesco, non c’è violenza nella religione: è l’uomo che a volte sporca il senso della religione”.

Ci sono anche film dove centrale è la storia personale del martire, come quello sulla vita di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein. “La settima stanza”, pellicola del 1994, racconta la sua vicenda: filosofa, allieva di Husserl, ebrea, si converte al cristianesimo. Si fa poi carmelitana e alla fine viene uccisa nelle camere a gas di Auschwitz. La sua storia è ripercorsa attraverso il suo pensiero e la vita spirituale: le sette stanze che l’anima attraversa per arrivare all’unione d’amore con Dio, tratte da Santa Teresa d’Avila. Quindi una visione cinematografica quasi mistica, che ha sullo sfondo un dramma che ha segnato la storia recente dell’Europa. Qual è la forza di questo film nel parlare del martirio?

“Il film ‘La Settima stanza’, del 1994, di Márta Mészáros, è un importante documento che racconta la storia di Edith Stein ma al tempo stesso è un film che offre il ritratto di una vita spesa per l’altro, di un cristiano che si è abbandonato all’abbraccio del Padre attraverso questo cammino sofferto. Nel percorso delle sette stanze, è molto interessante il ruolo della soglia: ogni volta che Edith fa un passo, un cambiamento nella propria vita – l’uscita da casa, l’allontanamento dall’Università, il portone del Carmelo, il vagone che la conduce ad Aushwitz – sono tutte porte che si chiudono alle spalle di Edith per sottolineare questo percorso di passaggio, fino all’ultimo momento in cui si lascia andare verso la camera a gas, a questa luce abbagliante. Ad un certo punto dice: ‘Ho paura, mamma’. Invoca la mamma, quella figura a lei molto cara con la quale si era creato inizialmente uno strappo per la rinuncia alla religione ebraica. Si tratta quindi dell’abbraccio di riconciliazione. È un film molto luminoso che, come ricorda mons. Dario Edoardo Viganò, ha anche un richiamo di tipo parabolico, un film che richiama anche la figura di Cristo”.

Da non dimenticare anche il film di Zanussi su San Massimiliano Kolbe, anche lui martire:

“Vita per la vita. Maximilian Kolbe” è una delle opere che tra l’altro verranno programmate nel 2017 da Tv2000, l’emittente della Conferenza episcopale italiana. La direzione di Paolo Ruffini ha voluto imprimere una crescita all’emittente potenziando la programmazione di film e di fiction, che affrontassero i temi sociale, ma anche le figure della Chiesa, che si sono spese per il Vangelo. Quindi penso a ‘Uomini di Dio’, a ‘Un Dios prohibido’, che sarà un’importante anteprima di Tv2000 con l’anno nuovo, ‘Maria Goretti’, fino anche a ‘Cristiada’ o ‘Per amore del mio popolo’ sulla vita di don Peppe Diana …”.

Ci sono poi film che mettono in rilievo l’impegno sociale: l’amore per Dio e le istanze di libertà si intrecciano inscindibilmente nella difesa dei più deboli che siano gli operai di Solidarnosc, nella vita del prete polacco, il martire, Jerzy Popielusko, o i bambini di Brancaccio da sottrarre alle grinfie della mafia, con il Beato don Pino Puglisi, fino ai poveri contadini oppressi dalla dittatura militare in Salvador e difesi dal Beato mons. Oscar Romero. Anche in queste storie di stampo più sociale si evidenzia la centralità dell’amore di Dio come fonte delle opere da loro compiute:

“Indubbiamente. Le opere citate sono racconti sociali dove spicca forte e luminosa la figura di un sacerdote che offre la propria vita, la propria carne per i poveri, per gli ultimi, per gli emarginati. È stato citato Popieluszko, sacerdote che scese in campo insieme ai lavoratori, agli emarginati, al movimento Solidarnosc. Lui stesso nei suoi scritti più volte ha detto: ‘Sto combattendo il male, non le vittime del male’, perché comunque non dimentica le parole di Gesù, e cioè l’invito a pregare sempre per i propri nemici. Penso anche a don Pino Puglisi, con il film di Roberto Faenza, ‘Alla Luce del sole’ del 2004, interpretato da Luca Zingaretti, che racconta la parabola di questo sacerdote che scende nelle vie di Brancaccio per sottrarre i bambini alla mafia e dare loro speranza. Ultimo ritratto è quello del vescovo Oscar Romero”.

Ci sono poi film in cui si narrano le persecuzioni di forte stampo anticlericale nel XX secolo, come “Un Dios prohibido” sui 51 clarettiani martiri, che furono uccisi durante la guerra civile spagnola. Forte, poi, l’interesse del Cinema anche per figure come Santa Giovanna d’Arco. Basti pensare che la Pulzella d’Orleans è stata protagonista di almeno 6 lungometraggi. Ma a conquistare il grande pubblico sono stati anche film del passato, che raccontano le prime persecuzioni della Roma imperiale, anche se con una sensibilità diversa, come il kolossal Quo Vadis, del 1951. E ancora si contano, tra gli altri, documentari come quello su Charles de Foucault e i Piccoli Fratelli di Liliana Cavani o il più recente Nassarah di Riccardo Bicicchi sul massacro dei cristiani in Medio Oriente. La settima arte non ha quindi snobbato soggetti a volte anche scomodi, anzi continua a interrogarsi sul sangue innocente versato nel martirio dove, come dice Papa Francesco, “la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita”.

radio vaticana

Vaticano, in Albania a settembre proclamati beati i primi martiri del comunismo

Città del Vaticano Papa Bergoglio proclama beati i primi martiri del regime di Henver Hoxa, la dittatura comunista che dal 1945 al 1990 in Albania cercò di mettere al bando Dio dalla società albanese. Nella Costituzione rimasta in vigore fino al 1992 si celebrava il “primo Stato ateo al mondo”. Prigioni, torture, lavori forzati, sevizie, uccisioni. Lo stesso destino toccato ai primi 38 beati che il prossimo 5 settembre, a Scutari, verranno elevati all’onore degli altari dal vescovo locale, su indicazione di Papa Francesco. Ad annunciarlo è stato  Francesco che ha mandato una lettera ai vescovi del Paese, ultima tappa del processo canonico che, dopo un lungo iter, ha riconosciuto la “testimonianza del martirio per la fede e la patria”.

Tra questi martiri emblematica è la vicenda di monsignor Prennushi, nato a Scutari il 4 settembre 1885. Un francescano colto e mite che venne arrestato nel 1947 e condannato a 20 anni di prigione. Morì in carcere a Durazzo, a seguito delle ripetute torture subite poiché non acconsentì alla richiesta del dittatore Hoxha di formare una Chiesa nazionale, fedele al regime comunista e non al Papa. Con questo vescovo, nella stessa prigione  c’erano anche diversi gesuiti, francescani, altri preti diocesani ed anche quattro laici, tre uomini e una donna, di varie nazionalità: due tedeschi, la maggior parte albanesi, un gesuita italiano e alcuni sacerdoti di origine croata.

Durante la dittatura la fede cattolica in Albania fu preservata grazie agli anziani preti torturati e costretti ai lavori forzati nei lager (se ne contavano 31 nel 1991 secondo i rapporti di Amnesty International), alle suore che a rischio della vita battezzavano clandestinamente i bambini e alle anziane nonne che insegnavano le preghiere ai nipoti prima di addormentarsi, nascoste sotto le coperte per non farsi sentire. Davanti alle chiese (che nel frattempo erano state confiscate e trasformate in teatri e centri sportivi) capitava di notare ogni tanto qualche cero lasciato nel buio della notte. A scuola i bambini venivano istigati a denunciare i genitori se si azzardavano a insegnare loro le preghiere; a Pasqua bastava avere l’alito che sapeva di aglio (che gli albanesi usano per festeggiare quel giorno) per rischiare l’arresto.

Il Messaggero