ITE MISSA EST, GIRO DI VITE DEL PAPA SULLE MESSE CON RITI PRECONCILIARI

Addolorato per gli abusi nelle celebrazioni liturgiche commessi «da una parte e dall’altra», Jorge Mario Bergoglio, con il Motu proprio Traditionis custodes e con una lettera d’accompagnamento spiega che certe concessioni fatte da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per unire e sanare vecchie ferite sono state in realtà usate male da molti e che il Messale di San Pio V è servito strumentalmente ad «aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa»

da Famiglia Cristiana

La prima cosa da mettere in chiaro è che il latino non c’entra. O meglio: c’entra fino a un certo punto. Anche l’editio tipica dell’ultimo Messale, diventato obbligatorio la scorsa Pasqua, è in latino. Conta, invece, questo sì, il modo di essere Chiesa, di concepire la preghiera comunitaria, di vivere la liturgia. E conta una data, il 1970, anno in cui si perfezionò la riforma liturgica, spartiacque tra un prima (non ancora innervato dal Concilio Vaticano II anche per quanto riguarda i riti della celebrazione eucaristica), e un dopo, che si spinge fino a noi.

Con il Motu proprio Traditionis custodes, papa Francesco stabilisce che «i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano»; prevede che la responsabilità di regolare la celebrazione secondo il rito preconciliare torni ai singoli vescovi, essendo loro «esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962» nelle diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica; chiede ai pastori di accertarsi che quanti già celebrano con il messale antico «non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici».

Le Messe con il rito antico, prosegue il Motu proprio, non si devono più celebrare nelle chiese parrocchiali, il vescovo stabilirà il luogo di culto e i giorni prescelti. Le letture dovranno essere in lingua corrente, usando le traduzioni approvate dalle Conferenze episcopali. Il celebrante dovrà essere un sacerdote delegato dal vescovo. A quest’ultimo spetta anche di verificare l’opportunità di mantenere o meno le celebrazioni secondo il messale antico, verificandone la «effettiva utilità per la crescita spirituale». È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli. Il vescovo «avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi».

I sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu proprio datato 16 luglio 2021, che intendono celebrare con il messale preconciliare «devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica». Mentre quelli che già lo fanno dovranno chiedere al vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare a usarlo. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, «a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei» passano sotto la competenza della Congregazione per i Religiosi. I Dicasteri del Culto, e dei Religiosi vigileranno sull’osservanza di queste nuove disposizioni.

Papa Francesco ha a cuore la Chiesa. La sua unità. Per questo al Motu proprio ha affiancato una lettera di accompagnamento in cui illustra i motivi che l’hanno portato a queste decisioni. Rivolto ai vescovi di tutto il mondo, Jorge Mario Bergoglio spiega che le concessioni stabilite dai suoi predecessori per l’uso del messale antico erano soprattutto motivate “dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre”. La richiesta, rivolta ai vescovi, di accogliere con generosità le “giuste aspirazioni” dei fedeli che domandavano l’uso di quel messale, “aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa”. Quella facoltà, osserva Francesco, “venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI”.

Il Papa ricorda che la decisione di Benedetto XVI con il Motu proprio Summorum Pontificum (2007) era sostenuta dalla «convinzione che il tale provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del Concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l’autorità». Papa Ratzinger quattordici anni fa dichiarava infondato il timore di spaccature nelle comunità parrocchiali, perché, scriveva, «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda». Ma il sondaggio recentemente promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede tra i vescovi ha portato risposte che rivelano, scrive Francesco, «una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire», in quanto il desiderio di unità è stato «gravemente disatteso», e le concessioni offerte con magnanimità sono state usate «per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».

Il Papa si dice addolorato per gli abusi nelle celebrazioni liturgiche «da una parte e dall’altra», ma si dice pure rattristato per «un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’ ». Dubitare del Concilio, spiega Francesco, «significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel Concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa».

Francesco aggiunge infine un’ultima ragione per la sua decisione di modificare le concessioni del passato: «è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione… contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori».

Il Vangelo. Finché cʼè compassione il mondo può sperare. XVI Domenica Tempo ordinario – Anno B

ERMES RONCHI

XVI Domenica Tempo ordinario – Anno B In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’».

Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Venite in disparte e riposatevi un po’. I suoi sono ritornati felici da quell’invio a due a due, da quella missione in cui li aveva lanciati, un pellegrinaggio di Parola e di povertà. I Dodici hanno incontrato tanta gente, l’hanno fatto con l’arte appresa da Gesù: l’arte della prossimità e della carezza, della guarigione dai demoni del vivere. Ora è il tempo dell’incontro con se stessi, di riconnettersi con ciò che accade nel proprio spazio vitale. C’è un tempo per ogni cosa, dice il sapiente d’Israele, un tempo per agire e un tempo per interrogarsi sui motivi dell’agire. Un tempo per andare di casa in casa e un tempo per “fare casa” tra amici e con se stessi. C’è tanto da fare in Israele, malati, lebbrosi, vedove di Nain, lacrime, eppure Gesù, invece di buttare i suoi discepoli dentro il vortice del dolore e della fame, li porta via con sé e insegna loro una sapienza del vivere.

Viviamo oggi in una cultura in cui il reddito che deve crescere e la produttività che deve sempre aumentare ci hanno convinti che sono gli impegni a dare valore alla vita. Gesù ci insegna che la vita vale indipendentemente dai nostri impegni (G. Piccolo).

La gente ha capito, e il flusso inarrestabile delle persone li raggiunge anche in quel luogo appartato. E Gesù anziché dare la priorità al suo programma, la dà alle persone. Il motivo è detto in due parole: prova compassione. Termine di una carica bellissima, infinita, termine che richiama le viscere, e indica un morso, un crampo, uno spasmo dentro. La prima reazione di Gesù: prova dolore per il dolore del mondo. E si mise a insegnare molte cose. Forse, diremmo noi, c’erano problemi più urgenti per la folla: guarire, sfamare, liberare; bisogni più immediati che non mettersi a insegnare. Forse abbiamo dimenticato che c’è una vita profonda in noi che continuiamo a mortificare, ad affamare, a disidratare. A questa Gesù si rivolge, come una manciata di luce gettata nel cuore di ciascuno, a illuminare la via. Questo Gesù che si mette a disposizione, che non si risparmia, che lascia dettare agli altri l’agenda, generoso di sentimenti, consegna qualcosa di grande alla folla: «Si può dare il pane, è vero, ma chi riceve il pane può non averne bisogno estremo. Invece di un gesto d’affetto ha bisogno ogni cuore stanco. E ogni cuore è stanco» (Sorella Maria di Campello). È il grande insegnamento ai Dodici: imparare uno sguardo che abbia commozione e tenerezza. Le parole nasceranno. E vale per ognuno di noi: quando impari la compassione, quando ritrovi la capacità di commuoverti, il mondo si innesta nella tua anima, e diventiamo un fiume solo. Se ancora c’è chi sa, tra noi, commuoversi per l’uomo, questo mondo può ancora sperare.

(Letture: Geremia 23, 1-6; Salmo 22; Efesini 2,1318; Marco 6, 30-34)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Erano come pecore che non hanno pastore»

Foglietto Letture e Salmo XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) 18 Luglio 2021

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Verde

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

Come mostra la prima lettura, e il Vangelo stesso, oggi al centro della parola che la liturgia ci porta c’è il fatto che Dio ha concretizzato le sue promesse in Gesù di Nazaret: attraverso il suo Salvatore egli veglia sul suo popolo. Il Vangelo descrive la “piccola” gente di Galilea che si affolla al seguito di Gesù come una comunità di uomini sfiniti di cui nessuno si occupa. Essi hanno sentito che Gesù si preoccupa sinceramente di loro, e che ha il potere di venire loro veramente in aiuto. È ciò che fa, portando l’indispensabile salvezza a tutti quelli che si rivolgono a lui fiduciosi, nella loro disgrazia sia fisica che sociale o spirituale.
La Chiesa non cerca oggi di distrarci con delle belle storie che parlano dei tempi passati. Attira la nostra attenzione sul fatto che Gesù Cristo risuscitato continua ad agire come il Salvatore di Dio. Egli può e vuole aiutarci nella nostra disgrazia. Compatisce le nostre preoccupazioni. Nella nostra miseria possiamo rivolgerci a lui. Egli ci consolerà, ci darà la forza, ci esaudirà. È lui che ci fa trovare le vie per uscire dalla disgrazia, che ci mette accanto delle persone che ci aiutino. E soprattutto, Gesù Cristo conosce l’ultima e la peggiore delle nostre miserie: la nostra ricerca di una salvezza duratura e felice, che sia per noi o per tutti quelli che amiamo, dei quali ci preoccupiamo, e che abitano con noi questo mondo.

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Foglietto, Letture e Salmo

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Verde

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

 

Ecco due miracoli di Gesù legati uno all’altro. Il loro messaggio è complementare. Si tratta di due donne: una all’inizio della sua vita, l’altra al termine di lunghe sofferenze che la sfiniscono. Né l’una né l’altra possono più essere salvate dagli uomini (vv. 23 e 26). Ma sia l’una che l’altra saranno salvate dall’azione congiunta della forza che emana da Gesù e dalla fede: per la donna la propria fede, per la bambina la fede di suo padre (vv. 34 e 36). Bisogna notare soprattutto che la bambina ha dodici anni (v. 42) e che la donna soffre da dodici anni (v. 25). Questo numero non è dato a caso. C’è un grande valore simbolico poiché esso è legato a qualcosa che si compie. Ci ricordiamo che Gesù fa la sua prima profezia a dodici anni (Lc 2,42 e 49). Gesù sceglie dodici apostoli, poiché è giunto il tempo. Significano la stessa cosa le dodici ceste di pane con le quali Gesù sfama i suoi discepoli (Mc 6,43). E la fine dei tempi è simboleggiata dalle dodici porte della Gerusalemme celeste (Ap 21,12-21). Così come la donna dell’Apocalisse (immagine di Maria, della Chiesa) è coronata da dodici stelle (Ap 12,1). Senza parlare dell’albero della vita originale che si trova, in un parco, al centro della città e dà dodici raccolti. E quando sappiamo che il giorno per Gesù conta dodici ore (Gv 11,9) capiamo che i nostri due miracoli non sono semplici gesti di misericordia, ma che nascondono una rivelazione: essendo giunto il tempo, l’umanità peccatrice (Gen 3,12) è liberata dai suoi mali. Gli uomini non possono fare nulla per lei, e lo riconoscono (v. 35), ma per Dio nulla è impossibile (Lc 1,37). Gesù non chiede che due cose: “Non temere, continua solo ad aver fede” (v. 36).

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B), Foglietto, Letture e Salmo

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Verde

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

In questo brano tutto è volto a descrivere la situazione dell’umanità nella sua lenta storia e tutto mira ad annunciare il
piano divino che il Figlio di Dio vuole realizzare. È venuta la sera: la notte della paura e del dubbio; la fine del giorno e delle sue effimere certezze. Gesù invita la sua Chiesa a prendere il largo e a “passare” all’altra riva. Si tratta di un invito alla Pasqua che è un “passaggio”: passaggio del mar Rosso per il popolo eletto, liberato dalla schiavitù e condotto alla libertà; passaggio dalla morte per il Figlio dell’uomo liberato dal peccato e condotto alla gloria. L’altra riva è la riva di Dio, la riva che non si vede e di cui Gesù rivela il cammino (Gv 14,4). La barca che attraversa il lago con i discepoli e Gesù è la Chiesa. Come l’arca di Noè, essa è stata costruita appositamente per “passare”. Ma scoppia una tempesta. Le forze del male si scatenano contro di essa. La barca si riempie d’acqua, qui simbolo di morte: l’acqua toglie il respiro all’uomo. Il male lotta contro lo Spirito. E Gesù dorme. L’assenza di Gesù pesa enormemente sul cuore dei fedeli: non vedendo Gesù, hanno paura e giungono persino a pensare che non sarebbero mai riusciti a compiere la traversata e che non avrebbero mai dovuto prendere il largo su quella barca. Ma la preghiera insistente dei fedeli, che lo chiamano, viene sentita da Gesù. Si sveglia. Egli è là, come ha promesso (Mt 28,20). Gesù salva la sua Chiesa da tutte le tempeste che minacciano di farla affondare. Gesù non rimprovera il fatto che non lo si sia svegliato subito, ma biasima invece la mancanza di fede. Bisogna pregarlo, e pregarlo con fede. La paura di morire, che è negativa, viene allora sostituita dal timore di Dio, che è l’obbedienza dei fedeli al loro Salvatore. Questa è la nostra situazione: la debolezza della nostra imbarcazione trae forza dalla presenza di Cristo: egli ci fa passare.

Santo del giorno 2 Gennaio Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno

Tra studio e preghiera, così si comprende il mondo

Studio e preghiera, intelligenza e carità: sono queste le dimensioni necessarie non solo per meglio entrare nel mistero di Dio ma anche per comprendere il mondo che ci circonda. Così i due santi ricordati oggi, Basilio Magno (330-379) e Gregorio Nazianzeno (329-390), hanno percorso la vita della santità e hanno lasciato una preziosa eredità spirituale e teologica, tanto da essere dichiarati dottori della Chiesa. Basilio, era nato a Cesarea, di cui fu poi vescovo. È considerato l’organizzatore della vita monastica orientale; approfondì la teologia trinitaria, affermò la necessità per i giovani di una buona preparazione classica ma si dedicò anche ai poveri. Gregorio, suo amico fin dai tempi degli studi, fu vescovo di Sásima, di Costantinopoli e di Nazianzo. Meno portato per il ‘governo’, ma dotato di sensibilità poetica, preferiva curare la teologia.

Altri santi. San Giovanni il Buono, vescovo ( VII sec.); beato Guglielmo Repin, sacerdote e martire (1709-1794).

Letture. 1Gv 2,22-28; Sal 97; Gv 1,19-28.

Ambrosiano. Dn 2,26-35; Sal 97 (98); Fil 1,1-11; Lc 2,28b-32.

Foglietto Letture e Salmo 1 Gennaio Maria Santissima Madre di Dio

Grado della Celebrazione: SOLENNITA’

Colore liturgico: Bianco
MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO
S0101 ;

Il brano del vangelo ci narra un episodio della vita di una famiglia ebrea, ma l’ambientazione è inusuale per una nascita. Si tratta di una famiglia emarginata socialmente. Eppure il bambino è Dio e la giovane donna l’ha concepito e partorito nella verginità. Alcuni pastori si affrettano, in risposta a un messaggio dal cielo, per riconoscerlo e glorificarlo a loro modo.
Vi è difficile considerarlo vostro Dio?
Volgete il pensiero per un attimo al fascino persistente esercitato da sua madre su uomini e donne di ogni ambiente e classe, su persone che hanno conosciuto successi o fallimenti di ogni tipo, su uomini di genio, su emarginati, su soldati angosciati e destinati a morire sul campo di battaglia, su persone che passano attraverso dure prove spirituali.
Il genio artistico si è spesso consacrato alla sua lode: pensate alla “Pietà” di Michelangelo, al gran numero di Madonne medievali e rinascimentali, alle vetrate incantevoli della cattedrale di Chartres e alla più bella di tutte le icone: la Madonna di Vladimir, che aspetta con pazienza, nel Museo Tretiakov di Mosca, giorni migliori.
Perché la Madonna ispira tanta umanità?
Forse perché è, come dicono gli ortodossi, un’icona (= immagine) di Dio?
Forse perché Dio parla per suo tramite anche se Maria resta sempre una sua creatura, sia pure una creatura unica grazie ai doni ricevuti dal Padre?
Tutto ciò è stato oggetto di discussioni, spesso accese, quando spiriti grandi cercarono di esprimere in termini umani il mistero di Dio fatto uomo.
Maria fu definita madre di Dio, “theotokos”, e ciò contribuì a calmare dispute intellettuali. Questo appellativo è particolarmente caro ai cristiani dell’Est, ai nostri fratelli del mondo ortodosso, ed è profondamente radicato nella loro teologia, ripetuto spesso nelle loro belle liturgie, specialmente nella liturgia bizantina, che è stata considerata la “più perfetta” proprio per via delle sue preghiere ufficiali dedicate al culto di Maria.
Cominciamo l’anno nel segno di questo grande mistero.
Cerchiamo allora di approfondire la nostra devozione a Maria, Madre di Dio e nostra, eliminandone, però, ogni traccia di sentimentalismo spicciolo.
Tentiamo di convincere i giovani che si tratta qui di un idealismo rispondente, certo, alle aspirazioni più profonde dello spirito umano, ma che richiede impegno e molto coraggio.

Scarica il foglietto della Messa >
Scarica le Letture del Lezionario >
Scarica il Salmo Responsoriale Cantato >

Santa Famiglia di Gesù Giuseppe e Maria – Anno B Commento al Vangelo

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore
– com’è scrittonella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi (…). Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo (…) gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore (…).
Portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.
Una giovanissima coppia e un neonato che portano la povera offerta dei poveri: due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino. Vengono nella casa del Signore e sulla soglia è il Signore che viene loro incontro attraverso due creature intrise di vita e di Spirito, due anziani, Simeone e Anna, occhi stanchi per la vecchiaia e giovani per il desiderio: la vecchiaia del mondo accoglie fra le sue braccia l’eterna giovinezza di Dio. E la liturgia che si compie, in quel cortile aperto a tutti, è naturale e semplice, naturale e perciò divina: Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio. Compie un gesto sacerdotale, una autentica liturgia, possibile a tutti. Un anziano, diventato onda di speranza, una laica sotto l’ala dello Spirito benedicono Dio e il figlio di Dio: la benedizione non è un ufficio d’élites, ma esubero di gioia che ciascuno può offrire a Dio (R. Virgili). Anche Maria e Giuseppe sono benedetti, tutta la famiglia viene avvolta da un velo di luce per la benedizione e la profezia di quella coppia di anziani laici, profeti e sacerdoti a un tempo: la benedizione e la profezia non sono riservate ad una categoria sacra, abitano nel cortile aperto a tutti. Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che sono per me e per te: io non morirò senza aver visto l’offensiva di Dio, l’offensiva della luce già in atto dovunque, l’offensiva mite e possente del lievito e del granello di senape. Poi Simeone dice tre parole immense su Gesù: egli è qui come caduta, risurrezione, come segno di contraddizione. Gesù come caduta. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, rovina del nostro mondo di maschere e bugie, della vita insufficiente e malata. Venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a portare spada e fuoco per tagliare e bruciare ciò che è contro l’umano. Egli è qui per la risurrezione: è la forza che ti fa rialzare quando credi che per te è finita, che ti fa partire anche se hai il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. È qui e assicura che vivere è l’infinita pazienza di ricominciare. Cristo contraddizione del nostro illusorio equilibrio tra il dare e l’avere; che contraddice tutta la mia mediocrità, tutte le mie idee sbagliate su Dio. Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro e movimento alla vita, con dentro il luminoso potere di far vedere che tutte le cose sono ormai abitate da un oltre. La figura di Anna chiude il grande affresco. Una donna profeta! Un’altra, oltre ad Elisabetta e Maria, capaci di incantarsi davanti a un neonato perché sentono Dio come futuro.
(Letture: Genesi 15, 1-6; 21,1-3; Salmo 104; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2, 22-40)