5 minuti con la Parola, il sussidio di novembre disponibile online

L’Ufficio per la pastorale giovanile della Diocesi di Novara offre a tutti la possibilità di leggere gratuitamente il sussidio per la preghiera quotidiana, quest’anno intitolato “Se non ora quando?”.

Ogni giorno offre una meditazione sul Vangelo, una preghiera e tanti spunti per la riflessione, con un linguaggio semplice, adatto anche ai più giovani.


Il fascicolo di questo mese si può scaricare da questo link

diocesinovara.it

Sanremo Giovani, i 20 semifinalisti di AmaSanremo

 © ANSA

Sono cinque gli appuntamenti con la trasmissione “AmaSanremo”, condotta da Amadeus, alle 22.45 su Rai1 e Radio2, da giovedì 29 ottobre a giovedì 26 novembre. Per 20 giovani artisti sarà il momento di sfoderare le armi migliori, voce, parole e musica, e tentare il grande salto verso Sanremo: dapprima nella finalissima di Sanremo Giovani del 17 dicembre dal Teatro del Casinò, in prima serata e sempre in diretta su Rai1, e poi al Teatro Ariston, nella categoria “Nuove proposte” del Festival 2021 (2-6 marzo).
Il percorso a tappe dell’edizione 2020 del contest di Rai1 – spiega la Rai in una nota – porterà solo 10 di loro, nella finale del 17 dicembre, ad aggiudicarsi i 6 posti in palio per la sezione Nuove Proposte del Festival 2021 e a loro si aggiungeranno i 2 artisti provenienti dalla selezione di Area Sanremo. Saranno questi 8 giovani artisti a calcare il palcoscenico del Teatro Ariston, per arrivare fino a venerdì 5 marzo, penultima puntata del Festival di Sanremo, quando si conoscerà la canzone vincitrice della categoria Nuove Proposte.
I nomi dei 20 semifinalisti, protagonisti di AmaSanremo, sono stati comunicati dal direttore artistico Amadeus (con lui nella Commissione musicale Claudio Fasulo, Gianmarco Mazzi, Massimo Martelli e Leonardo De Amicis) dopo le audizioni dal vivo dei 60 selezionati tra i 961 iscritti a Sanremo Giovani (a cui si è aggiunto di diritto il vincitore del Festival di Castrocaro), il 19 e 20 ottobre. Sono ALIOTH – “Titani”; AVINCOLA – “Goal!”; THOMAS CHEVAL – “Acqua minerale”; CHICO – “Figli di Milano”; DAVIDE SHORTY – “Regina”; FOLCAST – “Scopriti”; GALEA – “I nostri 20”; GAUDIANO – “Polvere da sparo”; GAVIO – “La mia generazione”; GINEVRA – “Vortice”; HU – “Occhi Niagara”; I DESIDERI – “Lo stesso cielo”; LE LARVE – “Musicaeroplano”; M.E.R.L.O.T – “Ssette volte”; MURPHY – “Equilibrio”; NOVA – “Giovani noi”; SCRIMA – “Se ridi”; SISSI – “Per farti paura”; WRONGONYOU – “Lezioni di volo”; GRETA ZUCCOLI – “Ogni cosa sai di te”. (ANSA).

Per il futuro delle nuove generazioni

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Osservatore Romano

L’Unesco è per sua natura un’organizzazione mondiale che riunisce 193 Stati membri di tutti i continenti. Perché l’Unesco vede l’educazione come una visione condivisa e integrale che mette al centro l’essere umano, la sua empatia, la sua dignità, per fare dell’educazione il pilastro della rifondazione delle nostre società.

Il Patto mondiale si fa così eco della grammatica, del Dna  dell’Unesco, della sua ambizione storica e umanista di costruire la pace, anzitutto, nelle nostre menti.
L’Unesco opera giorno per giorno per realizzare questa ambizione.
In primo luogo, lanciamo un’azione urgente per rispondere alla crisi attraverso la nostra Coalizione mondiale per l’educazione — una coalizione che riunisce oltre 150 partner attivi in più di 70 Paesi; una coalizione che lavora per sostenere la continuità dell’apprendimento, quando e dove ciò è possibile.

Ci concentriamo su un’azione a medio e lungo termine, attraverso il nostro impegno per un’educazione alla cittadinanza globale. Questo comporta imparare come rispettare gli altri e le loro differenze, combattere i pregiudizi e sensibilizzare riguardo alla nostra umanità comune.
A Mosul, per esempio, stiamo portando avanti uno dei progetti a maggiore carica simbolica in questo campo, sostenendo la ripresa delle attività scolastiche e della vita culturale — librerie, festival, eventi educativi: tutti pilastri essenziali per una cultura della pace e del rispetto.
Questa cultura del rispetto non va applicata soltanto alle altre persone, ma anche al mondo della natura. Per questo, l’Unesco è sempre più impegnata nell’educazione ambientale, il che ci permette di riparare un altro Patto, quello tra l’uomo e la natura.
Per ricostruire questi fondamenti, abbiamo bisogno di una visione lungimirante e a lungo termine.

Ecco perché abbiamo lanciato alcune riflessioni a livello internazionale sui futuri dell’educazione, con il sostegno di attori della società civile di tutto il mondo.
Coinvolgendo l’intera comunità discente, potremo impostare l’educazione come un bene comune globale, per il 2050 e oltre.
Infatti, questo è ciò che dobbiamo ai nostri giovani. A questo proposito, ha un forte significato simbolico il fatto che la nostra Commissione internazionale sui futuri dell’educazione sia guidata dalla presidente della Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia. In questo Paese, che ospita cento milioni di persone e si trova ad affrontare numerose sfide climatiche, i giovani sono il 60% della popolazione.

L’Unesco è quindi onorata di essere insieme a voi, di far parte di questo Patto mondiale sull’educazione, perché gli obiettivi di quest’ultimo riflettono i nostri. Vogliamo anche costruire un mondo basato sull’equità, la solidarietà e la dignità, attraverso la cooperazione internazionale e l’educazione, mettendo in luce la nostra umanità condivisa.
In questo modo, saremo in grado di preparare le prossime generazioni ad affrontare il futuro e, come dice Sua Santità, a «solcare le acque profonde del mondo».

di Audrey Azoulay
Direttore generale dell’Unesco

Veglia per la Custodia del Creato: martedì 1° settembre a Castelnovo Monti

Martedì 1° settembre si celebra la quindicesima Giornata Nazionale per la Custodia del Creato.

Nella nostra diocesi si terrà la veglia ecumenica a Castelnovo ne’ Monti presso la Chiesa della Resurrezione alle ore 21.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio dei Vescovi per questo avvenimento.

(tratto da laliberta.info)

Vivere in questo mondo con sobrietà, con  giustizia  e  con  pietà  (Tt2,12) per nuovi stili di vita

In occasione della 15a Giornata Nazionale per la Custodia del Creato le preoccupazioni non mancano: l’appuntamento di quest’anno ha il sapore amaro dell’incertezza. Con san Paolo sentiamo davvero «che tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto fino a oggi» (Rm 8,22).

Solo la fede in Cristo ci spinge a guardare in avanti e a mettere la nostra vita al servizio del progetto di Dio sulla storia. Con questo sguardo, saldi nella speranza, ci impegniamo a convertire i nostri stili di vita, disponendoci a «vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà» (Tt 2,12).

Vicinanza, gratitudine, lungimiranza

Siamo in un anno drammatico: la pandemia da Covid-19 ha portato malattia e morte in tante famiglie, ha messo in luce la nostra fragilità, ha ridimensionato la pretesa di controllare il mondo ritenendoci capaci di assicurare una vita migliore con il consumo e il potere esercitato a livello globale. Sono emerse tante contraddizioni nel nostro modo di concepire la vita e le speranze  del futuro. Si è visto un sistema socio-economico segnato dall’inequità e dallo scarto, in cui troppo facilmente i più fragili si trovano più indifesi. Alle tante persone colpite negli affetti come nel lavoro desideriamo esprimere tutta la nostra vicinanza, nella preghiera come nella solidarietà concreta.

L’emergenza sanitaria ha anche messo in luce una capacità di reazione forte della popolazione, una disponibilità a collaborare. Tanti medici ed operatori sanitari pronti a spendersi con generosità (in alcuni casi fino al dono della vita) per la cura dei malati; tanti lavoratori pronti a fare la loro parte – in condizioni spesso onerose – per consentire la prosecuzione della vita quotidiana anche in emergenza; tante famiglie pronte a stravolgimenti nella loro esistenza, restando a casa per cooperare all’azione comune; tanti uomini e donne che hanno pagato prezzi pesanti per la loro prossimità solidale ai più fragili: a tutti e tutte la nostra gratitudine, per un impegno condiviso che è sempre risorsa fondamentale nel- l’emergenza. Abbiamo toccato con mano tutta la nostra fragilità, ma anche la no- stra capacità di reagire solidalmente ad essa. Abbiamo capito che solo operando assieme – anche cambiando in profondità gli stili di vita – possiamo venirne a ca- po. Ne è prova anche la solidarietà che si è venuta a creare verso i nuovi poveri che bussano alla porta della nostra vita.

Abbiamo anche compreso il valore della lungimiranza, per non farci trovare nuovamente impreparati dall’emergenza stessa; per agire in anticipo, in modo da evitarla. Per questo adesso è tempo di ripensare tanti aspetti della nostra vita assieme, dalla coscienza di ciò che più vale e le dà significato, alla cura della stessa vita, così preziosa, alla qualità delle relazioni sociali ed economiche: davvero la pandemia ha evidenziato anche tante situazioni di vuoto culturale, di mancanza di punti di riferimento e di ingiustizia, che occorre superare. Non ultimo, in un contesto di incertezza e fragilità, diventa fondamentale ricostruire un sistema sanitario fondato sulla centralità della persona e non sull’interesse economico. Il suo smantellamento ha creato le condizioni per un impoverimento sociale.

Un pianeta malato

Cominciamo col guardare al nostro rapporto con l’ambiente; «tutto è connesso» (LS 138) e la pandemia è anche il segnale di un «mondo malato», come segnalava papa Francesco nella preghiera dello scorso 27 marzo. La scienza, provata nella sua pretesa di controllare tutto, sta ancora esplorando i meccanismi specifici che hanno portato all’emergere della pandemia. Essa appare, oltre che per ragioni sanitarie non ancora spiegate, anche come la conseguenza  di un rapporto insostenibile con la Terra. L’inquinamento diffuso, le perturbazioni di tanti ecosistemi e gli inediti rapporti tra specie che esse generano possono aver favorito il sorgere della pandemia o ne hanno acutizzato le conseguenze. Questa emergenza ci rimanda, insomma, anche all’altra grande crisi: quella ambientale, che pure va affrontata con lungimiranza. Gli ultimi mesi hanno evidenziato la profondità e l’ampiezza degli effetti che il mutamento climatico sta avendo sul nostro pianeta ed i loro profondi impatti sulla vita di tanti uomini  e donne. Se «nulla resterà come prima», anche in quest’ambito dobbiamo essere pronti a cambiamenti in profondità, per essere fedeli alla nostra vocazione di «custodi del creato».

Purtroppo, invece, troppo spesso abbiamo pensato di essere padroni e abbiamo rovinato, distrutto, inquinato, quell’armonia di viventi in cui siamo inseriti. È l’«eccesso antropologico» di cui parla Francesco nella Laudato si. È possibile rimediare, dare una svolta radicale a questo modo di vivere che ha compromesso il nostro stesso esistere? Cominciamo con l’assumere uno sguardcontemplativo, che crea una coscienza attenta, e non superficiale, della complessità in cui siamo e ci rende capaci di penetrare la realtà nella sua profondità. Da esso nasce una nuova consapevolezza di noi stessi, del mondo e della vita sociale e, di conseguenza, si impone la necessità di stili di vita rinnovati, sia quanto alle relazioni tra noi, che nel nostro rapporto con l’ambiente. A cinque anni dalla promulgazione della Laudato si occorre anche che nelle nostre Diocesi, nelle parrocchie, in tutte le associazioni e movimenti, finalmente ne siano illustrate, in maniera metodica e capillare, con l’aiuto di varie competenze, le molteplici indicazioni teologiche, ecclesiologiche, pastorali, spirituali, pedagogiche. L’enciclica attende una ricezione corale per divenire vita, prospettiva vocazionale, azione trasfiguratrice delle relazioni con il creato, liturgia, gloria a Dio.

Impegni per le comunità: un orizzonte ecumenico

A conclusione del Convegno ecumenico «Il tuo cuore custodisca i miei precetti» (Milano, 19-21 novembre 2018), voluto dalla Commissione CEI per l’ecumenismo e il dialogo e promosso dall’UNEDI assieme alle Chiese cristiane che sono in Italia, si è giunti a formulare assieme alcune indicazioni per   le nostre comunità. Possono diventare riferimenti per le iniziative pastorali in questo periodo:

  • comunicare la bellezza del creato;
  • denunciare le contraddizioni al disegno di Dio sulla creazione;
  • educare al discernimento, imparando a leggere i segni che il creato ci fa conoscere;
  • dare una svolta ai nostri atteggiamenti e abitudini non conformi all’ecosistema;
  • scegliere di costruire insieme una casa comune, frutto di un cuore riconciliato;
  • mettere in rete le scelte locali, cioè far conoscere le buone pratiche di proposte eco-sostenibili e promuovere progetti sul territorio;
  • promuovere liturgie ecumeniche sulla cura del creato in particolare per il «Tempo del Creato» (1° settembre – 4 ottobre);
  • elaborare una strategia educativa integrale, che abbia anche dei risvolti politici e sociali;
  • operare in sinergia con tutti coloro che nella società civile si impegnano nello stesso spirito;
  • le Chiese cristiane sappiano promuovere scelte radicali per la salvaguardia del

In che misura le nostre comunità sono sensibili a queste neces- sità impellenti per evitare il peggioramento della situazione del creato, che pare già al collasso? Gli stili di vita ci portano a riflettere sulle nostre relazioni, sempre più segnate dalla violenza, dal potere, dall’esclusione, proprio il contrario di quell’armonia e di quell’unità del genere umano voluta da Dio fin dall’inizio,  una famiglia umana che si costruisce nella diversità delle differenze. Proponiamo alcune opposizioni su cui riflettere nelle nostre comunità come invito urgente a nuove relazioni: accettare/omologare; accogliere/escludere; dominare/servire. Queste scelte risultano essere propositive per uno stile di vita in cui prevalga il senso sul vuoto, l’unità sulla divisione, il noi sull’io, l’inclusione sull’esclusione.

 

Roma, 24 maggio 2020

LA COMMISSIONE EPISCOPALEPER I PROBLEMI SOCIALI

E  IL  LAVORO, LA  GIUSTIZIA  E  LA PACE

LA COMMISSIONE EPISCOPALEPER L’ECUMENISMO E IL DIALOGO

Un’arma segreta chiamata empatia. #CantiereGiovani – Per costruire e alimentare un’alleanza tra le generazioni

Un testimonial di EmpatHero

A colloquio con Samuele De Grandis, cofondatore dell’app EmpatHero

Esiste un pregiudizio per cui la sempre maggiore personalizzazione dei social network è ricondotta, nell’immaginario collettivo, al presunto bisogno degli utenti più giovani di godere di un’esperienza online che sia il più possibile totalizzante, digitale e alienante. Questa retorica, tuttavia, dipende da una falsa opposizione binaria: la dimensione digitale è posta come mutualmente esclusiva della dimensione reale e umana, in quanto alla prima sono associate emozioni e aspirazioni che non possono essere né umane né reali. Questo nonostante i più giovani, per motivi anagrafici e di capacità economica, spesso fuggano alle aspirazioni commerciali ed elettorali di chi vorrebbe fare dei loro dettagliati profili online un cliente. I nativi digitali sono raffigurati come esseri umani incapaci delle emozioni più analogiche, come l’empatia.

Eppure, «sempre più studi a livello internazionale rilevano che i Gen Z (la generazione compresa fra gli ultimi anni Novanta e i primi anni 2010) usano sempre meno i social media e che questi ultimi hanno un’importanza sempre minore nella loro visione complessiva di sé stessi, della loro immagine e del mondo», ci dice Samuele De Grandis, cofondatore e ceo dell’app EmpatHero. Nata da poco più di un anno, la start-up che sfida la presunta disumanità del digitale ha vinto il programma di accelerazione dell’università di Roma Tor Vergata, VGen, e dal prossimo autunno darà il via a un progetto di collaborazione con diverse scuole elementari della capitale. «Ma la soddisfazione maggiore — ci dice l’amministratore delegato del gruppo under-30 — è data dalla gentilezza trasversale che le persone di ogni tipo dimostrano nell’uso della nostra piattaforma».

Un’app che verte sul principio dell’empatia: come lo avete reso possibile?

Durante gli anni universitari ho avuto la fortuna di viaggiare molto. Così è nata l’idea di EmpatHero: la gentilezza caratterizza tutte le persone universalmente. Nell’ultimo decennio, tuttavia, l’emergenza dei più importanti social network è stata accompagnata da una forte campagna di marketing. I social media ci sono stati venduti come uno strumento per connettere il mondo, quando invece vendono pubblicità distruggendo i costi dei media tradizionali. L’enfasi, quindi, è sul presunto egoismo umano al centro del nostro intero sistema economico, mentre la scienza dimostra che gli esseri umani sono programmati per essere empatici. Il modello di EmpatHero è semplice: ogni utente ha accesso alle storie pubblicate in forma anonima dagli altri partecipanti, e può decidere di reagire alla sua storia preferita con un “atto di gentilezza”. Una playlist contenuta in una pennetta usb, una lettera, un libro: sono solo alcuni esempi degli atti di gentilezza. Un like tangibile, si potrebbe dire.

Come affrontate la competizione con altri social media che si basano sulla particolarizzazione o profilazione (profiling) dell’esperienza dell’utente?

L’estrazione di dati al centro del modello di business dei maggiori social media verte su due principi. Primo, la possibilità di creare un servizio “su misura” per il consumatore e secondo, la generazione di profitti data dalla vendita di questi dati a parti terze. Su EmpatHero, ogni utente può attivare dei filtri per selezionare, ad esempio, storie più felici o più tristi, secondo il suo umore. Secondo noi, la personalizzazione non è negativa in sé. Spesso, tuttavia, i filtri e le categorie attraverso cui i maggiori social media personalizzano e canalizzano la nostra empatia fanno riferimento all’apparenza fisica, alle mode o al consumo. In questo senso, non ci vediamo come un social, perché, nell’iscriversi, tutti i partecipanti fanno una scelta di tipo etico nel mantenere l’anonimato e, di conseguenza, non permettere l’estrazione di data. La connessione fra gli utenti è più fortunata perché liberata dalle categorie dei social. E i risultati lo confermano: a oggi abbiamo pubblicato un centinaio di storie e contiamo più di 550 atti di gentilezza.

L’empatia, dunque, non è un principio incompatibile con la dimensione digitale?

L’empatia è comune a tutti gli esseri umani in tutti i luoghi, sia fisici sia virtuali. Non sono del tutto convinto, però, che questa esposizione digitale, con questa frequenza, sia benefica per gli esseri umani. Le ultime generazioni stanno manifestando la necessità di ampliare le loro esperienze di vita offline e forse, pian piano, anche i colossi del web si dovranno evolvere dopo questa sbronza virtuale. Noi di EmpatHero abbiamo scelto le librerie come i drop point dove vengono raccolti gli “atti di gentilezza” per riportare un’esperienza virtuale nel reale e per riavvicinare le persone al mondo della cultura, delle piccole realtà locali e ai negozi fisici.

L’emergenza legata al coronavirus ha sollecitato la riapertura di un dibattito secolare riguardo gli obiettivi della scuola dell’obbligo. In particolare, la didattica a distanza ha riaperto la frattura binaria fra analogico e digitale. Le nuove generazioni rischiano di crescere in un mondo eccessivamente digitale, abbandonando gradualmente alcune priorità come l’empatia o la fratellanza?

È importante che la scuola riapra in sicurezza come un luogo di cultura, e non solo in quanto sede di apprendimento verticale o mnemonico. Le esperienze di incontro e dialogo caratterizzano la scuola pubblica italiana e attraversano le barriere d’età, di classe e di etnia. L’educazione socio-emotiva o del pensiero empatico è imprescindibile sia come valore sia come soft skill per il successo personale e professionale. In Danimarca, uno dei Paesi con i più alti indici di felicità al mondo, un’ora scolastica a settimana è dedicata all’insegnamento dell’empatia. Al momento, i nostri sforzi sono diretti al lancio di EmpatHero Kids, un progetto di collaborazione con le scuole elementari che avrà inizio nell’autunno. Lo sviluppo di un sentimento così astratto può voler dire lavorare contro il bullismo o anche semplicemente realizzare un disegno. L’importante è accompagnare i più giovani non solo nella formazione dell’empatia cognitiva e affettiva, ma anche nello sviluppare l’empatia attuativa, ovvero dare gli strumenti per canalizzare questi sentimenti e concretizzarli affinché i bambini possano vedere che il mondo può veramente essere cambiato con la gentilezza.

Stiamo ripartendo dopo un lungo periodo di riflessione. Il lockdown ci ha ricordato l’importanza dell’empatia e delle relazioni interpersonali?

Sono restio alla polarizzazione dei dibattiti e non credo che l’empatia sia una panacea attraverso cui tutti i problemi, come il razzismo strutturale o la fame nel mondo, possano essere risolti. La condizione umana è fragile, ma le piccole cose, come lo stare in famiglia o mostrare gentilezza a chi non si conosce, sono i valori importanti risvegliati da questo nostro confronto così improvviso con la morte. Siamo più ben disposti a mostrare gentilezza perché ci è stato ricordato quanto la vita sia preziosa.

di Rachel Joanna Cetera

Osservatore Romano

La solitudine ecclesiale dei nostri ragazzi

di: M. N.

giovani

Gli episodi sono contingenti, si sa. Alcune volte però ti danno a pensare, forse perché sembra di scorgere in essi qualcosa di emblematico. Almeno così è stato per me oggi, nella parrocchia bolognese dove vado a messa la domenica quando sono in città.

Fin dalla ripresa delle celebrazioni dopo il lockdown, un gruppetto di ragazzi e ragazze (credo scouts) svolgono il servizio di accoglienza della comunità che si riunisce per la messa. Gentili, cordiali, educati – e… infinitamente pazienti. Se una comunità parrocchiale celebra la domenica del Signore in questi tempi è (anche) grazie a loro. Non sono un “servizio d’ordine”, ma attori liturgici a cui dobbiamo la possibilità di riunirci domenicalmente ad ascoltare la Parola e condividere il pane dell’eucaristia. Ma forse non ce ne accorgiamo e li scambiamo solo per dispenser di gel igienizzante e commessi che ci accompagnano al posto – errore fatale per una comunità.

Veniamo a oggi: messa delle 11, un paio di banchi avanti a me una coppia, non più giovane ma dove nessuno dei due aveva bisogno di una qualche assistenza fisica, è seduta una accanto all’altro – anziché ai due posti esterni del banco. Un ragazzo dell’accoglienza si avvincina loro, garbato e gentile, chiedendo alla signora di spostarsi. La signora inizia ad argomentare, immagino fossero marito e moglie; il ragazzo la ascolta con attenzione, poi le chiede educatamente di sedersi comunque dall’altra parte del banco.

La signora rifuta borbottando e gesticolando. Il ragazzo, sempre con tono gentile, le chiede per favore di spostarsi. A questo punto la signora si muove di un palmo, per tornare immediatamente dove era prima non appena il giovane si era girato per aiutare altre persone della comunità parrocchiale. Quando si volta e vede la signora imperterrita aggrappata al suo posto, il ragazzo si rivolge ancora a lei con grande pazienza e un volto cordiale chiedendole di andare a occupare il posto marcato sul banco dall’altra parte. Non ottenendo nulla, ovviamente.

Mi ha colpito non solo la mancanza di rispetto della donna verso il giovane della parrocchia, che era lì affinché tutti si potesse celebrare insieme con intelligenza e sensibilità gli uni verso gli altri. Quello che più mi è rimasto impresso è la solitudine in cui questo ragazzo si è trovato mentre esercitava un servizio celebrativo per tutta la comunità. Nessun “adulto” che si alzasse per aiutarlo; intorno a lui il vuoto glaciale di una comunità assente.

È questo che mi ha fatto pensare… mi è sembrata una scena emblematica della solitudine comunitaria a cui abbandoniamo i nostri ragazzi, le generazioni più giovani, nella Chiesa odierna. Con la sua attenzione, delicatezza, educazione, questo ragazzo stava celebrando per noi la nostra possibilità di celebrare l’eucaristia – nella solitudine del farlo per tutta la comunità parrocchiale.

Sono sicuro che la settimana prossima sarà ancora lì, gentile col suo sguardo sorridente – e paziente, sopportando per passione comunitaria e senso della fede nonostante la nostra assenza. Non ce lo meritiamo; non ci meritiamo la sua generosità; non ci meritiamo la sua liturgia che consente la nostra.

Come in un flash mi sono scorse davanti agli occhi le scene delle troppe volte in cui come Chiesa non riusciamo a essere all’altezza dei nostri giovani – smettiamo di lamentarci di loro, quindi.

settimananews

Coronavirus. Oratori, un’estate da inventare. Diocesi impegnate con le Regioni su linee operative perché le parrocchie possano occuparsi dei più giovani

da Avvenire

L’oratorio 2020 “aperto per ferie”, come s’intitola il progetto proposto della Pastorale giovanile nazionale, sta prendendo forma nelle realtà diocesane. Ancora non ci sono le condizioni per una riapertura, ma la Cei ha chiesto alle comunità di non lasciare a loro stessi bambini, ragazzi e giovani durante l’estate. Così la formazione online degli animatori in molte diocesi è già una realtà, mentre sono allo studio idee e progetti virtuali e reali, compresa la proposta di Anspi di dotare i bambini di «braccialetti per garantire il distanziamento fisico», prodotti in migliaia di pezzi, che emettono un suono o una vibrazione quando un’altra persona non mantiene la distanza di sicurezza. Numerosi i tavoli di lavoro nati tra diocesi e regioni per riuscire a garantire, attraverso protocolli comuni, una presenza educativa che non lasci solo nessuno e che tenga conto della sicurezza.

Piemonte, cantiere al «Top»

La questione in Piemonte non è oratorio aperto o chiuso, ma il prendersi cura delle nuove generazioni. Ne è convinto don Luca Ramello, responsabile regionale della pastorale giovanile di Piemonte e Valle d’Aosta. Sarà lui martedì mattina a presiedere l’avvio del tavolo di lavoro online per elaborare proposte, osservazioni, suggerimenti al “Top”, il “Tavolo oratori piemontese”, il progetto comune sottoscritto la scorsa settimana dalla Chiesa piemontese con la Regione Piemonte. Tra i temi: praticabilità, norme di sicurezza, nuove figure educative, risorse economiche. «Tre i nodi da sciogliere – spiega Ramello –: la titolarità tra diocesi e istituzioni, la necessità di coordinare le varie commissioni e i tavoli di lavoro, una comunicazione efficace».

La Lombardia parte su Zoom

Anche la Lombardia con il coordinamento degli oratori delle diocesi lombarde (Odielle) sta lavorando con le istituzioni per definire che fare. Per gli animatori “Stai in zona” è il percorso milanese, online sulla piattaforma Zoom, che partirà domani. «Gli oratori della Lombardia – spiega don Stefano Guidi, coordinatore di Odielle – confermano la loro disponibilità perché famiglie e ragazzi non si trovino a vivere situazioni di vuoto educativo».

Emilia Romagna, avanti piano

Obbedienza, prudenza e creatività. Sono le tre parole chiave con cui si sta muovendo la pastorale giovanile della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna. «Obbedienza alla legge, prudenza per valutare se una parrocchia ha i requisiti, e creatività – spiega don Marcello Palazzi, delegato regionale –. Stiamo facendo un grosso lavoro di elaborazione, in aggiunta alla scelta abbastanza inedita di interagire con le istituzioni». In Regione si è infatti costituito un tavolo tecnico, promosso dal cardinale Matteo Zuppi e dal presidente Stefano Bonaccini. Obiettivo: definire un protocollo «dai campi scuola virtuali – dice Palazzi –, fino alla ripresa del catechismo a settembre».

Il Triveneto parla con la società

Ci piacerebbe che potesse emergere una Chiesa nuova capace di creare alleanze al suo interno, ma anche con la società civile». È questo lo spirito con cui i delegati degli Uffici di pastorale giovanile delle 15 diocesi del Triveneto (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) stanno dialogando. «Ci muoviamo in attesa dei protocolli delle tre Regioni – spiega don Davide Brusadin, neo incaricato regionale per la Pastorale giovanile –. Un lavoro per capire, in dialogo con le istituzioni, la possibilità effettiva di utilizzo dei nostri spazi».

In Liguria l’interesse dei Comuni

La Conferenza episcopale ligure ha avviato un dialogo con la Regione per poter concordare una linea d’azione comune. «Abbiamo meno oratori che nel resto del Nord – commenta monsignor Nicolò Anselmi, vescovo ausiliare di Genova, delegato per la pastorale giovanile –, ma numerosi progetti educativi che si organizzano tra giugno e settembre. Non rinunceremo ad accompagnare i ragazzi, per questo portiamo avanti la formazione degli educatori, e a breve potremo organizzarci sulla base delle indicazioni operative che definiremo insieme alle istituzioni». Diversi Comuni hanno mostrato interesse per una collaborazione con le parrocchie per l’organizzazione dei centri estivi.

Toscana, la Chiesa offre competenze

“Per ora stiamo lavorando su ipotesi… intanto però teniamo il motore acceso”, assicura l’arcivescovo di Lucca Paolo Giulietti, delegato della Conferenza episcopale toscana per la pastorale giovanile, che sta dialogando con le realtà del mondo cattolico e con la Regione. «Esiste un’emergenza educativa e per gestirla servirà una collaborazione tra pubblico e privato. Le istituzioni locali potrebbero mettere a disposizione le scuole o alcune aree verdi per le parrocchie che non hanno spazi idonei. La Chiesa mette a disposizione le proprie competenze».

In Umbria una rete allargata

“Porte aperte, noi ci siamo anche nella Fase 2”, assicura don Riccardo Pascolini, segretario nazionale del Forum degli oratori italiani (Foi), responsabile del Centro di orientamento pastorale (Cop) e incaricato per la pastorale giovanile dell’Umbria, commentando il rinnovo del protocollo d’intesa tra il Comune di Perugia e l’arcidiocesi per la realizzazione di progetti e azioni condivise in ambito formativo, educativo e ricreativo. Un progetto avviato nel 2014 con cui il Comune ha riconosciuto l’importanza socioeducativa dei 30 oratori attivi. «Dall’emergenza è nata una rete che tiene insieme scuole pubbliche, paritarie, cooperative, volontariato per inventare insieme soluzioni e arrivare alle varie fasce di età. Anche qui c’è un tavolo con la presidente della Regione per valutare il da farsi».

La Puglia pensa a tre fasi

Don Davide Abbascià, incaricato regionale di pastorale giovanile, insieme con oratori, associazioni e famiglie religiose sta studiando una proposta operativa da presentare alla Regione. «Il nostro progetto si chiama “Apriamo per ferie” e ha individuato tre fasi: la formazione online degli animatori (”Stai a casa”), la ripresa dei contatti (”Da casa”) e le riaperture che guardano anche il catechismo di settembre (”Fai casa”)».

(Hanno collaborato: Riccardo Bigi, Matteo Billi, Alberto Gastaldi, Chiara Genisio, Enrico Turcato)