Un’arma segreta chiamata empatia. #CantiereGiovani – Per costruire e alimentare un’alleanza tra le generazioni

Un testimonial di EmpatHero

A colloquio con Samuele De Grandis, cofondatore dell’app EmpatHero

Esiste un pregiudizio per cui la sempre maggiore personalizzazione dei social network è ricondotta, nell’immaginario collettivo, al presunto bisogno degli utenti più giovani di godere di un’esperienza online che sia il più possibile totalizzante, digitale e alienante. Questa retorica, tuttavia, dipende da una falsa opposizione binaria: la dimensione digitale è posta come mutualmente esclusiva della dimensione reale e umana, in quanto alla prima sono associate emozioni e aspirazioni che non possono essere né umane né reali. Questo nonostante i più giovani, per motivi anagrafici e di capacità economica, spesso fuggano alle aspirazioni commerciali ed elettorali di chi vorrebbe fare dei loro dettagliati profili online un cliente. I nativi digitali sono raffigurati come esseri umani incapaci delle emozioni più analogiche, come l’empatia.

Eppure, «sempre più studi a livello internazionale rilevano che i Gen Z (la generazione compresa fra gli ultimi anni Novanta e i primi anni 2010) usano sempre meno i social media e che questi ultimi hanno un’importanza sempre minore nella loro visione complessiva di sé stessi, della loro immagine e del mondo», ci dice Samuele De Grandis, cofondatore e ceo dell’app EmpatHero. Nata da poco più di un anno, la start-up che sfida la presunta disumanità del digitale ha vinto il programma di accelerazione dell’università di Roma Tor Vergata, VGen, e dal prossimo autunno darà il via a un progetto di collaborazione con diverse scuole elementari della capitale. «Ma la soddisfazione maggiore — ci dice l’amministratore delegato del gruppo under-30 — è data dalla gentilezza trasversale che le persone di ogni tipo dimostrano nell’uso della nostra piattaforma».

Un’app che verte sul principio dell’empatia: come lo avete reso possibile?

Durante gli anni universitari ho avuto la fortuna di viaggiare molto. Così è nata l’idea di EmpatHero: la gentilezza caratterizza tutte le persone universalmente. Nell’ultimo decennio, tuttavia, l’emergenza dei più importanti social network è stata accompagnata da una forte campagna di marketing. I social media ci sono stati venduti come uno strumento per connettere il mondo, quando invece vendono pubblicità distruggendo i costi dei media tradizionali. L’enfasi, quindi, è sul presunto egoismo umano al centro del nostro intero sistema economico, mentre la scienza dimostra che gli esseri umani sono programmati per essere empatici. Il modello di EmpatHero è semplice: ogni utente ha accesso alle storie pubblicate in forma anonima dagli altri partecipanti, e può decidere di reagire alla sua storia preferita con un “atto di gentilezza”. Una playlist contenuta in una pennetta usb, una lettera, un libro: sono solo alcuni esempi degli atti di gentilezza. Un like tangibile, si potrebbe dire.

Come affrontate la competizione con altri social media che si basano sulla particolarizzazione o profilazione (profiling) dell’esperienza dell’utente?

L’estrazione di dati al centro del modello di business dei maggiori social media verte su due principi. Primo, la possibilità di creare un servizio “su misura” per il consumatore e secondo, la generazione di profitti data dalla vendita di questi dati a parti terze. Su EmpatHero, ogni utente può attivare dei filtri per selezionare, ad esempio, storie più felici o più tristi, secondo il suo umore. Secondo noi, la personalizzazione non è negativa in sé. Spesso, tuttavia, i filtri e le categorie attraverso cui i maggiori social media personalizzano e canalizzano la nostra empatia fanno riferimento all’apparenza fisica, alle mode o al consumo. In questo senso, non ci vediamo come un social, perché, nell’iscriversi, tutti i partecipanti fanno una scelta di tipo etico nel mantenere l’anonimato e, di conseguenza, non permettere l’estrazione di data. La connessione fra gli utenti è più fortunata perché liberata dalle categorie dei social. E i risultati lo confermano: a oggi abbiamo pubblicato un centinaio di storie e contiamo più di 550 atti di gentilezza.

L’empatia, dunque, non è un principio incompatibile con la dimensione digitale?

L’empatia è comune a tutti gli esseri umani in tutti i luoghi, sia fisici sia virtuali. Non sono del tutto convinto, però, che questa esposizione digitale, con questa frequenza, sia benefica per gli esseri umani. Le ultime generazioni stanno manifestando la necessità di ampliare le loro esperienze di vita offline e forse, pian piano, anche i colossi del web si dovranno evolvere dopo questa sbronza virtuale. Noi di EmpatHero abbiamo scelto le librerie come i drop point dove vengono raccolti gli “atti di gentilezza” per riportare un’esperienza virtuale nel reale e per riavvicinare le persone al mondo della cultura, delle piccole realtà locali e ai negozi fisici.

L’emergenza legata al coronavirus ha sollecitato la riapertura di un dibattito secolare riguardo gli obiettivi della scuola dell’obbligo. In particolare, la didattica a distanza ha riaperto la frattura binaria fra analogico e digitale. Le nuove generazioni rischiano di crescere in un mondo eccessivamente digitale, abbandonando gradualmente alcune priorità come l’empatia o la fratellanza?

È importante che la scuola riapra in sicurezza come un luogo di cultura, e non solo in quanto sede di apprendimento verticale o mnemonico. Le esperienze di incontro e dialogo caratterizzano la scuola pubblica italiana e attraversano le barriere d’età, di classe e di etnia. L’educazione socio-emotiva o del pensiero empatico è imprescindibile sia come valore sia come soft skill per il successo personale e professionale. In Danimarca, uno dei Paesi con i più alti indici di felicità al mondo, un’ora scolastica a settimana è dedicata all’insegnamento dell’empatia. Al momento, i nostri sforzi sono diretti al lancio di EmpatHero Kids, un progetto di collaborazione con le scuole elementari che avrà inizio nell’autunno. Lo sviluppo di un sentimento così astratto può voler dire lavorare contro il bullismo o anche semplicemente realizzare un disegno. L’importante è accompagnare i più giovani non solo nella formazione dell’empatia cognitiva e affettiva, ma anche nello sviluppare l’empatia attuativa, ovvero dare gli strumenti per canalizzare questi sentimenti e concretizzarli affinché i bambini possano vedere che il mondo può veramente essere cambiato con la gentilezza.

Stiamo ripartendo dopo un lungo periodo di riflessione. Il lockdown ci ha ricordato l’importanza dell’empatia e delle relazioni interpersonali?

Sono restio alla polarizzazione dei dibattiti e non credo che l’empatia sia una panacea attraverso cui tutti i problemi, come il razzismo strutturale o la fame nel mondo, possano essere risolti. La condizione umana è fragile, ma le piccole cose, come lo stare in famiglia o mostrare gentilezza a chi non si conosce, sono i valori importanti risvegliati da questo nostro confronto così improvviso con la morte. Siamo più ben disposti a mostrare gentilezza perché ci è stato ricordato quanto la vita sia preziosa.

di Rachel Joanna Cetera

Osservatore Romano

Coronavirus. Promosse le Messe anti-Covid. E cade il limite dei 200 posti

A tre mesi dal protocollo che ha fatto tornare i riti a porte aperte, vinte le difficoltà di attuazione delle misure di tutela In Lombardia e Umbria già riviste le soglie sulle presenze
Promosse le Messe anti-Covid. E cade il limite dei 200 posti

Ansa

da Avvenire

Ormai quasi nessuno ci fa più caso. Ed è diventata una prassi che ha le sembianze della normalità entrare in chiesa dopo essersi igienizzati le mani con il gel oppure venire accompagnati al proprio posto da un volontario per partecipare alla Messa. Ancora: indossare la mascherina durante tutta la celebrazione; sostituire il gesto della pace con uno scambio di sguardi; ricevere la Comunione in mano restando fra le panche; donare un’offerta all’uscita. Persino il criticato accorgimento di distribuire l’ostia consacrata con i guanti non ha fatto storcere il naso più di tanto: e da qualche settimana l’obbligo di avere una protezione sulle mani è anche caduto. Vengono “promosse” le Messe anti-Covid, con le precauzioni contenute nel protocollo firmato dalla Cei e dal governo proprio tre mesi fa, che ha permesso da metà maggio di tornare ad avere liturgie a porte aperte dopo la sospensione dei riti comunitari nei mesi del blocco totale. «Quelle che sulla carta sembravano prescrizioni di difficile attuazione, si sono rivelate di gran lunga meno complicate da tradurre nel concreto all’interno delle parrocchie. E non solo vengono applicate con la dovuta accortezza ma si ricorre anche a una sana elasticità», spiega monsignor Angelo Lameri, docente di liturgia e sacramentaria alla Pontificia Università Lateranense di Roma, che è consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti e dell’Ufficio celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. L’impegno dei preti è stato corale nella Penisola, sostenuto da gruppi di laici che si mettono a disposizione per il servizio d’accoglienza e poi per l’igienizzazione delle chiese al termine di ogni rito. «Anche i fedeli sono molto disciplinati – aggiunge il sacerdote –: ad esempio viene rispettato il distanziamento fisico, ci si siede nei banchi seguendo le indicazioni, si osservano le misure previste. Tutto ciò non mortifica la celebrazione e non rende la partecipazione meno autentica benché manchino alcuni gesti di prossimità come lo scambio della pace».

Eppure le assemblee si sono assottigliate. Soprattutto nelle zone più colpite dalla pandemia, ma in generale in tutto il Paese le presenze alle Messe festive sono diminuite: mancano all’appello gli anziani, poi le famiglie e persino i ragazzi che i genitori hanno “trasferito” in vacanza. In Lombardia, epicentro italiano dell’emergenza sanitaria, si stima una riduzione di due terzi dei fedeli che prima del Covid erano presenti alle celebrazioni del sabato e della domenica. Ne è ben consapevole la Cei che in una lettera inviata a metà luglio ai vescovi italiani ha parlato di ritorno all’Eucaristia «segnato da un certo smarrimento». «Penso che si sommino due disagi – sostiene Lameri –: da un lato, c’è ancora una giustificata preoccupazione legata al virus; dall’altra, si teme che nelle chiese i posti siano esauriti e si debba tornare a casa». Perché, in base all’intesa fra Cei ed esecutivo Conte, la capienza di ciascun luogo di culto va drasticamente limitata per assicurare la distanza di almeno un metro fra una persona e l’altra. «Con ironia dico che in qualcuno prevale una singolare generosità che si traduce nella volontà di lasciare spazio agli altri restando a casa», sorride l’esperto. E prosegue: «Finché rimarrà il contingentamento delle presenze, esso rappresenterà un deterrente che frena la partecipazione».

Invece è ormai superato il tetto dei 200 posti in ogni chiesa, indipendentemente dall’ampiezza. Tocca a ciascuna Regione decidere, su richiesta dei vescovi o delle Conferenze episcopali regionali. E le prime revisioni si sono avute: ad esempio, la Lombardia ha già portato il limite a 350; in Umbria non ci sarà alcuna soglia purché si rispetti il distanziamento previsto. «Sono molte le chiese, basti citare gran parte delle Cattedrali, dove le distanze sono garantite anche se l’assemblea supera quota 200 – avverte il liturgista –. Inoltre va compreso che il quadro sanitario è diversificato nel Paese. Se ci sono aree dove l’allarme Covid può essere ancora elevato e quindi i rischi sono maggiori anche per il rigurgito di alcuni focolai, abbiamo zone in cui la diffusione del virus è stata bassa. Pertanto avere un’identica norma che vale in tutta Italia è penalizzante». Intanto si fa strada anche l’ipotesi di un possibile ritorno dei cori.

Poi tiene banco il dibattito sulle Messe proposte in streaming oppure attraverso tv e radio locali. Numerose parrocchie – e diocesi – le hanno abolite; altre continuano con questo servizio. «Le celebrazioni in onda sui media hanno avuto un ruolo importante durante il lockdown – spiega il docente –. Ma una partecipazione virtuale non è piena e attiva, come chiede la Costituzione Sacrosanctum Concilium. Tuttavia non possiamo neppure dire che siamo di fronte a una situazione fittizia se si tratta di liturgie in diretta e non in differita. Comunque, conclusa la fase acuta, è bene compiere un passo indietro rispetto alle trasmissioni delle Messe. Perché potrebbero costituire un deterrente oppure un alibi a una presenza reale che quindi verrebbe scoraggiata».
Le Messe “ritrovate” sono il primo grande segnale di una ripartenza ecclesiale in Italia che avrà un ulteriore slancio a settembre con l’inizio del nuovo Anno pastorale, come ha annunciato il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. «Siamo ancora in un frangente di transizione – sottolinea Lameri –. Non possiamo dire di essere fuori dal tunnel ma vediamo la luce dell’uscita. Il periodo di chiusura totale ha aiutato a far apprezzare come una partecipazione vera alla liturgia si attui con la presenza del corpo, con i gesti, con il canto». E adesso possono riprendere «con accortezza» – dice la Cei – anche le celebrazioni dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana, a partire dalle Prime Comunioni e dalle Cresime. «Certo, occorrerà evitare che si abbiano gruppi numerosi e quindi procedere suddividendo i ragazzi in più turni. Ma non si possono prospettare ulteriori rinvii – conclude il liturgista –. Lo stesso vale per le ordinazioni sacerdotali e diaconali che fra marzo e maggio si sono fermate. E in alcuni casi persino per le ordinazioni episcopali che sono tornate solo in queste settimane».

Questa lettera è una durissima denuncia del governo del Brasile e del suo presidente per la situazione nella quale con la loro incapacità, manipolazione e inadeguatezza, hanno ridotto il paese

di: Vescovi brasiliani

 A soffrire maggiormente sono i più poveri, gli indigeni, gli emarginati, che non vedono davanti a sé nessuna speranza di cambiamento. E sono anche i più duramente colpiti dalla pandemia del coronavirus e le vittime più esposte alla crisi economica in cui versa il paese.
La lettera è firmata da 152 vescovi del Brasile, tra cui l’arcivescovo emerito di San Paolo, Dom Claudio Hummes, dall’emerito vescovo di Blumenau, Dom Angélico Sandalo Bernardino, e il vescovo di São Gabriel da Cachoeira (AM), Dom Edson Taschetto Damian, dall’arcivescovo di Belém (PA), Dom Alberto Taveira Corrêa, dal vescovo emerito di Xingu (PA), Dom Erwin Kräutler, dal vescovo ausiliare di Belo Horizonte (MG), Dom Joaquim Giovani Mol, e dall’arcivescovo di Manaus (AM) e dall’ex segretario generale della CNBB, Dom Leonardo Ulrich Steiner.

Siamo vescovi della Chiesa cattolica, di varie regioni del Brasile, in profonda comunione con papa Francesco e il suo magistero e in piena comunione con la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile che, nell’esercizio della sua missione evangelizzatrice, si pone sempre in difesa dei piccoli, della giustizia e della pace.

Scriviamo questa Lettera al Popolo di Dio interpellati dalla gravità del momento che viviamo, sensibili al Vangelo e alla Dottrina sociale della Chiesa, come un servizio a tutti coloro che desiderano vedere superata questa fase di tante incertezze e di tanta sofferenza della gente.

Evangelizzare è la missione propria della Chiesa ereditata da Gesù. Essa è consapevole che «evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio» (Evangelii gaudium, 176). Siamo consapevoli che «la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio».

Neppure la nostra risposta d’amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso […], una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio […] (Lc 4,43 e Mt 6,33)» (EG,180). Deriva da qui la comprensione che il Regno di Dio è un dono, un impegno e un obiettivo.

È in questo orizzonte che guardiamo all’attuale realtà del Brasile. Non abbiamo interessi politico-partitari, economici, ideologici o di qualsiasi altra natura. Il nostro unico interesse è il Regno di Dio, presente nella nostra storia, nella misura in cui avanziamo nella costruzione di una società strutturalmente giusta, fraterna e solidale, come una civiltà dell’amore.

lettera vescovi

Una pericolosa impasse

Il Brasile attraversa uno dei periodi più difficili della sua storia, paragonabile a una “tempesta perfetta” che, dolorosamente, deve essere attraversata. La causa di questa tempesta è la combinazione tra una crisi sanitaria senza precedenti, un crollo sconvolgente dell’economia e la tensione che si abbatte sui fondamenti della Repubblica, dovuta in gran parte al presidente della Repubblica e ad altri settori della società, che si traduce in una profonda crisi politica e di governance.

Questo scenario di pericolose impasses che mettono alla prova il nostro paese richiede alle sue istituzioni, ai leader e alle organizzazioni civili molto più dialogo che non discorsi ideologici chiusi. Siamo chiamati a presentare proposte e patti oggettivi, al fine di superare le grandi sfide, a favore della vita, in particolare dei segmenti più vulnerabili ed esclusi, in questa società strutturalmente disuguale, ingiusta e violenta. Questa realtà non tollera indifferenza.

È dovere di coloro che si pongono a difesa della vita prendere posizione, chiaramente, in questo scenario. Le scelte politiche che ci hanno portato fin qui e la narrativa compiacente di fronte ai soprusi del governo federale, non giustificano l’inerzia e l’omissione nella lotta contro le piaghe che hanno colpito il popolo brasiliano.

Piaghe che si abbattono anche sulla Casa Comune, costantemente minacciata dall’azione senza scrupoli di deforestatori, cercatori d’oro, minatori, latifondisti e altri propugnatori di uno sviluppo che disprezza i diritti umani e quelli della madre terra. «Non possiamo pretendere di essere sani in un mondo che è malato. Le ferite provocate alla nostra madre terra sanguinano anche a noi» (Papa Francesco, Lettera al Presidente della Colombia in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, 06/05/2020).

Tutti, persone e istituzioni, saremo giudicati per le azioni od omissioni in questo momento molto serio e ricco di provocazioni. Assistiamo sistematicamente a discorsi anti-scientifici, che cercano di naturalizzare o normalizzare il flagello dei morti di Covid-19, considerandolo come il risultato del caso o del castigo divino, al caos socioeconomico che si prospetta, con la disoccupazione e la carestia che si proiettano sui prossimi mesi e a gruppi politici che mirano a mantenere il potere ad ogni costo.

Questo discorso non si basa sui principi etici e morali, né tollera di essere confrontato con la Tradizione e la Dottrina sociale della Chiesa, nella sequela di Colui che è venuto «affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Un governo incapace

Analizzando lo scenario politico, in maniera spassionata, vediamo chiaramente l’incapacità e l’inabilità del governo federale di affrontare queste crisi. Le riforme del lavoro e della previdenza sociale, prese per migliorare la vita dei più poveri, si sono rivelate delle insidie che hanno reso ancora più precaria la vita della gente.

lettera vescovi

È vero che il Brasile ha bisogno di misure e di riforme serie, ma non come quelle che sono state fatte, i cui risultati hanno peggiorato la vita dei poveri, degli indifesi vulnerabili, hanno liberalizzato l’uso dei pesticidi precedentemente vietato, allentato il controllo della deforestazione e, pertanto, non hanno favorito il bene comune e la pace sociale. È insostenibile un’economia che insiste sul neoliberismo, che favorisce il monopolio di piccoli gruppi potenti a spese della stragrande maggioranza della popolazione.

L’attuale sistema governativo non pone al centro la persona umana e il bene di tutti, ma la difesa intransigente degli interessi di un’«economia che uccide» (EG 53), centrata sul mercato e sul lucro a qualsiasi costo. In questo modo, conviviamo con l’incapacità e l’incompetenza del governo federale nel coordinare le sue azioni, aggravate dal fatto che si oppone alla scienza, agli stati e ai comuni, ai poteri della Repubblica; per avvicinarsi al totalitarismo e usare espedienti riprovevoli, come il sostegno e l’incoraggiamento di atti contro la democrazia, la flessibilità delle leggi sulla circolazione e l’uso delle armi da fuoco da parte della popolazione, e delle leggi del codice della strada e il ricorso alla pratica di azioni di comunicazione sospette come notizie false, che mobilitano una massa di seguaci radicali.

Anche il disprezzo per l’istruzione, la cultura, la salute e la diplomazia ci spaventa. Questo disprezzo è visibile nelle manifestazioni di rabbia per l’educazione pubblica; nell’appello a idee oscurantiste; nella scelta dell’educazione come nemica; nei successivi e grossolani errori nella scelta dei ministri dell’educazione e dell’ambiente e del segretario alla cultura; nell’ignoranza e nel disprezzo dei processi pedagogici e di importanti pensatori del Brasile; con l’avversione verso la coscienza critica e la libertà di pensiero e di stampa; nella squalifica delle relazioni diplomatiche con diversi paesi; nell’indifferenza per il fatto che il Brasile occupa uno dei primi posti nel numero di contagiati e morti per la pandemia, senza nemmeno avere un ministro titolare del Ministero della Salute; nella inutile tensione con gli altri enti della Repubblica nel coordinare la lotta alla pandemia; nella mancanza di sensibilità verso i familiari delle persone uccise dal nuovo coronavirus e per gli operatori sanitari, che si ammalano negli sforzi di salvare delle vite.

Sul fronte economico, il ministro dell’economia disprezza i piccoli imprenditori, responsabili della maggior parte dei posti di lavoro nel paese, privilegiando solo grandi gruppi economici, concentratori di reddito e i gruppi finanziari che non producono nulla. La recessione che ci minaccia può provocare un numero di disoccupati superiore ai 20 milioni di brasiliani.

C’è una brutale discontinuità nella destinazione delle risorse per le politiche pubbliche nel campo dell’alimentazione, dell’istruzione, delle abitazioni, della produzione di reddito.

Chiudendo gli occhi sugli appelli di organismi nazionali e internazionali, il governo federale dimostra omissione, apatia e rifiuto dei più poveri e vulnerabili della società, chiunque siano: le comunità indigene, quilombole, rivierasche, le popolazioni delle periferie urbane, delle case popolari e le persone che vivono a migliaia per strada in tutto il Brasile.

Questi sono i più duramente colpiti dalla nuova pandemia di coronavirus e, purtroppo, non intravedono alcuna misura efficace che li induca a sperare di superare le crisi sanitarie ed economiche loro crudelmente imposte.

Il Presidente della Repubblica, pochi giorni fa, nel Piano di emergenza per far fronte al Covid-19, approvato nella legislatura federale, con la scusa che non vi erano previsioni di bilancio, tra gli altri punti ha vietato l’accesso all’acqua potabile, il materiale igienico, l’offerta di letti ospedalieri e di terapia intensiva, ventilatori e macchine per l’ossigenazione del sangue, nei territori indigeni, quilomboli e comunità tradizionali (cf. Presidenza CNBB, Lettera aperta al Congresso Nazionale, 13/07/2020).

Manipolata anche la religione

Perfino la religione è usata per manipolare sentimenti e credenze, provocare divisioni, diffondere l’odio, creare tensioni tra le Chiese e i loro leader. Va sottolineato quanto sia dannosa qualsiasi associazione tra religione e potere nello stato laico, in particolare l’associazione tra gruppi religiosi fondamentalisti e il mantenimento del potere autoritario. Come non essere indignati per l’uso del nome di Dio e della sua santa Parola, mescolati con discorsi e atteggiamenti pregiudiziali, che incitano all’odio, anziché predicare l’amore, per legittimare pratiche incompatibili con il Regno di Dio e la sua giustizia?

politica religione

Il momento è quello dell’unità nel rispetto della pluralità! Per questo motivo, proponiamo un ampio dialogo nazionale che coinvolga umanisti, persone impegnate nella democrazia, movimenti sociali, uomini e donne di buona volontà, in modo da ripristinare il rispetto della Costituzione federale e lo Stato democratico di diritto, con l’etica in politica, la trasparenza delle informazioni e delle spese pubbliche, un’economia che mira al bene comune, con la giustizia socio-ambientale, con «terra, tetto e lavoro», con la gioia e protezione della famiglia, con un’istruzione e una salute integrali e di qualità per tutti.

Siamo impegnati nel recente Patto per la vita e per il Brasile, da parte della CNBB e di organismi della società civile brasiliana, e in sintonia con papa Francesco, che invita l’umanità a pensare un nuovo Patto Educativo Globale e la nuova Economia di Francesco e Chiara, oltre a unirci ai movimenti ecclesiali e popolari che cercano alternative nuove e urgenti per il Brasile.

In questo tempo di pandemia che ci costringe al distanziamento sociale e ci insegna una “nuova normalità”, stiamo riscoprendo le nostre case e famiglie come nostra Chiesa domestica, uno spazio di incontro con Dio e con i fratelli e le sorelle. È soprattutto in questo ambiente che deve brillare la luce del Vangelo, che ci fa capire che questo non è il tempo per l’indifferenza, gli egoismi, le divisioni o per la dimenticanza (cf. Papa Francesco, Messaggio Urbi et Orbi, 04/12/20) .

Svegliamoci perciò dal sonno che ci immobilizza e ci rende semplici spettatori della realtà di migliaia di morti e della violenza che ci affligge. Con l’apostolo san Paolo, avvertiamo che «la notte è avanzata e il giorno è vicino; perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (Rm 13,12).

«Il Signore ti benedica e ti custodisca. Faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda la pace!» (Nm 6,24-26).

settimananews

Laici francesi: trasformare la Chiesa

di: Lorenzo Prezzi

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Come Trasformare la Chiesa cattolica? Come ripartire dopo la devastazione degli abusi uscendo dal clericalismo e da una predicazione sessuofobica per una pratica sinodale ed ecclesiale nella vita dei credenti? Undici laici cattolici di Francia hanno proposto alcune indicazioni in proposito.

Sollecitati da Michel Camdessus, ex direttore generale del Fondo monetario internazionale ed ex membro del Consiglio pontificio Giustizia e pace, una decina di figure di alta professionalità (fra queste Yves Berthelot ex sottosegretario dell’ONU, Xavier Larere ex direttore generale di Antenne 2, l’ammiraglia della televisione pubblica, Pierre Achard, ispettore generale delle finanze) sviluppano le loro proposte in una trentina di pagine (a cui vanno aggiunti tre saggi storico-teologici di p. Hervé Legrand).

Con franchezza e libertà gli autori si sintonizzano sulla volontà di riforma di papa Francesco e alimentano una corrente di riflessione che in Francia conosce voci importanti anche recenti. Come quella di G. Lafont, Immaginare la Chiesa cattolica, di J. Moingt, Faire bouger l’église catholique, M. Bellet, La quarta ipotesi. Sul futuro del cristianesimo, A. Borras, Communion ecclésiale et synodalité, H. Legrand, Vatican II, un avenir oublié.

Nella Chiesa francese elementi strutturali come il rinnovo nei prossimi due anni di una ventina di sedi episcopali (su circa 80) e la riduzione dei seminaristi (quest’anno chiudono i seminari di Lille e di Bordeaux) si mescolano a dibattiti pubblici vivaci come quelli sugli abusi (dalla sentenza assolutoria verso il card. P. Barbarin all’attesa per le conclusioni della commissione Sauvé sugli abusi che chiuderà i suoi lavori fra un paio di mesi) o le studiate provocazioni di alcune donne credenti (A. Soupa si è candidata alla sede episcopale di Lione e sette credenti si sono proposte per l’ordinazione diaconale).

Stati generali ossia un sinodo

«Quale Chiesa vorremmo vedere uscire dopo la “grande prova” che stiamo attraversando assieme? Una Chiesa dove né la disattenzione dell’istituzione né il silenzio dei laici favoriranno più le derive che hanno ferito profondamente degli innocenti; una Chiesa che si libera dal clericalismo che la debilita; una Chiesa che cammina in forma sinodale dove chierici e laici dialogano e assumono assieme le responsabilità per vivere il Vangelo e testimoniare la Parola di Dio.

Una Chiesa che fonda la ricostruzione sulla priorità assoluta del Vangelo e sulla santità cercata da tutti i suoi membri, al di là della distinzione fra chierici e laici. Una Chiesa, infine, dove tutti i credenti, uomini e donne, celibi e sposati, potranno assumere molte responsabilità oggi riservate ai preti. Così trasformata essa si proporrà come un popolo di battezzati, in piena coerenza con gli orientamenti del concilio Vaticano II. Una Chiesa non prigioniera della ripetizione di norme etiche e di un discorso dottrinale talora astratto, e in grado di sollecitare l’ospitalità di un mondo che essa ama e di cui partecipa le sofferenze, le speranze e le gioie.

In una parola, «una Chiesa nutrita di Vangelo e di eucaristia, al servizio del mondo» (p. 30). Un’attesa consapevole di una situazione inedita, di un futuro non facile e delle forti resistenze. Per questo «proponiamo una riunione di vescovi e fedeli, una sorta di “stati generali” per il tempo necessario a preparare l’avvenire della Chiesa con le innovazioni e le riforme ancorate alla sua grande tradizione e periodicamente riviste» (p. 30).

sinodalità

Impariamo dagli abusi

La proposta conclusiva viene preparata in tre capitoli: uscire dal clericalismo; verso una visione realistica della vita affettiva e della sessualità; per una Chiesa sinodale.

Il clericalismo è il contesto di coltura degli abusi perché in esso si alimentano un potere e un’autorità privi di controllo e coperti da un compiacente segreto per non intaccare il prestigio dell’istituzione. Tanto più forte quanto condiviso dalle famiglie delle vittime, condizionate da una concezione sbagliata di obbedienza. È onesto ammettere: «i laici non possono addebitare ai preti per intero la colpa della crisi provocata dagli abusi. Hanno la loro parte di responsabilità in questo disastro» (p. 10).

Per affrontare le nuove sfide è necessario un nuovo linguaggio. In particolare sulle questioni sessuali e bioetiche. Per comunicare gli aspetti positivi dell’antropologia cristiana bisogna, da un lato, prendere distanza dall’enfasi sulla morale personale e dalla reiterata critica al moderno (materialismo, relativismo, secolarismo ecc.) e, dall’altro, intercettare la confusa ma reale richiesta di senso e di vita spirituale, nella consapevolezza, bene espressa dall’enciclica Laudato si’ della difesa dell’umano comune.

È necessario uscire dalla differenza ontologica e di potere fra il sacerdozio condiviso dal popolo di Dio e quello ordinato per il servizio del culto. I candidati al sacerdozio hanno bisogno di una formazione capace di dialogare col mondo. E le condizioni di accesso al ministero non possono rimanere restrittive come le attuali. La Chiesa «dovrebbe prepararsi all’ordinazione di uomini sposati che abbiano dato prova di maturità cristiana» (p. 12). Un percorso peraltro già sperimentato con la scelta dei diaconi permanenti.

«Un clero uxorato sarebbe un correttivo importante per le attitudini cattoliche in materia di sessualità e la vita coniugale non apparirebbe più come una scelta di vita inferiore» (p. 13). I preti sposati nella Chiesa cattolica sono già numerosi (dai riti orientali ai nuovi ingressi dall’anglicanesimo). E tutto questo senza rimettere in questione l’impegno al celibato o alla vita consacrata per quanti vi sono chiamati. «È importante non bloccare la questione dell’accesso delle donne ai ministeri ordinati… È legittimo temere che un rifiuto definitivo diventi un handicap per la trasmissione del messaggio ecclesiale nelle società contemporanee. Confermando i pregiudizi relativi al patriarcato e alla misogenia nella Chiesa cattolica, nonostante il rilievo che riveste la figura di Maria» (p. 16).

Prima il Vangelo, poi la morale

«La morale sessuale proposta ancor oggi dal magistero cattolico si caratterizza in effetti per il grande rigore e rigidità. Non ammette la sessualità che nel caso di sposi legittimamente e indissolubilmente uniti» (p. 18). Esprime un sostanziale sospetto come mostra l’impossibilità dei divorziati-risposati di accedere all’eucaristia, l’impossibile accesso al ministero per uomini sposati, la promessa richiesta ai diaconi di non risposarsi nel caso di vedovanza.

Di fatto si riduce la sessualità alla sua funzione riproduttiva. Un impianto felicemente rimesso in discussione dell’enciclica Amoris laetitia e dalla pratica pastorale più avvertita, anche nei confronti dell’omosessualità. I giovani conviventi avrebbero bisogno di itinerari spirituali e di una «benedizione pre-nunziale».

Processi sinodali

Lo sforzo compiuto dal Vaticano II di dare più spazio all’esercizio della collegialità e dell’ecclesiologia di comunione si è scontrato con una recezione che spingeva in senso contrario. Le riforme in corso, in particolare riguardanti la curia romana, valorizzano di più il sinodo dei vescovi e le conferenze episcopali.

Ma la sinodalità è proposta all’insieme della Chiesa e alle singole Chiese locali. «In questo tempo, davanti al pericolo di un clericalismo istituzionalizzato, la sinodalità nel suo significato di piena associazione dei cristiani alla gestione delle comunità, si presenta come una risorsa per migliorare la situazione» (p. 24).

sinodalità

La Chiesa intesa come popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito è tale solo dentro l’esercizio sinodale. Troppi elementi remano contro. Un ruolo come quello dei vescovi, nominati dal papa, non condizionabili dai fedeli e autonomi rispetto ai vescovi vicini e alla conferenza episcopale ne è un esempio.

È bene non essere ingenui e credere che tutto è bene nella sinodalità e tutto è male nella funzione gerarchica. È certo, invece, che la sinodalità non vada confusa con la democrazia, anche se con essa ha qualcosa in comune. «Considerare che la Chiesa debba funzionare in tutti gli ambirti come una democrazia non avrebbe senso, perché le assemblee cristiane guardano a una verità che non è in alcuna maniera soggetto al consenso» (p. 27). Il compito più immediato sembra essere quello di aggiornare il diritto canonico alla teologia di comunione. È importante quello che sta succedendo in Germania con l’avvio del processo sinodale.

È auspicabile anche per la Francia «un’assemblea rappresentativa di vescovi e laici per identificare gli sforzi intellettuali, spirituali e organizzativi che il futuro richiede. Niente lo impedisce e tutto lo raccomanda». (p. 27). «Il popolo di Dio, nella sua diversità, percepisce vivamente il bisogno di indicare le riforme più urgenti, di parlarne insieme per poter superare difficoltà d’ordine pratico, ma anche insufficienze dottrinali ereditate da storiche controversie. Senza questo cammino che favorisca l’espressione di quello che portano nel cuore, la frustrazione dei cattolici non farà che crescere» (p. 29).

Un testo militante che non rinuncia a dialogare con le tendenze più conservatrici pur essendone distante e che condivide cordialmente l’indirizzo delle riforme e dei modi suggeriti da papa Francesco.

Settimananews

2° Anniversario per don Fabrizio Crotti in S. Stefano a Reggio Emila: Celebrazione S. Messa Venerdì 31 Luglio alle ore 19

Sono passati 2 anni dalla partenza al cielo di don Fabrizio Crotti amato Parroco in S. Stefano per tanti anni prematuramente scomparso il 30 Luglio 2018. Nel 2° Anniversario sarà Celebrata una S. Messa il giorno 31 Luglio 2020 alle ore 19 in S. Stefano a Reggio Emilia in Via Emilia S. Stefano.

Una poesia dedicata a don Fabrizio…

TRA LIBRI E AMICI…

Tra i libri
vibri
per il Vangelo
e togli il velo
ai volti scuri
con sguardi puri
accendi speranza
dalla tua stanza
ricca di pagine
non è la fine
ci parli ancora
ora
con gesti veri
con gusti seri
la tua presenza
riempie la stanza
dei ricordi perduti
i volti muti
nascosto dolore
tramutato in amore…

di Giuseppe Serrone

Per una pastorale dell’incontro

«Come interpretare la crisi attuale, quali lezioni ricavarne, e come riconoscere il “nuovo” di Dio? Quali cose lasciar cadere e quali mantenere? Come cambieranno le cose? Come saremo? Cosa ci chiede il Signore in questo tempo?». Con queste domande i vescovi campani si interrogano nella “scheda per la riflessione nelle nostre Chiese”, intitolata «Per una “lettura sapienziale” del tempo presente». Nel testo i presuli sottolineano la difficoltà di essere pronti a leggere «i segni dei tempi», un esercizio della fede che richiede la capacità di cogliere, attraverso gli avvenimenti, «i richiami e gli appelli. È un esercizio a cui non siamo abituati, come purtroppo dimostra il fatto che, anche in questa emergenza, siamo forse più preoccupati della ripresa della celebrazione dei sacramenti piuttosto che di “discernere l’oggi di Dio”». Dimenticando che la Chiesa è chiamata a «leggere in maniera sapienziale la storia». Di qui pertanto l’esortazione a «leggere quanto è accaduto e sta accadendo come un appello, un richiamo, e vedere la crisi come grazia», facendo tesoro di ciò che la pandemia ha insegnato: «Il senso del limite, personale e sociale; il ridimensionamento dell’illusione di onnipotenza», con la consapevolezza che nessuno si salva da solo; «il valore del tempo che viviamo; l’importanza di essere vicini e di essere distanti; il grande sentimento di solidarietà».

La crisi attuale dai molteplici risvolti, proseguono i vescovi, rappresenta un giudizio ma anche una grande occasione che non ci si può permettere di sprecare. «Certo, essendo la situazione in evoluzione, non è possibile formulare programmi “ad ampio respiro” e indicare con precisione le cose da cambiare e quelle da assumere oggi e per l’immediato futuro». In questo tempo di pandemia, viene evidenziato nella scheda, «la Chiesa si è trovata a vivere un passaggio di grave difficoltà e insieme l’apertura di inattese possibilità», facendo emergere con più evidenza tutte le problematiche pastorali, teologiche e spirituali «con cui essa si confronta da decenni». Ecco allora una delle chiavi di lettura della pandemia: «Ripensare la pastorale e ad accelerare quel rinnovamento prospettato dal concilio e continuamente sollecitato da Papa Francesco, il quale ci dice, in molti modi, di ripensare le pratiche pastorali in nome di un cambiamento d’epoca che stiamo vivendo e nella direzione di una Chiesa “in uscita”».

Questa è dunque la strada da seguire, per annientare quel senso di smarrimento che ha portato, osservano i vescovi, a forme di “pseudoliturgia selvaggia” con sacerdoti che, nei social, hanno fatto «un uso improprio della liturgia o di alcuni aspetti cultuali». È anche vero però, rimarcano i presuli, che «nei giorni della pandemia si sono aperti nuovi spazi di celebrazione che potrebbero essere valorizzati» per rafforzare così il tessuto delle varie comunità ecclesiali. Doveroso quindi, si puntualizza nel documento, prendersi cura delle relazioni personali cercando i fedeli singolarmente, «con la discrezione necessaria, ma anche con la cordialità e l’interessamento sincero. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno, tra collaboratori, praticanti; abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi. Ai nostri presbiteri bisogna dire che è emersa in questo tempo una forte domanda di ascolto che va recepita». L’importanza dell’incontro, del legame: è qui che si piantano i semi fruttiferi per una nuova e più profonda umanità. «Se il vuoto di questi giorni ha fatto crescere in noi la nostalgia dell’amicizia, delle relazioni, perché non ci bastano le relazioni virtuali — aggiungono i presuli — allora chiediamo allo Spirito di farci tornare in comunità, non per riprendere il ritmo forsennato delle tante attività ma per curare meglio la qualità delle relazioni». In base a tali considerazioni presbiteri, religiosi e operatori pastorali vengono invitati «a superare le resistenze e ad “investire” su quello che lo Spirito in questo tempo dice alle nostre Chiese».

Osservatore Romano

Parrocchia, tempo di cambiare verso il nuovo dei carismi. Valorizzare tutti

di: Francesco Cosentino

parrocchia

In un mondo in rapido cambiamento, la parrocchia è chiamata a rinnovare se stessa e la propria organizzazione valorizzando i carismi di tutti.

Qualche tempo fa, il prete tedesco Thomas Frings ha deciso di prendersi un tempo di pausa in un monastero, dopo una lunga esperienza pastorale vissuta come parroco. Nell’avvincente testo Così non posso più fare il parroco,[1] Frings racconta la vita quotidiana di un parroco, affermando di essere un prete felice, ma sottolineando l’urgenza di un cambiamento di rotta per una Chiesa organizzata e strutturata, ma, tuttavia, ormai incapace di trasmettere la freschezza del Vangelo in un mondo profondamente cambiato.

Da diverso tempo, infatti, l’istituzione parrocchiale è in uno stato di sofferenza. Essa appare eccessivamente affaticata, appesantita da apparati e strutture che la rendono statica in un mondo diventato mobile, spesso imprigionata in forme, stili e linguaggi che non sono più in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze dell’evangelizzazione.

Insomma, il “cantiere parrocchia” ha bisogno di essere riaperto perché si avvii un tentativo di rinnovamento e, in questo senso, può essere letto il nuovo documento della Congregazione per il clero appena pubblicato, dal titolo La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Una nota di metodo

Una prima e doverosa nota di metodo appare necessaria per una corretta lettura e interpretazione del documento. Come spesso accade nell’ambito di una sempre più diffusa superficialità della comunicazione, spesso le appendici diventano il centro; ma il documento, pur parlandone, non nasce primariamente per definire la questione dei tariffari per i sacramenti o per “aprire” alla possibilità che, in certe circostanze, siano i laici ad amministrare un sacramento o a celebrare la Liturgia della Parola, cosa peraltro già prevista da tempo dal Diritto Canonico.

Al contempo, insieme alla mens del documento, occorre tenere presente la sua destinazione universale. La Congregazione, venendo a contatto con le situazioni più disparate di quasi tutto il mondo e raccogliendo la voce dei vescovi di molti Paesi, ha contezza di come alcune problematiche di natura ecclesiologica o pastorale siano diverse a seconda della realtà concreta in cui ci si trova. Ciò è importante per evitare letture parziali, pregiudiziali e talvolta ideologiche.

La sapienza teologica, soprattutto, dovrebbe essere allenata, quand’anche si trovasse dinanzi a formulazioni non del tutto convincenti, a considerare il “tutto” e a supporre che, in un documento della Santa Sede, confluiscono una serie di elementi diversi e non poche situazioni ecclesiali di partenza diverse tra loro.

La conversione della parrocchia in un mondo cambiato

Il documento della Congregazione per il clero nasce dall’esigenza di cercare con creatività strade nuove perché il vangelo sia annunciato senza lentezze, come auspicato più volte da papa Francesco, anche attraverso un ripensamento/rinnovamento della forma parrocchiale.  L’Istruzione, perciò, intende offrire «strumenti per una riforma, anche strutturale, orientata a uno stile di comunione e di collaborazione» (La conversione pastorale, n. 2), in linea con quella trasformazione auspicata da papa Francesco in Evangelii gaudium, perché la parrocchia diventi un canale missionario di evangelizzazione e non un apparato che mira all’autopreservazione.

parrocchia

L’istituzione parrocchiale, infatti, vanta una lunga storia e, tuttavia, la sua configurazione sembra non reggere più l’impatto di profondi cambiamenti sociali e culturali, avvenuti negli ultimi decenni. In particolare, ad apparire poco adeguato rispetto ai tempi, è l’intrinseco legame tra parrocchia e territorio. Infatti, il mondo contemporaneo è segnato da un’accresciuta mobilità che investe gli stili di vita e gli stessi “confini” dell’esistenza. La vita delle persone, specialmente nelle grandi metropoli e aree urbane, si svolge in perenne movimento, nel contesto di luoghi, tempi, spazi e situazioni esistenziali variegate e plurali.

La parrocchia, con le sue strutture, i suoi organismi, i suoi orari ben definiti, le sue forme tradizionali, rischia di apparire troppo statica e inamovibile, mentre nel mondo attuale «il legame con il territorio tende a essere sempre meno percepito» e «i luoghi di appartenenza divengono molteplici» (n. 9).

La missione come criterio di rinnovamento

In un mondo così profondamente cambiato e in perenne movimento, la parrocchia è chiamata «a trovare altre modalità di vicinanza e di prossimità rispetto alle abituali attività» (n. 14), così da venire incontro alle persone che, oggi, vivono in un «territorio esistenziale e relazionale» più ampio del ristretto ambito geografico in cui abitano.

Il documento invita a superare una pastorale il cui campo d’azione è delimitato esclusivamente all’interno dei limiti territoriali della parrocchia. Solo così essa non rischia di restare imprigionata nella mera ripetizione di attività inerenti a una pastorale delle “cose di sempre” e diventa, invece, capace di vivere il dinamismo dell’evangelizzazione, aprendosi in modo trasversale al territorio e portando avanti proposte pastorali diversificate.

Si tratta di «individuare prospettive che permettano di rinnovare le strutture parrocchiali “tradizionali” in chiave missionaria» (n. 20), attraverso un rinnovato slancio nell’annuncio del Vangelo, proposte pastorali trans-parrocchiali, spazi e luoghi in cui la comunità cristiana diventa generativa di legami fraterni, di vicinanza e di crescita di buone relazioni umane.

Dalla singola parrocchia alla Comunità inclusiva

Una simile conversione pastorale necessita di quello che il documento chiama «un processo graduale di rinnovamento delle strutture», e di «modalità diversificate di affidamento della cura pastorale e di partecipazione all’esercizio di essa, che coinvolgono tutte le componenti del Popolo di Dio» (n. 43).

Infatti, la parrocchia presa singolarmente, sufficiente a se stessa, che organizza da sé la pastorale senza connessione con altre comunità vicine e con la diocesi, rischia di apparire anacronistica, statica, circoscritta in un criterio giuridico-territoriale che non trova più corrispondenza nella vita reale delle persone, incapaci di arrivare a tutti.

Il documento, allora, auspica che possa svilupparsi quella riorganizzazione pastorale della parrocchia, già conosciuta con la denominazione di Unità Pastorali, Zone Pastorali o Comunità di parrocchie. Non si tratta banalisticamente di unire le parrocchie per scarsità di preti o di mezzi, bensì, più teologicamente, di ripensare e programmare insieme la pastorale e l’evangelizzazione, a partire da una più ampia lettura del territorio, contenuti e obiettivi comuni, programmi pastorali comuni, proposte innovative e trasversali di evangelizzazione.

parrocchia

Anche se la parrocchia continua a promuovere una pastorale ordinaria, le prefetture, i decanati, le vicarie e le foranie – oggi ridotte a pure istituzioni formali – potrebbero diventare luoghi di elaborazione di una simile pastorale d’insieme, in una comunione e collaborazione attiva, fattiva e concreta non solo tra preti e laici, ma anche tra quelle che oggi sono parrocchie diverse.

Una normativa canonica

Così, posto che a fondamento del documento c’è l’ecclesiologia di comunione del concilio Vaticano II e gli impulsi del magistero di Francesco sulla necessità di una «Chiesa in uscita», la seconda parte del documento si limita a offrire, in particolare ai vescovi, le modalità canoniche attraverso cui attuare sperimentazioni di Unità o Zone Pastorali.

Si tratta di realtà intermedie tra la diocesi e la singola parrocchia, guidate da un vicario episcopale o parroco moderatore, che dovrebbero essere erette tenuto conto delle dimensioni della diocesi e della sua concreta realtà pastorale, «con una particolare attenzione al territorio concreto… per facilitare la relazione di vicinanza tra i parroci e gli altri operatori pastorali» (n. 46).

Il documento, specialmente nella sua parte canonica, intende evitare due rischi estremi, attualmente presenti in diversi Paesi del mondo: una parrocchia in cui il parroco e gli altri presbiteri si occupano di tutto e decidono da soli di ogni cosa, relegando le altre componenti della comunità al marginale ruolo di esecutori; o, viceversa, una parrocchia in cui la specificità dei carismi è livellata, al punto che essa non ha più un pastore proprio cui è affidata la cura pastorale, ma un team di persone – preti e laici – che, come un consiglio di amministrazione, gestiscono nella veste di funzionari un’azienda.

Conclusione

Non deve sfuggire che il tentativo dell’Istruzione è avviare un rinnovamento delle forme di cura pastorale, attraverso una riforma anche strutturale della comunità, al servizio di una nuova evangelizzazione.

L’idea di sottofondo è che, al centro della comunità cristiana e del suo agire, c’è lo Spirito Santo, la cui unzione appartiene a tutto il Popolo di Dio, e che abilita tutti i battezzati, attraverso carismi e ministeri diversi, a partecipare alla missione ecclesiale. In questa rinnovata compartecipazione tra preti e laici, si ritiene necessario porre segni concreti per «il superamento tanto di una concezione autoreferenziale della parrocchia», quanto di una «clericalizzazione della pastorale» (n. 38).

parrocchia

Ciò si realizza aiutando la parrocchia a emanciparsi dal modello tridentino che la vede agire “in solitario”, per diventare luogo in cui le diverse vocazioni e i diversi ministeri si armonizzano e danno vita a nuove forme di annuncio della fede.

Naturalmente, la conversione strutturale presuppone quella personale: mai come oggi c’è bisogno di questo sforzo comune di cambiamento di mentalità, che deve investire la formazione dei preti e dei laici, perché insieme continuino a «inventare il cristianesimo».[2]


[1] Cf. Th. FRINGS, Così non posso più fare il parroco. Vi racconto perché, Àncora, Milano 2018

[2] J. DELUMEAU, Scrutando l’aurora. Un cristianesimo per domani, Messaggero, Padova 2003, 176.

Settimanana News

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone)

Rinnovato e potenziato il sito web del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita nello spazio lanciato alla fine dello scorso anno e dedicato alle buone pratiche di collaborazione fra pastori e fedeli

Vatican News

Promuovere e formare i fedeli laici nella Chiesa e nella società: questo è tra i compiti del Dicastero Laici, famiglia e vita che di recente, proprio per essere maggiormente un punto di riferimento per gli agenti pastorali, per i movimenti e le associazioni, e per quanti sono interessati a trovare modalità di impegno con i fedeli laici nei loro Paesi e nelle loro comunità, ha rinnovato  il sito internet nella sezione di lingua inglese  – laityinvolved.org – lanciato alla fine dello scorso anno.

Lo spazio, nell’ambito del sito www.laityfamilylife.va, accoglie la sollecitazione del Papa di proporre modelli positivi di collaborazione fra i pastori e i fedeli, evitando contrapposizioni e antagonismi che fanno male alla Chiesa e dunque presenta una serie di “buone pratiche” in atto nella Chiesa a favore del servizio a  laici. E in questi giorni in cui molti lavorano da casa, il portale in lingua inglese è stato aggiornato e potenziato.

Ogni buona pratica o progetto che arriva prevalentemente dalle Conferenze episcopali e dalle Diocesi dei cinque continenti, può essere un modello per altri Paesi e duque viene spiegata in ogni suo aspetto abbracciando gli ambiti più diversi, dalla pastorale giovanile alla bioetica, all’educazione e alla difesa della vita, ma anche aromenti relativi a sport , nuova evangelizzaione e donna.

L’idea del Dicastero di creare un sito così essenziale è nata dopo un incontro internazionale sulla formazione dei fedeli laici tenutosi lo scorso anno. Rappresentanti di diverse Conferenze episcopali presentarono al Dicastero alcune delle loro migliori attività nel campo dell’evangelizzazione e della promozione dei fedeli laici nei loro rispettivi paesi. Prima ancora dell’incontro internazionale, il Dicastero fece tra tutte le Conferenze Episcopali un sondaggio per conoscere l’attività di ciascuna di esse con i laici.