Una missione italiana scopre una porta monumentale dell’impero di Hammurabi

Il ritrovamento del secondo secolo a.C. nel sito archeologico di Tell Muhammad, nella periferia meridionale di Bagdad, da parte di un team di ricercatori dell’Università di Catania, guidato dal professor Nicola Laneri

archeologia impero hammurabi scoperta porta monumentale

AGI – La porta monumentale nella cinta muraria, magnifici vasi e due edifici risalenti al II millennio a.C., quando Hammurabi di Babilonia era impegnato nella conquista della Mesopotamia e a farne un impero.

A scoprirli nel sito di Tell Muhammad nella periferia meridionale di Baghdad è stata una missione archeologica dell’Università di Catania diretta dal professor Nicola Laneri.

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© Università di Catania

Il team di ricercatori dell’Università di Catania

La missione, denominata “Baghdad Urban Archaeological Project“, si svolge in collaborazione con lo State Board of Antiquities and Heritage dell’Iraq e grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Gli scavi hanno fatto venire alla luce ampi tratti della cinta muraria monumentale di quasi 6 metri di spessore, tra cui anche la porta monumentale, edificata in mattoni crudi all’epoca di Hammurabi, ovvero risalenti al periodo 1792-1750 a.C..

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© Università di Catania

“La scoperta – spiega Laneri, docente di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente – conferma ciò che nel 1850 Sir Ernst Layard e successivamente, tra il 1978 e il 1985), gli archeologi dello State Board of Antiquities and Heritage avevano evidenziato grazie al ritrovamento di tavolette e iscrizioni su teste di mazza in bronzo, e cioè che Hammurabi, sesto re della I dinastia di Babilonia, aveva rafforzato con avamposti militari il suo confine settentrionale nel corso delle campagne militari che lo portarono a conquistare ampia parte della Mesopotamia” spiega.

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© Università di Catania

Nel corso della missione è stata definita una possibile strategia per rendere fruibili le aree precedentemente scavate, ovvero l’area sacra sulla sommità del monticolo e il circuito di mura che lo cinge, magnifici vasi e due edifici risalenti al II millennio a.C. Attraverso un programma di restauro degli edifici in mattoni crudi e di creazione di coperture e pannelli esplicativi, il sito di Tell Muhammad è destinato un prezioso strumento per stimolare la conoscenza di una delle epoche più importanti della storia mondiale, cioè l’Età Paleobabilonese, nel centro della capitale dell’Iraq.

Archeologia. Pompei, ritrovata una tartaruga ancora col suo uovo

Testa, coda e zampe sono intatte. La bestiola aveva scavato una tana sotto il pavimento di una “taberna”. Il ritrovamento nell’area di una villa di lusso integrata poi nelle Terme Stabiane
La tartaruga di terra ritrovata a Pompei

La tartaruga di terra ritrovata a Pompei – Reuters

Una tartaruga di terra in notevole stato di conservazione con la testa, coda e zampe intatte e soprattutto un uovo mai deposto: è l’ultima sorpresa in ordine di tempo di Pompei. Gli archeologi l’hanno trovata a mezzo metro di profondità sotto il pavimento in terra battuta di una bottega della centrale Via dell’Abbondanza, dove una ricerca condivisa tra l’Università Orientale di Napoli, la Freie Universität di Berlino e l’università di Oxford sta indagando i resti di una casa di lusso che dopo il terremoto del 62
d.C. fu demolita e annessa alle Terme Stabiane.

Secondo il direttore del Parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel, il ritrovamento “apre una finestra sugli ultimi anni di vita della città”, quelli tra il terremoto e l’eruzione, “nei quali l’intera Pompei si era trasformata in un grande, pulsante, cantiere edilizio”. In
questa situazione cambia l’ecosistema della cittadina, sottolinea il direttore, con animali selvatici che trovano il loro spazio nei locali in lavorazione o in botteghe come questa, in pieno centro. La testuggine si era evidentemente introdotta nella taberna “e lì, in un angolo protetto, si era scavata una tana dove deporre il suo uovo”, fa notare l’antropologa Valeria Amoretti, “cosa che non le è riuscita e che potrebbe averne causato la morte”.

 

La tartaruga trovata a Pompei

La tartaruga trovata a Pompei – Ansa / Marco Giglio / Università Orientale Napoli

 

Intanto stanno tornando alla luce pavimenti e decorazioni della magnifica casa che in origine occupava quegli spazi. Una dimora
di assoluto pregio, sottolineano Marco Giglio dell’Orientale e Monika Trumper dell’Università di Berlino, che tra saloni e cortili si estendeva per oltre 900 metri quadrati in un quartiere centralissimo della città. Con tappeti di mosaico che per la loro complessità e bellezza, fanno notare i professori, possono essere paragonati a quelli della Villa dei Misteri o della Casa di Cerere, resi preziosi da disegni raffinati e rari che in alcuni casi riproducono le meraviglie dell’architettura romana, come il lungo acquedotto apparso sul pavimento del tablinio.

 

Lo scavo dei mosaici a Pompei

Lo scavo dei mosaici a Pompei – Ansa / Marco Giglio / Università Orientale Napoli

 

È al momento un mistero perché, 150 anni dopo la sua costruzione, questa splendida dimora sia stata rasa al suolo. Forse il
terremoto l’aveva danneggiata al punto da renderne poco conveniente la ristrutturazione; o forse, com’è documentato in
altre situazioni a Pompei, la paura vissuta con il terremoto ha convinto i proprietari a trasferirsi in una situazione ritenuta
più sicura. Senza contare che la famiglia che l’aveva fondata poteva nel frattempo essere decaduta. Certamente la proprietà, complice i prezzi del mercato immobiliare crollati dopo il terremoto, passò all’amministrazione cittadina che lo mise a disposizione delle terme sulle quali si decise di investire costruendo una nuova grande piscina dotata di acqua corrente, scenografici ninfei, ambienti per l’epoca moderni e ad alto tasso tecnologico. Presto sarebbe stato coperto tutto da uno strato di cenere.

 

Le Terme Stabiane a Pompei

Le Terme Stabiane a Pompei – Ansa / Marco Giglio / Università Orientale Napoli

Archeologia. Nuova sinagoga scoperta a Magdala

È la prima volta che si trovano due sinagoghe del tempo di Gesù nello stesso centro urbano
I banchi della nuova sinagoga recentemente scoperta

I banchi della nuova sinagoga recentemente scoperta – Università di Haifa

Avvenire

Vedere emergere dalla terra dei banchi di pietra lungo i lati di una stanza e realizzare rapidamente che si è di fronte, un’altra volta, alla scoperta di una sinagoga del primo secolo, il tempo di Gesù. È quanto è successo nei giorni scorsi a Dina Avshalom-Gorni, archeologa dell’Autorità Israeliana per le Antichità.

Siamo a Migdàl (in ebraico “torre”), la città da cui ha preso il nome Maria Maddalena, la discepola di Gesù di cui ci parlano i Vangeli. Già nel 2009 gli scavi nell’area archeologica tenuta dai Legionari di Cristo hanno portato alla luce una sinagoga del primo secolo. La scoperta generò un grande interesse da parte degli studiosi, soprattutto a causa di una pietra, finemente decorata, i cui motivi rimandano al tempio di Gerusalemme. Questa volta le circostanze sono fortuite, perché il ritrovamento è avvenuto in uno “scavo di salvataggio” dovuto al fatto che sono in corso dei lavori stradali. Prima di costruire si fanno sondaggi per verificare di non obliterare dei resti importanti, ed ecco che è emersa un’altra sinagoga con la stessa pianta di quella ritrovata una dozzina di anni fa.

La pietra di Magdala con la Menorà (candelabro a sette braccia)

La pietra di Magdala con la Menorà (candelabro a sette braccia) – Ministero del Turismo Israele

È la prima volta che si trovano due sinagoghe del tempo di Gesù nello stesso centro urbano e più in generale le sinagoghe di primo secolo si contano sulle dita delle mani o poco più. Questa volta l’impulso per gli studiosi è dato proprio dalla duplicazione; secondo il professor Adi Erlich, dell’Università di Haifa, che ha la responsabilità scientifica dello scavo: “La sinagoga che stiamo scavando adesso è vicina alla strada residenziale, mentre quella del 2009 era circondata da una zona industriale”. Magdala era un grande centro sul lago di Galilea. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, esagerando con i numeri, parla di quarantamila abitanti e di duecentotrenta navi nel porto cittadino. Anche considerando numeri di molto inferiori siamo comunque di fronte a un centro importante. Due sinagoghe in due diverse aree dell’abitato dicono quanto la presenza di questa istituzione fosse pervasiva nella quotidianità degli ebrei al tempo di Gesù. Del resto leggiamo nei Vangeli, e l’archeologia lo ha confermato, dell’esistenza di sinagoghe anche in villaggi molto piccoli della Galilea. Possiamo chiederci il motivo di (almeno) due sinagoghe a Magdala: esigenze di spazio? Legame con il territorio fino al punto di avere sinagoghe di quartiere? Legame con le diverse realtà sociali che componevano il giudaismo del tempo? Tutte questioni su cui si concentreranno gli approfondimenti futuri e che sono stimolate da questo ritrovamento.

La sinagoga si presenta a pianta quadrata, con banchi di pietra su tutti i lati; il punto focale della sinagoga stava nel centro della sala. Al tempo di Gesù le sinagoghe erano spazi multifunzionali dove la gente poteva riunirsi. Sappiamo che tra le attività svolte in sinagoga c’erano la lettura e lo studio della legge, la Torà. Ma sappiamo anche che qui la comunità si radunava quando c’erano da prendere decisioni importanti, come avvenne a Tiberiade quando gli abitanti dovettero decidere quale atteggiamento tenere nella rivolta antiromana nel 66 d.C. Nella sinagoga si amministrava la giustizia, si raccoglievano contributi per opere di carità e in alcune era possibile accogliere gli stranieri.

Archeologia. Terra Santa: scoperta una chiesa dell’VIII secolo presso il Monte Tabor

Il ritrovamento dell’edificio di età bizantina è avvenuto a Kfar Kama, nella Bassa Galilea. Di dimensione importanti e dotato di tre absidi, doveva essere parte di un monastero.
Veduta area dell'area di scavo a Kfar Kama, in Galilea, con la chiesa a tre absidi recentemente ritrovata

Veduta area dell’area di scavo a Kfar Kama, in Galilea, con la chiesa a tre absidi recentemente ritrovata – Alex Wiegmann / Israel Antiquities Authority

Una chiesa di epoca bizantina, risalente all’VIII secolo, è stata trovata nel villaggio di Kfar Kama, in Galilea, a dieci chilometri dal Monte Tabor. La scoperta è stata effettuata grazia alla collaborazione tra l’Autorità israeliana per le antichità (Aia) e l’Istituto universitario Kinneret (Kinneret Academic College).

L’edificio misurava 12 metri di larghezza per 36 di lunghezza, presentava una corte, un nartece per i catecumeni e quindi una chiesa a tre navate e tre absidi – fatto raro perché a quell’epoca le chiese della zona presentano di norma una sola abside. Le navate erano pavimentate con mosaici: le tracce emerse testimoniano decorazioni policrome a motivi geometrici e floreali blu, neri e rossi. Tra i reperti rinvenuti c’è inoltre un piccolo reliquiario costituito da una scatola in pietra.

A Kfar Kama all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso era stata scoperta una piccola chiesa con due cappelle, molto probabilmente risalente alla prima metà del VI secolo. Secondo il professor Moti Aviam, dell’Istituto Kinneret, doveva trattarsi della chiesa del villaggio, mentre l’edificio sacro appena scoperto doveva far parte di un monastero posto ai margini del nucleo abitato.

Il nuovo ritrovamento evidenzia l’importanza del sito cristiano di Kfar Kama in epoca bizantina. Alcuni archeologici, in passato, hanno ipotizzato che l’attuale centro urbano potesse coincidere con l’antica Helenopolis, fondata dall’imperatore Costantino in onore della madre Elena. Un’altra ipotesi, invece, localizza Helenopolis nel vicino villaggio di Daburiyya. , ha spiegato Aviam, che però lascia aperti ancora alcuni interrogativi: .

Avvenire

Archeologia Egitto, 2 stanze segrete nella tomba di Tutankhamon

Due stanze segrete sono state scoperte dietro la tomba di Tutankhamon, sui lati occidentale e settentrionale, con materiale organico e metallo. Lo ha annunciato il ministro per le Antichità egiziano, Mamdouh Eldamaty in una conferenza stampa.

Si tratta del risultato della scansione ai raggi X della tomba compiuta il 26 e 27 novembre 2015, ha detto il ministro aggiungendo che le ricerche proseguiranno per scoprire la natura dei materiali ritrovati.

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Il Cairo: il ministro delle Antichità, Mamdouh el-Damaty (a sinistra), presenta alla stampa le scansioni radiografiche della celebre tomba (Ansa web)

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Gli esami condotti a novembre nella camera funeraria di Tutankhamon non hanno però risolto il giallo sull’eventuale sepoltura nella tomba della Regina Nefertiti.

“Credo ci sia sepolto qualcuno di molto importante, ma non penso sia Nefertiti”, ha detto il ministro Mamdouh Eldamaty, annunciando per il prossimo 31 marzo nuovi test radio-digitali per determinare l’ampiezza della tomba e delle mura. I risultati verranno annunciati il primo aprile. Ma non tutti la pensano come lui.

La vicenda prende le sue mosse nell’agosto dello scorso anno: l’archeologo britannico Nicholas Reeves annuncia al mondo che “ci sono le prove che il luogo della sepoltura di Nefertiti sia accessibile dall’interno della tomba di Tutankhamon”, figlio del faraone Akhenaton, il marito di Nefertiti, ma avuto con un’altra donna, la giovane regina Kiya.

Reeves, analizzando le mura della camera funeraria, ha scoperto due ingressi che con tutta probabilità sono celati da millenni. A sostanziare questa tesi la “modestià della tomba” di Tutankhamon che non sarebbe altro che una struttura “aggiunta” alla tomba originaria, quella di Nefertiti appunto.

Alcune decorazioni con scene religiose sono poi da datare prima della struttura della tomba e sarebbero servite come protezione rituale per la parte segreta, e più importante, del complesso.

Nefertiti visse nel XIV secolo a.C. nel “Nuovo Regno” e assieme al marito, l’altrettanto leggendario faraone Akhenaton, fu protagonista della rivoluzione religiosa tesa a imporre un credo monoteista, incentrato sull’adorazione del dio Aton. Tanto che come Akhenaton che cambiò nome, in realtà si chiamava Amenhotep IV, anche Nefertiti (“la bella è arrivata”) avrebbe scelto di cambiare e chiamarsi Nefer-neferu-Aton(“Aton è raggiante… la bella è arrivata”).

Dopo la restaurazione del culto originario, segnato dall’avvento al potere dei militari, i loro nomi vennero cancellati dai registri ufficiali. Le scoperte nella tomba di Luxor potrebbero aprire una nuova porta di conoscenza sulla travagliata storia degli ultimi eredi della XVIII dinastia, rimasta al potere per due secoli e mezzo quasi 4.000 anni fa.

Avvenire

Gerusalemme, apre il Terra Sancta Museum, tra reperti e multimedia

Taglio del nastro domani a Gerusalemme nel Convento della Flagellazione per la prima sezione del Museo dedicato  alla presenza cristiana in Terra Santa. Documenti, archeologia e multimedialità insieme per far immergere pellegrini e turisti nella storia della città santa.

Preziosi reperti archeologici, musica, proiezioni multimediali: tutto questo è il “Terra Sancta Museum – Via Dolorosa”. Un percorso coinvolgente che riporta alle origini della fede e restituisce vita alle pietre, testimoni della Rivelazione divina. Padre Eugenio Alliata, archeologo francescano della Custodia di Terra Santa.

R. – La prima sezione che aprirà sarà di tipo multimediale: è quella di più facile accesso alla generalità dei pellegrini perché, oltre che uno stimolo culturale e archeologico, ha anche uno stimolo emozionale. Sarà dedicata alla Via Dolorosa.

D. – Cioè la via che Gesù ha percorso con la Croce sulle spalle fino al Calvario?

R. – Dal pretorio al Golgota.

D. – Che cosa vedranno i visitatori rispetto a questa sezione multimediale della Via Dolorosa?

R. – Dunque, abbiamo attrezzato un ambiente dell’antico Convento della Flagellazione, un ambiente che conserva quelle parti che sono state trovate in sito nella costruzione dello stesso. In particolare, conserva delle parti della Fortezza Antonia, il luogo tradizionale della condanna di Gesù a Gerusalemme. Noi mostriamo un antico pavimento, chiamato Litostroto, frammenti di pietra che sono stati trovati sul posto risalenti sia all’epoca erodiana, quindi appartenenti all’antica fortezza o al tempio di Gerusalemme, sia di epoca adrianea, cioè l’epoca in cui l’imperatore romano Elio Adriano costruì la nuova città di Gerusalemme chiamandola con il suo nome: “Aelia Capitolina”. C’è poi un percorso video, musicale, di voci che accompagna il visitatore lungo la storia di questo sito. È lì che la presentazione diventa un po’ più emozionale, emotiva, perché il pellegrino viene chiamato a immedesimarsi su quel percorso che altri pellegrini hanno fatto prima di lui: “gli apostoli, anime di santi, anime di cavalieri”… Così ha scritto Papa Giovanni XXIII, quando  è venuto pellegrino in Terra Santa, era ancora semplice sacerdote della diocesi di Bergamo. Il pellegrino è chiamato a immedesimarsi in questa lunga schiera di pellegrini che sono passati prima di lui in questi luoghi.

D. – Quindi, un percorso fortemente suggestivo per riscoprire le radici della presenza cristiana in Terra Santa, ma anche favorire il dialogo con altre culture e religioni dal momento che il museo è rivolto a tutti, è aperto a tutti…

R. – Non soltanto in generale è rivolto a tutti, ma abbiamo fatto uno sforzo particolare nel preparare testi nelle varie lingue. Tra queste, anche quella ebraica e araba in maniera che anche la popolazione locale, sia gli ebrei che gli arabi, possa essere coinvolta all’interno di questa presentazione.

D. – Stiamo parlando di una prima parte di un polo museale che prevede un’estensione dell’area espositiva nei prossimi anni…

R. – Noi prevediamo che, terminato questo primo passo in Gerusalemme, possiamo estendere lo stesso concetto in altri Santuari della Terra Santa, come Nazareth per esempio, Cafaranao, Monte Tabor, Ain Karim, Betlemme. Il progetto è grande, però sappiamo che non dobbiamo realizzarlo tutto in una volta, ma lo realizzeremo a poco a poco, ma mano che sarà possibile dal punto di vista pratico.

D. – Certo, iniziative come queste rendono ancora più ricca e coinvolgente l’esperienza del pellegrinaggio in Terra Santa che – va detto – negli ultimi anni ha visto una flessione in quanto a presenze…

R. – Soprattutto dall’Europa e da altri Stati occidentali c’è stata una diminuzione notevole dovuta a molti fattori, però l’esperienza del passato ci insegna che questi sono momenti di flessione. La Terra Santa ha un’attrazione così forte! Siamo convinti che il pellegrinaggio riprenderà appena possibile.

D. – Nell’immediato, pensando alla celebrazione della Pasqua questo museo offre una ricchezza in più a chi si recherà in Terra Santa…

R. – Giustamente, abbiamo voluto che l’apertura fosse prima della Pasqua, quando l’afflusso dei pellegrini è maggiore in Gerusalemme.

Radio Vaticana

Archeologia… Croci e nomi di martiri cristiani nel deserto dell’Arabia Saudita

Chi l’avrebbe mai detto? Croci e nomi di martiri cristiani nel deserto dell’Arabia Saudita. Oltre un chilometro di iscrizioni su roccia, risalenti alla fine del V secolo, in una lingua “nabateo-araba”, che è una sorta di aramaico locale. Li ha scoperti la missione archeologica franco-saudita diretta da Frédéric Imbert, docente dell’università di Aix-Marseille, che ha presentato i risultati all’università americana di Beirut. Ne dà notizia il quotidiano libanese l’Orient-Le Jour (GUARDA LE FOTO), ripreso dall’agenziaAsia News.

Il luogo del ritrovamento dei simboli e dei nomi graffiti sulle rocce (definiti da Imbert una “pagina di storia degli arabi e del cristianesimo”) è noto come Bir Hirma o Abar Hima e si trova nella zona del Jabal Kawkab (“monte della stella”) nel sud dell’Arabia Saudita, emirato di Najran. E questo non sorprende gli storici. Proprio qui furono sterminati i “martiri di Najran”, di cui dà notizia il Libro degli Himairiti. L’eccidio fu ordinato dal sovrano Yusuf (Dhu Nuwas), usurpatore del trono himairita.

Ma le persecuzioni erano già iniziate all’epoca del regno di Shurihbil Yakkuf, che governò il sud dell’attuale Arabia dal 470 al 475. E proprio a quel periodo risalirebbero le iscrizioni scoperte nel deserto.

Il cristianesimo si era diffuso nella penisola arabica a partire dal IV secolo, ma la sua propagazione conobbe nuovo impulso nel VI secolo grazie a missionari persiani e siriaci. Furono i cristiani sopravvissuti ai massacri di Yusuf ad appellarsi al re d’Etiopia, che rovesciò lo sterminatore e instaurò un regno cristiano. Ma il suo splendore fu breve: stava per nascere l’islam, che in quei deserti avrebbe scritto tutta un’altra storia.

avvenire.it

 

Bronzi di Riace, 40 anni fa il sensazionale ritrovamento

A quarant’anni dal loro ritrovamento, avvenuto il 16 agosto del 1972, i Bronzi di Riace hanno ancora un fascino intramontabile tanto che negli ultimi tre anni sono stati oltre trecentomila i turisti che hanno deciso di rendergli omaggio e di ammirare la loro straordinaria bellezza.

I due guerrieri, che da tre anni si trovano nella sede del consiglio regionale della Calabria per il loro restauro e per i lavori al Museo Magna Grecia di Reggio Calabria, a Natale con ogni probabilità torneranno nella loro “casa” naturale. Il sofisticato restauro delle statue è terminato alla fine dell’anno scorso ma i Bronzi sono rimasti nell’ambiente climatizzato del Consiglio regionale in attesa dell’ultimazione dei lavori al Museo. Ed è la soprintendente dei beni archeologici e culturali della Calabria, Simonetta Bonomi, a ricordare che “ora che sono stati sbloccati dal Cipe i sei milioni di euro si è provveduto già a cantierizzare gli ultimi lavori al museo i quali, se tutto va bene, si concluderanno entro dicembre. Quindi entro Natale i Bronzi potranno tornare alla loro casa naturale che è il museo di Reggio Calabria”.

A ritrovare le due statue, a 300 metri dalla spiaggia di Riace, sulla costa jonica reggina, fu il sub dilettante Stefano Mariottini. L’attenzione di Mariottini si concentrò subito sul braccio sinistro di quella che fu denominata statua A, raffigurante il guerriero più giovane, che emergeva dalla sabbia sul fondo del mare. Per sollevare e recuperare i due capolavori, i carabinieri del nucleo sommozzatori utilizzarono un pallone gonfiato con l’aria delle bombole. Il 21 agosto fu recuperata la statua B, che raffigura il guerriero più anziano, ed il giorno successivo toccò all’altra statua. Sin da subito ci si rese conto della straordinaria scoperta che rappresenta una delle poche testimonianze dirette dei maestri scultori del mondo greco classico. Tre anni dopo il loro ritrovamento e dopo i primi accertamenti, i due guerrieri furono inviati nel centro di restauro della Soprintendenza archeologica della Toscana a Firenze. E proprio in quel centro i guerrieri ricevettero le prime cure ed il primo restauro.

Nel 1980, in virtù della loro straordinaria bellezza, l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, decise di far esporre i due bronzi di Riace al Quirinale. La storia e la fruibilità dei due guerrieri da sempre affascina e fa discutere gli esperti di archeologia e di beni culturali. Per diverso tempo si era pensato di clonare le due statue per renderle itineranti ma il progetto, travolto dalle polemiche, è stato abbandonato. Nonostante tutto e a distanza di quarant’anni dal loro ritrovamento, i due bronzi rappresentano ancora “l’oggetto del desiderio di tante persone. – ha aggiunto Bonomi – Sono opere che vengono sempre ricercate e che suscitano un interesse fortissimo. Senza contare poi che, su tutti i turisti, esercitano un fascino inarrestabile”.

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