Il sacramento della GMG: dialogo teologico

Gli eventi che tra il 1 e il 6 agosto si sono svolti a Lisbona hanno suscitato, come era inevitabile, reazioni diverse. Lodi sperticate e stroncature senza appello hanno attraversato la comunicazione pubblica ed anche ecclesiale. Qui vorremmo provare a ragionare su un aspetto delimitato della esperienza delle giornate, ossia sul profilo liturgico-sacramentale della GMG. Quale esperienza del sacramento e della liturgia ha mediato l’evento? In quali categorie possiamo inquadrarlo? Si tratta di una iniziazione oppure di una guarigione o ancora di una vocazione? Proviamo a farlo a due voci, ragionando sul piano della medesima teologia, ma partendo da fuori e da dentro. Una voce (Andrea) farà considerazioni guardando al fenomeno dall’esterno, mentre l’altra (Marco) ragionerà avendo avuto diretta esperienza dell’evento stesso. Questo modo di leggere i fatti potrebbe favorire un reciproco riconoscimento e, nella speranza, una buona forma di riflessione sulla GMG di Lisbona, non apologetica e non trionfalistica, per quanto limitata soltanto al suo aspetto sacramentale. Ringrazio Marco Gallo per lo scambio serio, schietto e sereno.

a) Un sacramento della GMG?

Andrea: La prima osservazione, del tutto generale, si sofferma sulla GMG come un possibile “ottavo sacramento”. La struttura dell’evento, le sue forme di convocazione, di raduno, di organizzazione e di partecipazione tendono ad assumere, come tali, un valore “quasi-sacramentale”. Essere stati alla GMG, a posteriori, sembra diventare quasi una sorta di “carattere” impresso nel giovane e nella giovane, che poi diventa una certa abilitazione alla vita ecclesiale, all’esercizio del culto, alla custodia della fede. Senza escludere il lato della “quantità sensibile”, che resta una sorta di basso continuo dei commenti (pro o contro), la “qualità spirituale” della esperienza sembra valere come una sorta di “recupero” o addirittura di “surrogato” della iniziazione cristiana. Ciò nondimeno, proprio la sequenza dei tre sacramenti fondamentali appare, allo stesso tempo, in secondo piano e il vero punto di sfida. Si parla e si sperimenta molto più penitenza (ma nelle apparenze ridotta a confessione) e adorazione monumentale che battesimo e eucaristia: qui credo ci sia un primo punto importante su cui riflettere.

Marco: Essendone reduce (fuori età), direi di non aver ricevuto l’ottavo sacramento, ma di aver vissuto una straordinaria riformulazione post-moderna della dinamica classica del pellegrinaggio. Credo che aver partecipato non trasformi ma lo possa fare: in un certo modo penso quindi sia da leggere nella chiave della guarigione/esplorazione. Direi un pellegrinaggio antico, più che un’iniziazione moderna, perché non la si sceglie per diventare più cristiani o più cattolici: non c’è accenno alla ripresa del battesimo, né alla dimensione crismale, e la pratica eucaristica è a mio modo di vedere la più faticosa. È un pellegrinaggio anzitutto perché è un’azione unica, sui generis (a che cosa assomiglia?), tanto faticosa che certamente non si può scegliere con motivazioni banali. Perché erano lì questi giovani? Parlando degli europei presenti, questi ragazzi (di famiglia agiata o meno) non hanno certo colto questa occasione per vedere il mondo: l’hanno già girato molto più di noi, sin da piccoli. E non cercavano una scusa per stare con amici. Erano lì perché è un’esperienza senza pari, che non assomiglia a nessun’altra, da condividere e raccontare. Come ogni pellegrinaggio, c’è un prima e un dopo. In questa chiave mi pare che più che un’occasione per vivere liturgie, la GMG sia una liturgia in se stessa: un pellegrinaggio inclusivo.

b) Quale figura di sacramento?

A: La forma che il sacramento assume, nel momento in cui entra da un lato nella esperienza dei giovani e dall’altro nell’occhio della telecamera (senza dare per scontato che possano identificarsi), sembra prendere le movenze più classiche possibili: il fare penitenza diventa “confessione auricolare”; la vita eucaristica “adorazione del santissimo”; la sequela di Gesù “via crucis”. Qui le risorse della riforma liturgica sembrano cedere ad un immaginario almeno formalmente “tridentino” , insieme alle evidenze della “religiosità popolare” e alle dinamiche che tu giustamente hai rilevato del pellegrinaggio. Qui, io penso, il carattere internazionale dell’evento, chiede senza dubbio scelte obbligate, che però non sembrano scelte solo coraggiose. Un DJ in clergimen di fronte a un mare di giovani o una miriade di “confessionali” non sono solo “segni comuni”, ma anche comprensioni orientate e forse ideologiche della tradizione: che la GMG da un lato assume, ma anche rilancia con un effetto travolgente e non facilmente controllabile, sia sul vissuto iniziatico sia sulla dinamica di guarigione dei soggetti implicati e di coloro che a distanza la seguono. Almeno dall’esterno sembrano confermare e quasi “blindare” una confessione puntuale e senza penitenza e una eucaristia cerimoniale e senza azione, ossia non le risorse, ma i problema che da 60 anni cerchiamo di superare.

M: Vissuti con il corpo stravolto del partecipante, con la formazione del liturgista e l’azione del concelebrante, ho trovato le Messe atti quasi estremi, al limite del sopportabile. È una assemblea liturgica quella composta da un milione e mezzo di persone? L’atto di presidenza resiste al gioco di sguardi tra maxischermi e altare fisico quasi non più visibile? Nella pratica, tanti giovani erano coricati ed estraniati, partecipavano solo all’omelia, a qualche canto e, certamente, alla comunione. Per questo, letta come dinamica di pellegrinaggio, trovo che la devozione popolare con alcuni suoi gesti abbia funzionato molto meglio della liturgia. Al mattino del venerdì ho confessato decine di ragazzi (che facevano una sorta di confessione generale!), al pomeriggio mi sono sorpreso a commuovermi nel ritmo straordinario della regia della via crucis, in cui gli stessi dolori del mondo giovanile contemporaneo ascoltati al mattino erano messi in dialogo con la grande trama della passione/risurrezione di Cristo. Oppure, che cosa avrebbe innescato un silenzio pari a quello sceso improvviso, dopo ore di musica sparata, se non la proiezione dell’ostensorio la sera della veglia? Dubbioso sul gesto (già vissuto in altre GMG: di nuovo, verso che cosa ci si inginocchia, lo schermo gigante o il palco? Come si fa l’adorazione se non si è iniziati?), mi sono immerso in un silenzio che neanche l’ascolto del papa aveva generato (tutti con le radioline per la traduzione, alcuni coricati, altri a prendere appunti). Mi sono inginocchiato, ma a mia grande sorpresa, anche i ragazzi meno coinvolti l’hanno fatto da soli (“Posso chiederti perché?” “Sai che non lo so? E che erano anni che non lo facevo?”), in minuti senza un fiato. Mi sembrano tutti atti che testimoniano il fatto che la devozione popolare ha una carne e una potenza che le nostre liturgie non riescono a ospitare. (En passant: non tutta la pietà popolare vi funziona. È stato regalato un rosario ad ognuno, ma è diventato un braccialetto/collana, che non ho mai visto usare nelle giornate).

c) Le parole e le azioni

A: E’ inevitabile che molto sia stato affidato alle parole: parole del papa, testi della veglia, testi della via crucis. Ma il registro “non verbale”, che certamente funziona a fondo anzitutto con i giovani, è stato pensato liturgicamente o sacramentalmente? Se nella memoria comune, oltre che nella rappresentazione mediatica, restano solo “confessionali, adorazione e via crucis”, che ne è dello “stupore liturgico” che deriva dalla celebrazione eucaristica, dalla memoria del battesimo, dalla vocazione crismale? In quale misura le azioni silenziose, ma diversamente eloquenti, sono state oggetto di riflessione e di elaborazione, e non piuttosto funzionalizzate direttamente alla parola e ai valori? Qui, forse, il concetto stesso di “giornata della gioventù” paga un prezzo alto alla pretesa di “ridurre” il tempo ecclesiale a sequenza di “temi”. Non si deve dimenticare che, in origine, la GMG coincideva con la domenica delle palme. Forse questa “origine devozionale” segna ancora in modo troppo forte la identità e la forma stessa di queste GMG, che resistono con comprensibile ostinazione ad ogni inquadramento nell’anno liturgico. Il pellegrinaggio, come hai notato, ha una affinità più col luogo che col tempo e quasi ristabilisce un sorta di “primato dello spazio sul tempo”.

M: In un certo senso sono d’accordo, si è fatta un’esperienza più sacramentale che liturgica. Ma direi che è più potente il non verbale che i testi adottati. Continuerei la tua analisi su due registri tra gli altri: il ruolo del papa e l’esperienza di chiesa.

Sin dall’inizio, il papa è nelle GMG una star, ben più che un presidente e un vescovo. Sia Benedetto che Francesco hanno tentato di interpretare il ruolo in modo ben diverso da Giovanni Paolo. Ma è comunque così. “Esta es la juventud del Papa”. Ascoltavo e mi chiedevo: come possono questi giovani gridare un tale slogan? In che senso sono “suoi”? Certo, papa Francesco ha una postura del corpo (ferito), un tono simpatico e gentile della voce ed un linguaggio simile a quello di un buon nonno, direi accolto con tenerezza profonda. All’opposto metterei il monologo ricchissimo e raro di don Ciotti, da lui urlato alla festa degli italiani, completamente fuori frequenza per i ragazzi (“Don, perché grida?”). Credo dunque che l’esperienza della fiducia accordata al papa sia sempre da capo da meritare sul campo: direi quindi una sacramentalità dell’episcopato/papato ad personam.

Mi sembra, infine, che i partecipanti abbiano fatto un’esperienza immersiva di cattolicità. La GMG (che non ha dimensione ecumenica né interreligiosa) non permette di camminare verso una chiesa sinodale, ma fraterna e universale sì. Direi che è un’esperienza profetica estrema (e solo indicativa, non di progetto) di popoli che si toccano e si abbracciano (poveri giapponesi!), si capiscono, si stimano; di persone con disabilità sempre più a loro agio, di linguaggi che non sono rifiutati a prescindere (compresa la techno!). Credo che questa immersione eccezionale lavori più sul non verbale e non concettuale che sui discorsi.
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