Come mai Gesù Cristo, Gandhi, Martin Luther King sono riusciti a reagire senza “immaginare” il nemico?


Nemico è parola strana. Si definisce solo per opposizione. Non ha una sua consistenza, non indica qualcosa che ha una sua realtà propria, ma si limita a negare la realtà opposta: “in (negazione) – amicus (amico)”. Eppure la si usa costantemente indicando, invece, qualcuno o qualcosa che ha una propria consistenza reale, tanto da immaginare, nei casi più gravi, che esso debba essere distrutto o, in quelli meno gravi, debba essere vinto e contenuto.

Addirittura la propria identità (personale, culturale, religiosa…) si definisce proprio in base all’esistenza di un nemico, rovesciando la logica delle cose. Senza nemici non ci sarebbe consistenza e il proprio valore starebbe proprio nel fatto che esistono dei nemici, che noi reputiamo tali, a prescindere dal fatto che loro ci considerino così.

E, purtroppo, nella fase che stiamo attraversando, sembra che la diffusione di questo rovesciamento della logica delle cose sia in aumento, sia nelle destre che nelle sinistre culturali e politiche. Perché siamo sempre più spinti, culturalmente, socialmente e personalmente, a definire con difficoltà la nostra identità, che oggi sembra essere il problema antropologico centrale, ben più di quello della libertà o del senso della vita. Per questo, oggi, capita spesso di assistere alla definizione dell’identità di persone, gruppi e culture, in cui l’esistenza del nemico sembra dia i contorni entro cui vedere chi si è e dare consistenza e senso al proprio essere. Sembra potersi dire che senza un nemico, la vita non ha senso e non sappiamo chi siamo.

In realtà, le cose sono a rovescio: noi diamo esistenza al nemico, che di per sé non ne avrebbe, nemmeno quando ci aggredisce senza motivo valido. Perché la genesi del “nemico” è dentro di noi, nella nostra ineluttabile tendenza alla difesa dei beni, degli amori, dei territori, delle idee, delle relazioni, della vita. Istinto naturale si dice, e ci sta. Ma spesso, anzi quasi sempre, lo si vive dimenticandosi che esso proviene da noi e non da chi ci aggredisce, con una proiezione sull’altro di ciò che ci spaventa, che oggi assume contorni sociali e culturali, non solo individuali. E che produce una aggressione diffusa e socialmente sdoganata.

Ma può una cultura, una nazione, una popolazione intera, cambiare prospettiva? Trovare modi di reagire diversi, in cui resti centrale che l’esistenza del nemico è produzione della nostra mente e non dei dati di realtà? Come mai Gesù Cristo, Gandhi, Martin Luther King (e sono solo alcuni esempi), sono riusciti a reagire senza “immaginare” il nemico? Che sarebbe successo se l’Ucraina avesse accettato l’invasione russa, senza reagire con le armi? Che sarebbe successo se Israele non avesse risposto militarmente ad Hamas? Sono solo gli ultimi esempi, per ora, più vicini a noi.

Difficile dirlo, anche perché le azioni di aggressione iniziale hanno a loro volta, dietro, una storia e una serie già riconoscibile di eventi aggressivi e di reazioni ad essi, che hanno generato mentalmente il nemico. Ma forse pensarlo ci aiuta a non nasconderci e a riconoscere che un’altra storia è possibile. Ci aiuta a riprendere in mano il senso della realtà pensando che da queste situazioni, se non si smette di immaginare il nemico, ci si esce solo quando uno dei due verrà “vinto”, nel senso che non avrà più risorse umane ed economiche per continuare la battaglia, pagando costi disumani, rispetto a quelli che si sarebbero pagati reagendo diversamente.

Se non riconosciamo all’uomo la fiducia sufficiente per essere in grado smettere di immaginare il nemico, l’unica alternativa resta quella di operare per cercare di limitare i danni. Che sarebbe già molto, visto che i danni potenziali, oggi, possono essere davvero impensabili, per tutti, anche per quelli che si autolegittimano nella difesa. Ma che resta ancora nella logica “obbligante” di chi genera mentalmente il nemico. La differenza di quei personaggi storici sta essenzialmente nella loro capacità di non aver creato un nemico dentro di sé, perciò non hanno avuto bisogno di difendersi da quello esterno, fino anche a non proteggersi di fronte al chi li avrebbe uccisi.

Cristianamente sappiamo che non esiste pace senza pasqua! Non si esce dall’istinto difensivo aggressivo senza “morire” alla nostra paura di essere senza vita, senza beni, senza libertà, senza identità, senza territorio, senza orgoglio. E senza accettare una resurrezione successiva, in cui smettiamo di pensare il male come qualcosa da annientare, o da contenere, ma come un amore da recuperare. Il cristiano non può immaginare nemici e quando lo fa si tira fuori dalla logica dell’amore con Dio ci redime. La Chiesa starebbe proprio lì a testimoniare che anche come comunità si può vivere questa stessa logica in cui non immaginiamo nemici. Ma nei fatti?
vinonuovo.it

Lascia un commento