America Latina. La sfida del nuovo Brasile di Lula: quasi 2 milioni i baby-lavoratori

Durante la presidenza Bolsonaro il numero di bambini e adolescenti costretti a lavorare è aumentato del 7%. Il buco nero delle mancate denunce in caso di incidenti anche mortali

In Brasile molti baby lavoratori

In Brasile molti baby lavoratori – ANSA

avvenire.it

È tornato a crescere in Brasile il numero di bambini sfruttati sul lavoro. Nel corso della presidenza Bolsonaro, buona parte delle conquiste ottenute nei decenni precedenti sono state vanificate. Dal 2019 al 2022 il numero di bambini e adolescenti che svolgono lavoro minorile è aumentato del 7%, tornando a sfiorare quota 2 milioni. Il dato attuale equivale al 4,9% del numero totale della popolazione tra i 5 e i 17 anni.

Toccherà al presidente Lula provare a invertire nuovamente la tendenza. Secondo l’Istituto nazionale di statistica (Ibge) 756mila minorenni sono costretti a svolgere lavori duri e pericolosi che comportano maggiori rischi di incidenti e sono dannosi per la salute e lo sviluppo psico-fisico.

L’elenco comprende mansioni nel settore edile, nei mattatoi, nelle officine meccaniche, nel commercio ambulante in luoghi pubblici, nella raccolta dei rifiuti e nella vendita di bevande alcoliche. Quando uno di questi bambini viene ferito sul lavoro o perde la vita, quasi mai i parenti sporgono denuncia e le autorità nella maggior parte dei casi tendono a soprassedere. I ricercatori segnalano una distinzione netta tra lo sfruttamento per fini esclusivamente economici e il lavoro minorile per autoconsumo. «La produzione per l’autoconsumo – spiegano in una nota – genera beni e servizi per l’uso esclusivo della famiglia. Alcune attività legate all’autoconsumo sono l’agricoltura, la pesca, la caccia, l’allevamento, le costruzioni e le riparazioni in casa». Dei 38,4 milioni di minorenni brasiliani di età compresa tra i 5 e i 17 anni, 2,1 milioni hanno svolto attività economiche o di produzione per l’autoconsumo o entrambe contemporaneamente.

«È importante sottolineare che non tutti i lavori svolti da persone di questa fascia d’età sono considerati lavoro minorile», afferma Adriana Beringuy, coordinatrice delle indagini campionarie sulle famiglie dell’Ibge. Per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), quello minorile è «un lavoro pericoloso e dannoso per la salute e lo sviluppo mentale, fisico, sociale o morale dei bambini e che interferisce con la loro scolarizzazione».

Tra il 2016 e il 2019 il numero di minorenni sfruttati era diminuito del 4,1%, con un calo ancora più netto tra i bambini in età da scuola elementare (16,8%). Se i termini demografici dal 2019 al 2022 la popolazione di età compresa tra i 5 e i 17 anni è diminuita dell’1,4%, il contingente dei ragazzini avviati al lavoro è aumentato del 7,0%, passando da 1,758 milioni nel 2019 a 1,881 milioni nel 2022.

«Non consideriamo solo se i bambini e gli adolescenti sono nel mercato del lavoro, ma a quali condizioni lavorano. Tutti i bambini di età compresa tra i 5 e i 13 anni impegnati in attività economiche o nella produzione per il proprio consumo sono in una situazione di lavoro minorile. Tuttavia – spiega ancora Beringuy –, la legge consente il lavoro come apprendista ai ragazzi di 14 e 15 anni». Pertanto, non tutti i casi sono considerati lavoro minorile. Dalla fascia di “lavoratori” sono esclusi i bambini sfruttati per attività illecite: dalla filiera dello smercio di droga allo sfruttamento sessuale, poiché le stime sono rese più difficili dal livello di impenetrabilità delle organizzazioni criminali.

I dati che arrivano dal Brasile riaccendono i riflettori sul fenomeno dello sfruttamento dei minori in tutta l’America Latina e nei Caraibi, dove le organizzazioni internazionali stimano 8,2 milioni di minori lavoratori, di cui 2,7 milioni femmine e 5,5 milioni maschi. I bambini sono maggiormente impiegati nel settore agricolo (63,6%) mentre le bambine sono più presenti nel settore dei servizi (43%). In Nicaragua il 58,7% dei minori (dai 5 ai 14 anni) sono coinvolti in lavori domestici, in Honduras il 28,5%, mentre il 59,1% è impiegato nel settore agricolo.