A Scandiano, Reggio Emilia, non si nasce. Gli anestesisti delle sale parto sono precettati. Coronavirus, in Italia emergenza rianimazioni

A Scandiano, Reggio Emilia, non si nasce. Gli anestesisti delle sale parto sono precettati per le terapie intensive con i malati di coronavirus. In Lombardia sono rimandati gli interventi chirurgici non urgenti, mentre si propone di riassumere medici e infermieri in pensione. A Cremona emesso un bando per reclutare infermieri e rianimatori. Per riunire i pazienti contagiati, martedì a Milano verrà aperto l’ex ospedale militare di Baggio. Ieri, durante un vertice con il premier Giuseppe Conte, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, alcuni ministri e governatori delle Regioni, si è discusso di potenziare le rianimazioni di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna con nuove attrezzature mediche, acquistate con procedure agili dalla Protezione civile.

L’urgenza, oggi, è rafforzare la porzione più fragile del sistema sanitario: le rianimazioni o terapie intensive. Sono reparti attrezzati che rappresentano la salvezza per i pazienti gravi (il 10%) che faticano a respirare. Uno studio su The Lancet spiega che la letalità del coronavirus non è molto alta in sé, ma rispecchia l’efficienza del sistema sanitario. In Cina, si va dallo 0,7% delle regioni più attrezzate, al 2,9% della provincia attorno a Wuhan. «Dove il numero di infezioni ha subito un’escalation rapidissima”.

«Neanche noi ci aspettavamo così tanti casi in così poco tempo» conferma Mario Tavola, che dirige il dipartimento di emergenza e accettazione dell’ospedale di Lecco. «Il sistema per ora regge ragionevolmente. In Cina hanno costruito un nuovo ospedale in una settimana. Noi apriamo nuovi reparti di rianimazione. Ne dedichiamo alcuni al coronavirus e altri ai pazienti senza infezione. Laddove i posti non sono sufficienti, trasferiamo i malati». A Lecco i ricoverati della rianimazione neurologica sono stati trasferiti in quella generale. Nella neurologica sono arrivati 4 pazienti con il coronavirus da Bergamo, che non aveva più margini di accoglienza. Dalla Regione spiegano: «Oggi quasi il 10% dei posti di rianimazione in Lombardia è occupato da pazienti che arrivano da un’area dove vive solo il 5% degli abitanti. Da questo si capisce che la situazione è critica. E si intuisce cosa accadrebbe se la malattia colpisse più persone». Per ora non si pensa a trasferimenti di pazienti fuori regione ma «ci manca poco». Antonio Pesenti, direttore della rianimazione del Policlinico di Milano, aggiunge: «Dobbiamo tenere basso il numero dei malati, altrimenti succede come in Cina, dove hanno bloccato milioni di persone in casa». Il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ieri si è reso disponibile ad accogliere malati da fuori Regione.

I posti letto di terapia intensiva in Italia sono 5.090. Sono gli unici reparti risparmiati dal dimagrimento del nostro sistema sanitario negli ultimi 15 anni, quando l’Italia ha perso 40 mila posti letto, il 10% del totale. Il blocco degli interventi non urgenti in Lombardia aumenta la capacità dei reparti del 7-8%. Ma la porzione fragile del fronte ha al suo interno una porzione ancora più fragile: medici e infermieri. «Con i tagli alla sanità abbiamo perso il 5-6% di specialisti in 5 anni» spiega Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac). «Oggi siamo vicini ai limiti». Guido Bertolini, che dirige all’Istituto Mario Negri il laboratorio di Epidemiologia clinica, identifica un altro potenziale punto debole del sistema: «A volte le terapie intensive sono state accorpate a quelle sub-intensive. Mentre nelle prime devono esserci 2 infermieri e un medico ogni 4 pazienti, nelle seconde il rapporto si dimezza. In situazioni di emergenza, si rischia di non assistere i pazienti in modo adeguato».

E le sofferenze non tardano a emergere. All’ospedale di Cremona si è passati da un reparto di rianimazione a quattro, dove vengono concentrati i pazienti infetti. «Ma non so quanto potremo reggere» dice Angelo Pan, direttore di Malattie infettive. L’ospedale di Lodi si è visto arrivare in un giorno 51 pazienti gravi, di cui 17 da rianimazione. I più urgenti sono stati trasferiti al Niguarda di Milano. E i dati sulla gravità dell’epidemia in Italia, a causa della popolazione più anziana, non sono confortanti: 2,9% di letalità e 10% di malati gravi in terapia intensiva (105 in tutto), contro il 5% della Cina.

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