Un nuovo “stile” di Chiesa

Aspiegare l’iniziativa basterebbe l’avverbio ripetuto due volte nel titolo: “Sinodo, insieme per camminare insieme”. Durante la tre giorni appena conclusasi alla Cittadella di Assisi, la Pro Civitate Christiana ha messo la sua “storia conciliare” al servizio del processo, complesso e affascinante, avviato dalla Chiesa italiana. Un percorso sinodale, hanno sottolineato i vescovi nell’ultima Assemblea generale, che a partire dall’input del Papa si muoverà lungo tre direttive: ascolto, ricerca, proposta. Il 79° Corso di studi cristiani, tenutosi da venerdì a domenica scorsa ad Assisi, vuol essere appunto un contributo di confronto, e anche di sfida per l’inizio di questo itinerario. «Nelle parole rivolte da papa Francesco all’Azione cattolica – osserva don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana – si sottolinea in maniera decisiva: “Il cammino sinodale, incomincerà da ogni comunità cristiana, dal basso, dal basso, dal basso fino all’alto”. In questo senso aver aperto una riflessione ampia e partecipata, al contributo di credenti provenienti da associazioni, movimenti, parrocchie, Chiese locali… ci è sembrata una modalità efficace per vivere l’esigenza di un processo sinodale dal basso. Non si trattava di delegati scelti e inviati, ma di persone – laici, presbiteri e religiosi – che spontaneamente hanno accolto un invito, si sono sentiti responsabilizzati, hanno inteso vivere anche in questo modo la propria maturità nella fede».

Il cammino come proseguirà?

Le relazioni proposte sono state intese semplicemente come un contributo a dissodare il terreno dei significati e non a indicare delle risposte. Hanno costituito la base per una riflessione ulteriore nei laboratori i cui risultati verranno fatti circolare. In seguito avremo qualche altro appuntamento comunitario a distanza e dal 27 al 30 dicembre si prevede un ulteriore momento in presenza in Assisi per approfondire ulteriormente, soprattutto nella sua dimensione ecumenica, la fecondità del processo sinodale.

Come detto, i vescovi italiani nell’ultima Assemblea generale hanno indicato tre linee guida: l’ascolto, la ricerca, la proposta.

In più occasioni è stato ribadita l’idoneità della modalità intravista e proposta dai vescovi ma nello stesso tempo è stato detto che è necessario verificare “come” si svolgono, “come” avvengono, “come” si realizzano l’ascolto, la ricerca e la proposta. Questionari, documenti, relazioni scritte, bozze limate… non sempre servono al cammino. Abbiamo bisogno di metterci in ascolto di esperienze concrete e di rispettarle. È necessa- rio scrivere narrazioni piuttosto che indicazioni, fossero anche pastorali! Nello stesso tempo è stato ribadito che non serve un linguaggio rivendicativo di ruoli di potere, di conquista di posizione, occupazione di spazi, quanto piuttosto di immersione di ciascuno nel cammino dell’altro per comprenderne le ragioni, le fatiche, il fascino, la sfida. Privilegiando proprio chi fa più fatica, gli ultimi, le questioni più urgenti. Il tutto con una grande attenzione ai linguaggi perché siano comprensibili e non diventino utensili utili al ripiegamento “ad intra” delle comunità cristiane o di circoli ristretti e perché non si perda di vista il dialogo con tutta la realtà in cui le Chiese sono immerse e alle quali esse stesse appartengono.

Ascolto come “conditio sine qua non” per la sinodalità, ha detto lo psichiatra Eugenio Borgna.

Dove l’ascolto – ha sottolineato Borgna – non è un semplice ascolto di parole che raggiungono l’orecchio ma di vita. Si ascolta anche con gli occhi e soprattutto con l’anima. Si ascoltano i silenzi e le emozioni. Per questo non sono certo che quello di cui abbiamo bisogno sia un cammino sinodale che si concluda con un documento ma forse abbiamo bisogno di acquisire di più uno stile. E tutto questo ha a che fare con l’esercizio del potere. Anche di una Chiesa gerarchicamente ordinata nel servizio che è l’unica forma di potere conferita da Cristo ai suoi discepoli.

Al di là dei contenuti, molti osservatori sottolineano come il percorso avviato dalla Chiesa italiana debba indicare innanzitutto un metodo, così che ci si possa impegnare sul terreno di un vero cammino insieme.

Nello spazio del post-Concilio non sono mancate le provocazioni in questo senso. Sono state ricordate le esperienze ecclesiali del cardinale Michele Pellegrino a Torino e di don Tonino Bello, ma anche di molti altri. È giunto il momento di riannodare quei fili e di proseguire il cammino con uno stile nuovo. Sì, il Sinodo è soprattutto una questione di metodo e, per questo, di contenuto.

Al corso ha offerto il suo contributo l’ex moderatora valdese Maria Bonafede. Il cammino sinodale dovrà essere anche nel segno del dialogo. In questo senso cosa possiamo imparare dall’esperienza delle Chiese evangeliche?

Innanzitutto l’insegnamento secondo il quale il Sinodo valdese si apre con una celebrazione di invocazione allo Spirito e si chiude con una preghiera corale di ringraziamento a Dio. Non possiamo correre il rischio di non invitare lo Spirito Santo a ispirare il cammino sinodale! Poi c’è una modalità secondo la quale la parola viene data ai “deputati” delle singole chiese e ai pastori che non devono essere più numerosi dei primi. Non per un fatto di rappresentanza democratica, ma di ascolto del cuore stesso delle chiese. D’altra parte anche nella Regola di san Benedetto che ci è stata presentata da suor Myriam D’Agostino, l’ascolto che precede l’assunzione delle decisioni per la comunità comincia dall’ultimo arrivato.

Immagino che durante la tre giorni sia stata affrontata anche la tragedia afgana.

Il pensiero alla crisi che si andava consumando in Afghanistan ha accompagnato l’intero svolgimento del corso. Stare dentro la sofferenza di quella popolazione con spirito sinodale significa non sottrarci alla sfida del dialogo e a quella dell’accoglienza. Da cristiani non credo che possiamo darci altre alternative se non quelle che ci indica il Vangelo “sine glossa”.

Tornando al cammino sinodale, quale ruolo può e vuole avere la Pro Civitate Christiana?

Semplicemente mettersi al servizio della conversione al cammino da compiere insieme che significa trasformazione radicale di paradigmi umani e pastorali. La Pro Civitate Christiana è innanzitutto un’esperienza di laici che accolgono la vocazione a raccontare Cristo al mondo con la testimonianza di vita, con la bellezza dell’arte e con le mediazioni della cultura. Questo è stato nel passato e credo che, sia pure con modalità rivedute e corrette, ce ne sia bisogno ancora oggi. Pertanto il ruolo è quello di mettere a disposizione l’esperienza di un cammino e un luogo significativo, Assisi, di chi accetta la sfida di un processo sinodale.

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A colloquio con don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi che al percorso nazionale ha dedicato l’ultima edizione del Corso di studi. «Basta rivendicare spazi di potere. Conta servire l’umanità»

Don Tonio Dell’Olio