TEOLOGIA Alberto Magno e le virtù degli animali

In paradiso con gli animali: al margine di un’udienza generale dedicata alla vita eterna papa Francesco si è allineato alla tendenza più recente della teologia cattolica che, dopo secoli di dominio di un’antropologia che vedeva animali e vegetali costituire solo il contesto in cui opera l’uomo, ora vede prevalere una concezione più corrispondente a quella evangelica, con gli animali considerati co-creature, in un rapporto fatto di armonia e destino comune. In quell’occasione, nel 2014, Bergoglio aveva rincuorato un bambino che piangeva per la morte del suo cane dicendogli: «Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo». Così la pensava anche l’anglicano C.S. Lewis: a suo parere saranno presenti nell’aldilà come compagni dell’uomo: «L’uomo conoscerà il suo cane e il cane conoscerà il suo padrone e, conoscendolo, sarà se stesso». Assai diversa l’opinione del cattolico Jacques Maritain, per il quale la vita eterna non vedrà, come nel paradiso terrestre, la presenza di animali e piante. Ma «la creazione non subirà alcuna perdita perché tutto ciò, i nostri cari paesaggi verdeggianti, il diletto campionario di bestie piccole e grandi, continuerà a vivere in eterno nella memoria dei beati ». Idea che Maritain riprende da Tommaso d’Aquino.

In realtà, come hanno dimostrato in due libretti curiosi il fondatore della comunità di Bose Enzo Bianchi ( Uomini e animali visti dai Padri della Chiesa, Qiqajon 1997) e il teologo e biblista Paolo De Benedetti ( Teologia degli animali, Morcelliana 2007), esiste un’ampia tradizione che valuta positivamente la funzione degli animali come compagni dell’uomo. Ampie le citazioni riportate, dal brano di Matteo in cui Dio «si dà pensiero per gli animali» a Tobia che parte per un lungo viaggio accompagnato da un angelo e dal suo cane, dal corvo che nutre Elia in una grotta alla colomba che rappresenta lo Spirito che scende su Gesù, per arrivare al noto passo di Isaia che profetizza che il lupo pascolerà con l’agnello, il leone e il bue mangeranno paglia insieme, il bambino porrà la mano nel covo dei serpenti velenosi. Senza dimenticare i Padri del deserto che convivevano con iene e leoni o gli episodi della vita di Francesco d’Assisi che chiamava gli animali «i nostri minori fratelli ». Sia Bianchi che De Benedetti nella loro rilettura del rapporto fra cristianesimo e animali non cedevano alle mode di un certo animalismo che ipotizza una carta dei diritti degli animali e nemmeno indulgevano a un certo panteismo orientalizzante o paganeggiante che porta a divinizzare gli animali. Mode denunciate in un intervento significativo dell’ortodosso Olivier Clément, intitolato Noi adoratori dei cani, che nel 1996 definiva malata una società che conta più cani che bambini.

Per chi volesse approfondire la questione giunge opportuna la pubblicazione del volume Nature imperfette. Umano, subumano e animale nel pensiero di Alberto Magno di Stefano Perfetti, che è costituito da tre parti: un’ampia introduzione dell’autore sui presupposti filosofici delle tesi del pensatore medievale, un’antologia degli scritti del teologo tedesco vissuto nel XIII secolo dedicati alla questione e un saggio conclusivo di Amalia Cerrito che approfondisce la biologia albertina. Umbra rationis, “ombra della ragione” è la qualità che Alberto Magno riconosce agli animali, una sorta di controparte della razionalità umana. Pur essendo esseri senza ragione, essi sono guidati da un istinto naturale che li porta a compiere azioni che dimostrano il possesso, almeno in parte, della virtù estimativa e della memoria. Dalle api e dalle formiche che «cooperano in molte attività utili al vantaggio comune, comprese quelle per l’approvvigionamento del cibo», alle gru, alle anatre e agli storni che vivono «aggregati per la difesa comune» da falchi e aquile; dalla donnola che «dopo essersi ferita nella lotta con un serpente utilizza contro il veleno una foglia di cicoria» ad altri casi ove si dimostra di «saper distinguere le erbe per curare malattie»; dalle pecore che rincasano all’ovile agli avvoltoi che tornano nei luoghi in cui hanno fatto banchetto di cadaveri: in testi come De animalibus e Historia animalium il teologo mostra notevoli capacità di osservazione del comportamento animale, da vero etologo ante litteram. E giunge anche a valutazioni di tipo etico, riconoscendo «una qualche inclinazione naturale simile alla virtù, come quando la tortora o il colombaccio imitano la castità, l’oca e il gatto la riservatezza, il leone la generosità, la condivisione e il coraggio».

Il pensatore domenicano che fu maestro di Tommaso d’Aquino elabora la sua visione del mondo animale nel quadro di una filosofia precisa, come ben spiega Perfetti: «Tutta la realtà, compresa quella naturale delle forme viventi, è vista come una piramide discensionale di livelli a partire dalla Causa Prima, ordinati in una gerarchia che va dal più perfetto al meno perfetto». È Dio che governa la realtà in tutte le sue strutture, come precisa a sua volta Cerrito: «Per Alberto esiste una logica del vivente universalmente condivisa, che animali, piante e umani realizzano in maniera più o meno perfetta». L’universo è una scala voluta da Dio, una piramide che vede al centro l’uomo, unica creatura dotata di ragione e capace di guardare a un fine superiore.

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Stefano Perfetti

Nature imperfette Umano, subumano e animale nel pensiero di Alberto Magno

Ets. Pagine 132. Euro 13 ,00

Uno studio di Perfetti mostra che il maestro di san Tommaso aveva capacità da etologo ante litteram E giunse anche a valutazioni di tipo etico