Mafia: Maraventano, frase infelice dettata da rabbia. Dichiarazione choc, ‘non c’è più mafia di un tempo’. E’ polemica

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(ANSA) – LAMPEDUSA, 04 OTT – “E’ stata una frase infelice dettata dalla rabbia e dal momento terribile che sta vivendo il nostro paese ma io mi sono sempre battuta contro tutte le mafie, a cominciare da quella nigeriana”. Così l’ex senatrice della Lega ed ex vice sindaco di Lampedusa Angelo Maraventano commenta all’ANSA le polemiche seguite al suo intervento choc a Catania, dal palco della manifestazione a sostegno di Matteo Salvini, sul fatto che “non esiste più la mafia ‘sensibile e coraggiosa’ di un tempo”.
“Ho voluto solo scuotere le coscienze della gente – aggiunge – sul fatto che stiamo assistendo a una ‘invasione’ da parte dei migranti, con un governo complice. Ma tutto questo non vuol dire certamente che sono a favore della mafia, per me parla la mia storia”.
Le dichiarazioni della Maraventano sono state duramente stigmatizzate dall’ex presidente del Senato Pietro Grasso, dalla sorella di Giovanni Falcone e presidente della Fondazione intestata al magistrato Mariam e dal sindaco di Lampedusa Totò Martello, che invitano il leader della Lega Matteo Salvini a prendere le distanze.

Giovani. Il Sud si spopola, la Sicilia prova a ribellarsi con le «Valigie di cartone»

Diocesi e Comuni fanno fronte comune per reagire a un processo che indebolisce sempre più il patrimonio umano dell’isola. Gli studenti si organizzano col movimento “Si resti arrinesci”

Manifestazione a Palermo del movimento "Valigie di cartone" (Fotogramma)

Manifestazione a Palermo del movimento “Valigie di cartone” (Fotogramma)

La vera emergenza del Sud? I giovani che se ne vanno, alla ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Lo spopolamento, che interessa piccoli e grandi centri, soprattutto del Mezzogiorno, è un colpo per l’economia di un’Italia in difficoltà: è la perdita del capitale umano. Lo dimostrano gli ultimi dati Svimez: gli emigrati tra il 2002 e il 2017 dalle regioni meridionali sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi, si legge nel rapporto, «66.557 sono giovani, cioè il 50,4%, di cui il 33% laureati». Sempre secondo lo Svimez, al termine del 2019 l’Italia farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. Al Centro-Nord dovrebbe crescere di appena lo +0,3%, nel Mezzogiorno, invece, l’andamento previsto è del -0,3%. Previsioni di cui si attende conferma. Non solo, la stessa associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno stima pure che nei prossimi 50 anni le Regioni del Sud perderanno 5 milioni di residenti. Un calo, dunque, che sembra inesorabile e progressivo. Molti giovani partono verso il centro-nord per motivi di studio, altri decidono di trasferirsi per motivi di lavoro. Secondo Almalaurea al 2018, a cinque anni dalla laurea, il 18,9% degli studenti del Sud si è trasferito per motivi di studio e non è rientrato. E un 21,2% di giovani parte per motivi di lavoro dopo essersi laureato in un ateneo del Sud. (Fulvio Fulvi)

Una valigia simbolo di chi sale su un aereo per trovare finalmente un futuro lontano da una terra che sembra non offrire più niente, ma anche di chi decide di tornare a costruire qualcosa dove è nato e dove si trovano i propri affetti.

Ormai Chiesa, studenti, sindaci in Sicilia hanno compreso che è necessario un fronte comune per frenare l’esodo dei giovani, che sta spopolando l’isola, pretendendo una inversione di rotta, anche stimolando le occasioni per fare impresa.

Il movimento delle “Valigie di cartone”, fondato da don Antonio Garau a Palermo, e quello degli studenti “Si resti arrinesci”, assieme a molteplici iniziative organizzate in piccoli e grandi Comuni della Sicilia hanno fatto scoppiare il caso. Ci sono giovani che si mettono in gioco per offrire una testimonianza diversa, denunciando i forti limiti di un sistema locale asfittico, ma pretendendo di potere avere un’occasione.

Come Attilio Costa, caparbio 26enne palermitano, neolaureato in Economia, ma con il cappello dello chef in testa. Il suo è un percorso particolare. Diplomato in ragioneria, ma con la passione per la cucina, Attilio ha cominciato a lavorare nei locali per poi decidere di volare in Inghilterra per perfezionare l’inglese e fare esperienza nel settore della ristorazione. «Se sei uno chef e vuoi girare il mondo, devi conoscere bene l’inglese. Così ho lavorato per un anno in Inghilterra, anche in un hotel di lusso – racconta –. Mi sono reso conto che lì, se vuoi, puoi riuscire. Poi sono andato in Corsica per la stagione estiva, in un ristorante di lusso. E ora sono tornato».

Nel frattempo ha continuato a studiare, si è laureato in Economia, «perché penso che chi vuole fare impresa deve essere ben formato» e ha ingaggiato una bella sfida. «Sto aspettando di trovare un locale adeguato qui a Palermo, in regola con tutte le licenze, per aprire un ristorante tutto mio – confida –. Mi sono sempre domandato perché vado bene lontano da qui e invece dove ci sono le mie amicizie, i miei affetti, è tutto più difficile. Io devo riuscirci. Anche se devo ammettere che sto trovando molte difficoltà a trovare un locale adatto e con le carte in regola».

Unire le forze, sembra essere diventata la parola d’ordine. Vescovi si sono messi in gioco per diffondere la cultura d’impresa, come monsignor Giuseppe Marciante a Cefalù, che ha lanciato il Laboratorio della Speranza per mettere a disposizione dei giovani beni ecclesiali da promuovere e valorizzare turisticamente, o come monsignor Nino Raspanti, vescovo di Acireale che ha promosso il “Contamination lab” per rilanciare la cultura dell’imprenditorialità, favorendo la contaminazione tra idee e persone. I vertici di numerose diocesi (Palermo, Monreale, Trapani, Piazza Armerina e Siracusa) assieme a tanta gente hanno partecipato a manifestazioni per sollevare il grave problema dell’emigrazione forzata dei giovani. Lo ha ricordato proprio ieri don Garau, invitato all’assemblea straordinaria dei Comuni siciliani a Palermo, per accendere i riflettori sulla grave situazione degli enti locali in situazione di dissesto e pre-dissesto.

«Non possiamo più stare a guardare dai nostri balconi la sofferenza della gente. Una Chiesa in uscita e una politica per l’uomo devono saper uscire dalle comode sacrestie e dai comodi palazzi di potere e farsi vedere e sentire, condividendo le gioie e le speranze di un’umanità che va sempre più alla deriva» denuncia Garau, che ha presentato un “pentalogo” con alcuni segnali di discontinuità: l’impegno «ad attivare tutte le risorse disponibili e gli investimenti programmatici 2014-2020», a «rafforzare la rete di collaborazione tra imprese, scuole e università», «aprire un fronte di discussione con il governo nazionale», un ammodernamento della struttura amministrativa della Regione, una nuova strategia che sappia attrarre risorse.

Ieri pomeriggio, il movimento “Si resti arrinesci” ha organizzato a Petralia Soprana, paesino delle Madonie, l’iniziativa “addumamu i luci”, “accendiamo le luci” con una fiaccolata contro l’emigrazione forzata dalla Sicilia, mentre un’altra iniziativa si era svolta qualche giorno fa a Mazara del Vallo.

Avvenire

Il Cardinale Montenegro “difende” Baglioni: «Triste insultare chi non la pensa come te»

Italia

lasicilia.it

Il prelato ad Agrigento ha parlato, pur senza nominarlo, della polemica che ha visto coinvolto il direttore artistico del Festival di Sanremo sulla questione immigrazione: ««Le storie di sofferenza ci stanno dividendo fra noi». «Le storie di sofferenza ci stanno dividendo fra noi. E’ triste vedere che manifestare il proprio pensiero ha come risposta l’insulto di chi non la pensa come te. Quando ci sono i problemi che riguardano gli uomini, nonostante i pareri diversi, dovremmo essere capaci di dialogare per trovare una soluzione». Lo ha detto l’arcivescovo di Agrigento

Termini Imerese. Nuova protesta degli operai di Blutec. Stenta a partire la riqualificazione industriale a due anni dalla cessione dello stabilimento Fiat

Nuova protesta degli operai di Blutec

Nuova protesta oggi pomeriggio per gli operai di Blutec di Termini Imerese. Mentre si svolgeva la prova spettacolo della Targa Florio gli operai hanno bloccato un’auto e hanno sistemato per qualche minuto uno striscione unitario, firmato Fim Fiom Uilm, sulla vettura. “Abbiamo manifestato in modo pacifico, bloccando la prima macchina per un minuto per ribadire la situazione di disagio e incertezza degli operai Blutec, vissuta dopo che Invitalia ha ritenuto non in linea con l’accordo ministeriale la rendicontazione fornita dall’azienda, di conseguenza bloccando il progetto e chiedendo indietro la prima tranche di 20 milioni versati all’azienda” spiegano Giuseppe Liuzzo Rampino Rsu Fim Cisl Palermo Trapani e Antonino Cirivello responsabile Cisl Termini Imerese. “Non si possono lasciare circa 700 famiglie nella continua ansia dell’incertezza, chi aveva garantito la reindustriallizzazione del sito cerchi la soluzione per far sì che il progetto non venga bloccato causando il licenziamento di tutti gli operai Blutec e di conseguenza qualsiasi speranza per un possibile indotto e per la rinascita dell’area industriale di Termini Imerese”, concludono.

Blutec S.r.l. è una carrozzeria italiana di proprietà del gruppo Metec. Nel 2016 ha acquistato lo stabilimento di Termini Imerese. Da quando Blutec ha riaperto la fabbrica, solo un centinaio di ex metalmeccanici su 700 ex Fiat sono rientrati al lavoro, gli altri sono ancora in cassa integrazione. Erano due i progetti ipotizzati da Blutec per l’area industriale: uno da 95 milioni di euro riguardava la produzione di componentistica per auto: l’altro da 190 milioni di euro per la produzione di auto ibride. Il primo aveva ricevuto il vaglio di Invitalia, il secondo no. L’accordo di programma quadro, siglato quattro anni fa, destinava 360 milioni di euro tra fondi statali e regionali per la riqualificazione dell’area. Termini Imerese dovrebbe diventare la sede di un centro di ricerca e sviluppo per la mobilità sostenibile e un centro di produzione di batterie a ioni per le autovetture elettriche.

avvenire

Eventi per Palermo capitale cultura 2018 Regione presenta calendario iniziative. Gemellaggio con Taormina

PALERMO – Dalle opere di Antonello da Messina, riunite in unico spazio a Palermo, al dipinto di donna Florio, da una antologica sul fotoreporter Robert Capa, alla mostra sulla dea di Morgantina al museo archeologico Salinas, dai “Fiamminghi in Sicilia” alla produzione di un corto sulle meraviglie della Sicilia e un evento dedicato ai palermitani con proiezioni sulla facciata del teatro Massimo. Sono solo alcuni degli oltre 50 eventi organizzati dalla Regione per “Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, che coinvolgeranno anche la città di Taormina, gemellata per l’occasione. Il programma è stato presentato dall’assessore regionale dei Beni culturali, Vittorio Sgarbi, all’albergo delle Povere a Palermo, alla presenza dell’assessore comunale alla Cultura Andrea Cusumano.
In data da definire la ricostruzione dell’altare del Gagini e la collocazione della riproduzione dello Spasimo di Raffaello, in collaborazione con il Comune di Palermo e Factum art. Altre anteprime riguarderanno la mostra su Francesco Laurana a Palazzo Abatellis e quella su Van Dyck, in un itinerario tra Palazzo Alliata di Villafranca e l’Oratorio del Santissimo Rosario di San Domenico. Tra gli eventi specifici a Taormina la mostra fotografica “Magnum on the Set” (in data e luogo da definire, l’ipotesi è Palazzo dei Congressi) e la mostra sul pittore e incisore Piero Guccione (probabile sede Palazzo Ciampoli).Dal 16 aprile, poi, Palermo ospiterà l’edizione 2018 di Bias, biennale di arte contemporanea sacra.
Nell’organizzazione sono coinvolti la Regione, i Comuni di Palermo e Taormina, l’Università, l’Accademia delle Belle Arti, la Fondazione Federico II, la Fondazione Banco di Sicilia.
A rappresentare le iniziative un logo formato da quattro “P” come le lingue incise sulla stele conservata alla Zisa, arabo, ebraico, fenicio e greco.
“In meno di tre mesi siamo riusciti con il governo regionale a fare un programma non solo molto ricco ma di grande qualità – ha detto Sgarbi – cospargere di eventi culturali un territorio significa farlo respirare, seminare cultura. È questo il senso del mio agire, educare alla bellezza degli occhi come deterrente e medicamento contro le brutture delle mafie, delle violenze, dell’ignoranza e abbrutimento”.

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Nuovo Eparca in Sicilia. Viene dalla fine del mondo

Vescovi siciliani con il Papa

VESCOVI SICILIANI CON IL PAPA

Ma Piana degli Albanesi accoglie con un po’ di freddezza la nomina di Giorgio Demetrio Gallaro

MICHELANGELO NASCA  – vaticaninsider
ROMA

Non si è ancora insediato nella sua nuova Eparchia, e già qualcuno comincia a storcere il naso! La nomina di questi giorni, infatti, del Vescovo eparchiale di Piana degli Albanesi di Sicilia ha spiazzato molti tra i «bagarini» del «totoepiscopo» che mai e poi mai avrebbero scommesso su un italo-americano! Sembra che il Pontefice sia andato a prenderlo quasi alla fine del mondo!

Il vescovo nominato da papa Francesco, Giorgio Demetrio Gallaro, appartiene al clero dell’Eparchia di Newton dei Greco-Melkiti (Stati Uniti d’America). Nato a Pozzallo (in provincia di Ragusa) nel 1948, Giorgio Demetrio Gallaro trascorre nella terra sicula i primi vent’anni della sua vita, compiendo gli studi medi e secondari presso il Seminario di Noto. Poi, nel 1968 il trasferimento negli Stati Uniti d’America e l’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1972. Possiede un dottorato in Diritto canonico orientale, la licenza in Teologia ecumenica e tanta esperienza in campo pastorale; insomma quanto basta per convincere papa Francesco a richiamarlo in Italia per una nuova avventura.

Ancora una volta papa Francesco rompe gli schemi, e quella sorta di prassi ufficiosa – che vorrebbe orientare le scelte del Papa – viene significativamente accantonata. La comunità di Piana degli Albanesi (sede della Chiesa cattolica-albanese di rito orientale, soggetta alla Santa Sede) – appresa però la notizia del nuovo Eparca italo-americano – non ha mostrato un entusiasmo unanime, e in seicento hanno già sottoscritto una lettera di protesta. «Non riusciamo proprio a comprendere il motivo che abbia portato alla fuoriuscita di questo nome – afferma Pino Imbordino su Live Sicilia – il rito orientale è la caratteristica principale della nostra comunità, e rappresenta molto per noi, e non solo. […] Riteniamo – continua Imbordino – che il nuovo Eparca di Piana degli Albanesi debba conoscere a fondo i nostri usi e la nostra religiosità, e in questo senso, il nome di don Gallaro rischia di causare non pochi malcontenti». Inoltre, in una recente nota, i cittadini di Piana degli Albanesi scrivono: «La scelta di un esterno, anche oltre oceano, lascia aperte tutte le ferite interne alle diocesi, e pone degli interrogativi nelle relazioni ecumeniche specie con le chiese ortodosse, con le quali l’Eparchia ha sempre avuto frequenti e copiosi contatti» (Live Sicilia).

Probabilmente – viste alcune reazioni e le motivazioni addotte – la scelta operata da papa Francesco risulta maggiormente azzeccata. Dopo la nomina a cardinale del vescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, e quella del nuovo eparca, Giorgio Demetrio Gallaro, la Sicilia attende adesso la nomina del nuovo arcivescovo di Palermo, e con molta probabilità, anche in questo caso potrebbero non mancare le sorprese.

Scossa di magnitudo 4.3

SICILIA 

Scossa di magnitudo 4.3
nessuna vittima né danni​
​Una scossa di terremoto di magnitudo 4.3 è stata registrata) nel distretto Monti Nebrodi, tra Messina e Catania, alle 8.50 a una profondità di 10,1 chilometri​​. Quattro minuti dopo una seconda scossa di magnitudo 2.4, profondità 9,1 km. E alle 9.11 una terza di magnitudo 2.5, profondità 9.8. I comuni più prossimi all’epicentro sono quelli del messinese di Cesarò e San Teodoro, e di Maniace (Catania).​​

ANNIVERSARI. Il 6 gennaio del 1980 veniva ucciso dalla mafia a Palermo il presidente della Regione: era l’erede di Aldo Moro

Era un siciliano scomodo, Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Sicilia, ucciso il 6 gennaio di trent’anni fa da un killer tuttora sconosciuto. Uno dei quei grandi siciliani che un’isola, troppo spesso feroce con i suoi figli migliori, genera con una certa frequenza e poi divora. Un siciliano che, se non fosse stato stroncato a colpi di revolver, a soli 45 anni, davanti agli occhi attoniti della moglie e dei due figli, avrebbe potuto dare ancora moltissimo alla sua terra e all’Italia intera. Piersanti era scomodo come siciliano, perché, piuttosto che piangersi addosso, si rimboccava le maniche: voleva tirar fuori la sua terra dalla rassegnazione nei confronti del sottosviluppo e della presenza mafiosa. Era scomodo, sicuramente, come politico, perché pensava in grande e voleva liberare le istituzioni siciliane dalle clientele e dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. Era scomodo come democristiano, per i compagni di partito ma anche per gli avversari, perché concepiva la politica come servizio alla comunità e combatteva la mafia non a parole, ma con iniziative concrete: e in questo modo sfuggiva alle classificazioni di comodo, all’agghiacciante equazione Dc siciliana uguale corruzione o, peggio, criminalità. E forse era scomodo anche come cattolico, perché la sua fede vissuta profondamente, con gioia e con naturalezza, nella vita pubblica come in quella privata, era quanto di più lontano da quel modello, piuttosto praticato nel Mezzogiorno ma non solo, di devozione esteriore, proclamata e ostentata, ma non accompagnata da una reale conversione del cuore. L’attività politica di Piersanti Mattarella affondava certamente le radici nella tradizione di famiglia: il padre Bernardo, sturziano della prima ora e antifascista, era stato più volte ministro nel secondo dopoguerra; ma aveva trovato terreno fertile nella formazione religiosa e nell’impegno giovanile nell’Azione Cattolica, negli anni fecondi e straordinari del dopo­Concilio. Una formazione che in Piersanti si tradusse in una formidabile e inesauribile tensione etica. Non fu, dunque, un caso che i riferimenti ideali di Mattarella fossero, oltre a Sturzo, La Pira e Dossetti; che rintracciasse nel meridionalismo moderno di Vanoni e Saraceno idee e spunti per la propria azione di governo e che trovasse in Aldo Moro il maestro, l’ispiratore e l’amico. Fino a condividere con lui il tragico destino di una morte violenta e crudele.
  La stagione di Mattarella alla guida della Regione Sicilia fu breve ed esaltante. Eletto presidente nel marzo del 1978 riuscì a ottenere il sostegno del Pci siciliano alla sua azione riformatrice, realizzando una sorta di ‘solidarietà nazionale’ ancor prima di quella di Moro.
  Mise le mani in territori nei quali nessuno aveva fino a quel momento osato addentrarsi: la spesa pubblica, le leggi urbanistiche, gli appalti, colpendo alla radice interessi consolidati, clientelari e mafiosi. In una
intervista al ‘Giornale di Sicilia’, uscita proprio il giorno della sua morte il 6 gennaio del 1980, aveva espresso la necessità di troncare i rapporti mafia-politica «là dove essi nascono e si annidano, nelle storiche inefficienze dei meccanismi burocratici». Ma aveva anche aggiunto che senza una rivoluzione morale della società, la Sicilia non si sarebbe mai liberata dalla schiavitù mafiosa. Fu il suo testamento politico: fu ucciso sotto casa, mentre si recava a Messa con la famiglia, poche ore dopo. Era alla guida della sua auto e non aveva la scorta, perché nei giorni festivi la lasciava libera.
  Con la sua morte terminò anche la stagione di rinnovamento. Dopo molte parole di esecrazione e di lutto, le pratiche della Regione Siciliana tornarono a essere quelle di sempre. Le indagini sul delitto, che in una prima fase avevano puntato sul coinvolgimento, in verità non nuovo, di terroristi neri
al soldo della mafia, furono molto lunghe, ma coronate da scarso successo. È vero che la magistratura, con sentenza definitiva del 1999, ha condannato all’ergastolo i vertici della cupola mafiosa come mandanti dell’omicidio del presidente della Regione Sicilia, ma troppo vaghi sono rimasti i moventi; coperte le eventuali complicità all’intero dei Palazzi; senza nome lo spietato assassino che non ebbe alcuna remora a sparare a Mattarella davanti alla moglie e ai figli. Senza contare le troppe analogie con il caso Moro, i numerosi depistaggi, il ruolo mai chiarito fino in fondo nella vicenda del terrorismo nero, dei centri di potere occulti e di pezzi di Stato deviati.
  Il senso di amarezza che lascia l’epilogo della vicenda giudiziaria è quasi pari al vuoto lasciato in Sicilia e in Italia dalla scomparsa di Mattarella, che era candidato a succedere ad Aldo Moro alla guida della sinistra democristiana. Ma, nonostante in ogni cittadina della Sicilia ci sia una strada o una piazza intitolata a Mattarella, si ha l’impressione che un velo di oblio sia caduto sulla sua azione politica, sulle sue idee, sul suo impegno per la legalità, sulla sua appartenenza alla comunità ecclesiale. In una conversazione recente, Salvatore Butera, già presidente della Fondazione Banco di Sicilia e uno dei più stretti collaboratori del presidente della Regione Siciliana, mi ha detto che «tra i morti ammazzati in Sicilia Mattarella è uno dei meno e dei peggio ricordati». Eppure, di esempi come Piersanti Mattarella l’Italia ha oggi più che mai un disperato bisogno.

 Assassinato mentre andava a messa con la moglie e i figli, il politico aveva come riferimenti ideali Sturzo, La Pira e Dossetti
Voleva liberare le istituzioni dalle infiltrazioni della criminalità organizzata e sottrarre la sua terra alla rassegnazione (di Giovanni Grasso – avvenire)