AUTLAB, PER UNA SCUOLA PIÙ INCLUSIVA PER I BAMBINI AUTISTICI E LE LORO FAMIGLIE

Rompere il silenzio e l’isolamento dei bambini con sindrome dello spettro autistico e delle loro famiglie è possibile. Il primo passo è riconoscere e valorizzare le risorse, le capacità e i punti di forza di chi, fin da piccolo, presenta questo disturbo, per fare in modo che possa sviluppare una propria autonomia e inserirsi nel contesto sociale di appartenenza. Questo obiettivo può essere raggiunto anche grazie a un maggiore coinvolgimento e potenziamento del mondo della scuola primaria, che, assieme alla famiglia, è il luogo in cui questi bambini provano a uscire dall’isolamento e a gestire le difficoltà di comunicazione imposti dall’autismo, per riuscire a entrare in relazione con gli altri.

Una sfida che va affrontata al più presto se si tiene conto che oggi in Italia la sindrome dello spettro autistico colpisce 1 bambino su 77, nella fascia di età compresa tra i 7 e i 9 anni (stima dell’Osservatorio Nazionale Autismo co-coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute). Questi bambini vivono una condizione di disfunzionalità con comportamenti sociali atipici, di gravità e pervasività diversa, focalizzata nell’ambito delle capacità comunicative, della gestione delle emozioni e del repertorio di attività e interessi, accompagnata da modelli di comportamento ristretti, ripetitivi e stereotipati.

Per rendere la scuola sempre più inclusiva è stato lanciato AUTLAB, il progetto dI La Fabbrica (Gruppo Indipendente multinazionale, attivo da oltre 35 anni nell’ideazione e nello sviluppo di percorsi di comunicazione educativa e formativa e di progetti di intrattenimento educativo rivolti ai giovani) con la collaborazione scientifica di Fondazione Renato Piatti Onlus. Il progetto è nato da un’esigenza personale di Roberta Salvaderi, mamma di Giulia, una bambina in cura presso la Fondazione: copywriter e blogger, Salvaderi ha raccontato in un libro, “Borderline: tra terra e Luna” la storia di sua figlia di 9 anni che, nonostante l’autismo, è riuscita a conquistare spazi di autonomia e felicità, grazie anche alla collaborazione di insegnanti, terapisti, educatori.

AUTLAB ha l’obiettivo di facilitare l’interazione e l’inclusione sociale dei bambini con autismo che frequentano le primarie formando i docenti delle scuole primarie non specializzati con corsi specifici e dall’altro affiancando le famiglie con la creazione di una piattaforma web rivolta sia ai genitori sia ai docenti, ricca di contenuti e strumenti utili alla costruzione di un contesto di apprendimento inclusivo e relazionale. Per informazioni: www.lafabbrica.net

Famiglia cristiana

«Vogliamo prof che ci appassionino»

Dentro il liceo Carducci, occupato da una settimana: «La nostra generazione? Abbandonata»

Milano

«Stiamo male». È il grido che esce dal megafono portato alla bocca da una studentessa del liceo Carducci di Milano occupato da lunedì e per tutta la settimana e da ieri seguito dagli istituto Vittorio Veneto e Russell. «Una forte protesta politica in cui sperimentare una scuola diversa», dicono i giovani riuniti nel cortile. «Parleremo di salute mentale non solo nella scuola ma anche nella società tutta – spiega Arianna –. Vogliamo maggiori risorse per la scuola e per chi sta affrontando questi difficili momenti». Superare il vecchio sistema educativo è il mantra dei ragazzi che hanno organizzato lezioni con studenti universitari, dibattiti, laboratori, sportelli psicologici e assemblee. «Vogliamo riappropriarci dei nostri luoghi, i luoghi in cui viviamo e che non sono solo dei docenti – dice Samuele, rappresentante degli studenti del liceo –. Luoghi che sono stati trascurati. E poi reagire alle manganellate ricevute dai nostri compagni, al ritorno degli scritti alla maturità e all’alternanza scuola lavoro così come è concepita». Una scuola lavoro che è solo sfruttamento, sostiene un compagno. Altro tema è la figura dello psicologo che gli studenti vogliono sia fissa all’interno della struttura scolastica mentre ora è una presenza insufficiente con poche sedute singole – il Carducci ospita 1.200 studenti – sostituite da quelle di classe. Secondo un questionario interno alla scuola che ha coinvolto 460 ragazzi, il 76,1 % ha avuto attacchi di panico o altri problemi durante un’interrogazione mentre il 59,7% durante un momento diverso della vita nell’istituto. «Ho passato lo scorso anno in Dad – racconta Simona –. In famiglia siamo in cinque, la casa è piccola e abbiamo solo due computer. Tra connessioni instabili e lezioni svolte attorniata da fratelli e genitori ora non riesco più a reintegrarmi».

L’occupazione è stata avviata da un centinaio di giovani, ai quali si sono poi uniti altri compagni. La notte di lunedì una settantina sono rimasti a dormire nell’istituto organizzando ieri mattina un picchetto per permettere ai professori di entrare solo dopo l’arrivo di tutti gli allievi. I docenti, che hanno accusato i ragazzi di interrompere un pubblico servizio, hanno potuto poi sedersi in cattedra ma in aule semivuote in quanto si sono presentati solo la metà circa degli studenti mentre il preside, Andrea di Mario, ha impedito l’ingresso agli esponenti di Friday for Future, allo psicologo Carlo Trionfi e all’ex candidato sindaco di Milano, Gabriele Mariani, che dovevano tenere le lezioni alternative, poi svolte in cortile.

«Da troppo tempo tra i banchi si nota un forte malcontento: compagni che non si presentano a scuola, individualismi, competizione – spiegano – assenza di spazi per attività extra scolastiche e mancanza di supporto psicologico: così che il nostro benessere ne risente fortemente». «E siamo sicuri che il nostro disagio viene percepito anche a casa. Siamo stanchi di subire passivamente – aggiunge Claudio – la nostra generazione è stata accantonata e dimenticata». Sempre dal questionario interno il 76,5% dei ragazzi dice di sentirsi giudicato piuttosto che valorizzato. «Per fare i professori non è sufficiente avere una laurea e tante nozioni – commenta Simona – bisogna saper appassionare, saperci parlare, avviare relazioni e avere emozioni ». Per finire, l’attacco sull’abbandono edilizio: «Abbiamo molti bagni fuori uso, in alcune classi mancano le tende e in altre c’è molta muffa. È ora di dire basta».

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Il liceo Carducci ieri / Fotogramma

Scuola. Il tema e un secondo scritto “personalizzato”: maturità, sorprese e critiche

Il ministro Bianchi archivia due anni all’insegna della sola prova orale: è un progressivo ritorno alla normalità. Novità anche per l’esame di terza media. Proteste dagli studenti, venerdì in piazza
Il tema e un secondo scritto "personalizzato": maturità, sorprese e critiche

C’è voglia di “normalità” anche nella scuola, a partire dagli esami di terza media e dalla Maturità 2022. La novità principale, rispetto alle due prove del 2020 e 2021, in piena pandemia, è il ritorno delle prove scritte, sia per i più piccoli che per i maturandi. L’annuncio è arrivato dal ministero dell’Istruzione, che ha inviato le ordinanze relative alle prove al Consiglio superiore della Pubblica istruzione, illustrandole anche ai sindacati. Gli scritti saranno due, in presenza, più una prova orale, che potrà essere anche “a distanza” per gli studenti positivi o in quarantena. Chi lo fosse il giorno delle prove scritte, potrà partecipare alle suppletive, già previste per i candidati malati in epoca pre-Covid. Queste scelte, ha spiegato il ministro Patrizio Bianchi, «rientrano nel percorso di progressivo ritorno alla normalità». Una decisione, però, criticata dagli stessi studenti, ma anche, con accenti diversi, dai presidi e dai sindacati.

Per quanto riguarda l’esame di terza media, si svolgerà dal termine delle lezioni al 30 giugno e prevede due prove scritte, una di italiano e una relativa alle competenze logico-matematiche, più un colloquio, durante il quale saranno accertate anche le competenze relative all’inglese, alla seconda lingua comunitaria e all’Educazione civica. Il voto sarà espresso in decimi e si potrà ottenere la lode.

Due scritti anche per la Maturità 2022: uno di italiano e il secondo sulle discipline di indirizzo, più un colloquio. L’esame comincerà il 22 giugno, con la prova d’italiano, predisposta su base nazionale, composta da sette tracce con tre diverse tipologie. Il secondo scritto è previsto il giorno successivo e sarà diverso per ciascun indirizzo. Le materie saranno comunicate dal ministero al termine dell’iter formale delle Ordinanze, ma la prova sarà predisposta dalle singole commissioni d’esame. Che, come nei due anni precedenti, saranno composte da sei commissari interni e un presidente esterno. Questo, spiega una nota del Ministero, «per consentire una maggiore aderenza a quanto effettivamente svolto in classe e tenendo conto del percorso svolto dagli studenti in questi anni caratterizzati dalla pandemia».

Il colloquio, infine, si aprirà con l’analisi di un materiale scelto dalla commissione e, nel corso dell’esame, il candidato «dovrà dimostrare di aver acquisito i contenuti e i metodi propri delle singole discipline e di aver maturato le competenze di Educazione civica». Il voto resta in centesimi: 40 punti saranno attribuiti al credito scolastico, 40 alle prove scritte e 20 all’orale. Si potrà ottenere la lode.

«Non si tiene conto degli ultimi tre anni: siamo penalizzati da un esame senza senso», tuona la rete degli Studenti medi, che per venerdì ha promosso una giornata di mobilitazione. «Saremo sotto al ministero dell’Istruzione e nelle piazze del Paese – dice il coordinatore Tommaso Biancuzzi –. Abbiamo aspettato fin troppo: servivano certezze per gli studenti e non patiboli. L’esame così rischia di essere una condanna per tutti noi. Vogliamo un esame senza scritti e con una tesina che ci permetta di elaborare, studiare e collegare quello che abbiamo imparato in questi anni. Basta giocare sulla nostra pelle».

Anche il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, ricorda che «gli studenti che affronteranno le prove di giugno sono quelli che maggiormente hanno sofferto l’emergenza», mentre la segretaria generale della Cisl Scuola, Maddalena Gissi, sottolinea: «Non è tornata la normalità e non vorremmo che qualcuno dimentichi il disagio degli studenti». Anche il presidente nazionale del sindacato autonomo Anief, Marcello Pacifico, ricorda che «pensare di ritornare alla normalità quando gli alunni in una classe su tre sono in Dad o in Ddi significa negare la realtà: ma fanno bene gli studenti a protestare».

Avvenire

«Non c’è altra possibilità per unire gli uomini di tutto il mondo se non questa: l’amore e l’interesse per i #bambini». A più di 150 anni dalla nascita, a che cosa è dovuto il successo pedagogico di Maria Montessori?

Covid. La scuola è vita, non guerra. I presidi resistano alle sirene pro-Dad

di Viviana Daloisio La scuola è vita, non guerra. I presidi resistano alle sirene pro-Dad Avvenire

Dopo la metafora del «da lunedì 10 gennaio andiamo alla battaglia delle Termopili» usata dal capo dei presidi lombardi, proprio in quel fatidico lunedì si viene a sapere che nelle chat dei dirigenti scolastici si parla di una impossibile «campagna di Russia» e ci si interroga sul perché si sia dovuto lavorare «un altro sabato e domenica», il fine settimana appena passato, per organizzare la didattica. Una palese violazione dei diritti, pare, di una categoria allo «stremo delle forze» dopo la pausa natalizia.

Sia concesso di dire che si tratta di un linguaggio insopportabile, specie se usato da chi dovrebbe ben conoscere (li insegna!) i fatti delle Termopili e della campagna di Russia: questi slogan non sono così diversi da a quelli su Auschwitz sentiti ripetere decine di volte dai no-vax nelle piazze, e considerati giustamente vergognosi. Senza contare che sono ben altre, negli ospedali e sulle ambulanze, le prime linee che hanno combattuto e stanno combattendo a turni di 12 o anche 14 ore al giorno la battaglia contro il Covid, lontano da chat e petizioni online firmate a suon di clic. Con tutto il rispetto, naturalmente, per l’impegno pur molto oneroso dei dirigenti scolastici.

Quella della scuola a ben vedere, se pure fosse lontanamente una battaglia, andrebbe condotta da capitani coraggiosi invece che da chi non vede l’ora di riparare in Dad, parcheggiando gli studenti preventivamente davanti al computer onde evitare persino di scendere in campo. Che fiducia mai potranno avere ragazzi e genitori in un’istituzione che tira (o vuol tirare) i remi in barca a tutti i costi prima ancora di provarci?

I nostri ragazzi sono corsi a vaccinarsi per tornare a scuola in presenza. Il coraggio che hanno avuto loro, a volte anche di sfidare i dubbi, le perplessità e le paure degli stessi genitori, è stato sbandierato in ogni dove. Proprio come quello dei professori, che in maniera massiccia hanno aderito alla campagna vaccinale nonostante i molti dubbi sul farmaco impiegato per immunizzarli inizialmente, AstraZeneca. Oggi questi sforzi vengono snobbati proprio da chi ha il compito di dirigere le nostre scuole: «Ok, abbiamo scherzato. State zitti e buoni a casa vostra».

 

Controlli anti Covid alla ripresa della scuola

Controlli anti Covid alla ripresa della scuola – Ansa

Spesso ci chiediamo perché la scuola italiana è peggiorata così tanto negli anni, molte risposte proprio il Covid ce le ha piantate davanti. E non sono solo la mancanza di investimenti e di risorse umane, o la questione degli stipendi degli insegnanti – tutti problemi sacrosanti –, ma prima di tutto una riaffiorante mancanza di coraggio nell’educare nonostante le prove. Nonostante le difficoltà. Ci si arrende, anche se ne va del futuro dell’Italia che quei ragazzi di oggi, seduti in classe, già sono.

A fronte di casi esemplari di prèsidi e insegnanti straordinari – se ne possono citare molti, e questo giornale negli ultimi mesi ne ha raccontati tanti – ecco schierarsi il gruppone di quelli che alzano la voce e abbassano gli obiettivi educativi. Fa specie, infatti, che proprio da parte chi ora chiede con forza la «Dad per tutti» nella maggior parte dei casi la Dad non sia stata mai messa davvero a sistema, pensandone risorse e prospettive, verificandone e innovandone i meccanismi. Così come sorprende che tra i prèsidi non sia mai partita una raccolta di firme per chiedere al governo di garantirla concretamente, questa benedetta «Dad per tutti»: pc e tablet e connessioni sono un sogno per un pezzo d’Italia che continua a essere vergognosamente escluso, oltre che dimenticato. Sono bambini e ragazzi, sono quelli per cui temiamo gli effetti dei nuovi vaccini: non interessa a nessuno se dentro di loro muoiono di solitudine.

Abbiamo innanzi uno o due mesi difficili, sì. La realtà è questa. I contagi voleranno – stanno già volando – tra studenti e insegnanti, come nel resto del Paese, a causa di una variante contagiosissima. Stiamo facendo tutto il necessario per trasformare questa insidiosa “quarta ondata” in una grande epidemia influenzale, vaccinando (e quindi mettendo al sicuro da conseguenze gravi) la maggior parte degli italiani: gli hub macinano numeri da record, la macchina della sanità territoriale corre. Di nuovo. Ognuno sta facendo la sua parte con fatica enorme: i medici e gli infermieri che curano le persone negli ospedali (e che sono decimati, oltre che stremati), i decisori politici che cercano di stare al passo con la corsa del virus adottando strategie sempre nuove (e scelte anche molto difficili, come quella dell’obbligo vaccinale, seppur graduale), i lavoratori che ogni giorno si misurano col rischio del contagio muovendosi coi mezzi pubblici (e affrontando le condizioni non sempre così garantite dei negozi, dei supermercati, delle farmacie, delle fabbriche) e anche quelli costretti a casa in smart working.

La scuola come il resto del Paese deve partecipare con coraggio a questo sforzo collettivo, adesso non ci sono più scuse. Pensare e ripensare orari e turni in base ad assenze sempre diverse è senz’altro mestiere complicatissimo, come dialogare con le Asl, ma non diverso da quello di far funzionare un ospedale in emergenza, foss’anche un ospedale da campo. E in una scuola da campo, una “scuola in uscita” parafrasando le parole usate da papa Francesco su quel che dovrebbe essere sempre anche la Chiesa, magari non tutto funzionerà alla perfezione, magari i professori faranno lezione per qualche settimana a mezza classe in presenza e mezza in Dad, le aule si svuoteranno lo stesso e la didattica non sarà da manuale, magari i genitori continueranno a impazzire tra tamponi e possibili quarantene e scriveranno decine di mail alle segreterie.

Ma in questa scuola viva e in carne ed ossa, e maledettamente imperfetta, in questo presidio educativo che ha senso d’esistere solo se tangibile, il cuore continuerà a battere. Chi è lontano vorrà al più presto tornare. Chi è presente lotterà per restare. Tutti, alla fine, avranno imparato la lezione che si resiste, che bisogna resistere, che le difficoltà vanno affrontate tutti insieme senza farsi indietro mai e tanto meno senza nascondersi dietro a uno schermo. Che poi – sembra incredibile – è quello che genitori e insegnanti chiedono ogni giorno ai ragazzi: mettere giù smartphone e playstation e tornare a vivere nella realtà. Anche se la realtà fa paura.

Da Avvenire

Meno armi, più scuole. Il messaggio di papa Francesco per la Giornata della pace

Meno armi, più scuole. Il messaggio di papa Francesco per la Giornata della pace

CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Meno fucili e meno bombe, più libri e più quaderni. È l’appello ai governi di papa Francesco che, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2022, denuncia come nel mondo si spenda sempre più in armamenti e sempre meno in scuola. Ed esorta a ribaltare le proporzioni: gli Stati taglino le spese militari e investano in istruzione (più o meno quello che da anni dice in Italia la campagna Sbilanciamoci!).

«Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la promozione della pace», si legge nel messaggio del pontefice. «Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della guerra fredda, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante. È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti», «liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio».

È un messaggio quello di Francesco per la cinquantacinquesima edizione della giornata “inventata” da Paolo VI nel 1968 in cui emerge un marcato «pessimismo della ragione», con il quale si fotografa la realtà di un pianeta caratterizzato da «inequità» – per utilizzare un termine bergogliano – e ingiustizia sociale. «Il cammino della pace», esordisce il documento, rimane «lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa»: «si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace».

Ma c’è anche «l’ottimismo della volontà», per la costruzione di una «pace duratura», fondata sull’«istruzione come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo», sul «dialogo tra le generazioni» e sul «lavoro per una piena realizzazione della dignità umana».

«Dialogare fra generazioni per edificare la pace» secondo il pontefice significa soprattutto ascoltare i giovani dei movimenti che si battono contro i cambiamenti climatici e per la salvaguardia del pianeta. «Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo – scrive Francesco –, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale».

Il mondo del lavoro è messo a dura prova dalla pandemia: «milioni di attività economiche e produttive sono fallite, i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili» e ancora peggio stanno i «lavoratori migranti», molti dei quali «non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero, vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga». La scorsa settimana, parlando ai giuristi cattolici, Bergoglio aveva fatto esplicito riferimento ai «braccianti, “usati” per la raccolta dei frutti o delle verdure, e poi pagati miserabilmente e cacciati via, senza alcuna protezione sociale».

Le responsabilità sono dell’impresa e della politica, conclude Francesco il proprio messaggio. La prima sappia «promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato», in «il profitto non sia l’unico criterio-guida». E la politica svolga «un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale». 

Per Bianchi la scuola è sicura, “si torna in classe il 10 gennaio”

Il ministro dell’Istruzione ha specificato che “in caso di focolai a decidere le chiusure, isolate e specifiche, saranno i presidenti di Regione o i sindaci”

Per Bianchi la scuola è sicura, "si torna in classe il 10 gennaio"

AGI – “Sì il 10 gennaio si rientra a scuola in presenza”. Lo ha  confermato il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, intervenuto a Sky Tg24. ” La nostra indicazione è che si torna a scuola in presenza, ci vuole la rsponsabilità di tutti, questo è il nostro obiettivo e questo faremo”.

“Dove vi siano le condizioni straordinariamente rilevanti ma isolate, come alcuni focolai – ha aggiunto il ministro Bianchi – i presidenti di Regione oe i sindaci potranno disporre delle chiusure ma solo molte isolate e molto specificate in quella classe o scuola”.

Pe rquanto riguarda  il tema del green pass per gli studenti “non lo abbiamo posto”, ha spiegato Bianchi. “Abbiamo verificato solo questa straordinaria risposta dei ragazzi più grandi alla vaccinazione, che sono l’85%, vuol dire che è stata  una risposta di massa e attenta e che noi speriamo possa raggiiungere il 100%”. Infatti, “la nostra indicazione ai genitori è quella di vaccinare i loro banmbini”.

L’amianto uccide, anche a scuola

Avvenire

È una sentenza destinata a fare storia, quella emessa dalla Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna, che ha condannato il ministero dell’Istruzione a risarcire gli eredi di un’insegnante morta a causa dell’esposizione alle fibre di amianto durante le lezioni. La sentenza si riferisce alla vicenda della professoressa Olga Mariasofia D’Emilio, per anni insegnante di Chimica e Fisica alla scuola media “Farini” di Bologna, alla quale il 17 maggio 2002 venne diagnosticato il mesotelioma pleurico per l’esposizione alla fibra killer e deceduta il 21 febbraio 2017, dopo quindici anni di agonia. Secondo la giudice bolognese Maria Luisa Pugliese, la morte della professoressa è stata «causata dall’esposizione alle fibre di amianto nel periodo in cui la donna ha lavorato alle scuole “Farini” di Bologna» e, per questa ragione, il Tribunale ha condannato il Ministero a risarcire i figli della docente con 930.258 euro. Secondo l’Osservatorio nazionale amianto che dà la notizia, è la prima volta che accade in Italia.

© Fornito da Avvenire

«Non è un caso isolato»

«Il caso della professoressa D’Emilio non è isolato, l’amianto nelle scuole sta provocando una vera e propria epidemia tra docenti e non docenti – denuncia Ezio Bonanni, Presidente Ona, che ha seguito il processo con il collega avvocato Massimiliano Fabiani -. A decine, infatti, e ben oltre i 91 casi censiti dal VI rapporto mesoteliomi, sono deceduti per questa neoplasia molto rara, che è la punta dell’iceberg per le malattie da amianto. Per questo, insistiamo affinché il Ministero della Salute, d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, disponga al più presto la bonifica e messa in sicurezza di tutti gli istituti scolastici».

Quasi 3mila scuole con amianto

Secondo Ona, nel 9% delle scuole italiane (53.113 istituti, di cui 40.749 statali e 12.564 paritari), sono stati censiti materiali di amianto. Nel 2021, alla ripresa dell’anno scolastico, risultava che ancora il 4,3% degli edifici scolastici aveva la presenza della fibra killer, quindi nella misura di 2.292 scuole, con esposizione quotidiana di 356mila studenti (rispetto alla totalità di 8.300.000), ai quali si aggiungono 50mila tra docenti e personale scolastico.

«Mai più sofferenza come la nostra»

«Il mio sogno è quello di far sì che le sofferenze di mia madre, e della mia famiglia, non si ripetano per altri insegnanti e impiegati nella scuola – dichiara Silvana Valensin, figlia della docente scomparsa –. Quello del mesotelioma è un flagello e dobbiamo vincere la nostra battaglia contro l’amianto. Mi auguro che si giunga quanto prima alla bonifica di tutte le scuole e di tutti i siti contaminati».

«Docenti esposti a gravi rischi»

Non c’è soltanto l’amianto a mettere in pericolo la vita di insegnanti, alunni e personale scolastico. «Quanto accaduto a Bologna .- sottolinea Marcello Pacifico, presidente del sindacato autonomo Anief – dimostra quanto i docenti siano esposti a gravi rischi: allo stress da lavoro, che sfocia in alto numero nel burnout e in patologie tumorali, vanno aggiunti i casi di esposizione a sostanze tossiche, come l’amianto, ancora presente in migliaia di plessi, che nella metà dei casi sono stati costruiti prima del 1971 e che risultano a oggi in alto numero fatiscenti e in perenne ristrutturazione».