“Difendiamo e rinnoviamo il Sistema Sanitario Nazionale per evitare il collasso”

“Difendiamo e rinnoviamo il Sistema Sanitario Nazionale per evitare il collasso”

Da sinistra il professor Nino Cartabellotta, il direttore generale dell’Ausl di Reggio Cristina Marchesi, il sindaco Luca Vecchi, il presidente di Confcooperative Matteo Caramaschi ed Elisabetta Negri, direttrice delle attività socio sanitarie del distretto Ausl di Reggio Emilia

Dal convegno “Salute Bene Comune” riflessioni sul futuro della nostra sanità

REGGIO EMILIA – “Indipendentemente dall’alternanza dei governi degli ultimi anni, la forbice fra il fabbisogno reale e gli investimenti pubblici si allarga sempre di più: di questo passo, il Sistema sanitario nazionale, fiore all’occhiello del nostro Paese, non potrà reggere a lungo. Ecco perché va rinnovato, velocemente, con progetti concreti”.
Questo uno dei concetti, tanto forti quanto preoccupanti, espressi in occasione dell’evento, promosso sabato 3 febbraio a Palazzo Da Mosto dal Poliambulatorio 3C Salute per celebrare i primi 10 anni di attività. Hanno dialogato soggetti pubblici e privati del panorama sanitario locale, che, grazie agli interventi dei vari relatori, hanno riflettuto sul futuro della sanità del nostro Paese, sulla necessità di mantenere alto il livello delle prestazioni e di definire una migliore interazione fra pubblico e privato: una coesione tale da consentire al Sistema sanitario nazionale di recuperare il terreno perduto in questi ultimi vent’anni in termini di potenziale e di risorse, sfruttando al meglio la grande professionalità e la grande competenza che lo hanno reso un’eccellenza assoluta, malgrado il costante calo degli investimenti pubblici nel settore.

Maurizio Gozzi, amministratore delegato del Poliambulatorio 3C Salute

L’iniziativa ha riscosso una grande attenzione, con una platea gremita di persone, tra cui molti addetti ai lavori, per una giornata finalizzata ad aprire un dialogo sul futuro dei servizi sanitari di prossimità.
Oltre al presidente di Confcooperative, Matteo Caramaschi, sono intervenuti il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, e il direttore generale dell’Ausl di Reggio Emilia, Cristina Marchesi.
Nella prima parte del convegno, dal titolo “Sanità e territorio: dove ci condurrà la trasformazione in atto”, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, Mario Del Vecchio della SDA Bocconi di Milano e Giulia Galera, ricercatrice Euricse, coordinati da Mauro Ponzi, già presidente di 3C Salute, hanno dato vita a un’analisi approfondita, completa di dati, statistiche e proiezioni, sul presente e soprattutto sul futuro del Sistema sanitario nazionale, ma anche sul ruolo del Terzo settore e sulle tendenze dei cittadini che andrebbero orientate meglio per non sprecare risorse.

“Il nostro Sistema sanitario nazionale rappresenta una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia, visto che il livello di salute e benessere della popolazione italiana condiziona anche la crescita economica del Paese e l’eventuale perdita del SSN sarebbe un disastro sociale ed economico senza precedenti”, ha sottolineato Nino Cartabellotta. “Il tempo della manutenzione ordinaria è ormai scaduto: ora occorre un rilancio dello stesso, con un sistema sanitario misto, formato da quote a carico del cittadino, delle aziende e di vari fondi e assicurazioni e il resto a carico dello Stato, perché i conti pubblici non sono più in grado di reggere a lungo questo sistema, almeno così com’è strutturato ora”.

La sala degli affreschi di palazzo Da Mosto gremita di persone

Nella seconda parte, Elisabetta Negri, direttore delle attività socio sanitarie dell’Ausl di Reggio, Carlo Bergamini, dg delle Farmacie comunali riunite, Gian Luca Galletti, presidente di EmilBanca e Maria Cristina Santi, neo presidente di 3C Salute, coordinati da Flaviano Zandonai, sociologo e ricercatore Gruppo cooperativo CGM, hanno dato vita ad una seconda parte del dibattito sul tema “Costruire una corresponsabilità”.
In chiusura, l’amministratore delegato di 3C Salute, Maurizio Gozzi, ha sottolineato come, in questi anni, egli stesso abbia sperimentato quanto sia difficile cooperare tra soggetti diversi nel contesto della sanità, mentre oggi risulta sempre più necessaria la collaborazione fra forze del territorio che si orientino unitariamente ad un unico obiettivo: la Salute, intesa come bene comune.

reggionline.com

LA SITUAZIONE Natale a letto con l’influenza L’allarme dei pronto soccorso

In netto anticipo rispetto alle scorse stagioni, sono in crescita i cittadini colpiti da sindromi influenzali, che si aggiungono ai contagi da Covid. In Francia si pensa a rimettere le mascherine, New York le consiglia

Test antigenici per il Covid a New York in un centro tamponi mobile / Reuters

La stagione influenzale è esplosa in anticipo rispetto agli anni precedenti, e gli esperti prefigurano un picco proprio nelle prossime vacanze natalizie o subito dopo. I medici lamentano già intasamenti nei Pronto soccorso e, d’altra parte, il Covid-19 non è scomparso: i ricoveri sono in leggero aumento, anche se l’incidenza è in calo per le età inferiori ai 59 anni, mentre per le sindromi influenzali i più colpiti sono i bambini. In Francia, ma anche negli Stati Uniti, si torna a parlare di mascherine.

In base agli ultimi dati della rete Influnet, diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss), la stagione 2022-2023 fa registrare una curva di rapida salita dei casi di sindromi simil-influenzali, in base alle segnalazioni dei medici sentinella, che mostrano un livello più alto di tutte le stagioni precedenti fino al 2009-2010, quella della pandemia da H1N1. Parla di «stagione da record» il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, che stima in 10 milioni gli italiani che potrebbero contrarre il virus influenzale durante l’inverno, soprattutto «se sarà freddo e le temperature si manterranno basse a lungo». Sfiorano i 943mila i cittadini che hanno contratto virus influenzali nell’ultima settimana secondo il rapporto dell’Iss, portando l’incidenza complessiva a sfiorare i 16 casi ogni mille abitanti. «L’epidemia di influenza è in fortissima ascesa – sottolinea Filippo Anelli (presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) –, il picco non è stato raggiunto e ci aspettiamo che si raggiungerà intorno a Natale o dopo. Ma siamo già a livelli che realmente non ci aspettavamo, almeno per questo periodo. Questo significa che un bel po’ di gente starà a letto nel periodo delle feste». L’unico modo per evitare i virus stagionali, aggiunge Anelli «rimane la vaccinazione. L’altra misura è usare il più possibile la mascherina ». Uno strumento che, anche per contrastare il Covid-19, sarebbe gradito in Francia: secondo un sondaggio realizzato da Odoxa e pubblicato da Le Figaro, tre francesi su 4 si dicono favorevoli alla reintroduzione dell’obbligo di indossare le mascherine sui mezzi di trasporto pubblici. Mentre la città di New York lo ha già chiesto ai suoi abitanti, in particolare negli ambienti chiusi per contrastare un aumento record di contagi da Sars-Cov-2.

Nel nostro Paese l’aumento di casi di influenza si sta scaricando sul sistema assistenziale. I Pronto soccorso sono «allo stremo, con criticità non più localizzate ma diffuse anche in regioni considerate virtuose», lamenta il presidente della Società italiana di medicina di emergenza e urgenza (Simeu) Fabio De Iaco, che dirige il Pronto soccorso all’ospedale Maria Vittoria di Torino. Un caso esemplarmente negativo delle situazione di caos è quello occorso a un uomo di 88 anni, che è rimasto 12 giorni in un Pronto soccorso romano, senza ottenere il ricovero in reparto, finendo per contrarre il Covid- 19 e morendo in solitudine, senza poter vedere i propri parenti. La situazione emergenziale viene denunciata anche dai medici di medicina generale. In media, segnala Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) «ogni settimana un medico di famiglia ha circa 100 assistiti che si ammalano».

Una situazione che si somma al Covid-19: «Temo un Natale all’insegna della “rimozione” del virus pandemico dalla nostra vita – osserva Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica di Roma –. Credo si stia scambiando la mancanza di una politica attiva contro l’epidemia, che dovrebbe essere sostituita con la responsabilizzazione dei cittadini, in una sorta di “liberi tutti” diffuso. Sembra che abbiamo un po’ dimenticato precauzioni seguite negli anni precedenti ». Sul tema dei morti Covid predica prudenza l’infettivologo Matteo Bassetti (ospedale San Martino di Genova): «È molto difficile dire quanti sono i morti reali legati al Covid e credo che fondamentalmente dobbiamo guardare a chi è morto di polmonite da Sars-CoV-2, non a chi muore in ospedale o a casa con un tampone positivo». E conclude che «un dato sbagliato che porta anche a una “cattiva fama” dei vaccini».

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Sanità “selettiva”: anziani scartati

di: Jesús Martínez Gordo

anziani covid

«Oltre a pagargli le pensioni, a sorbirci tre mesi di confinamento e dover vivere “paramilitarizzati”, ora in piena estate ci proibiscono di divertirci per non contagiarli. Meglio che muoiano in fretta e ci lascino in pace…».

Questo crudo commento – un misto di crudeltà, alcol e visceralità – fu pronunciato alcuni giorni fa, sul far del mattino, dopo che alcuni locali di drink erano stati chiusi. Lo trascrivo come me l’ha riferito un vacanziere sulla costa della Cantabria. Mentre lo ascoltavo, mi sono detto che era tempo di pensare a voce alta su questo “scartare gli anziani” nella società e, specialmente, nelle case di riposo in cui sembra ci sia stata la prima fase della pandemia.

A tutt’oggi non disponiamo ancora di dati affidabili sul numero preciso dei morti. E nemmeno di resoconti sul perché è accaduto quel che è accaduto e come si sarebbe potuto evitare. Così lo riconoscono, per esempio, le Giunte Generali di Biscaglia, quando chiedono alla Deputazione (Consiglio distrettuale) un’informazione al riguardo. E anche lo stesso Ministero della Sanità, quando indica che, secondo le fonti allora disponibili, il totale dei morti nelle case di riposo oscillava, al 20 giugno, tra 27.359 e 32.843.

Una tale mancanza di dati e di diagnosi ha rafforzato la convinzione che sta accadendo qualcosa di molto serio: e non in bene.

Forse per questo è opportuno raccogliere alcune valutazioni e proposte che si sono ascoltate da alcune settimane. Ne riprendo un paio.

Dal mondo degli anziani

Nella prima – tratta da Atrio, un blog che conta una notevole presenza di persone anziane – ho ascoltato un contributo che ci provoca. Di fronte all’estrema saturazione ospedaliera e alla scarsità, tra gli altri materiali, di ventilatori e al grido di “si salvi chi può” – ricorda uno dei suoi membri – gli (ir-) responsabili sanitari optarono per la disattenzione verso gli anziani.

Lo prova la raccomandazione, fatta a bassavoce, di non ricoverare in ospedale coloro che avevano una prognosi sfavorevole, e anche l’invio di circolari alle case di riposo affinché non inviassero i contagiati ai centri sanitari. Il risultato è quello già noto: una percentuale molto alta di anziani morti a cui non solo sono state negate le dovute attenzioni mediche o, per lo meno, le cure palliative e la vicinanza dei loro cari, ma anche le onoranze funebri.

Questa prassi (dis-)umana risulta – secondo quanto sostiene un altro – dal fatto di sacralizzare i famosi protocolli di interventi presieduti da un darwinismo sociale (il pesce forte mangia il pesce debole), anche se non sono mancati anziani disposti a sacrificarsi per i propri figli e nipoti: «È bene che, prima, vengano curati i bambini e i giovani. Noi abbiamo già vissuto a sufficienza, anche se non sarebbe male se prima ci consultassero».

È devastante e gela il sangue sapere che questi protocolli sono stati applicati. Ma è ancora più grave che non ci sia stata, nei media, una sola voce dissenziente tra coloro che sono stati invitati ad applicarli.

Qui – ha affermato un’altra persona – non siamo davanti alla vittoria della morale stoica, ma al trionfo di un cinismo brutale che affonda le sue radici in un feroce pragmatismo economicista: un giorno in UCI (terapia intensiva) – ha sottolineato – costa alla sanità pubblica tra 1.600 e 1.800 euro. Un ricovero da Covid-19 di circa 30 giorni, 51.000 euro.

Se ci fossero stati, più o meno, 19.000 ingressi in terapia intensiva ospedaliera, avremmo speso 969 milioni di euro. Dal momento che questo non si è verificato, li abbiamo risparmiati. Ad essi si devono aggiungere 19.000 pensionati in meno rispetto al tasso pensionistico medio annuo di € 14.000, vale a dire che la Sicurezza Sociale ha risparmiato 266 milioni di euro.

Come siamo giunti a dare il primo posto a queste considerazioni?

La Comunità di Sant’Egidio

La seconda valutazione la prendo dalla Comunità di Sant Egidio (Italia), un movimento che, tra le altre iniziative, ha avviato i corridoi umanitari: la crisi ha dimostrato che gli anziani (e non altri gruppi) sono i più fragili della nostra società.

Se il progresso umano si gioca sulle politiche di solidarietà – sostiene quella Comunità – non è accettabile l’istituzionalizzazione degli anziani. Per questo essa dichiara che «vivere è stare con la famiglia» e nella propria casa, non in una casa di riposo. Gli anziani trattati in questo modo vivono quattro volte di più di quanti sono ospitati nelle case di riposo, e vivono meglio; semplicemente perché le residenze sono autentiche prigioni d’oro.

Inoltre – secondo questo criterio – Sant’Egidio denuncia il sacrificio delle loro vite a beneficio di altre (cf. l’appello Senza anziani non c’è futuro). Dissentono in maniera radicale da una “sanità selettiva” che, in considerazione della loro maggiore vulnerabilità e dell’età avanzata, considera la loro esistenza “residuale”, a beneficio dei più giovani e dei più sani; qualcosa di inaccettabile non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello dei diritti umani e della deontologia professionale.

Nessuno «stato di necessità» – affermano – giustifica una tale «barbarie». E, meno ancora, che essa «venga proposta da un’imposizione, sia dello Stato sia delle autorità sanitarie». Urge una «ribellione morale», ovviamente, in termini di solidarietà. Nel frattempo, esso continua con i suoi programmi di intervento. 

Settimana News

Sanità, novità nelle Asl e sulle ricette

Arrivano importanti novità per gli operatori della sanità, ma anche per i cittadini. Con il decreto legge e il disegno di legge delega approvati dal Consiglio dei ministri, sono stati toccati alcuni importanti comparti della sanità e della salute pubblica. Dalla validità delle ricette per i malati cronici al superamento dell’obbligo di assicurazione per i medici del Servizio Sanitario Nazionale, dalla semplificazione delle procedure per le autorizzazioni necessarie per l’apertura di nuove strutture sanitarie alla selezione unica nazionale per la nomina dei direttori generali. Ecco le novità:

GOVERNANCE DELLE AZIENDE SANITARIE: Con ddl delega è stata introdotta una selezione unica nazionale per i direttori generali. Potranno essere nominati soltanto coloro che, all’esito di una selezione pubblica nazionale, saranno iscritti in un elenco tenuto dal Ministero della Salute e aggiornato con cadenza biennale. I direttori dovranno possedere titoli professionali specifici, avere frequentato uno specifico corso universitario di formazione in gestione sanitaria. I direttori nominati dovranno garantire obiettivi di gestione, i livelli essenziali di assistenza, l’equilibrio di bilancio e i risultati del programma nazionale valutazione esiti. Inoltre sono stati inseriti criteri meritocratici per le carriere di direttori generali delle Asl, primari ospedalieri e direttori sanitari delle stesse Asl. Il direttore generale potrà essere dichiarato decaduto dall’incarico se non raggiunge gli obiettivi o commette gravi violazioni di legge o regolamento, o non si ispira ai principi di buon andamento e imparzialità. Il direttore generale dichiarato decaduto viene cancellato dall’elenco e non potrà più essere nominato. Prevista anche  l’istituzione, su base regionale, degli elenchi dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari. Per essere nominato direttore amministrativo o direttore sanitario occorrerà superare una selezione pubblica per titoli e colloquio, contrariamente a quanto avviene attualmente con la nomina di queste figure di vertice in modo strettamente fiduciario e prescindendo da qualsiasi selezione. Gli idonei verranno iscritti nell’elenco pubblico tenuto dalla Regione. Le commissioni di concorso sono composte da esperti di qualificate istituzioni scientifiche. Coloro che non raggiungeranno gli obiettivi prefissati verranno cancellati dall’elenco e non potranno essere rinominati.

RICETTA MEDICA: Novità per i malati cronici, cioè per più di 14 milioni di persone che rappresentano il 24% degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale. Si allungano i tempi di validità delle ricette per i malati cronici, validità che passa dai 60 giorni attuali a 180 giorni. Niente più file dal medico di famiglia, il malato potrà così andare per le ricette solo una volta ogni sei mesi e si potranno prescrivere sei scatole ogni ricetta (salvo naturalmente indicazioni diverse del medico curante).

ASSICURAZIONE PER I MEDICI: l’obbligo di assicurazione che scatterà il prossimo 14 agosto non si applica ai medici dipendenti pubblici del Sistema Sanitario Nazionale. Sono state introdotte misure per istituire un fondo che supporterà i professionisti sanitari nel pagamento dei premi assicurati, in particolare nei casi in cui i premi siano di ammontare elevato a causa del notevole livello di rischio dell’attività svolta dal professionista.

STRUTTURE SANITARIE: Sono state semplificate le procedure per il rilascio delle autorizzazioni necessarie per l’apertura di strutture sanitarie, eliminando il parere regionale relativo alla verifica di compatibilità con il fabbisogno sanitario.

© riproduzione riservata – avvenire.it

SANITA’ / DALLA PARTE DEL MALATO. I nuovi livelli essenziali di assistenza: le cure “imprescindibili”

 

Regolate 6mila prestazioni, dalla Sla all’epidurale. Era atteso da anni il riordino delle prestazioni che la sanità regionale deve erogare in modo imprescindibile. Tra le novità 110i malattie rare, molte croniche, la sindrome da Talidomide, le ludopatie. Ma adesso la parola passa al ministero dell’economia e alla Conferenza Stato-Regioni.
Centodieci nuove malattie rare. Ma anche la sindrome da Talidomide e l’enfisema polmonare. Le malattie croniche delle ossa. L’epidurale e le ludopatie.
Domenica 30 dicembre il ministero della salute ha reso noto il decreto sui nuovi livelli essenziali di assistenza. Il riordino delle prestazioni che la sanità regionale deve erogare in modo imprescindibile era atteso da anni. Non si tratta di un percorso definitivo. Certo, all’orizzonte ci sono molti ostacoli. Le seimila prestazioni e servizi che attendevano un riordino dal 2001 dovranno passare le forche caudine del ministero dell’Economia e della Conferenza Stato-Regioni. Nei giorni scorsi non si è fatta attendere la reazione del governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, il quale ha tenuto a ribadire che ogni iniziativa di politica sanitaria deve passare attraverso il confronto con le regioni. E deve poggiare su risorse certe. Perché livelli essenziali di assistenza significano cure che non possono essere negate. Pena la sanzione.È il caso delle cure palliative che con la legge 38 del 2010 sono state sancite come livello essenziale. Un riconoscimento importante che si sta concretizzando attraverso l’approvazione di alcuni documenti: dai requisiti minimi per le strutture, approvati il 25 luglio dello scorso anno, alla recente disciplina in cure palliative licenziata dal Consiglio superiore di sanità dieci giorni fa. Primo passo per superare il gap che ci porta a essere uno dei pochi Paesi europei in cui non esiste ancora la specializzazione in questo ambito (chi pratica le cure palliative è ancora un “esperto in” e può esercitarle anche con specializzazioni come l’anestesia o l’oncologia).

Da ultimo, non possiamo dimenticare il recente ripristino del fondo per la non autosufficienza: ai 270 milioni di euro nella legge di stabilità, frutto anche di un confronto serrato con alcune associazioni di gravi disabili, si aggiungono i 200 milioni di finanziamento sanitario ordinario. E la destinazione specifica di 20 milioni ai malati di Sla. Per questi ultimi rimane ancora aperta la questione dell’acquisto dei comunicatori. Su questo fronte l’emergenza più preoccupante, come si dà conto in questa pagina, è rappresentata dalla Campania.

Craniostenosi. Senza diagnosi tempestive a rischio la vita dei bebé
Bisogna arrivare presto alla diagnosi. Altrimenti è a rischio la vita del bambino. Tra le tante malattie rare che colpiscono la vita dei più piccoli la craniostenosi ha questa caratteristica. Rara, ma non rarissima, ha un’incidenza in Italia, nelle sue forme più semplici, di uno su quindicimila. Sara Stradella è la madre di Niccolò. Una famiglia genovese che, in un certo senso, ha avuto la fortuna di abitare nella città in cui si trova uno dei centri pediatrici piu’ importanti d’Italia, l’ospedale Gaslini. «Niccolò non è nato in un ospedale pediatrico – racconta Sara – e non sono stati i medici ad accorgersi che la sua fronte era diversa da quella degli altri bambini. Ce ne siamo accorti noi». I genitori del piccolo si rivolgono così alla fonte più diretta di informazioni che ci possa essere anche per quanto riguarda l’ambito medico: la rete.
«Per noi internet è stato fondamentale per molti motivi: grazie ad alcune ricerche, condotte in modo empirico da altri genitori, abbiamo intuito che nostro figlio potesse avere qualcosa di molto serio. E così ci siamo rivolti a un centro specializzato».
Qui, una volta fatta con precisione la diagnosi «la strada è stata in discesa – riprende la giovane madre – : i neurochirurghi sono persone competenti, che sanno trattare operazioni così complesse come quella che ha subito Niccolò». Oltre al Gaslini, gli altri centri italiani importanti per la cura della craniostenosi sono il Meyer di Firenze e il Gemelli di Roma. Fondamentale è che i pediatri sappiano indirizzare le famiglie verso questi nosocomi.
Sono passati solo pochi mesi da allora, e, proprio l’aver vissuto questa esperienza in prima persona, sta portando Sara e il marito a impegnarsi nel divulgare il più possibile informazioni su questa malattia. Perché la si possa vedere per tempo: «Noi ci siamo arrivati, ci è andata davvero bene. Ma chi non ci riesce? La craniostenosi, se non è diagnosticata in tempo e se alla diagnosi non consegue l’operazione chirurgica, delicatissima, può comportare danni irreparabili agli organi vitali, la compressione del cervello, i rischi per lo sviluppo sono altissimi». Fino a correre il rischio più grande, quello della morte.
Sara sta dunque lavorando all’allestimento di un sito internet che abbia delle referenziate informazioni scientifiche: «Ma che attivi anche i meccanismi di solidarietà. Per noi è stato importantissimo conoscere e confrontarci con altre famiglie che avevano avuto una storia simile alla nostra».

Cure palliative. Assistenza costante nella fase più delicata
La chemioterapia fino al penultimo giorno di vita. Le cure palliative che vengono attivate all’ultimo giorno. Quante vicende di questo genere conosciamo nel nostro Paese? La dottoressa Clarissa Florian dell’hospice di Abbiategrasso, in provincia di Milano, è appena tornata dalla casa di un malato che è morto così. Un problema di cultura, certo, di scelte non corrette nell’accompagnamento alla fase terminale della persona e della sua famiglia. «Dobbiamo – dice – “contaminare” gli altri medici».
Anche per questo da due mesi proprio nella struttura residenziale per malati terminali in cui lavora il medico milanese è partito il “progetto welfare”. Articolato in quattro punti, si pone come obiettivo quello di assistere i malati e le famiglie sotto vari aspetti e per tempo.
«Il primo ambito – spiega Florian – è quello dell’assistenza domiciliare. Abbiamo cercato di perfezionare la classica Adi alternando le figure dell’equipe di cure palliative a casa a seconda del livello di complessità del malato».

Tre sono le interessanti novità: «Un pomeriggio alla settimana, presso l’ospedale di Magenta (l’ospedale di riferimento del territorio dell’hospice di Abbiategrasso, ndr) , mi reco a fare attività di ambulatorio. L’obiettivo è far partire per tempo le cosidette simoultaneous care (cure simultanee): il day hospital dei pazienti, la consulenza presso tutti i reparti, non sono quello oncologico, in cui è curato il malato». L’ambulatorio è dunque la scelta precisa fatta per «colmare la voragine che si crea tra l’assistenza domiciliare, l’hospice e il controllo specialistico in ospedale».

C’è un secondo ambulatorio attivo, che si trova all’interno dell’hospice ed è di continous care (cure continuate): «Questo specifico ambulatorio – riprende Florian – è dedicato a quei pazienti che, terminate le cure specialistiche sono affidati al medico di medicina generale, ma hanno bisogno della palliazione per sintomi specifici, e, nello stesso tempo, è in grado di raggiungere la struttura».
Infine, il progetto Welfare prevede, nell’ambito della dote famiglia di Regione Lombardia, l’erogazione di un assegno di cura di circa settecento euro a chi assiste a casa il proprio caro: «Non solo per chi ha problemi economici tout court, ma anche per chi deve affrontare le spese per acquisto di un letto o di tutti quei supporti necessari per accogliere il malato in casa».
Dall’avvio del progetto welfare sono stati 4 i pazienti seguiti presso l’ambulatorio ospedaliero, 6 in quello in hospice, 5 le famiglie che hanno usufruito della dote. Di queste ultime, tre hanno ricevuto il rinnovo.

Ausili per la Sla. Se manca il comunicatore il mondo è irraggiungibile
Senza parlare. Senza poter comunicare con il mondo. Per un malato di Sla in fase avanzata non poter avere un comunicatore significa questo. In Campania ci sono in questo momento trenta persone che sono nelle condizione di non poter parlare. Che hanno la malattia del motoneurone da alcuni anni e vorrebbero, essendo minate nel fisico, ma lucide nella mente, poter essere ancora trattate come persone. Certo, ci sono le tradizionali lavagnette con le lettere, ma ci vuole sempre qualcuno che interloquisca leggendo gli occhi del malato. Non danno lo stesso grado di autonomia nella traduzione elettronica delle parole che la persona compone attraverso la visione oculare.

La paradossale vicenda di Vincenzo Bottone, napoletano, malato di Sla da tredici anni e da almeno quattro senza comunicatore fa capire che questo ausilio non può essere negato.
Christian Lunetta, responsabile tecnico di Aisla conferma: «La situazione dei tempi di attesa della Campania è drammatica, dobbiamo fare di tutto per sbloccarla».

Aisla, infatti, ha promosso una delibera perché si avvii una procedura di rimborso dei comunicatori, ma è tutto fermo: tra gare di appalto vinte e poi reindette e lungaggini burocratiche il tempo passa e i malati attendono.
La nipote di Vincenzo, Alessia, sta portando avanti la battaglia per lo zio: «Mi ha chiesto di  aiutarlo – spiega – di condurre la sua causa e quella degli altri pazienti. Se potesse parlare dice che lo farebbe lui stesso. È molto lucido, e mi ha colpito molto perché ha degli  occhi che vogliono parlare, ha persino voglia di
parlare di argomenti di attualità. È molto forte, e si considera fortunato a detta sua, perché riesce ancora a muovere il collo e non ha lo sguardo fisso nel vuoto».

A Vincenzo è stato riconosciuto il diritto al comunicatore nel 2009 e assegnato nel 2011. «Dal 25 Maggio 2011 – riprende Alessia – dopo aver ricevuto la lettera della Asl Napoli 1 che ci confermava che il macchinario sarebbe arrivato a giorni non abbiamo più avuto notizie, solo giustificazioni che non possiamo accettare».
Alessia spera naturalmente che lo zio possa usufruire della delibera per la procedura di rimborso e in questi giorni sta incontrando i rappresentanti della Asl per cercare di sbloccare la situazione. Gli ha fatto così provare già dei macchinari «e – racconta – la sola prova gli ha fatto illuminare lo sguardo».
La giovane è molto determinata in questa battaglia: «Non mi arrenderò – dice – fino a quando non otterremo il risultato concreto di far tornare mio zio in un mondo di relazione».

Francesca Lozito – avvenire.it

ALLARME SANITÀ Sos ospedali religiosi «Rischio blocco totale»

​Auspici e inviti «hanno fatto il loro tempo». E adesso, di tempo, ne resta davvero pochissimo. Le istituzioni sanitarie cattoliche, in modo particolare quelle del Lazio, che vantano crediti per circa 500 milioni nei confronti della Regione (la cifra si riferisce alle strutture classificate e non tiene conto del Policlinico “Gemelli”), sono drammaticamente vicine ad un bivio: in assenza di soluzioni o si vende ai privati – come è accaduto per l’Ospedale Cristo Re, passato al gruppo Miraglia –, oppure si va verso la riconversione delle strutture. Che significa trasformarle, per esempio, in residenze sanitarie assistite per anziani o in centri per la riabilitazione, chiudendo molti degli attuali reparti e riducendo l’attività odierna a day hospital. Insomma, a operare, in tutti i casi, corposi tagli al personale. Senza contare che le trasformazioni richiederebbero tempo e andrebbero realizzate solo dopo aver messo a posto i bilanci.

La denuncia, l’ennesima, arriva da fratel Mario Bonora, presidente dell’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari). Un altro grido di allarme proprio quando Filippo Palumbo, capo dipartimento della Programmazione e dell’ordinamento del Servizio sanitario nazionale presso il Ministero della Salute ottiene l’investitura di commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della Regione Lazio. Resterà in carica fino all’insediamento del nuovo presidente della Regione. Palumbo è subentrato al dimissionario Enrico Bondi il cui operato ha lasciato molte perplessità dopo che i decreti regionali 348 e 349, i cosiddetti “decreti Bondi” varati il 22 novembre scorso, avevano prodotto una vera e propria sforbiciata di 29 milioni (circa il 7%) ai budget 2012, già concordati e approvati. Portando al 10% l’ulteriore riduzione per il 2013. Tra i tagli, anche 5 milioni in meno per le attività di emergenze-urgenza del “Gemelli” e l’impossibilità di potenziare, nell’ospedale dell’Università Cattolica che vanta 800 milioni di crediti dalla Regione, l’unità di Terapia intensiva neonatale e il centro Sla.

Insomma, dopo il danno la beffa: «Non solo l’enorme credito che questi istituti vantano è rimasto tale – spiega fratel Bonora – ma i provvedimenti di Bondi includevano una inaspettata retroattività che ha messo in ginocchio molte strutture costrette a limitare se non a rinunciare anche a ricoveri ordinari». Ma non alle emergenze. «All’Idi-San Carlo di Roma, dove ci sono dipendenti che avanzano 5 mensilità, si continua a lavorare e a coprire le urgenze», rileva Bonora. Ma le criticità crescono: mentre all’ex Villa San Pietro, ora dei Fatebenefratelli, per sopperire al difficile momento economico, si va verso un incremento delle prestazioni a pagamento, all’Idi, dopo la riunione di ieri in Campidoglio, il personale attende l’apertura del tavolo permanente di consultazione tra proprietà e sindacati sul piano industriale, previsto lunedì. Al vertice interverrà il sindaco di Roma, Alemanno, ed è atteso il nuovo commissario Palumbo.

«Il quadro che se ne ricava è contraddittorio e paradossale – incalza il presidente dell’Aris – perché negli istituti religiosi il costo di un posto letto è inferiore alla comunità del 30-50% ma evidentemente non si vuole più continuare a puntare sul no profit. Nessuno tiene conto, inoltre, dell’enorme mole di attività svolta ambulatorialmente dai nostri istituti. Se questi ultimi dovessero chiudere, gli assistiti si rivolgeranno ai nosocomi pubblici con la naturale conseguenza di un aumento a dismisura delle liste di attesa, già, in molti casi, inaccettabili».

 

Vito Salinaro – avenire.it

Sanità: stretta contro esami inutili

Arrivano i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, con una ‘stretta’ sugli esami inutili che costano caro al Servizio sanitario nazionale. Nel documento del ministro Balduzzi si prevedono controlli su “almeno il 5%” delle ricette, e per facilitarli si prevede l’obbligo da parte del medico di motivare la prescrizione degli accertamenti.

Si punta, spiega una nota del ministero, “sull’appropriatezza dell’assistenza specialistica ambulatoriale” con conseguente “riduzione degli oneri a carico del Ssn”. Le Regioni dovranno attivare “programmi di verifica sistematica” e saranno date anche ” ‘indicazioni prioritarie’ per la prescrizione di prestazioni di diagnostica strumentale frequentemente prescritte per indicazioni inappropriate”. Senza l’indicazione del “quesito o del sospetto diagnostico” la ricetta sarà “inutilizzabile”.

IN NUOVI LEA OK PARTO INDOLORE E 110 MALATTIE RARE – Maggiore diffusione del ‘parto indolore’, 110 malattie rare, cinque nuove patologie croniche. Ma anche la ludopatia e la sindrome da Talidomide. Sono alcune nelle novità introdotte nella proposta di aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza messa a punto dal ministro della Salute, Renato Balduzzi, che ora dovrà passare il vaglio del ministero dell’Economia (prima di andare in Conferenza Stato-Regioni e all’esame delle commissioni parlamentari che si potranno esprimere anche a Camere sciolte).

BALDUZZI, CON NUOVI LEA RISPOSTA A MOLTE SOFFERENZE – L’approvazione dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza rappresenta “una risposta concreta a molte persone e a molte famiglie che soffrono”. Lo afferma il ministro della Salute, Renato Balduzzi in una nota che annuncia la definizione dei nuovi Lea, sottolineando che “anche nelle difficoltà economiche il nostro Servizio Sanitario Nazionale si dimostra capace di dare risposte concrete”.

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