Reggio Emilia: l’immobile di viale Timavo (Seminario) ospiterà l’Università

Nella giornata di lunedì 23 aprile il Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca ha incontrato, presso il vescovado, il Sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, il Presidente della Provincia Giammaria Manghi, il Presidente della Fondazione Manodori Gianni Borghi, il Presidente della Camera di Commercio Stefano Landi, il Presidente di Unindustria Mauro Severi, il Presidente di Acer Marco Corradi, il Rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia Angelo Oreste Andrisano.

Il tema dell’incontro è stato il futuro dell’immobile del Seminario di viale Timavo.

Da diversi anni questo immobile è oggetto di ipotesi e progettazioni varie che fino ad oggi non sono riuscite a convincere la Diocesi.

La stretta collaborazione con l’Amministrazione comunale e in particolare con il Sindaco Luca Vecchi ha però permesso di fare un primo passo nella direzione che il Vescovo Massimo Camisasca ritiene ottimale per il bene della Chiesa e per quello della Città di Reggio Emilia.

Si sono gettate le basi di una fattiva collaborazione tra Enti, al fine di rendere disponibile  l’immobile di viale Timavo per ospitare l’Università.

La Diocesi reggiano-guastallese presto comunicherà la soluzione adottata per la nuova sede della comunità del Seminario, dello Studio Teologico Interdiocesano e della Biblioteca.

I problemi da risolvere sono ancora molti, ma vi è la disponibilità di tutti gli Enti coinvolti a impegnarsi per rendere operativa l’apertura delle nuove aule per il mese di settembre 2019.

laliberta.info

È beato Lucien Botovasoa, maestro e padre, martire in Madagascar

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“Dal desiderio di essere amato dalle persone, salvaci Gesù! Dal desiderio di essere lodato, liberaci, Gesù! Dal desiderio di essere onorato, liberaci Gesù!”. Una preghiera scritta a mano, di getto, che portava sempre con sé; parole semplici e vere come era lui, Lucien Botovasoa, il martire della fede ucciso il 14 aprile 1947 e ora beatificato dalla Chiesa a Vohipeno, comune rurale del Madagascar orientale. Un frutto dolce e rigoglioso dell’allora ancora giovane albero missionario, “piantato” nell’isola africana solo dal 1899, neanche dieci anni prima della sua nascita.

Un maestro della carità, della verità e del bene

I missionari del suo piccolo villaggio capiscono subito che è uno speciale, così lo mandano a studiare dai Gesuiti e lui torna trasformato in maestro, ma anche in musicista eccezionale e grande sportivo: tutte doti che metterà immediatamente a disposizione della Chiesa locale. Colto, poliglotta, amato dai suoi allievi che lo soprannominarono “u be pikopiko”, cioè seme rosso, perché lo vedevano sempre intento a sgranare il Rosario, sarà proprio la fama della sua solidissima fede a precederlo. “Lucien insegnava a fare il bene, a vivere in pace con il prossimo, a formare una comunità fraterna, accogliente e rispettosa – sottolinea il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato – all’odio rispondeva con la carità, alla divisione con la comunione, alla menzogna con la verità, al male con il bene. Era un autentico maestro di vita buona: buon cittadino, padre affettuoso, sposo premuroso”.

L’incontro d’amore con i Terziari Francescani

E fu proprio nel matrimonio che riuscì a vivere con pienezza la sua fede, anticipando di fatto di almeno vent’anni l’apertura al ruolo dei laici e la dimensione di santità nella quotidianità che saranno tra le cariche innovative del Concilio Vaticano II. Scoperta per caso la Regola dei Terziari Francescani, trovò in essa la possibilità di vivere all’interno del matrimonio in una dimensione di consacrazione, come ricorda ancora il porporato: “Da quel giorno diventa di una povertà e di una pietà straordinarie: abbandona i bei vestiti e si accontenta di semplici sandali, della camicia e dei pantaloni – racconta – digiuna il mercoledì e il venerdì. Si alza a mezzanotte per pregare in ginocchio, poi si reca in chiesa verso le quattro, restandovi fino all’ora della Messa. Francescano nell’anima, è sempre gioioso, prega continuamente, dovunque vada ha sempre il Rosario in mano”.

Non vittima della guerra civile, ma vero martire cristiano

Lucien più di una volta ebbe a dire che non si interessava di politica, ma al soffiare dei venti indipendentisti, in Madagascar i cattolici vennero visti come conniventi con il colonialismo francese, e perciò perseguitati. Durante la Settimana Santa del 1947 molte chiese furono date alle fiamme e molti fedeli raggiunti e uccisi. Anche il “maestro cristiano” venne catturato e processato sommariamente: il suo rifiuto a partecipare all’insurrezione guidata dai capi ribelli locali gli valse la condanna a morte. Condotto sul greto del fiume Matitanana, dove venivano abbattuti i buoi, chiese: “Perché volete uccidermi?”. “Perché sei cristiano”, fu la risposta. “Allora potete farlo – disse – non mi difenderò. Che il mio sangue su questa terra salvi la mia patria”. Il suo corpo fu gettato nel fiume.

“Il Beato ci insegna a vivere il Vangelo e il perdono”

Diciassette anni dopo, uno dei suoi aguzzini, in punto di morte, fece chiamare un sacerdote perché sentiva irrefrenabile il desiderio di essere battezzato prima del trapasso: “Botovasoa mi promise che sarebbe stato con me quando ne avessi avuto bisogno. Ora sento che è presente”, furono le sue ultime parole. Una testimonianza, quella della vita del giovane maestro malgascio, più forte e dirompente di tutti i suoi insegnamenti a parole: “Egli ci insegna a vivere integralmente il Vangelo che è il libro della vita e non della morte, dell’amore e non dell’odio, della fraternità e non della discriminazione – conclude il cardinale Amato – a noi lascia un grande esempio e un’importante eredità: il perdono del prossimo, il perdono anche dei nemici, e l’invito a vivere in fraternità e in pace con tutti”.

vaticannews

Domenica 4 Marzo Giornata Missionaria Diocesana

Da La Libertà del 28 febbraio

Una quarantina di unità pastorali si sono rese disponibili a farsi, vicendevolmente, «comunità in uscita»

Il tema scelto quest’anno per vivere la Quaresima prende spunto da una domanda che troviamo scritta nel Vangelo di Giovanni (Gv 4,29-30): “Che sia Lui il Messia?” Uscirono dalla città e andarono da Lui. Il dubbio incuriosisce i Samaritani, informati dalla testimonianza di una donna che ha ricevuto il dono d’incontrare il Messia ed è corsa ad annunciarlo agli altri. Dopo poco essi incontreranno Gesù. La stessa domanda per noi è un invito ad incontrare il Signore dove non ti aspetti: nell’altro, nelle periferie della vita, del nostro territorio, del mondo.
Il tempo di Quaresima può diventare allora un tempo di conversione e d’incontro se ci mettiamo in movimento, in ricerca.
Dando continuità al tema proposto in Avvento (“Se tu conoscessi il dono”), in Quaresima viene proposto di “uscire” per portare ed annunciare agli altri il dono ricevuto, come accaduto alla Samaritana. Sono tanti i missionari che nel corso degli anni sono partiti verso altri popoli per comunicare il dono della fede ricevuto nella nostra Diocesi.
Uno slancio che desideriamo rinnovare.
Domenica 4 marzo, III di Quaresima, 50a Giornata Missionaria Diocesana, oltre che momento di preghiera e di sostegno alle missioni, pensiamo possa diventare l’occasione per vivere concretamente il segno dell’essere “comunità in uscita”.

In questa domenica abbiamo chiesto ad ogni sacerdote, accompagnato da alcuni laici dell’unità pastorale, di andare a celebrare l’Eucarestia in un’altra realtà del territorio diocesano. Un modo questo per favorire l’incontro tra le nostre comunità cristiane, per renderci artigiani coraggiosi di nuovi cammini
La piccola comunità che visita un’altra comunità, in un altro territorio, genera uno scambio di esperienze che allarga il cuore all’accoglienza e all’ascolto.

C’è stata una bella risposta: quasi una quarantina di unità pastorali si sono rese disponibili per vivere lo scambio, dove non sarà solo il sacerdote ad andare, ma sarà una piccola comunità ad uscire come chiesa per visitare altre comunità. Questo è un piccolo segno per essere vicino ai missionari che invece partono per terre lontane.
E scopriremo che pregare nella chiesa di un nostro confratello ci farà essere più presbiteri. Scopriremo che ascoltare una comunità che viene ad esempio dalla montagna, o comunque da una realtà diversa dalla nostra, ci fa crescere.
Ciascuno si senta desideroso di muoversi, d’incontrare. Abbiamo bisogno di riscoprire la gioia dell’incontro nell’Eucaristia.
Come ha scritto il vescovo Massimo in occasione del 50° della missione in Brasile, “parlare di missione ci permette di svelare la natura profonda e dinamica della Chiesa”.

Nella stessa domenica, dopo la celebrazione eucaristica e a discrezione delle comunità, potrebbe seguire un momento di convivialità organizzato nei modi e nei tempi ritenuti più opportuni, per condividere in amicizia esperienze e cammini.
In questa Giornata Missionaria, inoltre, si chiede a ogni parrocchia la Colletta a sostegno delle missioni. Come da tradizione, le offerte raccolte in questa occasione verranno consegnate dai sacerdoti nelle mani del vescovo Massimo, alla processione dei doni nella Messa crismale del Giovedì Santo, 29 marzo.

Pietro Adani
direttore del Centro Missionario Diocesano

Convegno missionario diocesano sulla Cina

Domenica 25 febbraio alle 15.30 a Reggio, al polo «La Polveriera», con padre Gianni Criveller

Domenica 25 febbraio, alle ore 15.30, presso il polo de La Polveriera – in via Terrachini 18 – a Reggio Emilia si svolgerà il convegno missionario diocesano su: “Cina, così viCina… Sfide per un cammino comune”. Un appuntamento per approfondire la cultura e la fede del popolo cinese, per capire quale approccio con la comunità residente nella nostra provincia (6.000 cinesi), favorendo un cammino comune. Sarà relatore centrale padre Gianni Criveller (foto), missionario del PIME, autore di diversi libri e collaboratore dell’Holy Spirit Centre della diocesi di Hong Kong, uno dei migliori osservatori al mondo sul cristianesimo in Cina.

Assieme a padre Franco Mella, il missionario ha tradotto in cinese alcuni testi di don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari, quale “seme per coltivare diritti e senso critico nella Chiesa e nel popolo asiatico”, proponendo il dialogo con tutti per costruire insieme una società più giusta. E continua con scelte coraggiose il processo di avvicinamento tra Pechino e Roma, al fine di riaprire un dialogo e aiutare la comunità cattolica che in Cina si dibatte fra molteplici difficoltà.

Tra storia e attualità, padre Criveller ci aiuterà ad entrare in punta di piedi nel mondo cinese, a partire dalla figura del missionario gesuita Matteo Ricci, che oltre ad essere evangelizzatore divenne ponte tra la civiltà cinese e quella occidentale, nel segno dell’amicizia e dell’empatia con la cultura e il popolo incontrati.
Al convegno, organizzato dal Centro Missionario e dall’Ufficio Migrantes, interverranno anche don Pietro Sun, cappellano della comunità cinese a Reggio Emilia, Maria Chiara Sagario, della Piccola Famiglia dell’Assunta, che segue le attività di Casa Italia-Cina (a Rimini), e Alina Mussini, mediatrice culturale che opera a Reggio Emilia.
A caratterizzare l’incontro saranno anche un momento artistico cinese, a cura di Giovanna Jiang, e la testimonianza di Leo Zhang, maestro di quartiere a Ospizio.

laliberta.info

Unità Pastorale «Santi Crisanto e Daria» Cattedrale – S. Prospero – S. Teresa – S. Stefano – S. Zenone  Mercoledì delle Ceneri 2018

Unità Pastorale «Santi Crisanto e Daria»

Cattedrale – S. Prospero – S. Teresa – S. Stefano – S. Zenone

 Mercoledì delle Ceneri 2018

MERCOLEDÌ 14 FEBBRAIO 2018

In Cripta della Cattedrale: alle 7.15 Ufficio delle Letture e Lodi

Sante Messe con l’imposizione delle Ceneri

alle 8 in Cripta; alle 9.30 in Santo Stefano

alle 10.30 in Cattedrale; alle 17 in S. Teresa

Alle 19 in Cattedrale: Messa presieduta dal Vescovo

Mercoledì sono sospese le Messe
alle 18.30 in S. Prospero e in S. Teresa e delle 19 in Santo Stefano
Sono
sospesi in Cripta: Adorazione eucaristica, Rosario e Vespri

Confessioni in Cattedrale dal martedì al sabato, dalle 10 alle 12

***

Martedì 13 febbraio: in Cripta festa dei Santi Cirillo e Metodio patroni d’Europa

Anno nuovo, novità per l’UP!

Carissimi,

orami sapete che la nostra Diocesi sta camminando decisamente verso le Unità Pastorali (UP): entro il 2020 (mancano solo due anni!), la Diocesi dovrebbe cioè presentare un volto nuovo, non più 317 parrocchie, ma 60 UP, dove le parrocchie non vengono soppresse (almeno è stata la scelta qui a Reggio, a differenza es. di Modena), ma devono integrarsi e formare 60 centri vivi di evangelizzazione su tutto il territorio.

Nel progetto iniziale, c’era indicazione ambiziosa di formare un’unica UP per tutte le dieci parrocchie del Centro Storico! Grazie anche ad una particolare mia insistenza, i “capi” hanno accolto che almeno per il 2020 si arrivi a due UP nel Centro storico. Quindi la nostra dovrebbe allargarsi a comprendere anche Sant’Agostino. Altra scelta che è stata fatta è di arrivare a questa integrazione non per decisione dall’alto, ma attraverso alcuni incontri con i Consigli Pastorali, per cominciare a lavorare insieme a settembre. Non è detto quindi che io a settembre diventi parroco anche a Sant’Agostino e se, in tal caso, ci saranno rinforzi per affiancarmi (non pensate a un giovane curato perché per avere un prete giovane bisogna avere un UP di almeno 15000 fedeli!)

Il Vicario generale ha spiegato tutto ciò a quelli di Sant’Agostino prima di Natale. E il primo passo successivo sarà incontro congiunto tra il Consiglio di Sant’Agostino e l’assemblea dei nostri rappresentanti di Duomo-San Prospero-Santa Teresa + il Consiglio pastorale di Santo Stefano-San Zenone. E questo dovrebbe avvenire in una sera della prima metà di febbraio, cioè prima che inizii la Quaresima.

Per preparare questo incontro, ci è parso utile incontrarci in alcuni a preparare incontro congiunto con il Vicario. Don Guido e i rappresentanti di Sant’Agostino ci invitano presso la loro parrocchia questo mercoledì 17 gennaio alle 21.

Raccolgo personalmente io le… adesioni, via e-mai, via whatsapp, o, meglio, “de visu”!

Grazie dell’attenzione e buona domenica! d. Daniele Casini.

Inediti. La questione mediorientale secondo Dossetti

Giuseppe Dossetti (1913-1996) è stato teologo, giurista e politico (Ansa)

Giuseppe Dossetti (1913-1996) è stato teologo, giurista e politico (Ansa)

Era il 1972 quando don Giuseppe Dossetti si trasferì in Terra Santa, a Gerico, città a maggioranza araba dove continuò a ruminare la Bibbia e a interrogarsi sul cristianesimo. Salvo alcuni rientri in Italia, visse lì una decina d’anni, con la maggior parte dei fratelli della Piccola Famiglia dell’Annunziata, mentre le sorelle stavano a Gerusalemme. Poi, fra l’ ’83 e il ’95, lo si sarebbe potuto incontrare – come capitò a chi scrive nelle nuove case “miste” della comunità da lui fondata: a Main (Giordania) o Ain Arik ( Territori Occupati). Ora a quegli anni di “vita monastica” lontano dall’Italia, è dedicato il nuovo numero della rivista Egeriaedita da Nerbini.

Introdotta da Marco Giovannoni, la monografia scandaglia quel periodo attraverso contributi differenti. Di carattere teologico e storico sul pensiero di Dossetti a proposito del «mistero di Israele» (Fabrizio Mandreoli) e dell’«islam enigma post-cristiano » (Ignazio De Francesco); di taglio geopolitico (Enrico Galavotti) e biblico (Giuseppe Ferretti e Nicola Apano); infine in relazione alla «scoperta delle Chiese orientali» ( Tommaso Bernacchia).
Si tratta di saggi che offrono testi inediti o poco circolati, avendo Dossetti connotato la sua presenza laggiù con nessun altro fine che «l’incoraggiare i cristiani a restare»,«l’attestare ascolto e attenzione verso non poche rivendicazioni islamiche». Ed essendosi impegnato a rompere il silenzio solo quando necessario: cosa verificatasi più volte come documentano qui in particolare i saggi di De Francesco e Galavotti.

Il primo, ad esempio, restituendoci la forte consapevolezza degli effetti del conflitto arabo-israelianosull’inasprirsi del radicalismo islamico e la sopravvivenza delle locali comunità cristiane, come pure unalettura dossettiana della politica di Israele nella sua «funzione catalizzatrice di ogni contrasto fra cristiani e musulmani »(8 novembre ’78): nella previsione di una radicalizzazione dell’islam – effetto degli sconvolgimenti geopolitici nell’area – diventerà denuncia pubblica nel ’90, con una lettera non firmata al Regno all’avvio della Guerra del Golfo. «L’islamismo radicale aveva bisogno di questo e ne trarrà vantaggio. Anche se Saddam Hussein fosse eliminato, l’Occidente si troverà di fronte un islamismo radicale più difficile da combattere e ideologicamente più inestirpabile, sia nei paesi musulmani che nell’Europa stessa. Vi saranno conseguenze evidentissime per la chiesa… ».

Il tema, dilatato agli effetti dei flussi migratori musulmani verso Occidente, insieme alla questione del risveglio politico dei popoli arabi e alla ripresa del loro messaggio religioso, costituirà riflessione costante nell’ultimo periodo della vita di don Giuseppe. Spesso in un intreccio fra teologia e geopolitica. Basterà qui ricordare l’inedito discorso ai seminaristi di Venegono il 30 marzo ’93. Disse in quell’occasione: «Non so se voi vi rendete conto di quel che significa per il nostro paese inserito nel Mediterraneo a poche centinaia di chilometri dalla sponda africana, l’islam […]. L’islam ha una formulazione religiosa incomparabile, di una semplicità che può soddisfare i bisogni fondamentali dell’uomo e la sua intelligenza razionale […].È un monoteismo puro nella sua espressione più radicale, facilmente convertibile in una forma di secolarizzazione aggressiva. Quindi con una carica poi demografica enorme e con una esigenza di espansione incoercibile. Altro che comunismo! […]. So che ci possono essere formule più domestiche o addomesticabili, ma non il nocciolo duro dell’Islam».

Commenta De Francesco che è difficile concludere da queste parole se Dossetti davvero pensasse a una conversione dell’Europa all’islam, come sistema dottrinale potenzialmente sostitutivo di ideologie precedenti. Di certo si tratta di espressioni forti. Resta, ciò nonostante, il suo interrogarsi mite innanzi all’islam «enigma della storia», insieme al suo «essere lì dove i musulmani sono»; resta, innanzi a questo «mistero tremendo», l’impegno affidato in tre frasi dettate nell’introduzione a Main dell’adorazione eucaristica comunitaria al venerdì, al contempo intenzioni di preghiera e programma d’azione: «1. Per i credenti dell’islam e la loro piena conversione al Signore Gesù; 2. Per la nostra comprensione e discernimento più profondo in merito all’islam; 3. Per il rapporto della Chiesa e delle chiese con i musulmani».

Di grande interesse, poi, nel numero di Egeria, il contributo di Galavotti, che richiama tappe della biografia e del pensiero dossettiano utili a spiegarne l’evoluzione di posizioni. Ad esempio quella sfociata in unadesacralizzazione del blocco occidentale a guida statunitense, che si avverte nell’articolo «Inchiesta sull’America» uscito su Cronache Sociali nel ’47, sempre attribuito ad Alberto Toniolo, in realtà di Dossetti, dove addirittura registra la presenza «nel paese della libertà individuale e della felice stabilità sociale» di «alcune caratteristiche essenziali dei totalitarismi fascisti o del collettivismo marxista», nonché il profilarsi all’orizzonte americano del dilemma tragico sovrastante l’Europa «cioè la scelta tra una frattura rivoluzionaria o una reazione autoritaria all’interno e imperialista all’estero».

Altro passaggio su cui fermarci del testo di Galavotti quello dedicato alla reazione di Dossetti dopo le stragi di Sabra e Chatila. In quell’occasione, per non far passare il suo silenzio come condiscendenza o complicità scrisse che si era consumato nei campi profughi un «delitto senza ragione, nemmeno apparente di sicurezza militare, delitto a carico di vittime innocenti coperte poi dalla faccia della terra con i bulldozer» aggiungendo che «la responsabilità del governo israeliano e del suo esercito» era «palese a tutto il mondo», aggiungendovi l’aggravante dell’aver addossato l’esecuzione materiale del massacro a milizie ricordate per l’occasione come “cristiane”…».

Quando nel 1986, alla consegna dell’ Archiginnasio d’oro a Bologna, ripercorse la sua autobiografia, indicò nella sua persona da un lato «la memoria indelebile dell’olocausto ebraico e un’apertura e una sensibilità consonanti con la grande tradizione dell’Israele eterno – l’Israele spirituale…», dall’altro la «consapevolezza che il mondo intero, specialmente il nostro mondo occidentale (prima e più ancora che lo stesso Stato israeliano) ha commesso – e continua a commettere – nei confronti degli arabi palestinesi un’enorme ingiustizia (qualunque sia il loro errore o la loro colpa) e che la pace – nello stesso interesse dello Stato di Israele – non potrà esservi senza una riparazione effettiva delle ingiustizie consumate e senza la restituzione di una parte dei territori».

Galavotti ricorda anche le reazioni di Dossetti dopo il bombardamento della Libia del 1986 e Desert Storm, vaticinio sulle conseguenze portatrici di «tumultuose reazioni fra molti stati più o meno coinvolti»; «reazioni che nessuno sarà più in grado di dominare, e non solo in tutti i paesi arabi». Diversamente da occasioni precedenti, Dossetti invece lasciò circolare solo tra i membri della Piccola Famiglia la sua reazione all’attentato del ’94 presso la moschea di Hebron del colono Baruch Goldstein, dove morirono ventinove persone e centoventicinque furono ferite. Una strage che Dossetti dichiarò sacrilega, spiegabile a suo vedere «solo con l’aberrante cultura che ha dominato per anni gli inizi e il proseguimento sino ad ora dello Stato sionista», la cultura incarnatasi «nella politica degli insediamenti» e «nella prassi quotidiana dell’esercito israeliano» accusato di aver risposto per anni «a isolate azioni terroristiche arabe con i bombardamenti di massa indiscriminati e le sue implicazioni».

Parole giunte ad oltre vent’anni dall’arrivo in Medio Oriente e precedevano di due anni la sua morte. Bilancio di riflessioni di anni spesi nella convinzione che le grandi strutture ideologiche e politiche – pilastri del mondo non potevano accontentare i cristiani e dare loro pace: perché, come disse ad alcuni pellegrini in Terra Santa nel ’90 «consumano troppe ingiustizie e consumano troppa realtà umana».

da Avvenire