Sanremo Giovani, i 20 semifinalisti di AmaSanremo

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Sono cinque gli appuntamenti con la trasmissione “AmaSanremo”, condotta da Amadeus, alle 22.45 su Rai1 e Radio2, da giovedì 29 ottobre a giovedì 26 novembre. Per 20 giovani artisti sarà il momento di sfoderare le armi migliori, voce, parole e musica, e tentare il grande salto verso Sanremo: dapprima nella finalissima di Sanremo Giovani del 17 dicembre dal Teatro del Casinò, in prima serata e sempre in diretta su Rai1, e poi al Teatro Ariston, nella categoria “Nuove proposte” del Festival 2021 (2-6 marzo).
Il percorso a tappe dell’edizione 2020 del contest di Rai1 – spiega la Rai in una nota – porterà solo 10 di loro, nella finale del 17 dicembre, ad aggiudicarsi i 6 posti in palio per la sezione Nuove Proposte del Festival 2021 e a loro si aggiungeranno i 2 artisti provenienti dalla selezione di Area Sanremo. Saranno questi 8 giovani artisti a calcare il palcoscenico del Teatro Ariston, per arrivare fino a venerdì 5 marzo, penultima puntata del Festival di Sanremo, quando si conoscerà la canzone vincitrice della categoria Nuove Proposte.
I nomi dei 20 semifinalisti, protagonisti di AmaSanremo, sono stati comunicati dal direttore artistico Amadeus (con lui nella Commissione musicale Claudio Fasulo, Gianmarco Mazzi, Massimo Martelli e Leonardo De Amicis) dopo le audizioni dal vivo dei 60 selezionati tra i 961 iscritti a Sanremo Giovani (a cui si è aggiunto di diritto il vincitore del Festival di Castrocaro), il 19 e 20 ottobre. Sono ALIOTH – “Titani”; AVINCOLA – “Goal!”; THOMAS CHEVAL – “Acqua minerale”; CHICO – “Figli di Milano”; DAVIDE SHORTY – “Regina”; FOLCAST – “Scopriti”; GALEA – “I nostri 20”; GAUDIANO – “Polvere da sparo”; GAVIO – “La mia generazione”; GINEVRA – “Vortice”; HU – “Occhi Niagara”; I DESIDERI – “Lo stesso cielo”; LE LARVE – “Musicaeroplano”; M.E.R.L.O.T – “Ssette volte”; MURPHY – “Equilibrio”; NOVA – “Giovani noi”; SCRIMA – “Se ridi”; SISSI – “Per farti paura”; WRONGONYOU – “Lezioni di volo”; GRETA ZUCCOLI – “Ogni cosa sai di te”. (ANSA).

Morto suicida Franco Ciani, musicista ex marito Anna Oxa

Anna Oxa e Franco Ciani in un'immagine d'archivio © ANSA/OLDPIX

Ha scelto di morire in un albergo di Fidenza (Parma) soffocandosi con un sacchetto di plastica: Franco Ciani, 62 anni, ex cantante e musicista bolognese,primo marito di Anna Oxa e coautore di alcuni suoi brani di successo, è stato trovato così venerdì da una cameriera, le sue ultime volontà affidate a un biglietto di poche righe. “Ci hai lasciato schiantati, me per primo, forse per non aver capito che il 30 eri venuto a cena per salutarmi. Cerca almeno adesso di trovare quella pace inutilmente cercata sulla terra”, ha scritto sui social il suo manager Nando Sepe accanto ad una foto che ritrae Ciani sorridente con Fiordaliso, altra artista con cui aveva collaborato a lungo. Poco prima di uccidersi Ciani avrebbe cambiato la foto del profilo WhatsApp, inserendo quella di un angelo.

Alla base del gesto, secondo ricostruzioni dei media, ci sarebbero forti debiti (si era visto pignorare i diritti Siae) e problemi professionali, come l’esclusione da Sanremo di una sua canzone, su cui puntava, affidata a Roberta Faccani, ex voce dei Matia Bazar. Solleva dubbi Anna Oxa, che Ciani sposò agli inizi degli anni ’80: “Faccio fatica a credere a questo gesto – ha detto al Corriere della sera – Sapeva molte cose, se fossi un familiare io approfondirei”. “Andare a chiedere alla sua prima moglie un parere su ciò che è successo, dopo 30 anni che non si scambiano neppure un ciao, e sentire la sua risposta mi fa venire il vomito!”, ha replicato su Fb la sua attuale consorte Manuela Falorni, personal trainer, nota come ‘la Venere bianca’.

Anna Oxa è stata interprete di diversi successi firmati anche dall’ex compagno, che rinunciò alla propria carriera per dedicarsi a lei, in primis ‘Ti lascerò’, che in coppia con Fausto Leali vinse Sanremo ’89. Ma anche ‘È tutto un attimo’ e ‘Quando nasce un amore’, portati sul palco dell’Ariston nell’86 e nell’88 e piazzati al quinto e al settimo posto. Per Marina Fiordaliso, Ciani aveva scritto tra l’altro ‘Saprai’ (in duetto con Roby Facchinetti) e ‘Il mare più grande che c’è (I love you man)’, presentata a Sanremo 1991 e interpretata anche da Laura Branigan, mentre come cantautore il suo pezzo più conosciuto è stato ‘Notte blu’, del ’79, arrangiato da Lucio Dalla.

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Sanremo: giovedì Canzone d’autore e stop sfida a 2 Giovani Online regolamento Festival 2021, in programma dal 2 al 6 marzo

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La serata del giovedì dedicata alla “Canzone d’autore”, il ritorno del Televoto nelle prime 2 serate, stop alla “sfida diretta” nella gara tra le “Nuove Proposte”. Sono le prime novità del Festival di Sanremo 2021, targato per il secondo anno consecutivo Amadeus. Inoltre, il parterre dei 20 Campioni in gara sarà svelato nel corso di Sanremo Giovani, in prima serata il 17 dicembre.
Durante la trasmissione saranno anche selezionati i 6 giovani che, insieme ai 2 vincitori del concorso Area Sanremo 2020, parteciperanno al Festival 2021 nella categoria Nuove Proposte.
Il regolamento della manifestazione, in programma dal 2 al 6 marzo del prossimo anno, è stato pubblicato sul sito della Rai.
Nello specifico le “canzoni d’autore” che i Big saranno chiamati ad interpretare, da soli i con ospiti, potranno essere scelte all’interno dello sterminato repertorio della canzone italiana e non saranno quindi legate necessariamente alla storia del Festival. (ANSA).

Cinquant’anni di Emozioni

La copertina dell’lp «Emozioni»

Nel dicembre del 1970 veniva pubblicato il celebre album di Lucio Battisti

05 settembre 2020

Alberto Radius, Dario Baldan Bembo, Demetrio Stratos, Franco Mussida, Franz Di Cioccio, Gianni Dall’Aglio, Pietruccio Montalbetti: ai più giovani questi nomi forse diranno poco, ma tra Formula Tre, Dik Dik, Premiata Forneria Marconi, Ribelli, Area, abbiamo la crema di quello che fu chiamato il progressive rock italiano, della sperimentazione o della coraggiosa importazione di sonorità blues, rock o new age. Eppure tutti questi protagonisti della ricerca musicale, degli esperimenti vocali e delle tentazioni atonali ed elettroniche, hanno firmato musicalmente i dischi di uno che per molti di quell’area culturale era il campione della musica canzonettara: Lucio Battisti. E, come vedremo, questa etichetta era davvero immeritata.

Nel 1970 Battisti aveva già fatto uscire, solo attraverso quel pezzo d’antiquariato che si chiamava musicassetta (fu evitata per moltissimi anni l’edizione lp), il suo secondo disco. Ora, a dicembre, un suo fortunato 45 giri dà il titolo al nuovo long-playng del duo Battisti-Mogol, alias Giulio Rapetti (con qualche eccezione firmata da Renato Angiolini per quello che riguarda la musica).

Emozioni è il primo lp del cantautore di Poggio Bustone ad arrivare in cima alla classifica italiana, ed è il compendio dei suoi maggiori successi singoli: vi trovano posto, infatti, Fiori rosa, fiori di pescoMi ritorni in menteNon è FrancescaAnna, ma anche Era (una canzone folk inusuale per Lucio, che richiama molto Catch the Wind, grande successo del cantautore inglese Donovan), solo per citare alcuni di quelli che diventeranno un must nei ritrovi con chitarra sulla spiaggia o nelle case dei ragazzi che poi, un po’ meno ragazzi, continueranno ad ascoltare, suonare e far sentire a figli e nipoti quelle canzoni.

Certo, alcuni penseranno che con quei nomi alle chitarre, alle tastiere, ai bassi, con le parole di quello che era considerato il re degli autori di testi per la musica, non poteva andare diversamente. E però la storia della musica ci insegna che non sempre il disco prodotto è la somma matematica dei suoi ingredienti. Ci vuole altro, ci vuole qualcosa che tenga insieme voce, suoni, parole, atmosfera: senza la fusione alchemica di questi ingredienti ci possono essere Mozart a dirigere l’orchestra e Orfeo a cantare senza che il successo sia garantito. È quella la chiave di volta per capire la permanenza delle canzoni del duo nell’Olimpo musicale italiano.

Prendiamo il pezzo del titolo: nel 1970 cantare la storia di un uomo che invece di agire (ad esempio contestare il sistema), amare, corteggiare, piangere su un amore finito dà via libera ai propri pensieri, anche quelli più riposti, sembrava un azzardo. Eppure il roco filo di voce di Battisti cantava uno che non sapeva dire il perché di una tristezza che improvvisamente si affaccia «in fondo al cuore», l’incapacità di comunicare all’altra quegli strani pensieri per paura di esser preso per matto o per debole.

Quelle parole di Mogol forse non sarebbero state considerate poesia se lette, come stiamo facendo adesso, sulla carta di uno spartito o sullo schermo di un computer. È la fusione con una musica che non cerca la facilità mnemonica, ma tenta di rappresentare il significato stesso attraverso il graduale uso di violini (60 orchestrali diretti da Giampiero Reverberi) oltre che la tradizionale chitarra iniziale, a fare la differenza. Era un primo geniale episodio di quella capacità di esprimere i pensieri più nascosti di chi sentiva dentro la difficoltà di vivere, di agire come i propri coetanei, che continuerà con un altro evergreen, la confessione mogoliana di non avere il coraggio di vendere i libri fuori scuola come tutti i suoi compagni, di qualche anno dopo: I giardini di marzo.

Ma la capacità di raccontare se stessi e il proprio tempo non si esaurisce nell’introspezione lirica; prendiamo un caso diversissimo, quasi opposto: Il tempo di morire. Prese da sole le parole di disperazione di uno che vuole semplicemente — e ossessivamente — il sì della donna amata non attirerebbero ascoltatori abituati ad andare a fondo soprattutto sul versante testuale. E però c’è la musica: un giro di chitarra con solo tre accordi staccati, e poi un basso ossessivo, e poi le note distorte della chitarra elettrica che vengono da molto lontano, dall’ascolto di Bo Diddley e B.B. King, ma anche da John Lee Hooker, vale a dire i maestri del blues che saranno alla base del rock-blues dell’ondata british negli anni Sessanta. E delle strazianti, geniali, lancinanti distorsioni di Jimi Hendrix.

Il fatto è che Battisti era molto meno commerciale e canzonettaro di quanto potesse apparire ai puristi dell’impegno assoluto, e già dall’uso della voce i più attenti avevano capito che dietro c’erano i Rolling Stones, Ray Charles, Otis Redding, James Brown e soprattutto un gruppo inglese, gli Animals, che aveva un vocalist, Eric Burdon, dalla voce graffiante, roca e aggressiva. Ma nessuno, a quei tempi, tranne poche eccezioni, avrebbe mai associato il nome del ragazzo di Poggio Bustone a quello di quei mostri sacri di una musica non esattamente commerciale, anche se The House of the Rising Sun degli Animals aveva sbancato le classifiche: era pur sempre una storia di prostituzione.

L’attenzione maniacale del cantautore per la ricerca musicale, la sua volontà di spingersi sempre più oltre lo portò assieme a Mogol, pochi anni dopo, in Brasile e poi in Argentina, a contatto con la musica di strada della gente che cantava il dolore ma anche la bellezza semplice della vita e che darà origine alla sperimentazione coraggiosa di Anima latina. Ma Emozioni rimane una pietra miliare anche se non un disco-concept o sperimentale, perché è la summa del miracolo Battisti-Mogol, di quella capacità di leggere lo spirito del tempo, non quello di una generazione sola, senza corteggiarlo commercialmente. Le parole della disperazione che diviene cecità e poi follia di Non è Francesca e di Fiori rosa fiori di pesco (storia assai attuale di un uomo che non si arrende alla fine di una relazione) sono state accolte in virtù di un carisma ormai affermato, è vero, ma l’affermazione di quel carisma era avvenuta proprio grazie alla capacità di dire ciò che la canzone del tempo, anche quella più nobile, non poteva e non osava dire.

di Marco Testi

Osservatore Romano

I concerti digitali moda o vera svolta?

Vedere un concerto in digitale come non l’abbiamo mai visto. Scegliendo noi l’inquadratura che preferiamo e muovendoci anche dietro le quinte, per curiosare nei camerini degli artisti e “incontrare” le star prima che salgano sul palco. Il tutto stando comodamente seduti in casa o in ufficio o attraverso uno smartphone.Non parliamo solo dei concerti in streaming, esplosi durante il periodo del lockdown e trasmessi dalle case degli artisti, ma di show digitali ben più articolati e tecnicamente complessi. A far brillare gli occhi di tanti è il record del gruppo musicale BTS, che ha raccolto 20 milioni di dollari per uno show virtuale. Magari ci sbagliamo ma, per ora, ci sembra sia un caso a sé. Eppure sono tanti i segnali che indicano un interesse concreto degli investitori per gli spettacoli in streaming.In Italia ci provano con “Heroes”, un concertone in streaming che si terrà domenica 6 settembre dall’Arena di Verona. Il titolo, Heroes, cioè “eroi” è dedicato al personale sanitario che si è speso (e si spende) nella lotta contro il Covid19. Il ricavato invece andrà ai lavoratori del mondo dello spettacolo, duramente colpiti (come molte altre categorie) dalla pandemia. Heroes viene pubblicizzato come «il primo grande concerto italiano ideato per la fruizione in streaming». Cioè da vivere tutto in digitale. «Verrà trasmesso attraverso l’innovativa piattaforma A–LIVE, che permette un elevato grado di interazione fra artista e pubblico, e su www.Futurissima.net». Il costo del biglietto è di 9,90 euro. Sul palco si alterneranno 34 artisti. Dimenticate Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti eccetera. In scena ci saranno personaggi come Achille Lauro, Afterhours, Brunori Sas, Coez, Diodato, Elodie, Eugenio in via di Gioia, Fedez, Mahmood, Marlene Kuntz, Marracash, Pinguini Tattici Nucleari, Salmo, Shiva, Tommaso Paradiso e tanti altri.Sorvoliamo su qualunque giudizio artistico del cast per concentrarci su altro. È cioè: è davvero questo il futuro della musica? Mentre cerchiamo una risposta, arriva la notizia che l’inventore della piattaforma A–LIVE che ospiterà proprio “Heroes”, parteciperà il 16 settembre in diretta sui canali social dell’Università Cattolica a un webinar dal titolo molto eloquente: «I concerti in streaming: come funzionano (e perché non possono sostituire il live)» (cioè, aggiungiamo noi, gli spettacoli “veri”).Messa così però è un po’ troppo semplice. Il fatto che i concerti in streaming non sostituiranno quelli reali non significa che da qui ai prossimi anni non si ritaglieranno una fetta (anche importante) di mercato.La piattaforma Twitch, che da tempo non ospita soltanto videogiochi e videogiocatori, ci crede e sta stringendo accordi sempre più importanti con l’industria musicale. Dal canto suo Apple, sta facendo qualcosa di simile attraverso Platoon. Mentre, come ricorda Tech Crunch, «eMusic ha appena annunciato una partnership con 7Digital per lanciare la piattaforma eMusicLive, che ospiterà esibizioni dal vivo. Mentre Rhapsody, che possiede Napster, è stata acquisita dalla startup di performance musicali immersive MelodyVR, che ha costruito un business attorno a concerti virtuali». Nel frattempo Spotify, cioè la piattaforma numero uno di musica in digitale, sta testando una sezione dedicata agli show virtuali.Resta una domanda: quanto gli spettacoli virtuali, con la loro capacità di coinvolgere sempre più gli spettatori (magari portandoli, grazie alla tecnologia, perfino sul palco, accanto ai loro beniamini) finirà con il condizionare anche gli show “reali”?

Avvenire

Ennio Morricone, Frisina: per il sacro aveva timore e rispetto

La capacità di cogliere in poche battute musicali l’essenza di un film, la contaminazione tra melodie colte e popolari e il grande rigore. Sono le qualità principali che mons. Marco Frisina, compositore e direttore del coro della Diocesi di Roma, riconosce al suo amico il maestro Ennio Morricone, scomparso a Roma il 6 luglio all’età di 91 anni. Frisina, oggi Rettore della Basilica di Santa Cecilia a Roma, aveva collaborato più volte con Morricone, come in occasione del Concerto per i poveri in Aula Paolo VI del 12 novembre 2016, a chiusura del Giubileo della Misericordia. Ecco come lo ha ricordato ai microfoni di Radio Vaticana Italia, a poche ore dalla notizia della sua scomparsa:

R.- Per noi tutti la morte di Morricone ha significato perdere un punto di riferimento importante. Noi musicisti e colleghi lo chiamavamo tutti solo con il nome di battesimo: Ennio. E questo fa capire come nonostante il suo rigore e il suo carattere, apparentemente un po’ burbero, fosse una persona di grande umanità, direi addirittura di grande dolcezza. Chi lo ha conosciuto bene, infatti, ricorda anche questi aspetti del suo carattere. La sensazione è quindi quella di aver perso un punto di riferimento musicale e io direi anche un amico, perché abbiamo fatto insieme alcune cose molto belle ed eravamo in contatto in maniera periodica, con un’intesa che chiamerei spirituale.

Il Presidente Mattarella ha parlato di Morricone come di “un musicista insieme raffinato e popolare che ha lasciato un’impronta profonda nella storia musicale del secondo Novecento”. Anche lei gli riconosce questa capacità di saper miscelare la grande cultura musicale con la tradizione popolare?

R.- Sì, questa è una delle chiavi del successo di Morricone. Lui aveva capito che la gente può riconoscersi nella qualità di una melodia, come di una canzone o di una colonna sonora. C’era un periodo in cui chi scriveva musica per le colonne sonore dei film era visto come un musicista di seconda categoria. Ma devo dire che sia Nino Rota che Morricone hanno dimostrato a tutti che la musica per il cinema può diventare grande musica. Lui ha sempre voluto esaltare anche la musica da film come musica d’autore. Ha saputo quindi mettere insieme i due aspetti: il popolare e il colto e così ha indicato una via importante alla nostra generazione.

Morricone, come musicista, che rapporto aveva con il sacro?

R.- Lui ha sempre voluto cimentarsi con l’aspetto del sacro. Ne aveva rispetto e direi addirittura quasi un poco di timore. Mi ricordo quando scrisse la musica per la Messa in onore di Papa Francesco che fu eseguita nella Chiesa del Gesù nel 2015: me ne parlava con entusiasmo come se fosse un punto di arrivo della sua carriera. Sicuramente nella sua opera, e lo si capisce anche delle musiche che scrisse per i film, basti ricordare quella per “The Mission”, il riferimento spirituale o addirittura esplicitamente religioso era ricorrente. Quella del divino era per lui una realtà con cui bisognava sempre fare i conti e andava sempre considerata come una vetta, come qualcosa a cui si aspira. Io ricordo la sua grande emozione quando abbiamo realizzato insieme il concerto per i poveri nel 2016 in Vaticano. Mi disse subito di sì, gratuitamente, quando lo invitai. E fu bellissimo perché poi si mise subito in sintonia con l’evento: si commosse, si emozionò. Lui si rendeva conto del grande valore che rappresentava partecipare a una proposta musicale così bella e così alta. Questo fa capire il suo rapporto con Dio.

vaticannews

Effetti musicali: la lira che incanta le tenebre

osservatoreromano.va

«Non voltarti, se mi vuoi viva, non guardarmi». Potrebbero essere state queste le parole di Euridice, l’amata di Orfeo, quando i due stavano quasi per varcare la porta degli inferi per tornare nel regno dei vivi. La vicenda è nota. E mette in luce, ancora una volta, tutta la potenza della musica e, in generale, di ogni aspetto sonoro. Questo mito archetipico, intriso di amore e avventura, è dedicato al fenomeno sonoro organizzato in arte, e alla sua capacità di trasformare l’uomo fin nel profondo. Ma è anche una metafora dell’amore che si rafforza, si consolida e riprende vita, grazie all’ascolto.

Euridice, punta da una serpe nell’atto di sfuggire agli assalti di Aristeo, cade a terra senza vita. Improvviso, laddove regnava l’armonia frutto del canto di Orfeo, scende un silenzio doloroso, insopportabile, che si riempie del suo pianto. È in questo momento che decide di sfidare l’impossibile: scendere nel regno dei morti per tentare di riportare in vita la sua amata. Orfeo non ha altre armi da contrapporre ad Ade e Persefone, gli dei degli inferi, che la sua lira e il suo canto. Sceso laggiù, imbraccia lo strumento e canta. Quale potere ha la parola cantata più di quella parlata? Che cosa aggiunge la melodia alla parola? Che cosa ottiene la musica, che la parola da sola non riesce a sciogliere?

Nel suo cantare, le parole che escono sono un inno all’amore e una richiesta accorata, una supplica, come ci racconta Ovidio ne Le Metamorfosi: «Per questi luoghi paurosi, / per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno, / vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice!». E, infine, sempre rivolto a Persefone, quasi una sfida: «Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo: / io non me ne andrò: della morte d’entrambi godrete!». Mentre Orfeo canta, racconta ancora Ovidio, le anime esangui iniziano a piangere e tutto attorno si desta una commozione rara e sconosciuta negli abissi. La regina delle tenebre cede. Lascerà libera Euridice alla condizione che lo sguardo di Orfeo non si posi su di lei, finché non saranno entrambi usciti da quel regno.

Se la vicenda del nostro eroe inizia con la straordinaria dote di commuovere chiunque al suono del suo canto, questa finisce con un impegno ancor più gravoso: non posare gli occhi su di lei e condurla fuori dagli inferi con l’esclusivo ausilio del tatto e dell’udito. Significa tenere Euridice per la mano e guidarla ascoltandone i passi e i timori. A questa sfida Orfeo non riesce a resistere, è ancora Ovidio a raccontarcelo: «E ormai non erano lontani dalla superficie, quando, nel timore che lei riscomparisse, / e bramoso di rivederla, egli pieno d’amore si voltò». Euridice ripiomba nel regno dei morti. Orfeo l’ha persa per sempre.

Questa vicenda, che ha ispirato pittori, compositori e drammaturghi di ogni epoca, nasconde molti spunti utili ad entrare nell’universo magico e misterioso di ciò che è sonoro. E di quanto questo mondo influenzi le nostre vite.

Orfeo suona una lira, uno strumento che significa molto per il pensiero greco. Era lo strumento principale, quello attribuito agli dei. La lira era associata ad Apollo, dio del sole e delle arti, e rappresentava, come nota il grande etnomusicologo Curt Sachs, quell’«aspetto della vita e dell’anima greche che si dice solitamente apollineo: una miracolosa alchimia di saggia moderazione, armonioso controllo ed equilibrio della mente». La lira, uno strumento a corde pizzicate le cui vibrazioni venivano amplificate da una cassa armonica tratta da un guscio di tartaruga. L’atto di pizzicare quelle corde, di metterle in vibrazione con arte, significava la capacità di mettere in moto l’universo, accordandosi, in qualche modo, all’armonia creata dagli dei.

Uno strumento completamente diverso dall’Aulòs, una sorta di oboe dal suono penetrante, che invece era associato a Dioniso, dio dell’estasi e dell’ebbrezza, che per essere suonato aveva bisogno del “soffio” proveniente dall’interno dell’uomo e, proprio per questo, rappresentava quella musica che prorompe con prepotenza dall’intimo dell’animo umano e che è figura dei suoi sensi e delle sue passioni.

La capacità di Orfeo e della sua lira, dunque, era quella di ricordare quell’armonia che solo le cose divine portano con sé. Capita, talvolta, che questo accada quando una musica, in un momento particolare della nostra vita, ci fa sentire completamente “accordati” e pacificati con ciò che ci circonda.

È questo dono che rende Orfeo in grado di sfidare le tenebre, la sua musica porta in sé quell’armonia dell’universo alla quale nemmeno gli inferi possono restare indifferenti. Essa sfida la morte, e la vince, perché essa stessa si fa strumento, e ponte, verso qualcosa di più alto. Persefone non può nulla di fronte a ciò, non può che lasciarsi commuovere, scuotere violentemente, anche se vorrebbe opporsi a ciò con tutte le sue forze.

Ancor più interessante dal punto di vista acustico è la sfida che la regina delle tenebre pone ad Orfeo. Giocando sul suo stesso terreno, quello dei suoni, lo costringe a non guardare Euridice fino all’uscita dagli inferi. Come a dire: con l’ascolto mi hai commosso e convinto, solo ascoltando la tua amata, senza guardarla, potrai renderle la vita.

Il pittore francese Jean-Baptiste Corot, nel suo Orfeo ed Euridice, li immagina immersi nel verde di una foresta, mano nella mano, Orfeo davanti che guarda in lontananza, Euridice dietro, timorosa, che ne segue i passi. Il quadro non può dirci, ovviamene, le parole che i due si scambiano. Possiamo però immaginare Orfeo attento a percepire il rumore di un piede posato male, a moderare l’andatura non appena Euridice mostra un respiro più affannato, ad ascoltare con cura il suono delle sue parole. Il non poter usare la vista per abbracciarla con lo sguardo, apre ad una percezione differente, quella uditiva, che esalta la spazialità, il rapporto a distanza — ascoltare qualcuno è come essere “toccati da lontano” —. Questo tipo di relazione, certamente meno usuale di quella visiva, avvicina ad una conoscenza diversa, forse non esaustiva, ma per certi versi più profonda e meno vincolata agli stereotipi. Questo tipo di esperienza accade, ad esempio, quando abbiamo modo di conoscere qualcuno ascoltandolo solo al telefono, senza averlo mai visto prima. È una conoscenza che si basa sulla qualità della conversazione e sul colore della voce che stiamo sentendo. Ma Orfeo aveva nel cuore anche l’immagine di Euridice che in passato aveva visto, vissuto ed amato. «Nel timore che lei riscomparisse, / e bramoso di rivederla, egli pieno d’amore si voltò».

La voce dell’amata, sentirla di nuovo così vicina, aveva mosso in lui il desiderio insopportabile di vederne l’immagine. Questo accade sempre quando ascoltiamo una musica, o un suono che la nostra mente ha associato ad una figura — o avvenimento — particolare, sia esso negativo o positivo. Quel suono particolare fa riaffiorare alla memoria un ricordo. Questo accade anche ad Orfeo. Risentire la voce di Euridice riporta a galla un mare di emozioni legate al passato. E quel volto ricompare improvviso nella mente. Impossibile resistervi.

di Cristian Carrara

Musica e cultura: 14 Giugno 80 anni di Francesco Guccini

Francesco Guccini
‘NON FARÒ NESSUN FESTEGGIAMENTO, STARÒ NELLA MIA PAVANA’ ‘Io sono nato 4 giorni dopo l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale e oggi sono il primo Guccini in famiglia ad essere arrivato a compiere 80 anni. Ho ricevuto tante telefonate dai miei amici, ho avvertito davvero un grande affetto e non posso che esserne lusingato. Festeggiamenti? Nessuno in particolare. Starò nella mia Pavana, dove passerò anche l’estate e andrò a cena con mia moglie. D’altronde il momento che stiamo vivendo, questa assurda pandemia, non ci permette di fare diversamente’. Così Francesco Guccini, parlando con l’ANSA del suo ottantesimo compleanno che cade domani. (ANSA).

Segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone – Turismo Culturale