Chiesa e web: Un aggregatore mondiale di siti cattolici insieme con Google per scoprire cosa chiedono i cattolici alla rete

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Un aggregatore mondiale di siti cattolici insieme con Google per scoprire cosa chiedono i cattolici alla rete
Alessandro Speciale – vaticainsider
Città del Vaticano

Cosa si dice sul web sulla Chiesa? Cosa chiedono i cattolici – e non solo loro – alla rete? E quali sono gli argomenti di rilevanza etica e spirituale più discussi da chi usa internet? Per provare a rispondere a queste domande Aleteia, un aggregatore mondiale di siti cattolici che si presenta come il “network dei cercatori della verità su questioni di fede, vita e società”, si è alleata con il gigante della ricerca online Google.

Attraverso quello che in gergo si chiama “web listening”, ovvero l’ascolto della rete, il network – che oggi ha debuttato ufficialmente dopo anni in fase ‘beta’ – offre infatti la possibilità di analizzare i trending topics, gli argomenti al centro delle discussioni online su argomenti di rilevanza per la Chiesa.

In occasione del lancio delle nuove funzionalità del sito, Aleteia ha infatti presentato il primo rapporto “Web listening e spiritualità”, nato proprio dall’ascolto delle rete e che vuole offrire il quadro dei “trending topics etico religiosi del 2012 in rete”.

Dal rapporto emerge la preponderanza del pubblico statunitense e dei social network nel dibattito a tema religioso e spirituale sul web: più di due terzi delle menzioni arrivano da Oltreoceano e quasi la metà avvengono tramite i social network. Il tema è di interesse costante, senza picchi significativi tra un mese e l’altro, anche se la discussione online si fa più intensa, come prevedibile, quando salgono alla ribalta argomenti controversi come il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Gli altri temi caldi sono quelli dell’ambito bioetico, come l’aborto e l’eutanasia, mentre quando si parla più specificamente di questioni di fede, in Francia lo si fa soprattutto per discutere del rapporto con l’islam, in un Paese come il Messico ci si concentra sulla difesa delle minoranze mentre nel nostro Paese, forse un po’ a sorpresa, il tema più gettonato è quello della catechesi.

Per Luca Giuratrabocchetta, Head of Enterprise di Google Italy, “la collaborazione con Aleteia rappresenta una grande sfida: facilitare l’accesso a una quantità molto elevata di informazioni e favorire l’interazione tra una quantità enorme di utenti nel mondo in completa efficienza, affidabilità e sicurezza. Fin dal primo incontro con Aleteia ci siamo sentiti di intraprendere questo percorso insieme, mettendo a servizio del network l’esperienza e la tecnologia Enterprise (sia nel mondo Search che Cloud) che è parte del DNA di Google”.

Aleteia ha anche annunciato l’inizio della raccolta pubblicitaria da parte di AdEthic, un sistema per piazzare pubblicità ‘mirate’ sui siti web di argomento cattolico. Il network ha inoltre lanciato la prima app per smartphone e tablet, dedicata all’anno della fide e battezzata non a caso “Porta Fidei”. La app offrirà una copertura in tempo reale degli avvenimenti e pronunciamenti di Benedetto XVI e la Chiesa nel mondo durante tutto l’anno.

Facebook, internet e i digital media. Una guida per genitori ed educatori

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Autore Padrini Paolo
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Che cosa rappresenta Facebook per i ragazzi di oggi? Cosa significa per loro “esserci” con un profilo e una foto? E, come genitori, ha senso diventare “amici” dei figli? Per non parlare del “tempo” passato su internet: siamo sicuri che, staccandoli da un PC la loro “connessione” sia terminata? E poi è vero che la vita che conta non sia quella online (connessa), ma quella offline-disconnessa?

Fa riflettere il testo di Paolo Padrini, prete piemontese classe 1973, licenza in Teologia pastorale con indirizzo Comunicazioni, collaboratore del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, fondatore di mediacath e ideatore – primo al mondo – dell’applicazione iBreviary. Uno che della tecnologia non ne fa un mito, ma neppure uno spauracchio (come quanti la temono), perché lui la tecnologia la conosce – e grande è la sua competenza informatica – ma soprattutto la domina e la modella a seconda dello scopo. Non è un teorico, è un prete che ha deciso di vivere nell’oggi delle persone a lui affidate, soprattutto giovani, un prete che trascorre settimane insieme ai ragazzi in campeggio e che presta servizio nella pastorale, un prete che utilizza l’iPad e l’iPhone, come tanti altri di oggi, giovani e adulti. Un prete a contatto di genitori ed educatori di cui ascolta e condivide ansie e interrogativi circa la vita dei figli e il loro futuro. E fa anche pastorale vocazionale, convinto che non si possa disgiungere dalla vita di oggi che è fatta di tecnologia quotidiana, ma il cui uso – dice – deve essere “intelligente”.

Don Paolo ha scritto questo breve saggio (96 pagine) per condividere le riflessioni sull’uso di internet e i digital media, dimostrando che possono anche diventare luoghi di relazioni (autentiche o no, né più né meno di quelle faccia a faccia), l’importante è poter contare su una “dieta sana”, che significa alimentarsi di un po’ di tutti i nutrienti.

Mi sembra significativo questo passo tratto dall’Introduzione “Chi ha paura della foresta virtuale?”

Credo che la foresta di Biancaneve ci aiuti, in parte, a comprendere e a problematizzare la realtà del mondo nel quale si trovano a vivere i nostri figli.

Si tratta di un mondo compreso in modo differente da noi che siamo adulti e dai nostri ragazzi: un mondo nel quale si sperimenta una consapevolezza fatta di esperienze positive e negative, di solitudine e di fuga, di incontro e di curiosità, perfettamente in linea con la stessa esperienza “reale” che i nostri stessi ragazzi vivono alla loro età così bella e difficile.

Ecco: questa è la prima considerazione che mi preme fare.

Il Bosco per Biancaneve non è un luogo incantato, irreale. Esso al contrario è un luogo molto concreto, fatto di elementi misteriosi e di incontri reali.. Così come la foresta, lo spazio di internet per i nostri ragazzi non può essere semplicemente compreso come uno spazio di fuga dalla realtà, un luogo di passaggio, irrilevante o peggio esclusivamente pericoloso.

Il bosco per Biancaneve non è pericoloso: è solo nuovo e grande, inesplorato e popolato da creature straordinarie e magiche.

Così è internet (usciamo ancora dalla metafora fiabesca) e così sono i media digitali: uno spazio di novità, abitato da creature mitiche (rappresentazioni del sé, delle proprie paure e necessità profonde), uno spazio concreto tanto quanto il muro dei giardinetti sul quale passano le estati i nostri figli (sempre con il telefonino in mano, ovviamente).

In questo volume cercheremo di descrivere questo spazio, le sue dinamiche educative, le sue problematiche e le sue potenzialità.

Cercheremo di farlo con sguardo realistico e attento, soprattutto in mood umano e rispettoso.

Cercheremo anche di farlo in modo concreto, non già sviscerando concetti astratti e dotti, quanto imparando a conoscere alcuni di questi spazi, perché no, anche con sguardo curioso e desideroso di conoscere (senza lasciarsi tentare dal giudizio a priori).

Cercheremo soprattutto di farlo muovendoci (me ne rendo perfettamente conto) su un crinale molto scosceso. Gli strumenti di cui parleremo saranno analizzati in modo molto specifico, in quanto non è nostra intenzione proporre un manuale di astratta teoria, quanto piuttosto un sussidio il più possibile utile e pratico. Facendo ciò, però, corriamo necessariamente il rischio di veder cambiare nella loro struttura e soprattutto nei loro meccanismi di funzionamento gli stessi strumenti “pratici” con i quali ci confronteremo.

Per questo motivo cercheremo di problematizzare elementi comunicativi ed educativi che vadano al di là del mero meccanismo tecnologico. Forse non sempre ci riusciremo, e proprio per questo proponiamo a voi lettori, di utilizzare questo volume in modo “interattivo”, sfruttando soprattutto il blog tematico “Genitori e internet: una guida condivisa” che procederà parallelamente ad esso. Attraverso il blog sarà possibile aggiornare i contenuti di questo libro, incontrare in rete l’autore, nonché proporre nuovi argomenti di riflessione e discussione”.

A cura di Maria Teresa Pontara Pederiva

vinonuovo

Nulla oltre il pc. Isolati in casa, senza scuola né amici: la nuova malattia

Nulla oltre il pc. Isolati in casa, senza scuola né amici: la nuova malattia
Antonella Mariani
Li chiamano “reclusi sociali”, adolescenti eremiti”, “ragazzi spariti”: sono le vittime della nuova patologia che colpisce i nostri teenager, fenomeno in espansione ma di cui in Italia si sa e si parla ancora poco. Non vanno a scuola, rifiutano ogni contatto con l’esterno (genitori compresi), si barricano nella loro cameretta per mesi, talvolta anni, e vivono incollati al pc, sempre connessi, immersi in una realtà puramente virtuale, svegli di notte e svaniti nel sonno di giorno. In Giappone gli hikikomori (termine che tradotto in italiano suona come “stare in disparte, isolarsi”) raggiungono il terrificante numero di un milione: in una società competitiva fin dall’asilo, in cui l’insuccesso è vissuto come intollerabile e come vergogna sociale, l’autoreclusione è la patologia più diffusa fra i ragazzi che non stanno al passo delle aspettative altrui. Meglio barricarsi in casa e scomparire al mondo piuttosto che affrontarlo. Ma quanti sono gli hikikomori d’Italia? «Dalla mia esperienza direi che un ragazzo ogni 250 presenta comportamenti a rischio di reclusione sociale. In una città come Milano si tratta di duemila adolescenti», afferma Antonio Piotti, filosofo e psicoterapeuta, docente all’Alta scuola di psicoterapia Arpad “Minotauro” di Milano. In questi ultimi anni si è specializzato nell’aiuto a ragazzi “reclusi”, tanto da dare alle stampe per Franco Angeli un libro originale e drammatico, Il banco vuoto (pagine 128, euro 16,50), con la presentazione di Gustavo Pietropolli Charmet, in uscita nei prossimi giorni. Non è un trattato “tecnico”, non almeno nella sua forma classica: Piotti infatti ha scelto di compilare una sorta di diario esistenziale, con i racconti in prima persona di un autorecluso, Enrico, e i “commenti”, come una voce fuori campo, dello psicoterapeuta (l’autore stesso) con il quale a un certo stadio del suo disturbo il ragazzo viene in contatto.
Un espediente letterario, perché nella realtà gli adolescenti che si isolano dal mondo non hanno parole per descrivere il loro malessere, rifuggono dai contatti con gli altri se non nella modalità online dei giochi elettronici. Il rischio di isolarsi in casa, dunque, secondo Piotti è dello 0,4 per cento tra gli adolescenti: i sintomi, secondo Piotti, sono principalmente «la fobia scolare e l’uso del computer per 7 o 8 ore al giorno». Il protagonista del libro, Enrico, inizia a stare male appena entra in classe, un male fisico fatto di scariche continue di dissenteria, accompagnate da una grande sensazione di vergogna, che lo porta a interrompere la frequenza della prima liceo. Non è semplicemente un rifiuto della scuola perché percepita come troppo esigente, piuttosto è una fuga dal contatto con i compagni, dalla relazione sociale che costringe al confronto. Nel suo diario, Enrico scrive: «Se dovessi dire chi sono dovrei dire semplicemente: io sono uno che si vergogna». Bambino bravissimo alle elementari, alla fine delle medie Enrico si confronta con l’insuccesso. E, anni dopo, chiuso nella sua cameretta, scrive, pensando alle aspettative deluse dei genitori: «Come dichiarare che tu non ce la farai? Come accettare lo sguardo triste e infelice di chi ti ha così profondamente amato? Con che coraggio andar davanti a loro e confessare che tu non sei all’altezza?».

Così nasce la voglia di fuga, il disagio della scuola, la vergogna, il disprezzo cieco e immotivato per i compagni. Infine, la decisione di rinchiudersi e di non vedere più nessuno: «Io mi sono nascosto perché non ero costruito in modo tale da affrontare l’esistenza». Per passare il tempo, ricorre ai videogiochi on line, soprattutto a quello “spara-spara”: «Intento com’eri a uccidere nemici, cominciavi a intuire che esisteva almeno un posto dove la realtà non poteva raggiungerti e dove il sapore acre della vergogna si attutiva, mentre ogni pensiero poteva essere ucciso prima ancora di venire formulato (…). Il tempo passava e, mentre lui scorreva, tu godevi del fatto di non esserci». L’isolamento sociale acuto, del quale la dipendenza da internet non è una causa ma casomai un effetto, per la sua radice nella corporeità non accettata è imparentato con l’anoressia e con l’autolesionismo: altre patologie che attaccano i nostri giovani, spesso troppo fragili di fronte alle attese del mondo. È inevitabile, per lo psicoterapeuta che va a caccia delle radici della patologia, soffermarsi sulla figura della madre. Se nel libro una buona parte della responsabilità del comportamento di Enrico è attribuita a una madre iperprotettiva, nella realtà le cose sono più complesse. «Il fattore chiave – analizza Piotti – è la difesa dell’unicità del figlio. Dietro un isolato sociale c’è quasi sempre una madre che costruisce con il figlio un progetto di successo poco realistico e, d’altro canto, un padre che non sa riportarla alla realtà».

Quanto alle cure, si tratta di un processo lungo, che non sempre porta a una totale guarigione. «Possono bastare 7/8 mesi, ma a volte ci sono voluti anche 2 o 3 anni» conclude Piotti. Lo stesso Enrico non ne è venuto fuori del tutto, dopo che dai 15 ai 21 anni è vissuto nella trincea della sua cameretta, non uscendo dal suo guscio maleodorante neppure per consumare i pasti, che gli venivano semplicemente passati attraverso uno spiraglio della porta, da una madre impaurita e incapace di reagire. Serve la psicoterapia, accompagnata a proposte di laboratori (musica, teatro, recitazione) per re-imparare a socializzare, ma è necessario anche intervenire con i genitori per aiutarli a interagire con i figli, servono strutture scolastiche flessibili che consentano di sostenere esami senza l’obbligo di tornare sui banchi. Servirebbe, forse, una società meno schizofrenica.
avvenire.it

Progetto “Pane e internet” nel comune di Reggio Emilia

Il camper promozionale sarà presente il 16 ottobre a Reggio Emilia in piazza Prampolini, dalle 9.00 alle 12.30 circa per presentare l’iniziativa ai cittadini interessati e raccogliere le iscrizioni.

Il Progetto
Nome:
Il progetto “Pane e internet” si pone come obiettivo la riduzione del divario digitale (knowledge-divide) nel territorio regionale attraverso la realizzazione di corsi di alfabetizzazione digitale.
Il progetto è promosso e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna.
Cosa è:
Sono corsi di formazione gratuiti per adulti che non sanno nulla di computer e internet. Si impara ad usare il computer per i bisogni della vita quotidiana (prenotare un biglietto del treno, cercare informazioni, comunicare con la e-mail, etc) e per poter accedere ai servizi presenti nella rete, compresi quelli della PA on line.
Cosa non è:
Non sono corsi di informatica professionalizzante, non rilasciano nessun attestato utile per il mondo del lavoro, non sono corsi di Word o Excel, non sono corsi per chi sa usare il computer anche ad un livello minimo.
A chi si rivolge:
Adulti che non sanno nulla di computer ed internet, principalmente over 45 con bassa scolarità, con un’attenzione particolare per le donne inoccupate, gli immigrati, gli anziani in generale
Alla fine del corso:
Verrà rilasciato a ciascun partecipante un attestato di partecipazione, consegnato l’ultimo giorno di lezione al partecipante o spedito ad un suo recapito.

I Corsi
Sono previste in totale 12 edizioni di corso di alfabetizzazione di base presso le seguenti sedi:

  • Biblioteca Panizzi – via Farini, 3 – Reggio Emilia (RE) 6 edizioni
  • Istituto Superiore “Scaruffi-Levi-Tricolore”- via Filippo Re 8 – Reggio Emilia (RE) 6 edizioni

I calendari e gli orari dei corsi sono disponibili al numero verde 800 590 595 o sul sito www.paneeinternet.it

Come:
Le lezioni si svolgeranno in laboratori informatici presso le sedi indicate.
Il programma didattico prevede la realizzazione di due incontri alla settimana di 2 ore ciascuno per 5 settimane consecutive per un totale di 20 ore in gruppi di 14 – 16 persone.
Quando:
Orario mattutino, pomeridiano o serale a seconda della disponibilità delle sedi.
Costo:
La partecipazione ai corsi è gratuita ed è legata ai posti disponibili per ciascuna sede.

Le adesioni dei candidati
Chi può aderire:
Tutti gli adulti residenti in Emilia-Romagna che non sanno nulla di computer ed internet, principalmente over 45 con bassa scolarità, con un’attenzione particolare per i pensionati, le donne inoccupate e gli immigrati.
Come si aderisce:
I cittadini devono iscriversi chiamando la Segreteria organizzativa del progetto al numero verde 800 590 595 aperto con i seguenti orari:
dal lunedi’ al venerdi’ – dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 17:00
(risponde l’ente gestore, AECA – ISMO). Gli iscritti saranno ricontattati telefonicamente per dare la conferma definitiva.

comune.re.it

Fede e cybertecnologia: ma la connessione non è incontro

di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
Nell’infinito dibattito tra apocalittici (pochissimi in realtà) e integrati, ai tempi della rivoluzione digitale, si inserisce un saggio del gesuita – integratissimo – Antonio Spadaro, Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete (Vita e Pensiero). L’autore compie una ricognizione di tutte le ultime innovazioni tecnologiche e ne traduce poi le implicazioni sul piano sociale, culturale e soprattutto teologico.
Il Google Instant, ad esempio, permette di ottimizzare la ricerca online, ma in un modo potenzialmente “perverso”, per cui “la risposta tende a precedere la domanda”; dunque più di prima sarà importante imparare a formulare bene le domande, se non si vuole restare intrappolati dai criteri del motore di ricerca stesso che tende ad anticipare – dunque a dettare – le nostre reali intenzioni. Per cui “la ricerca di senso non può essere motorizzata” osserva acutamente Spadaro.
La logica del dono nell’user generated content, è, sempre secondo l’autore, compatibile con una logica teologica del dono perché il contenuto condiviso, donato, ha come ricompensa la relazione stessa. Ma attenzione: “La relazione non produce automaticamente una comunione”. Se si volesse ridurre in poche righe la sostanza delle incognite che scaturiscono dall’uso sempre più pervasivo della rete si potrebbe condensare il tutto in questa riflessione di Spadaro: “Connessione e condivisione non si identificano con “incontro”, che è un’esperienza molto più impegnativa a livello di relazione”.
È su questo punto che infatti si gioca l’attendibilità di tutte le teorie sugli effetti della rete sulla socialità, e dunque anche sul modo di pensare la fede, nel futuro prossimo. Se, da una parte, si può concordare sul fatto che la rete tende ad amplificare e aumentare le nostre possibilità di incontro, dall’altra è esperienza comune la difficoltà di “connettersi” con l’estraneo che ci siede accanto, al bar come in aeroporto, se quest’ultimo è concentrato a “relazionarsi” col suo gadget elettronico (di qualunque natura si tratti: tablet, smartphone o notebook).
E se, citando Pierre Lévy, è l’uso intensivo di utensili (anche tecnologici) a costruire l’umanità in quanto tale, bisogna domandarsi perché allora si incontrano sempre più persone – certo comunque una minoranza – che si disaffezionano ai social network, arrivando persino ad annullare i propri profili virtuali dopo averne sperimentato i benefici, e i “malefici”, sul proprio equilibrio emotivo e psicologico. Per non parlare del fatto che se, attraverso l’uso di strumenti elettronici, allarghiamo indubbiamente il nostro perimetro di relazione anche con persone che risiedono dall’altra parte del pianeta, pure non è esperienza rara trovare adolescenti che rifiutano di scambiare la propria identità di Skype. Hanno paura che quelle videotelefonate, così facilmente a portata di click, così poco “impegnative”, portino via tutta la magia che l’incontro fisico ha saputo trasmettere e che la Maga Tecnologia, sotto forma di un interfaccia digitale, al contrario, non riesce ancora a convogliare, pur con tutti quei milioni di bit.
La quantità non fa la sostanza, insomma. La barriera tecnologica, nonostante schiuda astronomiche opportunità di fare relazione, può anche trasformarsi in una “barriera architettonica”. Spadaro stesso, nonostante le notevoli speranze – e gli impliciti auguri – che riversa sul mezzo, è costretto a riconoscere questa potenziale deriva, perché “la simulazione batte il reale per la sua ampia potenzialità e il suo basso livello di rischio sempre manipolabile e reversibile”. Ma poi è costretto a ricordare che “il vero rischio all’orizzonte è di fatto l’alienazione, il rifugio in un mondo fittizio e indolore che fa perdere il contatto con la ricchezza incomparabile dell’esperienza “irreversibile””.

(©L’Osservatore Romano 28 aprile 2012)

La Chiesa va sul web Ma la rete non basta

Dwight J. Friesen, professore associato di Teologia pratica presso la Mars Hill Graduate School di Seattle, immagina «il regno di Dio nei termini di essere relazionalmente connessi con Dio, gli uni con gli altri, e con tutta la creazione». In questa visione certo possiamo ritrovare quella del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che afferma la sacramentalità della Chiesa nel suo essere «strumento della riconciliazione e della comunione di tutta l’umanità con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Il pensiero di Friesen esprime una visione della Chiesa propria della cosiddetta emerging church, un ampio movimento, complesso e fluido, dell’area evangelico-carismatica, che intende reimpiantare la fede cristiana nel nuovo contesto post-cristiano. Esso va al di là delle singole confessioni cristiane e si caratterizza per il rifiuto delle strutture ecclesiali cosiddette “solide”. Molta enfasi è invece posta sui paradigmi relazionali, su tutte le espressioni che – citando Zygmunt Bauman – potremmo definire “liquide” della comunità, su approcci inediti e fortemente creativi alla spiritualità e al culto. Ne risulta una Chiesa «organica, interconnessa, decentralizzata, costruita dal basso, flessibile e sempre in evoluzione».

In questa immagine sembra che la natura e il mistero della Chiesa si diluiscano nell’essere uno “spazio connettivo”, un hub di connessioni, che supporta un’“autorità connettiva” il cui scopo consiste sostanzialmente nel connettere le persone. La metafora scelta, il modello, è Google. Scrive infatti Friesen che Google ci aiuta a comprendere meglio i connective leaders, perché il noto motore di ricerca non è in se stesso l’informazione che cerchiamo, ma ciò che ci collega a quello che cerchiamo. Nessuno visita il sito di Google per se stesso, per visitare il sito, ma per raggiungere ciò che cerca. Dunque, conclude Friesen, «questa visione connettiva (networked) di leadership è vitale per comprendere chi sia il leader connettivo e quale autorità relazionale sia in ballo in una visione relazionale connettiva (networked) del mondo». L’autorità di Google non è intrinseca, ma è qualcosa che il motore si guadagna consegnando ai suoi utenti le connessioni che riesce a stabilire. Questa è l’“autorità connettiva” di Google: la sua capacità di mettere in relazione.

L’idea di Chiesa che emerge da questa visione è quella di una Networked Church, che ripensa e ricomprende le strutture delle chiese locali. Esse diventano Christ-Commons, il cui scopo primario è quello di creare e sviluppare un ambiente connettivo dove è facile che la gente si raggruppi (to cluster) nel nome di Cristo. Per comprendere questa idea, occorre chiarire due concetti-chiave: quello di common e quello di cluster.

Il common è uno spazio connettivo pubblico quale, ad esempio, una piazza, un giardino pubblico di proprietà non privata. Questo termine è usato per indicare altre cose di carattere “comune”. In particolare, in rete l’espressione è ben nota perché indica una tipologia di licenze che permettono a quanti detengono diritti di copyright di trasmetterne alcuni al pubblico e di conservarne altri. Per esempio: di poter distribuire un testo originale senza però avere il diritto di modificarlo, oppure di poterlo distribuire purché non in maniera da trarne profitto economico. È una licenza destinata alla condivisione senza tutte le restrizioni tipiche del classico copyright, dunque.

Tutto questo entra nell’idea del Christ Common, che è «una struttura visibile, qualcosa come un’istituzione, una denominazione, un edificio, una celebrazione, un piccolo gruppo che è formalmente creato con la speranza che la struttura costituisca un ambiente o uno spazio dove le persone possano fare un’esperienza di vita in connessione con Dio e con gli altri».

La Chiesa, in questa visione, sarebbe dunque una struttura di supporto, un hub, una piazza, dove la gente può “raggrupparsi”, dar vita a gruppi, o meglio “grappoli” (cluster) di connessioni. Il termine cluster ha un’eco precisa nel mondo della telematica, perché identifica un insieme di computer connessi tramite una rete. Lo scopo di un cluster è di distribuire un’elaborazione molto complessa tra i vari computer che lo compongono. Questo ovviamente aumenta la potenza di calcolo del sistema. Dunque la Chiesa come Christ Common non è un luogo di riferimento, non è un faro che in sé emette luce, ma una struttura di supporto. Il suo obiettivo non è far crescere i suoi membri, ma far crescere il regno di Dio.

Questa visione offre un’idea della comunità cristiana che fa proprie le caratteristiche di una comunità virtuale leggera, senza vincoli storici e geografici, fluida. Certo, questa orizzontalità aiuta molto a comprendere la missione della Chiesa, che è inviata a evangelizzare. In effetti tutta l’impostazione della emerging ecclesiology è fortemente missionaria. In questo senso valorizza la capacità connettiva e di testimonianza. D’altra parte sembra smarrirsi la comprensione della Chiesa come “corpo mistico”, che si diluisce in una sorta di piattaforma di connessioni.

Antonio Spadaro – avvenire.it

L’iPad al posto del computer? Si può. Offerte al via

Molti si chiedono se l’iPad possa sostituire un normale computer. Fino a ora la risposta poteva essere incerta: dipende da cosa dovete fare. Con il nuovo iPad, che abbiamo provato in questi giorni, il margine di incertezza viene meno. Certo, tutto dipende sempre dal tipo di attività che si deve svolgere, ma ormai non è più azzardato dire che un tablet di questo livello può vivere di vita propria.
Se non si deve scrivere un libro e ovviamente non si hanno specifiche esigenze di carattere professionali, la terza versione del tablet Apple, da oggi in vendita anche in Italia, può essere persino meglio di un tradizionale pc. Intanto perché lo schermo retina – risoluzione di 2048×1536 pixel, più di una tv ad alta definizione – rende la lettura di un giornale, una rivista o un semplice testo, come se fosse stampato sulla carta patinata; e la visione di video o foto in alta risoluzione un’esperienza veramente unica.
E poi perché, ad esempio, le nuove applicazioni per la gestione di foto e video (iPhoto e iMovie) sono ormai sistemi evoluti, ma molto più facili da gestire e usare sul tablet, usando le dita, rispetto al “vecchio” pc con il mouse. In pratica è possibile creare album fotografici o brevi video di buona qualità con poche e semplicissime operazioni, anche se non si è esperti. L’iPad, inoltre, è pure una macchina fotografica da 5 megapixel con ottica migliorata rispetto al modello precedente, e registra direttamente video in alta qualità. Cose che un pc non fa.

La novità del display da 3,1 milioni di pixel non è irrilevante. Anche se la retroilluminazione stanca più della lettura su carta o con inchiostro elettronico, il confronto rispetto alla lettura sullo schermo di un computer tradizionale è spiazzante. I caratteri dell’iPad sono perfetti e questo è un vantaggio enorme per chi legge molti testi su Internet, che si tratti di posta elettronica, blog, social network, documenti Pdf o articoli di vario tipo.

Per scrivere e gestire testi i problemi sono contenuti: la tastiera sul video è meno comoda di quelle dei computer più grandi, ma a nostro avviso migliore dei tasti delle vecchie macchine per scrivere. Mentre per la navigazione su Internet, la visione di immagini o video, come per le videochiamate, il tablet è ormai due passi avanti per comodità, velocità e libertà di movimento rispetto a pc e notebook. Oltretutto, si accende in un secondo e la batteria dura fino a 10 ore. Senza dimenticare che è leggero e portatile.

Essendo molto più veloce di prima e con uno schermo ad altissima definizione, la nuova versione dell’iPad, però, tende a scaldarsi un pochino. Un limite, inoltre, può essere la memoria: 16, 32 o 63 Gb non contengono tutta la musica o tutte le foto di cui molti dispongono, e trasferire ogni cosa sulla “nuvola” di server esterni non è ancora cosa semplice e comprensibile ai più. Ma può funzionare.

Se si è incerti se acquistare un computer tradizionale, un portatile con tastiera o un iPad, per una gran parte di persone, dunque, il terzo tablet Apple può essere una valida opzione. Anche di risparmio. Una famiglia deve tenere conto che è meno facile condividere il proprio iPad, rispetto a un computer tradizionale da tavolo, e dunque il rischio è che ciascuno voglia il suo.

Il prezzo non è basso, ma alla fine resta interessante rispetto a tanti computer, dei quali può ormai diventare un sostituto: si parte da 479 euro per la versione con 16 Gb di memoria e con connessione solo wi-fi, per arrivare ai 799 euro del modello da 64 Gb e connessione 3G con scheda telefonica. Gli operatori lo offrono anche in abbonamento. Tim propone formule da 24 a 39 euro al mese, Vodafone da 29 a 35 euro, 3 Italia da 20 a 29 euro al mese. Le offerte variano a seconda del modello di iPad scelto, del traffico mensile e della velocità di connessione.

 

Massimo Calvi – avvenire.it

Web e stampa: sinergia o rivalità?

Internet ha rivoluzionato tutto il mondo della comunicazione, quindi anche il settore strategico dell’informazione. Stanno rapidamente mutando i tempi e le modalità sia di confezionare le notizie, sia di fruirle. Anche le testate giornalistiche tradizionali sono chiamate a ripensarsi, tenendo conto che tanto il territorio quanto la grande Rete digitale sono luoghi in cui rendersi presenti e, per i media cattolici, realtà da raggiungere con il Messaggio cristiano. Il rapporto fra giornali su carta e edizioni on-line non è però automatico, né semplice. Alleanza, concorrenza? Quale integrazione è possibile, in tempi di crisi? A questi interrogativi proveremo a rispondere, insieme a giornalisti e operatori dei media locali, nell’incontro diocesano in programma sabato 28 gennaio alle ore 16 in Seminario, a Reggio. Il pomeriggio si concluderà con la Messa presieduta dal Vescovo Adriano.

diocesi.re.it