#PHOTOANSA22 GUERRA, POLITICA E ATTUALITÀ NEL LIBRO PRESENTATO A ROMA

Il 2022 raccontato attraverso gli scatti dei reporter Ansa

Presentato a Roma al museo Maxxi il Photoansa22, il libro fotografico dell’Ansa nel quale sono pubblicate le immagini più significative scattate dai reporter dell’agenzia nel corso del 2022.

Gran parte del volume, che sarà disponibile gratuitamente sul portale Ansa.it, è dedicato alla guerra in Ucraina (nella foto una bambina nel villaggio di Horenka). Tante le immagini anche sull’anno vissuto dalla politica italiana con la conferma di Mattarella al Quirinale, l’addio di Draghi, le elezioni e l’arrivo di Giorgia Meloni alla guida del governo. E poi scatti sui grandi temi di attualità.

Grandi fotografi al Meeting Nella mostra dedicata al sogno americano e agli esiti sociali della crisi economica, il racconto per immagini, musica e voci

Dal 18 al 24 agosto, al Meeting per l’amicizia fra i popoli, a Rimini, sarà possibile visitare la mostra Bolle, pionieri e la ragazza di Hong Kong, realizzata da un gruppo di artisti e professionisti che vivono e lavorano negli Stati Uniti.

La mostra è un viaggio alla ricerca dell’identità del grande Paese d’oltreoceano lungo il racconto della vita di tanti suoi protagonisti, personaggi illustri, come Martin Luther King e Buzz Aldrin, insieme a gente comune, come schiavi, contadini e madri di famiglia.

L’obiettivo è individuare l’essenza del cosiddetto “esperimento americano” e trarre criteri e spunti per comprendere meglio il momento storico che sta attraversando tutto l’Occidente.

Il percorso di musica, voci e immagini si caratterizza per le installazioni che permettono di immergersi nelle vicende di tante donne e tanti uomini che, con le loro scelte e le loro vite, hanno dato forma a questo Paese.

La mostra propone quattro passaggi in quattro stanze. La prima è dedicata a “Pionieri e astronauti”. Lo spirito d’avventura che emerge dalle lettere e dai diari dei pionieri è lo stesso che spinge gli astronauti ad arrivare sulla Luna. Insieme, per entrambi, alla sfida del “grande silenzio” che esalta le domande più profonde. Le proiezioni a 270 gradi delle sconfinate distese americane sono quelle catturate dai pluripremiati scatti time-lapse del fotografo americano Randy Halverson, apparsi in servizi su CNN, National Geographic, The Atlantic, Daily Mail, Huffington Post, Discovery Channel, Gizmodo, e Wired.

Poi si passa al racconto di “Schiavitù e 11 settembre”. In questa sezione vengono documentate due gravi esperienze di male. Testimonianze e interviste propongono racconti e risposte di chi è passato attraverso la schiavitù, mentre contributi di scrittori e giornalisti rivivono il dramma della caduta delle Torri Gemelle a New York.

Le storie narrate mostrano un’esperienza umana senza tempo, ben raffigurata dai ritratti di homeless moderni scattati da un altro grande fotografo contemporaneo, Lee Jeffries. Servizi sulle sue fotografie sono apparsi sul Time, The Independent, The Guardian, Huffington Post, Nikon Magazine, British Airways High Life, sulla CNN, BBC News-Night, e Telematin. Le sue fotografie sono state esposte a Londra, Parigi, New York, Roma, Stoccolma e Napoli.

Il terzo passaggio della mostra sarà attraverso “La bolla”. Di fronte all’incertezza generata dal male e dalla crisi d’identità contemporanea vengono proposte due alternative: rifugiarsi in “bolle” per cercare di ignorare e rendere innocua la paura del buio, oppure continuare a cercare una risposta che possa sconfiggere le tenebre, come hanno fatto i discendenti degli schiavi.

Il video qui proposto è stato realizzato da Jim Fields, premiato documentarista, che ha ricevuto un Emmy per un documentario su Haiti.

Passaggio finale, “La ragazza di Hong Kong”. Un dialogo tra la storia personale dell’ex membro di gang e oggi attore di Hollywood Richard Cabral, tratta dal suo monologo teatrale autobiografico, e le riflessioni dello scrittore James Baldwin, accompagnato nuovamente dagli scatti di Lee Jeffries. Quello che qui è proposto come possibilità di uscire dalle tenebre e dalla crisi è il miracolo di trovare un amore “forte abbastanza da guidare e condurre verso la scoperta e l’accettazione della propria identità”.

Il “narratore” principale del percorso espositivo è la MUSICA, composta da due musicisti newyorkesi, Jonathan Fields e Christopher Vath. Lo SPAZIO dell’intero percorso è stato progettato da Paolo Palamara, fondatore e co-presidente di Diamante Development Corporation a Toronto (Canada).

La mostra è stata realizzata da: Martina Saltamacchia, Professore Associato di Storia Medievale e direttore di Medieval/Renaissance Studies all’University of Nebraska; José Medina, educatore e insegnante; Michele Averchi, professore di Filosofia a Catholic University; T.J. Berden, produttore cinematografico a Hollywood e presidente di Big Sur Entertainment, produttore del film Paolo, l’Apostolo di Cristo; Maurizio Capuzzo, Chief Marketing Officer di ES Group; Jonathan Fields, compositore di musica per film e pubblicità; Jonathan Ghaly, rappresentante immobiliare di Denver; Chris Vath, musicista e compositore. Il catalogo della mostra, in edizione italiana, è pubblicato da Concreo edizioni ed è disponibile all’acquisto presso il bookshop della mostra.

Restando in tema di fotografia al Meeting, domenica 18 agosto 2019, in occasione della giornata inaugurale, arriverà in fiera il grande fotografo italo americano Tony Vaccaro. Ai suoi scatti più celebri, quelli della seconda guerra mondiale, come quelli alle dive di Hollywood, il #meeting19 ha dedicato una mostra: “Tony Vaccaro, il fotografo dell’umano”. «La fotografia – spiega  è una passione per me, perché è il linguaggio che io ho scelto, ogni fotografia è un messaggio. Io amo le persone». La mostra si propone di mettere in luce che per Tony Vaccaro la vita, pur segnata da drammi e difficoltà, può sempre essere un’opportunità. Le fotografie di Vaccaro raccontano settant’anni di storia dell’Occidente restituendo sempre una fiducia e una speranza nell’avvenire e testimoniando che la vita è determinata da ciò su cui l’uomo fissa lo sguardo. L’incontro con il maestro della fotografia mondiale si svolgerà alle 17 in Sala Neri UnipolSai.

La mostra. Pepi Merisio e la fotografia come un ponte di sguardi

Avvenire

C’è un ponte ideale tra Terra di Bergamo di Pepi Merisio e “Guardami”, la mostra con cui il Museo della Fotografia Sestini, nell’ex convento bergamasco di San Francesco, inaugura il suo nuovo percorso espositivo. Corrono cinquant’anni esatti tra i tre volumi pubblicati nel 1969, che il fotografo nato a Caravaggio nel 1931 ha sempre considerato il suo capolavoro, e questa mostra dal sapore ricapitolativo, in apertura giovedì prossimo per restare visitabile fino al 1 settembre, curata dallo stesso Merisio con il figlio Luca, anch’egli fotografo (catalogo Lyasis edizioni).

La selezione degli oltre 250 scatti restituiscono una antologia precisa e potremmo dire definitiva dei temi più noti e simbolici affrontati da Merisio in oltre 65 anni di attività: la civiltà contadina, il lavoro, il paesaggio – naturale e urbano – italiano, la famiglia, la sfera del religioso, e naturalmente Paolo VI, di cui Merisio ha costruito l’iconografia (mentre è una autentica sorpresa la sezione di immagini raccolte tra Nord Africa e Medio Oriente).

il maglio di Clanezzo, 1965 (Pepi Merisio)

il maglio di Clanezzo, 1965 (Pepi Merisio)

È il grande canto delle opere e i giorni per il quale Merisio è giustamente celebrato: «Nel cuore della cultura contadina – scrive in catalogo Denis Curti – il fotografo trova le radici della sua ispirazione e ne fa la poetica distintiva del suo sguardo. Nei fatti, Merisio riesce a dare forma a una nuova architettura dell’estetica del quotidiano. Questa è la sua peculiarità, questa la sua forza propulsiva».

Certo, nel lavoro di Merisio c’è una cosciente volontà di documentare, e insieme anche una nota malinconica, che risuona profonda e bronzea come un campanone di campagna. L’urgenza di raccogliere un mondo che svaporava sotto gli occhi è stata una spinta decisiva nel costruire la sua esperienza di fotografo – per quanto, come c’è già stata occasione di notare, sarebbe riduttivo fare di lui solo il cantore del crepuscolo del mondo rurale, in primis lombardo: le foto di Merisio si collocano lucidamente sul crinale tagliente di una irreversibile svolta antropologica che ha investito l’intero paese.

Cogne, 1959 (Pepi Merisio)

Cogne, 1959 (Pepi Merisio)

C’è però in questa mostra una grande differenza con le altre volte in cui Merisio ha presentato il suo lavoro, ed è tutto condensato nel titolo, persino spiazzante, che è anche un invito a ricalibrare l’angolatura con cui guardare un corpus imponente (sono oltre 150 i volumi fotografici pubblicati e in particolare la monumentale collanaItalia della nostra gente ha raggiunto i trentotto volumi).

Al centro, infatti, non c’è più – o non c’è solo – il “contenuto” della ripresa. Merisio si svincola dal rischio dell’archivio del “come eravamo”, che può essere sempre più forte con il passare degli anni. Richiama l’attenzione sull’occhio fotografico dentro cui si riversa in modo irresistibile il mondo e ci porta all’interno del momento della creazione: l’evento in cui «la realtà con la forma» (così Ferdinando Scianna definisce il “metodo Merisio”) si coagulano nell’immagine.

“Guardami”, lo rivela lui stesso in un testo firmato in catalogo, è l’invito (anche solo mentale) che Merisio rivolge a chi si trova davanti alla sua macchina fotografica. Una parola magica, quasi da ipnotizzatore. Una parola che potrebbe apparire seduttiva: ma non c’è foto di Pepi Merisio in cui chiunque (o qualunque cosa: «“guardami” valeva per tutti i soggetti, persino per i paesaggi») si ritrovi al suo interno non appaia completamente libero. Quel “guardami” è una parola dalla dolcezza paterna che scioglie dalla soggezione dell’obiettivo e costruisce una relazione che supera il tempo e lo spazio.

«Ho sempre pensato, anzi sentito, che la fotografia debba essere un colloquio e se non ci si guarda negli occhi è molto difficile capirsi – annota Merisio –. “Guardami”, la domanda che c’era nel mio obiettivo fotografico di fronte a un soggetto, uomo o cosa che fosse. E quando lo sguardo quasi faceva scattare da solo l’otturatore, la tensione calava e avevo la sensazione di aver conquistato qualcosa di importante, di vero. Era quindi un discorso di sguardi». E conclude: «Mi pareva di aver centrato qualcosa di indescrivibile, tutto solo mio: un silenzioso colloquio nell’aria che miracolosamente ero riuscito a sentire e fermare. Il miracolo della fotografia ». “Guardami” è dunque la parola vitale (poetica nel suo senso più profondo) che fa nascere l’immagine: è questo il grado più intimo di realtà della fotografia di Pepi Merisio.