Nella Cripta della Cattedrale domenica 27 gennaio, ore 16.30 VEGLIA ECUMENICA DIOCESANA

La Veglia ecumenica si terrà per la nostra Diocesi domenica 27 gennaio, alle 16.30, nella cripta della Cattedrale con la partecipazione del vescovo Massimo e dei pastori delle comunità ortodosse – copta, rumena, ucraina -, della comunità cattolica di rito orientale e delle comunità protestanti/ evangeliche presenti nel nostro territorio.

La preghiera comune è un segno di ricerca e impegno per non porre nessun ostacolo alla preghiera di Gesù al Padre perché i suoi siano una cosa sola.

C’è una particolarità nella preghiera per l’unità di quest’anno: il fatto che il movimento ecumenico sta crescendo vistosamente nel Sud del mondo, a fronte di una sua marcata difficoltà in terre e comunità cristiane di antica tradizione.

Forse questo richiama l’attenzione anche sull’impostazione della vita cristiana delle nostre comunità e sulla formazione spirituale che viene proposta ei vari cammini delle persone. Sono stati soprattutto i giovani studenti cristiani dell’India (Student Christian Movement in India) che hanno chiesto che nell’attuale contesto di grave ingiustizia nei confronti dei dalits (paria o intoccabili) in India, la ricerca dell’unità visibile dei cristiani non potesse essere disgiunta dallo smantellamento delle caste.

L’80% dei cristiani dell’India sono di origine dalits; sono considerati socialmente emarginati, politicamente sottorappresentati, sfruttati economicamente e soggiogati culturalmente. Quanti gruppi di persone nelle varie parti del mondo sono soggette a queste discriminazioni.

L’essere cristiani, hanno sottolineato questi giovani studenti, è fare esperienza di libertà. Sappiamo tutti come il sistema delle caste, come anche l’apartheid, il razzismo e il nazionalismo anche nel mondo cristiano europeo, mettono a dura prova l’unità dei cristiani e di conseguenza la testimonianza della Chiesa quale unico corpo di Cristo.

Per questo nella Veglia ecumenica la preghiera deve essere intensa e costante, affinché le parole del profeta Michea (6, 6-8), che ascolteremo, portino frutto: «… In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio».

diocesi.re.it

Ecumenismo al servizio della pace

di Milan Žust

Nell’Ottavario di quest’anno, ci vengono proposte le seguenti parole del profeta Michea: “Il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (6, 8). Siamo tutti concordi sul fatto che dobbiamo impegnarci a favore della giustizia e ci impegniamo anche per dimostrare la nostra bontà. Ma vivere con umiltà mi pare già un aspetto più difficile da realizzare. Davanti a Dio ci sforziamo ancora, almeno esteriormente, per dare una bella immagine di noi stessi; ma non è possibile “vivere con umiltà davanti al nostro Dio” senza vivere l’umiltà anche davanti al nostro prossimo, che è immagine di Dio. Senza dubbio, questo atteggiamento di umiltà è necessario anche nelle relazioni tra i cristiani di varie confessioni che desiderano superare le attuali divisioni e crescere nella maggiore unità, auspicando che si possa ristabilire la piena unità, desiderata e invocata da Cristo stesso. Durante lo scorso anno, abbiamo potuto osservare con gratitudine alcuni passi avanti compiuti in questo senso, e non solo a livello di relazioni personali, che spesso rimangono in penombra, ma anche a livello pubblico. Un documento di rilievo è stato firmato nel mese di agosto a Varsavia tra il Patriarca ortodosso russo Cirillo, durante la sua visita in Polonia, e l’arcivescovo di Przemy?l dei Latini, Józef Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca. Nel testo, tra l’altro, s’invitano i due popoli alla riconciliazione. Il documento, che era in preparazione da ben tre anni tramite numerosi incontri e conversazioni impegnative, ha già avuto e avrà ancora eco nei due Paesi. In Polonia, è stato letto in tutte le chiese cattoliche, mentre in Russia, è stato accolto favorevolmente dal santo Sinodo e il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, ha dichiarato in un’intervista rilasciata alla fine dello scorso anno che la firma di questo documento è stata il più importante evento della Chiesa ortodossa russa nel 2012.

(©L’Osservatore Romano 24 gennaio 2013)

I passi del cammino ecumenico con la Chiesa ortodossa

di Andrea Palmieri

Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio
per la Promozione dell’Unità dei Cristiani


Nel 2012 è proseguito il cammino di preparazione di una nuova sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. L’ultima sessione plenaria della Commissione mista ha avuto luogo a Vienna nel 2010. Al termine della riunione, è stata accantonata l’idea di preparare un documento comune sul primato del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa del primo millennio, che avrebbe dovuto approfondire la riflessione sull’affermazione centrale del documento di Ravenna, Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità (2007), sulla necessità di un primato nella Chiesa anche a livello universale. Tale decisione è dovuta alle difficoltà nel giungere a interpretazioni condivise delle testimonianze storiche, soprattutto patristiche e canoniche, sulla tematica. Nella stessa sessione plenaria, i membri si sono impegnati a proseguire il lavoro della Commissione con la redazione di un nuovo testo sulla relazione teologica ed ecclesiologica tra primato e sinodalità.

(©L’Osservatore Romano 19 gennaio 2013)

L’ecumenismo della vita ci conduce verso l’unità

L’ecumenismo della vita ci sta conducendo verso la comunione: ne è convinto il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che interviene alla Radio Vaticana in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge da oggi al 25 gennaio sul tema “Quel che il Signore esige da noi“, frase tratta dal libro del profeta Michea. Ascoltiamo il porporato al microfono di Mario Galgano:

R. – Ich denke, dass in den letzten 50 Jahren sehr, sehr viel geschehen ist. …
Io credo che negli ultimi 50 anni siano accadute molte cose. Ci sono stati tanti dialoghi, abbiamo trovato tanti avvicinamenti – penso in particolare al grandioso evento che si è verificato poco prima della fine del Concilio, quando le scomuniche tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa sono state affidate all’oblio della storia; penso alla grandiosa Dichiarazione tra la Federazione luterana mondiale e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani sulla Dottrina della Giustificazione, cioè proprio sul punto che all’epoca della Riforma ci aveva divisi … Accanto a questo, nel frattempo, si è sviluppata una rete mondiale di amicizie ecumeniche e questo lo ritengo ancora più importante, perché non saranno le “carte” ecumeniche a condurci nel futuro, ma la comunione nella vita. Eppure, nonostante tutto quello che abbiamo fatto, dobbiamo dire che la meta dell’ecumenismo non è stata raggiunta: non abbiamo ancora trovato l’unità e c’è ancora molto da lavorare per trovarla …

D. – Per quanto riguarda il dialogo con gli ortodossi, una delle maggiori difficoltà è data dalle divisioni all’interno della stessa ortodossia …

R. – Wir habe ja eine große internationale Kommission zwischen der …
Esiste una grande Commissione internazionale tra la Chiesa cattolico-romana e le Chiese ortodosse, della quale fanno parte delegazioni di quasi tutte le Chiese – ad eccezione della Bulgaria. Si rilevano, in effetti, alcune tensioni tra gli ortodossi; per questo credo che sarebbe un evento importantissimo l’eventuale svolgimento di un Sinodo pan-ortodosso. Seguo questa evoluzione con grande simpatia perché sono convinto che se si riuscisse a realizzare lo svolgimento di questo Sinodo pan-ortodosso, questo significherebbe un grande aiuto anche per il dialogo ecumenico con noi.

D. – Quale il ruolo dell’Anno della fede in questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?

R. – Also, ich denke für das ganze Jahr spielt das eine zentrale Rolle, weil …
Credo che svolga un ruolo centrale per tutto l’anno, perché l’elemento fondante dell’ecumenismo è la fede! L’ecumenismo non è una faccenda semplicemente diplomatica o politica: è una questione di fede. E quello che ci unisce maggiormente è il Battesimo – riconosciuto da tutti – e il Credo apostolico. In questo senso, l’Anno della fede è una grande sfida a ritrovare le radici dell’ecumenismo che si trovano proprio nella fede.

radiovaticana

 

Senza la ricerca dell’unità la fede rinuncerebbe a se stessa

di Kurt Koch

L’Anno della fede, che ci dona Papa Benedetto XVI, si collega strettamente al concilio Vaticano II da un punto di vista non solo temporale, ma anche di contenuto. Esso è stato infatti inaugurato nel giorno della commemorazione dell’apertura del concilio, avvenuta cinquant’anni fa, ed è animato dall’intento di attualizzarne le principali affermazioni magisteriali, vedendo in esso il punto di riferimento decisivo per la missione della Chiesa anche oggi. In ciò rientra anche l’impegno ecumenico assunto dalla Chiesa cattolica, il quale non è un tema secondario del concilio, ma una delle sue priorità centrali, come si legge già nella prima frase del decreto sull’ecumenismo: “Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro concilio ecumenico Vaticano II” (Unitatis redintegratio, n. 1). Il decreto sull’attività missionaria della Chiesa ricorda che gli sforzi ecumenici si congiungono saldamente all’opera missionaria, poiché la divisione dei cristiani è di pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo e “impedisce a molti di abbracciare la fede” (Ad gentes, n. 6). All’impegno ecumenico è improntata anche tutta la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, come si evince in particolare dai paragrafi conclusivi: “Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità” (Gaudium et spes, n. 92). Un intimo nesso esiste soprattutto tra il decreto sull’ecumenismo e la costituzione dogmatica sulla Chiesa, nella quale si trovano i fondamenti di fede dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica. L’ecumenismo è tutt’altro che una questione di mera politica ecclesiale o una faccenda puramente pragmatica; esso, piuttosto, è intrinseco alla fede stessa. Pertanto, l’Anno della fede ci chiama anche ad attualizzare i fondamenti di fede del compito ecumenico della Chiesa e a cementarli nuovamente davanti a una situazione ecumenica profondamente mutata.

(©L’Osservatore Romano 18 gennaio 2013)

All’inizio della Settimana ecumenica l’invito a pregare per l’unità

Il desiderio di “vedere il volto di Dio” appartiene alla natura di ogni uomo, anche di chi non crede. Lo ha detto il Pontefice all’udienza generale svoltasi stamattina, mercoledì 16 gennaio, nell’Aula Paolo VI. Proseguendo le sue riflessioni settimanali sull’Anno della fede, Benedetto XVI ha parlato della rivelazione di Dio, che in Gesù “giunge al suo culmine, alla sua pienezza”. L’incarnazione, infatti, esprime “la novità del nuovo Testamento, quella novità che è apparsa nella grotta di Betlemme: Dio si può vedere, Dio ha manifestato il suo volto, è visibile in Gesù Cristo”.
Mentre nell’antico Testamento l’accento è posto soprattutto sulla necessità di non ridurre Dio a “un oggetto” o a una semplice “immagine che si prende in mano” – tanto che allo stesso Mosè il suo volto rimane ancora nascosto – con l’incarnazione “la ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile, perché questo volto si può ora vedere: è quello di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo”. Cristo dunque – ha spiegato il Papa – “ci mostra il volto di Dio e ci fa conoscere il nome di Dio”, indicandolo come “Colui che è presente tra gli uomini”. Così egli “inaugura in un modo nuovo la presenza di Dio nella storia, perché chi vede Lui, vede il Padre”: una realtà che la tradizione patristica e medievale riassume efficacemente nella definizione di Gesù come Verbum abbreviatum, “il Verbo abbreviato, la Parola breve, abbreviata e sostanziale del Padre, che ci ha detto tutto di Lui”.
Il desiderio di vedere il volto di Dio si realizza dunque “seguendo Cristo” e imparando a riconoscerlo “nel povero, nel debole, nel sofferente”. Questo è possibile – ha concluso il Pontefice – “solo se il vero volto di Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola”.

(©L’Osservatore Romano 17 gennaio 2013)

La forza di una candela nel buio. Paul Wattson ideò la Settimana per l’unità dei cristiani

di James F. Puglisi
Ministro generale dei frati francescani dell’Atonement

Lewis Thomas Wattson nacque il 16 gennaio 1863, in una fredda giornata invernale, da una famiglia episcopaliana a Millington, nel Maryland. Era un tempo per il suo Paese di conflitti, divisioni, morte, buio. Erano gli anni della guerra civile americana, con i suoi orribili massacri e vaste distruzioni. Il 1° gennaio il presidente Abraham Lincoln aveva firmato il Proclama di Emancipazione, che rendeva l’abolizione della schiavitù obiettivo ufficiale della guerra. Proclamava la libertà di oltre tre milioni di schiavi. Crescendo in questo clima, Lewis imparò ad apprezzare l’importanza di questioni come la dignità e la libertà della persona umana alla luce del Vangelo. Tutto ciò sarebbe entrato nell’agenda dell’uomo che divenne famoso come padre Paul di Graymoor, fondatore dei francescani dell’Atonement.
Paul Wattson è però più noto come l’ideatore della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra ogni anno tra il 18 e il 25 gennaio nell’emisfero settentrionale, e di solito tra il giovedì dell’Ascensione e la domenica della Pentecoste nell’emisfero meridionale. Wattson fu anche tra i fondatori della Catholic Near East Welfare Association, che aiuta i cristiani delle Chiese orientali. Inoltre, la Union-that-nothing-be-lost, da lui istituita, continua ad aiutare i poveri, i missionari e gli operatori per l’unità cristiana.
Per il centocinqunatesimo anniversario della nascita, i francescani dell’Atonement hanno pubblicato una biografia di Wattson (Joseph Scerbo, Fire in the Night. The Life and Legacy of Fr. Paul of Graymoor, Strasbourg, Éditions du Signe, 2013), di cui sono in corso traduzioni in italiano, spagnolo e giapponese. Insieme a madre Lurana White, padre Paul fondò la Società dell’Atonement secondo lo spirito di san Francesco d’Assisi. La vita di padre Wattson e di madre Lurana White e la nascita della Società dell’Atonement sono lasciti di una passione nata dalla preghiera di Gesù nell’ultima cena: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” (Giovanni, 17, 21).
La fiamma viva di una candela in una stanza buia vince subito l’oscurità. Se si osserva la forza e la grazia di quella fiamma solitaria che oscilla piena di vita e se si accende un’altra candela, subito si avverte quanta speranza, calore e conforto riescono a dare queste luci. La veglia di Pasqua inizia nel buio con questo segno: la luce di Cristo presa dal cero pasquale e passata da una persona all’altra. Padre Paul e madre Lurana erano fiamme vive del desiderio di unità di Dio nel corpo di Cristo che è la Chiesa, come affermano le parole di Benedetto XVI: irrequieti al buio, cresciamo insieme nella luce.
Padre Wattson è stato un costruttore di ponti, un ambasciatore della riconciliazione, un vero francescano. Il suo amore per i poveri, per il creato, ma soprattutto per il dono del Figlio unigenito di Dio nell’espiazione sulla croce, hanno animato tutta la sua vita. In ciò, padre Paul è un testimone autentico della preoccupazione costante di Dio perché tutto il creato scopra il suo vero fine.
Ci si potrebbe domandare se è solo una coincidenza che Wattson sia nato alla vigilia di quel periodo dell’anno nel quale si sarebbe poi tenuta la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema di quest’anno, tratto dal profeta Michea (“Quel che il Signore esige da noi”), è molto impegnativo. Con una domanda alla quale ognuno deve rispondere. Il profeta pronuncia parole che esprimono la volontà divina, vale a dire “praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente” con Dio. Ognuno è chiamato a essere profeta, nel senso di testimone della volontà di Dio. Solo allora potremo superare ciò che ci divide, perché la nostra preghiera ci ha portato a vedere con gli occhi di Dio e non con i nostri.
Padre Paul di Graymoor ardeva della passione profetica del suo cammino con Dio. Al centro vi era la conversione, che ha permesso di cambiare la prospettiva con cui guardare agli eventi. Wattson aveva compreso il bisogno di un cambiamento del cuore che gli consentisse di vedere la realtà dal punto di vista di Dio. A centocinquant’anni dalla nascita continua a essere un esempio di fede salda e di coraggio. Nelle parole conclusive dell’omelia pronunciata durante le sue esequie nel 1940, il suo leale e vecchio amico padre Ignatius Smith, domenicano e preside della Scuola di filosofia della Catholic University of America osservò: “Questo coraggio soprannaturale può essere spiegato solo se comprendiamo che siamo di fronte a un uomo che ha preso Gesù sul serio, che ha letteralmente vissuto con lui, e che è sempre stato consapevole della divina provvidenza del creatore onnipotente e custode dell’universo”.

(©L’Osservatore Romano 16 gennaio 2013)