QUELL’ORTO BUONO CHE DÀ I FRUTTI DELLA VITA

Nell’orto insieme agli operatori lavorano i ragazzi con disabilità. I prodotti vengono venduti ai ristoranti della zona, ai privati, a chiunque decida di visitare questa meraviglia. Ma le istituzioni dovrebbero riservare più attenzione a questi progetti (di Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa)

Ho conosciuto Elena Improta  qualche anno fa, quando l’assessore agli Affari sociali del Secondo municipio di Roma attivò uno sportello di consulenza contro la violenza alle donne al quale collaborammo con le volontarie del Telefono Rosa. Andai a trovarla nel suo ufficio. Conobbi anche suo figlio Mario, allora giovane 17nne con una grave disabilità al quale ha dedicato la sua vita. Da allora abbiamo collaborato a tanti progetti, a tante iniziative. Ho sempre ammirato Elena come donna, come mamma, come grande combattente per i diritti delle persone con disabilità e delle donne. Negli ultimi tempi a Roma la vedevo sempre più preoccupata per Mario, che ogni giorno diventava sempre più insofferente, manifestando la sua rabbia con atti ogni giorno gravi. Improvvisamente Elena mi telefono’ comunicandomi la decisione di lasciare Roma con il suo compagno Andrea. Andrea ama Mario, ha sostituito il padre biologico che non ha accettato la disabilità di suo figlio, e in questi anni ha sostenuto Elena ed ha affrontato insieme a lei questo cambiamento di vita.

Ho approfittato del mio periodo di riposo per andare da loro ad Orbetello, dove hanno creato nuclei abitativi per il co-housing (modello Legge 112/2016 ), spazi in cui operatori specializzati si occupano dei ragazzi con disabilità. La “casa di Mario” è uno spazio abitativo bellissimo in un posto gradevole, dal terrazzo di può ammirare la laguna con i diversi colori che ti regala durante la giornata. Elena ed Andrea mi hanno parlato della realizzazione del progetto a cui stanno lavorando. Hanno altresì creato una forte partnership con la Cooperativa Beata Veronica 1878 (Presidente Stefano Russo un papà che ha avuto una grande intuizione) che ha dato vita ad un orto, “L’Orto Giusto” referente Sonia Belluardo con la collaborazione di un vivaio che ha messo a loro disposizione il terreno. Nell’orto insieme agli operatori lavorano i ragazzi con disabilità. I prodotti vengono venduti ai ristoranti della zona, ai privati, a chiunque decida di visitare questa meraviglia. Questa mattina piena di curiosità mi sono recata a visitare “L’Orto Giusto”. Sono rimasta ferma ad osservare, la felicità, la laboriosità di questi ragazzi. Mario mi ha accolto sorridendo ho visto in lui un altra persona. Due occhioni splendidi, sereni, un viso disteso. Con la sua orticoltrice è andato a cogliere le melanzane ed ha iniziato a confezionare la cassetta per un noto ristorante. Si fa tutto al risparmio, le cassette vengono raccolte dai rivenditori che altrimenti le avrebbero portate in discarica. Pulite, preparate con i diversi prodotti e consegnate.

I ragazzi partecipano alla consegna, il loro lavoro è a ciclo completo. Ho preso anche io per la mia famiglia la cassetta che e’ stata immediatamente soprannominata “La Cassetta di Mario”. Che altro dire di questo progetto, se non chiedere più attenzione da parte dei rappresentanti delle Istituzioni. Perché non creare un tavolo al quale dovrebbero partecipare non solo il ministero della Sanità, ma anche il ministero del Lavoro , il ministero della Famiglia e delle Pari Opportunità e i rappresentati di Associazioni Nazionali  Disabili. E anche il ministero della Famiglia perché se le fondamenta della nostra società sono rappresentate dalla famiglia dobbiamo sostenere la famiglia, specie dove ci sono persone con disabilità. Bandi di concorso che richiedono progetti dove queste donne e questi uomini con disabilità possono essere impegnati in lavori utili alla società e a loro stessi. Tutti dovremmo partecipare attivamente all’inserimento sociale delle persone con disabilità ma a maggior ragione le nostre istituzioni. Non possiamo pensare di aver risolto il problema con il riconoscimento di una pensione di invalidità, queste persone hanno diritto a far parte attiva della nostra società. Ringrazio personalmente e a nome di tutte le volontarie Elena ed Andrea per il loro coraggio, per la loro grande preparazione e disponibilità. Li ringrazio perché aver visto Mario ed i ragazzi presenti felici, sorridenti mi ha riempito il cuore di speranza. Un video vi illustrerà meglio delle mia parole cosa sono riusciti a realizzare tre genitori quali Stefano papà di Leo ed Elena e Andrea per il loro Mario e per i ragazzi della Onlus Oltre lo Sguardo

di Maria Gabriella Carnieri Moscatelli*.

*presidente di Telefono Rosa

 

Disabili, cresce l’emergenza

Oggi sono circa 3 milioni, in Italia, gli anziani non autosufficienti. Si tratta di coloro che non possono svolgere da soli le normali attività quotidiane e hanno bisogno di un accompagnatore: rappresentano il 5% della popolazione ma il loro numero è destinato a raddoppiare entro il 2030. Anche per questo, il Pnrr prevede uno stanziamento di 20 miliardi di euro per rafforzare la sanità, 4 dei quali saranno destinati all’assistenza domiciliare e 2 alle case di comunità.

Scuola. Pochi professori di sostegno: i 270mila studenti disabili dimenticati

Sono oltre 50mila le cattedre in deroga, assegnate a supplenti. Un emendamento al decreto Sostegni bis della deputata Casa punta a stabilizzare gli oltre 10mila docenti con specializzazione
Un bambino escluso dalla sua classe per mancanza dell'insegnante di sostegno. Foto simbolica

Un bambino escluso dalla sua classe per mancanza dell’insegnante di sostegno. Foto simbolica – Lapresse

Da Avvenire

«I nostri figli non sono un’eccezione, una deroga nell’organizzazione della scuola». Stanchi di dover chiedere come un favore ciò che spetta loro di diritto, i genitori dei bambini disabili dell’istituto comprensivo “Ignoto Militi” di Saronno, in provincia di Varese, hanno scritto al direttore generale dell’Ufficio scolastico della Regione Lombardia, Augusta Celada, per denunciare che le risorse a favore dei propri figli sono «assolutamente insufficienti in termini di ore e personale, in netto contrasto con l’attuale normativa italiana e internazionale, nonché con l’orientamento della giurisprudenza ordinaria, amministrativa e costituzionale».

A due mesi dall’avvio del nuovo anno scolastico, il grido di dolore di questi genitori è condiviso da migliaia di altre famiglie di tutta Italia, che si trovano nella medesima situazione. Secondo l’Istat, ogni anno almeno il 10% delle famiglie dei 268mila alunni disabili è costretto a ricorrere ai tribunali per vedersi riconosciuto il monte ore di sostegno di cui avrebbero diritto. Il problema è la carenza di insegnanti di sostegno specializzati, tanto che, sempre stando a dati Istat, il 37% dei docenti incaricati non ha una formazione specifica sul sostegno.

Complessivamente, per l’anno scolastico 2020-2021 i posti di sostegno nelle scuole statali sono stati 101.170, mentre 51.351 sono stati i posti di sostegno “in deroga”, cioè supplenze fino al 30 giugno. Proprio per far diminuire il numero di docenti di sostegno precari, la presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera, Vittoria Casa (M5s), ha presentato un emendamento al decreto Sostegni bis, che prevede l’immissione in ruolo di tutti coloro in possesso di un titolo di specializzazione sul sostegno, attraverso procedure semplificate. Secondo le stime degli uffici di Montecitorio, sono più di 10mila gli insegnanti ancora nel “limbo” che potrebbero invece contribuire a stabilizzare e rendere più efficace l’integrazione degli alunni disabili.

«Sappiamo dall’Istat che lo scorso anno la Dad ha escluso sostanzialmente uno studente disabile su quattro – ricorda la presidente Casa –. Iniziare l’anno scolastico con docenti di sostegno formati significherebbe dare una risposta a queste ragazze e ragazzi, valorizzarne al massimo le capacità, svilupparne i potenziali di crescita e favorirne una vera inclusione. Quello verso i soggetti fragili e le persone con disabilità è un impegno prioritario che il governo ha più volte ribadito in Aula. Un impegno che mi aspetto venga mantenuto con l’approvazione dell’emendamento e la celere immissione in ruolo dei docenti specializzati», conclude Vittoria Casa.

In pressing sul governo anche il sindacato, che ricorda le «112mila cattedre vacanti», non soltanto di sostegno, ancora da assegnare. «Sarebbe una beffa se la scuola non riuscisse a ripartire in autunno – ha ammonito il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, intervenuto ieri a Trento alla giornata conclusiva del Consiglio generale della Cisl Scuola – e per questo occorre in primo luogo stabilizzare l’enorme fascia di precariato di insegnanti e di personale Ata e avviare subito un massiccio piano di assunzioni che rimetta in linea con le esigenze di stabilità e continuità didattica, anche per le attività di sostegno, facendo fronte efficacemente al fabbisogno, evitando che vi siano ancora “classi pollaio” e favorendo al massimo l’inclusione».

Un “tavolo tecnico” sulla disabilità è stato quindi proposto dalla Fish, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap che, nei giorni scorsi, ha incontrato i sindacati della scuola. Primo obiettivo: stabilizzare gli organici attraverso la trasformazione dell’organico di fatto in cattedre in organico di diritto.

’Notte di luce diffusa’ per la giornata delle persone disabili a Reggio Emilia

Ha preso il via “Notte di luce diffusa”, in programma fino all’8 dicembre, in piazza Casotti e piazza Fontanesi.

Si tratta di installazioni luminose proposte in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità. Il centro cittadino viene illuminato e reso magico da installazioni di luce ideate e realizzate dai creativi dei Musei Civici insieme a persone con disabilità.

Le installazioni svelano una città intima e inaspettata, che racconta simbolicamente la fragilità e la differenza, invitando lo spettatore a vedere le cose da un altro punto di vista.

Un evento promosso da Fcr con Reggio Emilia Città Senza Barriere.

Il resto del Carlino

Ingegno evangelico

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La Holy Family School di Nazaret accoglie ogni giorno oltre 140 ragazzi con disabilità

04 novembre 2020

Il grande campo del mondo, nel quale il Seminatore continua a spargere il Suo seme, è popolato da uomini e donne fieri e grati della magnifica possibilità, irrevocabilmente concessa all’umano, di spendere per altri le loro qualità migliori: uomini e donne che — a dispetto del dilagante difetto di compassione che mina la convivenza civile — costruiscono legami rocciosi e inventano soluzioni ingegnose capaci di sostenere e risollevare vite prostrate dalle difficoltà e dal dolore. Succede anche in Israele, a Nazaret: in questa cittadina, abitata da 90.000 persone arabe (il 30 per cento delle quali cristiane, il 70 per cento musulmane), sorge la Holy Family School che ogni giorno, dalle 7.30 alle 17.30, offre accoglienza e cure a 142 bambini e ragazzi — dai 3 ai 21 anni — colpiti da gravi forme di handicap (quali a esempio autismo, sindrome di Down, spina bifida).

La scuola — nella quale attualmente lavorano 145 persone — è stata inaugurata nel 1975 dai Servi della Carità, i guanelliani, che avevano ricevuto l’invito a fondarla dalla Custodia di Terra Santa. Il primo nucleo della struttura aveva sede nell’ex convento delle clarisse che per tre anni diedero ospitalità a Charles de Foucauld, giunto lì mosso dal desiderio di vivere «la stessa vita di Nostro Signore Gesù», e cioè «l’esistenza umile e oscura di Dio, operario di Nazaret».

Nel 1992 la scuola è stata ampliata con quattro nuovi grandi padiglioni e oggi, oltre alle aule per l’attività didattica, offre ai propri ragazzi una piscina per l’idroterapia, una grande area verde per la giardino-terapia, un laboratorio di arte e di falegnameria, una sala per la musicoterapia, tre sale multisensoriali, una per l’informatica e spazi riservati allo sport e al gioco. «Obiettivo della Holy Family School — racconta il vicedirettore, padre Marco Riva, guanelliano, 56 anni (di cui 28 trascorsi in Israele) — è accogliere evangelicamente, ossia offrire alle giovani vite che ci vengono affidate solidi legami oltre a prestazioni ineccepibili: ogni essere umano ha bisogno di relazioni personali significative per vivere una vita buona. I miei tre confratelli e io, insieme ai nostri collaboratori, ci impegniamo affinché i ragazzi si sentano accolti e amati, non solo ben assistiti. Per noi la professionalità comporta competenze di alto livello mai disgiunte da una dimensione affettiva fatta di dedizione, costanza, sensibilità, delicatezza, spirito di sacrificio».

Tra gli operatori della scuola, aggiunge il sacerdote, è nata un’alleanza speciale, dovuta in larga misura agli alunni che ogni giorno — con i loro slanci di affetto, i loro sorrisi, il loro bisogno primario di amore e accudimento — insegnano ad apprezzare la vita e le sue felici sorprese, aiutano a comprendere cosa conta veramente e a ridimensionare i problemi.

Nel corso di ogni giornata i bambini e i ragazzi svolgono molteplici attività che hanno lo scopo di stimolarli, farli stare meglio e permettere loro di esprimere le capacità che posseggono. Il programma quotidiano è preparato dallo staff — composto da maestre, medici, psicologi e assistenti sociali — che ha il delicato compito di capire le attitudini e le passioni che ciascun giovane via via manifesta al fine di ampliare gli interventi educativi e riabilitativi. Nel pomeriggio gli studenti fanno ritorno poi a casa: «Riteniamo importante che mantengano un legame affettivo costante con la famiglia, il grembo nel quale sono venuti al mondo e nel quale devono continuare a sentirsi amati e protetti», prosegue padre Marco. «Ci prendiamo molta cura anche dei genitori per i quali organizziamo regolari incontri con il proposito di offrire loro sostegno, coinvolgerli nel percorso educativo e riabilitativo dei figli, far conoscere le opportunità assicurate ai disabili dalla legge israeliana, favorire e incoraggiare legami d’amicizia: è importante che possano condividere preoccupazioni, gioie e speranze». Proprio per venire incontro alle esigenze dei genitori, i padri guanelliani hanno in progetto di dare accoglienza, a partire dal prossimo anno, anche ai giovani disabili di età superiore ai 21 anni: a questo scopo stanno preparando all’interno della scuola un’area ad hoc e studiano quali attività lavorative proporre oltre a quelle di falegnameria già avviate.

Riconosciuta dallo Stato di Israele, la Holy Family School dipende dai ministeri della Salute, dell’Educazione e delle Opere sociali, e ha promosso forme di collaborazione con le amministrazioni locali: una prevede che una volta al mese gruppi di studenti di tre scuole pubbliche di Nazaret trascorrano una giornata insieme ai bambini e ai ragazzi disabili giocando e dedicandosi ad attività didattiche e sportive. Si sta pensando di incrementare queste occasioni di incontro e di amicizia sia perché regalano felicità grande a tutti i partecipanti sia perché contribuiscono a costruire una società sempre più inclusiva e sensibile alle esigenze delle persone con handicap.

«Inoltre — afferma padre Marco — desideriamo poter condividere lo spirito evangelico che guida e plasma la nostra opera e la nostra stessa esistenza: il servizio, che comporta abitare la Terra sentendosi responsabili degli altri». Il cristianesimo vive così: mostrando che Dio mai abbandona le Sue creature.

di Cristina Uguccioni / Osservatore

Una serie di opere cinematografiche per riflettere sulla disabilità e la sua considerazione oggi

 L’idea da Commissione nazionale valutazione film e Servizio per la pastorale delle persone disabili
I due protagonisti di "Quasi amici" (2011)

I due protagonisti di “Quasi amici” (2011)

Non solo “Quasi amici”. La commedia francese del 2011 di Olivier Nakache ed Éric Toledano è uno degli 8 titoli che compongono il ciclo di schede cinematografiche pastorali che la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) propone in sinergia con il Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Cei, tra luglio e agosto (le schede vengono pubblicate ogni venerdì su Cnvf.it e Pastoraledisabili.chiesacattolica.it). Registrando la bella tendenza del cinema (come delle serie tv) nell’ultimo decennio con l’abbandono dei consueti e stanchi canoni drammatici di racconto della condizione delle persone disabili, il ciclo di film desidera approfondire sguardi diversi sul tema: otto prospettive sulla disabilità che si giocano nel segno della possibilità, dello sguardo che sposa il realismo ma anche la speranza.

Sono già online i focus su “Mio fratello rincorre i dinosauri” (2019) di Stefano Cipani – dal romanzo di Giacomo Mazzariol –, film rivelazione della passata stagione e vincitore del David Giovani, che esplora con tenerezza il legame tra fratelli di cui uno con sindrome di Down, e “La famiglia Bélier” (2015) di Éric Lartigau, sul rapporto genitori-figli nella tempesta dell’adolescenza in una famiglia con disabilità uditiva.

In arrivo: “Tutto il mio folle amore” (2019) di Gabriele Salvatores, storia di un padre “riluttante” e di un adolescente con Asperger in cerca di una seconda occasione, racconto dai toni della fiaba; sul sentiero della commedia educational c’è “Wonder” (2017) di Stephen Chbosky dal libro di R.J. Palacio; ancora, “Quasi amici”, storia vera di un’amicizia che salva, quella tra un disabile e un immigrato dalle banlieue parigine. Ugualmente sulle note di un umorismo frizzante gira “Ho amici in Paradiso” (2016) di Fabrizio Maria Cortese, film sulla disabilità mentale ambientato nel Centro Don Guanella di Roma; esplora, poi, l’importanza di garantire opportunità lavorative per persone con disturbi dello spettro autistico “Quanto basta” (2018) di Francesco Falaschi. Ultima opera del ciclo è il dramma sentimentale “Il colore nascosto delle cose” (2017) di Silvio Soldini.

Otto film, dunque, otto istantanee di senso da (ri)scoprire in ambito pastorale, familiare ed educativo per superare barriere sociali, al tempo dell’isolamento da Covid-19.

Avvenire

Per una catechesi pienamente inclusiva

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Il nuovo Direttorio invita a favorire il protagonismo delle persone con disabilità nella vita pastorale e sacramentale

Alla catechesi per le persone con disabilità il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione ha dedicato, nell’ottobre 2017, un importante convegno, i cui atti sono stati pubblicati l’anno successivo dalle Edizioni San Paolo, a cura di Francesco Spinelli ed Eugene R. Sylva. I testi che riportiamo sono tratti da due delle testimonianze presentate durante i lavori svoltisi alla Pontificia università Urbaniana: la prima è del parroco di Santa Maria di Loreto, nell’arcidiocesi di Pesaro, che attraverso l’oratorio ha realizzato un’esperienza catechistica per bambini, ragazzi e giovani con disabilità; la seconda è di un sacerdote della diocesi di Padova, missionario fidei donum per vent’anni in Kenya, dove a Nyahururu ha promosso e vissuto sin dagli inizi le esperienze del Saint Martin Catholic Social Apostolate — in particolare con la comunità di Effatha — e dell’Arche.

Non è cosa da poco che nel Direttorio per la catechesi, presentato qualche giorno fa dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, siano dedicati quattro paragrafi alla catechesi con le persone con disabilità (nn. 269-272). L’argomento di base è cristologico — «scaturisce dall’agire di Dio» — per questo la comunità cristiana non solo è chiamata a prendersi cura dei più deboli, «ma a riconoscere la presenza di Gesù che si manifesta in loro in modo speciale». Siamo di fronte a una visione antropologica pienamente centrata nel Vangelo, ben lungi dalla compassione verso coloro che una volta erano considerati difettosi per una misteriosa quanto incomprensibile volontà o distrazione divina. A fronte di una corrente e diffusa concezione narcisistica e utilitaristica della vita, «la vulnerabilità appartiene all’essenza dell’uomo e non impedisce di essere felici e di realizzare se stessi». Dio stesso si è reso vulnerabile nel suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto per noi, solo per amore. Invece di essere felice restando in cielo — «non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» (Filippesi 2, 6) — egli preferì venire in mezzo a noi, fragile accanto agli ultimi, in carcere con i prigionieri, crocifisso in mezzo ai ladroni. Da questo momento in poi, la fragilità delle persone disabili non si può più pensare come effetto del peccato o difetto della natura, ma «un’opportunità di crescita per la comunità ecclesiale», perché consacrata dalla presenza speciale di Gesù Signore.

È particolarmente significativo che il Direttorio chieda ai cristiani di divenire consapevoli della educabilità alla fede e della soggettualità attiva delle persone con bisogni speciali — special needs — per le quali non si tratta di attivare percorsi paralleli su corsie preferenziali, quanto di «presenza ordinaria delle persone con disabilità all’interno dei percorsi di catechesi» veramente inclusivi. Viene poi messo in rilievo che: «Le persone con disabilità intellettive vivono la relazione con Dio nell’immediatezza della loro intuizione ed è necessario e dignitoso accompagnarle nella vita di fede». Questa affermazione recepisce lo sviluppo di una più adeguata comprensione dell’esperienza di fede. Anche sotto il profilo teologico, la disabilità psichica — e talvolta fisica, ad esempio uditiva e visiva — pone problema a un certo concetto di fede, che sembra afferire primariamente, se non esclusivamente, alle forme di relazione basate sull’intelletto, poiché tradizionalmente si è intesa la razionalità come l’immagine di Dio impressa nell’uomo. Invece, esiste la dimensione affettiva del cuore, costitutivamente propria della persona, mediante la quale è possibile per tutti sentirsi amati, e quindi entrare in relazione anche con Dio. Se la percezione di Dio non fosse una questione di cuore e di affetto — senza ridursi al solo sentimento, naturalmente — quante persone ne rimarrebbero escluse? Forse proprio le più sensibili e vulnerabili, quelle cioè che percepiscono, sentono, avvertono interiormente prima di capire razionalmente. In questa prospettiva, il Direttorio suggerisce di adottare «dinamiche e linguaggi esperienziali che implichino i cinque sensi e percorsi narrativi capaci di coinvolgere tutti i soggetti in maniera personale e significativa», e di preparare catechisti formati in modo specifico, capaci soprattutto di vicinanza alle famiglie di queste persone speciali.

L’ultimo numero della sezione fa due passi coraggiosi, già anticipati in occasione di un convegno svoltosi a Roma dal 20 al 22 ottobre 2017, i cui atti sono pubblicati dal medesimo Pontificio Consiglio col titolo: Catechesi e persone con disabilità. Un’attenzione necessaria nella vita quotidiana della Chiesa. È il tema della «pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di disturbi gravi» per i disabili, con la chiara conclusione: «nessuno quindi può rifiutare i sacramenti alle persone con disabilità». Di conseguenza, si raccomanda la loro inclusione pastorale nella liturgia domenicale, con la preghiera e l’annuncio della parola. Vi è poi un altro passo, relativo al protagonismo nell’evangelizzazione delle persone con bisogni speciali, che chiede un vero salto di qualità alle nostre comunità: «È auspicabile che loro stesse possano essere catechisti e, con la loro testimonianza, trasmettano la fede in modo più efficace». Molto in questo senso è già stato fatto dall’Ufficio per la pastorale della disabilità della Conferenza episcopale italiana, ma molto ancora resta da fare nelle nostre parrocchie.

Per entrare in questa prospettiva pastorale occorre imparare a riconoscere e a valorizzare quel punto di vista altro — in più, non in meno, proprio perché speciale — che Papa Francesco metteva in evidenza dopo il Sinodo sui giovani: «Il desiderio di vivere e di fare esperienze nuove riguarda specialmente molti giovani in condizione di disabilità fisica, psichica e sensoriale. Essi, anche se non possono fare sempre le stesse esperienze dei coetanei, hanno risorse sorprendenti, inimmaginabili, che talvolta superano quelle comuni. Il Signore Gesù li ricolma di altri doni, che la comunità è chiamata a valorizzare, perché possano scoprire il suo progetto d’amore per ciascuno di loro» (Christus vivit 149).

di Maurizio Gronchi / Osservatore Romano

Disabili. In Romagna un’estate dopo il Covid nel segno dell’inclusione

da Avvenire

«Spiagge grandi come il nostro cuore, mare aperto come i nostri abbracci, terre sicure come il nostro amore». Quello della Romagna non è solo uno spot (con il volto e la voce del comico Paolo Cevoli) ma una vera e propria dichiarazione d’amore per gli ospiti nell’estate post coronavirus.

Distanziamento? Disposizioni? Igienizzazione costante? «Come prima, più di prima»: cita un classico della canzone italiana Davide Turci dell’Hotel Aurea. Il distanziamento in spiaggia? «È un valore aggiunto, c’è più spazio tra un ombrellone e l’altro (l’ordinanza comunale prevede fino a 18 metri, ndr). Sabbia, sole e mare aspettano i turisti in totale sicurezza». Di più: il caso Covid può essere l’occasione per rilanciare l’immagine di una Riviera romagnola accessibile, inclusiva e con servizi su misura per i più fragili.

Chi l’ha detto infatti che a Rimini, nell’estate dopo la pandemia, non si possa aprire un ombrellone, servire un caffè sulla brandina o adagiare un moscone in acqua con un’attenzione particolare alle fragilità sociali? Ragazzi con sindrome di Down e disabilità intellettiva, alcuni in tirocinio, altri regolarmente assunti: sono i protagonisti di “Marina C’Entro”, progetto di inclusione sociale e lavorativa lanciato dai bagnini del Consorzio Marina Centro di Rimini che rende i loro stabilimenti ad alta responsabilità sociale. Persone con disabilità intellettiva possono diventare dei veri professionisti del turismo: aiuto-bagnini, animatori, addetti alla ristorazione. «Il nostro impegno è teso a far sì che la spiaggia diventi sempre più uno spazio di impresa aperto alla comunità, sensibile ad azioni di responsabilità sociale» assicura il presidente Fabrizio Pagliarani.

Chi non è neppure stato sfiorato dal timore del contagio è il fratino. Diventato “famoso” lo scorso anno per aver rischiato la vita nei giorni del JovaBeach Party, anche in questo inizio estate questo piccolo, suggestivo trampoliere è tornato a nidificare sulle spiagge riminesi. La sua è una presenza importante: “certifica” che la spiaggia è pulita. «Prudenza e testa per ripartenza e festa» fa la rima il sindaco di Rimini per fotografare l’estate 2020.

Restano da rispettare le regole del distanziamento, della mascherina ove non è possibile mantenere la distanza di almeno un metro e il divieto di assembramento, ma anche le spiagge libere hanno già iniziato ad accogliere i turisti. A Riccione sono 17, quella di piazzale Roma ha 160 postazioni con un presidio di volontari che informano i vacanzieri e li indirizzano verso le giuste postazioni. A Rimini segnaletiche dedicate, accorgimenti riepilogati in pannelli informativi, passerelle e percorsi a terra agevolano gli spostamenti. Pulizia quotidiana e igienizzazione costante dei servizi igienici è garantita dal Comune, come pure la presenza di steward di spiaggia.

I bagnini assicurano che «i prezzi restano invariati, cancellati solo i super sconti cumulativi» avverte Mauro Vanni, presidente coop Bagnini Rimini sud. Qualche hotel è ancora incerto sull’apertura, alcuni si sono arresi, altri alzeranno le serrande più tardi. L’associazione nazionale lavoratori stagionali lancia l’allarme: «C’è il rischio che 20mila stagionali restino a piedi». Anche nell’incertezza, in ogni caso, la Riviera riminese investe e innova.

Un esempio? Pergolato e area giardino spuntano dal “Bagno 43” di Viserbella che si è rifatto il look appena in tempo per l’apertura. Sempre rispettando il distanziamento, sono spuntate sei “Tende suite” e sono state mandate in pensione le vecchie cabine, sostituite con strutture ecosostenibili, di acciaio e legno, posizionate su pioli, stile palafitta. Lo stabilimento vanta persino un piccolo “Museo della marineria”: in mostra attrezzature marinare, reti per la pesca “alla tratta”, foto d’antan. Visto che si può cenare o spizzicare in spiaggia, due ingegnosi falegnami di Santarcangelo, Alessandro Baldacci e Dennis Raggini, hanno ideato il tavolo per mangiare sotto l’ombrellone. Rotondo, smontabile, ingegnoso: un vero “disco per l’estate”…