Disabilità: quello che resta da fare

di: Samuele Pigoni
settimananews.it

Come vengono rappresentate le persone con disabilità nel mondo dei media? -  AccessiWay

Oggi siamo lontani dalla segregazione e dalla violenza che portarono alla chiusura dei manicomi e alla rivoluzione di Franco Basaglia, ma il percorso per promuovere i diritti, il benessere e la piena dignità delle persone con disabilità è una rivoluzione non ancora terminata.

Il 3 dicembre si è celebrata in tutto il mondo la Giornata dedicata alle persone con disabilità, per promuoverne i diritti, il benessere e la piena dignità. È una data della quale tendenzialmente si accorgono e celebrano solamente le persone con disabilità, i familiari, gli addetti ai lavori, gli e le attivisti/e.

Eppure sono passati ormai 60 anni dai primi movimenti per i diritti delle persone con disabilità, dai primi disabilitiesstudies che hanno chiarito come le disabilità non siano più un ambito relegabile alla dimensione medica della cura e della protezione, essendo prima di tutto una questione di ordine sociale e di cittadinanza.

Va ricordato che con la Legge 3 marzo 2009, n.18 il parlamento italiano autorizzava la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e che la Convenzione, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, rappresenta un risultato definitivo raggiunto dalla comunità internazionale in quanto strumento internazionale vincolante per gli Stati.

La Convenzione si inserisce nel più ampio contesto della tutela e della promozione dei diritti umani e conferma una volta per tutte in favore delle persone con disabilità i princìpi fondamentali di pari opportunità, di non discriminazione, di esigenza di pieni diritti di cittadinanza sulla base dei princìpi di autodeterminazione e uguaglianza con tutti. A tal fine la Convenzione modifica alla radice la definizione di disabilità promuovendone una diversa concettualizzazione che si fa mobile, sociale e relazionale.

Mobile perché si definisce come “un concetto in evoluzione” (preambolo), non definita a partire da un qualche ancoraggio bio-medico ma sottoposta al variare dello sguardo storico che la anima (il disabile è stato nelle epoche “mostruoso”, “deforme”, “subnormale”, “handicappato”); sociale, laddove dichiara che «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con tutti» (art. 1 comma 2); relazionale, in quanto territorio di relazioni di potere tra lo sguardo abile della maggioranza disciplinante e il corpo disabile, disabilitato e discriminato (quando non segregato) da barriere materiali e immateriali.

E su questo la Convenzione è chiara, per “discriminazione fondata sulla disabilità” – infatti – si intende: «qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo» (art. 2).

È discriminante tutto ciò che preclude il set di opportunità concrete che permettono di desiderare e vedere realizzata una vita nel mondo di tutti, a prescindere dalle caratteristiche individuali.

La Convenzione dispone che ogni Stato presenti un rapporto dettagliato sulle misure prese per adempiere ai propri obblighi e sui progressi conseguiti al riguardo. La legge italiana di ratifica della Convenzione ha istituito l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità che ha, tra gli altri, il compito di promuovere l’attuazione della Convenzione ed elaborare il rapporto dettagliato sulle misure adottate di cui all’art. 35 della stessa Convenzione, in raccordo con il Comitato interministeriale dei diritti umani (Cidu).

Siamo lontani dalla segregazione e dalla violenza che portarono alla chiusura dei manicomi e alla rivoluzione di Franco Basaglia, ma il percorso di de-istituzionalizzazione fisica e immaginale, il riconoscimento alla persona con disabilità del diritto a una vita indipendente e progettata sulla base dell’uguaglianza con tutti, è una rivoluzione non terminata.

Un percorso che oggi è attuale e necessario e che investe i temi della casa in cui vivere, del lavoro cui aspirare, dell’affettività e della sessualità, del rapporto con la famiglia e dei dispositivi attuativi a disposizione dei sistemi socio-sanitari.

Siamo di fronte a un cambio di passo decisivo nella rappresentazione culturale delle disabilità (e per converso: delle abilità), nel riassetto dei servizi e dispositivi giuridici preposti alla tutela dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità, nei dispositivi pratici, educativi, relazionali con i quali costruire le capacità dei contesti (lavoro, scuola, quartiere) di eliminare le enormi barriere materiali e soprattutto immateriali residue. Barriere che abbiamo conficcate nello sguardo, molto spesso, anche in quello animato dalle migliori intenzioni.

Pubblicato sul sito della rivista Confronti. L’autore è direttore della Fondazione Time2, si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.

Le persone con disabilità non sempre riescono ad essere ascoltate dalle istituzioni nei bisogni che manifestano

Le istituzioni e l’obbligo di abbattere ogni tipo di barriera: il presidente dell’Inps scrive ad “Avvenire”

Sì, per le persone con disabilità va migliorata la comunicazione

Digitalizzazione dei servizi, certificati online, «disability card», accordi con gli ospedali e convenzioni con le Regioni: molti i passi avanti Ma serve fare di più, con sensibilità e vicinanza

Caro direttore, di fronte alle disabilità le istituzioni hanno l’obbligo di non restare inerti e hanno il dovere di abbattere barriere. Ovviamente, le barriere non sono solo quelle architettoniche o logistiche che ostacolano chi sia con disabilità fisica, ma soprattutto quelle che nelle pieghe di norme, procedure, prassi e approcci delle pubbliche amministrazioni possano non tener conto delle specifiche esigenze delle persone con disabilità o dei loro familiari. Per tutti loro, ancor più che per altri, la parola “diritti” deve andare di pari passo con quella di “dignità”. Certamente, alcuni passi avanti sono stati fatti in questi ultimi anni, spesso grazie al continuo stimolo di associazioni, di singoli casi di cronaca portati all’attenzione mediatica o della caparbietà di alcuni disabili o loro familiari. Ma è ancora troppo poco.

Leggendo nei giorni scorsi sulle pagine di questo giornale una profonda e sentita testimonianza di Antonio Maria Mira, padre e fratello di persone con disabilità oltre che giornalista di grande sensibilità ed esperienza, ho riflettuto ancora una volta su quanto un Istituto come l’Inps – che presiedo dal 2019 – abbia cercato di fare in questi anni per semplificare l’accesso a prestazioni e procedure, anche a vantaggio delle persone con disabilità fisica o cognitiva. Penso alla forte spinta alla digitalizzazione dei servizi, che permette di operare e interagire da remoto con l’istituto per le domande e le certificazioni; penso alla possibilità, dal 2020-21, di accertare la malattia attraverso la valutazione “agli atti”, cioè inviando online i certificati medici specialistici anziché andare a visita, con una grande semplificazione per i disabili e le loro famiglie; penso alla disability card introdotta nel 2021, una card magnetica con un QR code che evita ai disabili di girare con documenti, di avere invece tutto in tasca – autorizzazioni, permessi, sconti, accessi agevolati al sistema cultura – con una carta che rimane sempre aggiornabile. P enso ai numerosi accordi fatti con tanti ospedali specialistici nel Paese, da Nord a Sud, al fine di favorire la trasmissione dei certificati da parte dei medici direttamente dall’ospedale accedendo ai nostri portali, evitando ai disabili e alle loro famiglie ulteriori barriere e “dolore” burocratico dopo il dramma della diagnosi di una malattia. Penso alle convenzioni che abbiamo già con sette Regioni in Italia che evitano il doppio livello di accertamenti della malattia, da parte dell’Asl e da parte dell’Inps. Purtroppo, questo doppio controllo è reso necessario nelle altre Regioni senza convenzione, poiché le Regioni non vogliono rinunciare a una loro prerogativa in materia sanitaria, data loro direttamente dal Titolo V della Costituzione. Una questione sicuramente da affrontare e da sanare. Tutto questo ci ha permesso di abbattere i tempi di accertamento e liquidazione della prestazione, oggi inferiori ai trenta giorni nelle Regioni in convenzione. N on basta, certo. Non sempre le comunicazioni della pubblica amministrazione riescono a mettere in campo la giusta sensibilità e attenzione verso le specifiche esigenze di ciascuna situazione. Talvolta diverse amministrazioni viaggiano su binari paralleli e non comunicano tra loro nelle iniziative o senza un agile coordinamento delle prestazioni. Anche l’Inps ha commesso errori in alcuni casi. Io stesso ho personalmente chiesto scusa per alcune “insensibilità” e ritardi. C ome Istituto, possiamo concedere una prestazione – in assoluto, per chiunque – solo a seguito di una domanda e di una verifica dei rispettivi requisiti previsti. Nel caso di persone con disabilità, questi passaggi possono essere percepiti e risultare praticamente più complicati, ostili, indelicati. Ma è anche probabile che in molti non conoscano neanche di poter aver accesso ad alcune prestazioni o che non riescano ad avere un adeguato supporto per completare e veder seguita al meglio la loro domanda, o ottenere nel tempo degli adeguamenti. Questo non è facilmente gestibile per le persone con invalidità e può diventare ancora più “faticoso” per i familiari di coloro che debbono già vivere le complessità di un bambino o un adulto con disabilità psicofisiche.

Non tutte le disabilità sono uguali, ci ricordava limpidamente e duramente Mira per esperienza vissuta, e certo sul fronte del miglioramento dei canali di comunicazione, dei servizi pubblici e dell’approccio professionale verso coloro che portano sulle loro spalle un “peso diverso” abbiamo il dovere morale e istituzionale di fare di più. Mio padre, sordo-muto, imparò a parlare, o meglio a dire qualche parola, dopo di me. Fu necessario scoprire, a fine anni Settanta, che la sua sordità era di impedimento alla sua parola, e solo dopo che la Mutua gli fornì un apparecchio acustico, poté iniziare a parlare. Ma questo ritardo gli causò un danno permanente, irrimediabile. D obbiamo ogni tanto fermarci, anche quando collaboriamo all’implementazione di una norma e di una procedura, quando offriamo servizio allo sportello, quando organizziamo delle visite mediche o dei controlli amministrativi, quando formiamo il personale, e pensare a come rendere più chiare e fluide situazioni già enormemente faticose da affrontare per persone con disabilità e dai loro familiari, ascoltando le loro particolari necessità, analizzando l’impatto sul loro vissuto. In alcuni casi, basterebbe anche solo un po’ più di dialogo, di comprensione, di attenzione specifica a cittadini che chiedono adeguata dignità e riconoscimento, nel rispetto di valori che sono il cardine della nostra Costituzione.

D obbiamo riprendere la riforma della disabilità avviata nel 2021 con una legge delega, ispirata alla Convenzione Onu sulla disabilità ratificata nel 2009, la quale prevede che le menomazioni vadano valutate nel contesto ambientale del disabile avendo riguardo alla presenza delle tante “barriere” nelle nostre comunità. A tale valutazione di “base” seguirà un “accertamento multidimensionale individuale” finalizzato alla completa inclusione sociale del disabile sulla base di una piena eguaglianza dei diritti. Dobbiamo assicurare a ogni persona con disabilità il reinserimento nella società: rafforzando il collocamento mirato, assicurando un progetto personalizzato per ogni persona disabile, aggiungendo alla prestazione monetaria, servizi di riabilitazioni e di ricreazione presso centri, comunità, Comuni.

È per fortuna finita la “caccia al falso invalido” o al cieco perché scoperto “in flagranza mentre ballava”. Oggi ogni persona con disabilità invece deve essere incoraggiata verso possibili processi di autonomia, di lavoro, di godimento del tempo libero, e questo non deve essere motivo di rifiuto della prestazione monetaria per la disabilità. Su questo l’Inps oggi è fortemente orientato, con sensibilità e vicinanza. Ancor di più deve essere fatto per accompagnare coloro che sono con disabilità psichiche, ascoltando e aiutando a 360 gradi i loro familiari, che affrontano ogni giorno ostacoli inimmaginabili per la dignità dei loro cari.

Presidente dell’Inps

Buone pratiche. «Grazie a Tobia capiamo e quindi curiamo anche i disabili più fragili»

Il racconto del dottor Stefano Capparucci che ha portato a Roma al San Camillo/Forlanini il metodo che rende possibili gli esami anche per pazienti autistici non collaborativi. In tre anni 680 casi
«Grazie a Tobia capiamo e quindi curiamo anche i disabili più fragili»

Come ad esempio quel ragazzo di 21 anni, affetto da autismo, che si prendeva a pugni in faccia. Problema psichiatrico, aveva diagnosticato qualcuno, e l’avevano “imballato” di farmaci. Un giorno i genitori sentono parlare di Tobia e portano il figlio al San Camillo-Forlanini: «Ci dicono che digrignava i denti, ingoiava bocconi interi. E si picchiava», racconta il dottor Stefano Capparucci: «Gli diamo un sedativo e approfittiamo del “momento magico” per visitarlo in più specialisti. Per il gastroenterologo non ha nulla. L’odontoiatria invece scopre che ha ben 19 radici dei denti spezzati. E quindi diversi nervi scoperti. Gliene estrae subito 9. Dopo pochi giorni aveva smesso di picchiarsi. Lo faceva per scacciare i suoi dolori con un dolore più grande».

Tobia non è un mago, né un taumaturgo. O forse sì. Tobia è l’acronimo di Team operativo bisogni individuali assistenziali, il progetto creato all’ospedale San Camillo-Forlanini dal dottor Capparucci, fisioterapista, che ha realizzato a Roma un progetto di Sanità pubblica innovativo che ha cambiato la vita in meglio a 680 pazienti con gravi disabilità. E sta per decollare in altri dodici ospedali del Lazio.
«In realtà Tobia esiste – dice Capparucci – ed era un mio amico di 40 anni che quando non riusciva ad andare al bagno si colpiva violentemente sugli occhi. Fu il primo. In ospedale chiesi ai colleghi una corsia preferenziale perché quelli come lui non sono capaci di sopportare il minimo dolore o l’attesa». Poi, tre anni fa, va a studiare il modello che a Milano da anni Filippo Ghelma aveva attivato all’ospedale San Paolo.

«Lo chiamano Dama, Disabled advanced medical assistance. Non mi sono inventato niente – minimizza Capparucci – ho solo adattato questa buona pratica al nostro antico ospedale con dieci padiglioni».
Oggi è un protocollo per un rapporto personalizzato col paziente. «Spesso facciamo esami senza sedazione. Stiamo imparando un nuovo alfabeto della comunicazione, le chiavi giuste. Noi sanitari siamo spesso “analfabeti”, se va bene tutti i disabili vengono trattati come bambinoni. Ma nell’autismo ci sono persone ad alto funzionamento, molto più intelligenti di me. Bisogni farsi guidare dai genitori e dai caregiver».

Tobia è un team di quattro medici, senza grandi mezzi, che però compie miracoli grazie a una sinergia di specialisti. «A mani nude e senza bacchette magiche, riusciamo a fare cose apparentemente difficili. Oggi è arrivato un ragazzo di 18 anni che non aveva mai fatto un prelievo del sangue. In un pronto soccorso l’avevano persino legato con un lenzuolo, senza combinare nulla. In mezz’ora, senza sedarlo ma con procedure relazionali, avevamo finito».

Il creatore di Tobia cita una frase di Edoardo Cernuschi, primo presidente della Lehda, Lega per i diritti delle persone con disabilità: «“Una persona con grave disabilità soffre due volte: per il dolore e per l’incapacità di esprimerlo”. Noi oggi – dice – registriamo un sollievo enorme tra i familiari. Tobia è una stampella importante per il “dopo di noi”. Tanti vorrebbero tenere a casa questi figli ma le difficoltà sanitarie li costringono a istituzionalizzarli. E siamo un punto di riferimento anche per tanti istituti. Ora anche alla Regione Lazio hanno aperto gli occhi» e nel 2023 avvierà la formazione del personale per portare Tobia in almeno altri dodici ospedali, uno per ciascuna Asl. «Cresce una rete nazionale Tobia/Dama, assieme a Milano, Mantova, Empoli, Bari. È un bisogno di salute che va garantito ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione. Dobbiamo rafforzare questo anello debole della catena del Servizio sanitario».

Non fare esami accorcia la vita a molti disabili. «Uno studio del Regno Unito parla di “morti evitabili”, spesso ci si limita a cure sintomatiche, e poi molti muoiono senza apparente motivo». Capparucci tra sei mesi andrà in pensione: «Ho chiesto, ma non mi fanno rimanere. Ma Tobia è ben strutturato e non si torna indietro. Ho realizzato il mio secondo sogno, vedere che in un ospedale pubblico è possibile cambiare l’attitudine per una relazione umana gentile degli operatori. Che poi è l’approccio che vorremmo tutti».

Avvenire

Speciali. Tv2000 e inBlu per la Giornata internazionale delle persone con disabilità

In televisione e in radio una programmazione dedicata in particolare alla promozione dei diritti dei disabili e delle loro famiglie
Il 3 dicembre si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità

Il 3 dicembre si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità – Archivio

In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità Tv2000 e Radio inBlu, il 3 dicembre, presenteranno una programmazione speciale focalizzata alla promozione dei diritti dei disabili e delle loro famiglie.

Sabato 3 dicembre

Sabato 3 dicembreGiornata internazionale delle persone con disabilità, alle ore 8.30 in diretta la Messa presieduta da monsignor Giuseppe Baturi, segretario della Conferenza Episcopale Italiana, dall’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro. Servizi, interviste e approfondimenti nelle edizioni quotidiane del Tg2000 e del Giornale Radio.

La maratona televisiva del sabato prosegue con servizi, approfondimenti, rubriche, storie e testimonianze. E alle ore 21.10 in onda il film ‘Jewel: Tutto per mia figlia’, diretto da Paul Shapiro con Farrah Fawcett e Patrick Bergin: la storia di una madre di quattro figli che lotta per far crescere la propria figlia con la sindrome di Down, cercando di superare difficoltà e incomprensioni.

Nell’approfondimento di Radio inBlu2000, sempre sabato 3 dicembre alle ore 10, a ‘Magazine InBlu2000’, Marta Squicciarini intervista Francesca Fedeli, che, con Roberto D’Angelo, è l’ideatrice di FightTheStroke.org, fondazione che supporta la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus e con paralisi cerebrale infantile.

Avvenire