LA PAROLA 2 febbraio 2016 Martedì Presentazione del Signore

(f)
4.a Tempo Ordinario – P
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo
Liturgia: Ml 3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

PREGHIERA DEL MATTINO
In questa festa della luce donami, o Signore, la fedeltà di Maria e la sua capacità di abbracciare la croce, la trasparenza della fede del vecchio Simeone e la capacità di parlare di te della profetessa Anna che ti offrì la sua vita nella lode e nel servizio. Aiuta oggi, o Signore, in modo particolare tutti i più anziani, rendili capaci di continuare a vivere in te, sapendo accettare con serenità il compiersi del tempo. Da’ a tutti la gioia della consapevolezza del cammino verso la Luce.

ANTIFONA D’INGRESSO
Abbiamo accolto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio. Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estende ai confini della terra: di giustizia è piena la tua destra.

COLLETTA
Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te pienamente rinnovati nello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

PRIMA LETTURA (Ml 3,1-4)
Entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate.
Dal libro del profeta Malachia
Così dice il Signore Dio: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.
Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani”.
Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE (Dal Salmo 23)
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.

SECONDA LETTURA (Eb 2,14-18)
Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli.
Dalla lettera agli Ebrei
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura.
Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO (Lc 2,30.32)
Alleluia, alleluia.
I miei occhi han visto la tua salvezza:
luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele.
Alleluia.

VANGELO (Lc 2,22-40)
I miei occhi hanno visto la tua salvezza.
+ Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui.
Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Parola del Signore.

OMELIA
L’episodio della presentazione di Gesù al tempio è pieno di personaggi e rappresenta una antologia di tutti i misteri contemplati nell’Incarnazione e nella Natività. Gesù si reca alla casa del Padre dove incontra Simeone che, spinto dallo Spirito Santo, preannuncia la Passione e la Resurrezione di Cristo e il suo piano eterno di salvezza. Nell’ultima espressione di San Luca, abbiamo anche l’umanità di Gesù, che cresce; abbiamo l’umanità di Maria che partecipa alla Passione di Cristo; abbiamo l’umanità di Giuseppe che provvede a formare con Gesù ed a Maria una famiglia terrena, luogo e palestra di crescita spirituale ed umana. In poche parole vediamo un legame unico tra il Figlio e la madre; vediamo anche la loro diversità. Maria è la piena di grazia; la creatura prescelta per essere il tabernacolo vivente del Cristo, Figlio del Dio vivente, è salutata così dall’angelo. Una legame naturale e soprannaturale lega Maria con Gesù. Un legame che si rafforza proprio nel tempo nel quale Gesù, umanamente, cresceva e si fortificava nella famiglia di Nazareth. Gesù, che non è stato informato dalla Grazia, ma ha la grazia per natura; in Lui e nella sua preesistenza, non vi è predestinazione e non vi è scelta; nella sua natura Divina, Egli è l’artefice della grazia che saprà donarci con la sua Morte e Resurrezione. Gesù è la Sapienza incarnata ed eterna e che nella sua umanità, pieno di sapienza, cresce e si fortifica nell’amore di famiglia che lo accolto nella fede. Il vangelo di oggi ispira l’esortazione di Giovanni Paolo II: «famiglia, diventa ciò che sei!». (Padri Silvestrini)

PREGHIERA SULLE OFFERTE
Accogli, o Padre, i nostri doni e guarda la tua Chiesa, che per tuo volere ti offre con gioia il sacrificio del tuo unico Figlio, Agnello senza macchia per la vita del mondo. Per Cristo nostro Signore.

ANTIFONA ALLA COMUNIONE
I miei occhi hanno visto la salvezza, da te preparata davanti a tutti i popoli.

PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE
O Dio, che hai esaudito l’ardente attesa del santo Simeone, compi in noi l’opera della tua misericordia; tu che gli hai dato la gioia di stringere tra le braccia, prima di morire, il Cristo tuo Figlio, concedi anche a noi con la forza del pane eucaristico di camminare incontro al Signore, per possedere la vita eterna. Per Cristo nostro Signore.

PREGHIERA DELLA SERA
Signore, eccomi. Oggi mi sono liberato, almeno un poco, della tendenza egoista che mi spinge a dimenticarti, a comportarmi come se tu non esistessi, come se l’unico scopo della mia vita fosse il mio successo. Dopo il felice giorno del mio battesimo, tu abiti misteriosamente, silenziosamente con me e in me. Cosa sarei senza di te? Cosa potrei senza di te? Dove andrei senza di te? Te ne supplico, Signore, resta sempre in me.

la parola di cristo

Capire e realizzare i progetti di Dio. Santo del Giorno 6 Febbraio

Francesco Spinelli – Santo del Giorno 6 Febbraio

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Capire e realizzare i progetti di Dio

Difficoltà e incomprensioni non possono fermare un progetto che viene dal cuore di Dio. È questo, forse, il messaggio spirituale più importante del sacerdote beato Francesco Spinelli. Nato a Milano nel 1853, viene ordinato prete nel 1875. A Roma ha un visione: una moltitudine di donne che adorano l’Eucaristia. Capisce che progetto Dio, ma attende il momento giusto per realizzarlo. Ciò avviene a San Gervasio d’Adda, dove incontra Caterina Comensoli, giovane desiderosa di spendersi in una congregazione dedita all’adorazione dell’Eucaristia. Nel 1882 nasce il primo nucleo delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento. Ma il cammino di don Spinelli è segnato anche da incomprensioni ed equivoci. Morirà nel 1913.
Altri santi. San Guarino di Palestrina, vescovo (1080-1158); san Paolo Miki e compagni, martiri (XVI sec.).
Letture. Eb 12,4-7.11-15; Sal 102; Mc 6,1-6. Ambrosiano. Sap 13,1-9; Sal 51; Mc 11,12-14.20-25.

avvenire.it

Il Papa all’udienza generale: anche gli atei desiderano vedere il volto di Dio

Benedetto XVI, durante l’odierna udienza generale nell’Aula Paolo VI, ha svolto una catechesi sulla rivelazione del volto di Dio. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum – ha ricordato – afferma che l’intima verità di tutta la Rivelazione di Dio risplende per noi «in Cristo, che è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la Rivelazione» (n. 2). “L’Antico Testamento – ha proseguito – ci narra come Dio, dopo la creazione, nonostante il peccato originale, nonostante l’arroganza dell’uomo di volersi mettere al posto del suo Creatore, offre di nuovo la possibilità della sua amicizia, soprattutto attraverso l’alleanza con Abramo e il cammino di un piccolo popolo, quello di Israele, che Egli sceglie non con criteri di potenza terrena, ma semplicemente per amore. E’ una scelta che rimane un mistero e rivela lo stile di Dio che chiama alcuni non per escludere altri, ma perché facciano da ponte nel condurre a Lui”. “Nella storia del popolo di Israele possiamo ripercorrere le tappe di un lungo cammino in cui Dio si fa conoscere, si rivela, entra nella storia con parole e con azioni. Per questa opera Egli si serve di mediatori, come Mosè, i Profeti, i Giudici, che comunicano al popolo la sua volontà, ricordano l’esigenza di fedeltà all’alleanza e tengono desta l’attesa della realizzazione piena e definitiva delle promesse divine”.

Nel Santo Natale – ha detto – la Rivelazione di Dio giunge al suo culmine, alla sua pienezza: “In Gesù di Nazaret, Dio visita il suo popolo, visita realmente l’umanità in un modo che va oltre ogni attesa: manda il suo Figlio Unigenito” che si fa uomo. “Gesù non ci dice qualcosa di Dio, non parla semplicemente del Padre”, ma “ci rivela il volto di Dio. Nel Prologo del suo Vangelo, San Giovanni scrive: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18)”.

Il Papa si è quindi soffermato su questo “rivelare il volto di Dio”. A questo riguardo – ha sottolineato – san Giovanni, nel suo Vangelo, ci riporta un fatto significativo: “Avvicinandosi la Passione, Gesù rassicura i suoi discepoli invitandoli a non avere timore e ad avere fede; poi instaura un dialogo con loro nel quale parla di Dio Padre (cfr Gv 14,2-9). Ad un certo punto, l’apostolo Filippo chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). Filippo è molto pratico e concreto” chiedendo di “vedere” il Padre, di vedere il suo volto. La risposta di Gesù – ha aggiunto – “ci introduce nel cuore della fede cristologica; il Signore afferma: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). In questa espressione si racchiude sinteticamente la novità del Nuovo Testamento, quella novità che è apparsa nella grotta di Betlemme: Dio si può vedere, Dio ha manifestato il suo volto, è visibile in Gesù Cristo”.

In tutto l’Antico Testamento – ha aggiunto – è ben presente il tema della ricerca del volto di Dio, “tanto che il termine ebraico pānîm, che significa “volto”, vi ricorre ben 400 volte, 100 delle quali riferite a Dio”. Eppure “la religione ebraica, proibendo del tutto le immagini, perché Dio non si può rappresentare”, come invece facevano i popoli vicini con l’adorazione degli idoli, “sembra escludere totalmente il ‘vedere’ dal culto e dalla pietà. Che cosa significa allora, per il pio israelita” – si chiede il Papa – cercare il volto di Dio, pur nella consapevolezza che non può esserci alcuna immagine di Lui? La domanda è importante, afferma: “da una parte si vuole dire che Dio non si può ridurre ad un oggetto”, ma “neppure si può mettere qualcosa al posto di Dio; dall’altra, però, si afferma che Dio ha un volto, cioè è un «Tu» che può entrare in relazione, che non è chiuso nel suo Cielo a guardare dall’alto l’umanità. Dio è certamente sopra ogni cosa, ma si rivolge a noi, ci ascolta, ci vede, parla, stringe alleanza, è capace di amare. La storia della salvezza è la storia di Dio con l’umanità, la storia di questo rapporto di Dio che si rivela progressivamente all’uomo, che fa conoscere il suo volto”.

Il Papa ricorda la bellissima preghiera di benedizione sul popolo ascoltata nella liturgia del 1° gennaio: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). “Lo splendore del volto divino – ha spiegato – è la fonte della vita, è ciò che permette di vedere la realtà; la luce del suo volto è la guida della vita. Nell’Antico Testamento c’è una figura a cui è collegato in modo del tutto speciale il tema del “volto di Dio”; si tratta di Mosé, colui che Dio sceglie per liberare il popolo dalla schiavitù d’Egitto, donargli la Legge dell’alleanza e guidarlo alla Terra promessa. Ebbene, nel capitolo 33 del Libro dell’Esodo, si dice che Mosé aveva un rapporto stretto e confidenziale con Dio: «Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (v. 11). In forza di questa confidenza, Mosè chiede a Dio: «Mostrami la tua gloria!», e la risposta di Dio è chiara: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome… Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo… Ecco un luogo vicino a me… Tu vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (vv. 18-23). Da un lato, allora, c’è il dialogo faccia a faccia come tra amici, ma dall’altro c’è l’impossibilità, in questa vita, di vedere il volto di Dio, che rimane nascosto; la visione è limitata”. Alla fine – ha sottolineato il Papa – Dio lo si può solo seguire, vedendo le sue spalle”.

“Qualcosa di completamente nuovo – ha proseguito – avviene, però, con l’Incarnazione. La ricerca del volto di Dio riceve una svolta inimmaginabile, perché questo volto si può ora vedere: è quello di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo. In Lui trova compimento il cammino di rivelazione di Dio iniziato con la chiamata di Abramo, Lui è la pienezza di questa rivelazione perché è il Figlio di Dio, è insieme «mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione” (Cost. dogm. Dei Verbum, 2), in Lui il contenuto della Rivelazione e il Rivelatore coincidono. Gesù ci mostra il volto di Dio e ci fa conoscere il nome di Dio. Nella Preghiera sacerdotale, nell’Ultima Cena, Egli dice al Padre: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini… Io ho fatto conoscere loro il tuo nome» (cfr Gv 17,6.26). L’espressione «nome di Dio» significa Dio come Colui che è presente tra gli uomini. A Mosè, presso il roveto ardente, Dio aveva rivelato il suo nome, cioè si era reso invocabile, aveva dato un segno concreto del suo «esserci» tra gli uomini. Tutto questo in Gesù trova compimento e pienezza”: Egli – rileva – inaugura un nuovo modo di presenza di Dio nella storia, “perché chi vede Lui, vede il Padre, come dice a Filippo (cfr Gv 14,9). Il Cristianesimo – afferma san Bernardo – è la «religione della Parola di Dio»; non, però, di «una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Hom. super missus est, IV, 11: PL 183, 86B). Nella tradizione patristica e medioevale si usa una formula particolare per esprimere questa realtà: Gesù è il Verbum abbreviatum (cfr Rm 9,28, riferito a Is 10,23), il Verbo abbreviato, è la Parola breve, abbreviata e sostanziale del Padre, che ci ha detto tutto di Lui”.

Benedetto XVI ha quindi osservato che “in Gesù anche la mediazione tra Dio e l’uomo trova la sua pienezza. Nell’Antico Testamento vi è una schiera di figure che hanno svolto questa funzione, in particolare Mosè, il liberatore, la guida, il “mediatore” dell’alleanza, come lo definisce anche il Nuovo Testamento (cfr Gal 3,19; At 7,35; Gv 1,17). Gesù, vero Dio e vero uomo, non è semplicemente uno dei mediatori tra Dio e l’uomo, ma è “il mediatore” della nuova ed eterna alleanza (cfr Eb 8,6; 9,15; 12,24); «uno solo, infatti, è Dio – dice san Paolo – e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5; cfr Gal 3,19-20). In Lui noi vediamo e incontriamo il Padre; in Lui possiamo invocare Dio con il nome di “Abbà, Padre”; in Lui ci viene donata la salvezza”.

“Il desiderio di conoscere Dio realmente – ha quindi detto parlando a braccio – cioè di vedere il volto di Dio, è insito in ogni uomo, anche negli atei, e noi abbiamo forse inconsapevolmente questo desiderio di vedere semplicemente che ‘è’, che è per noi. Ma questo desiderio si realizza seguendo Cristo: così vediamo le spalle e vediamo infine anche Dio come amico, il suo volto nel volto di Cristo”.

E’ importante – ha aggiunto – che seguiamo Cristo, “non solo quando ne abbiamo bisogno, quando troviamo uno spazio di tempo nelle nostre occupazioni quotidiane, ma con la vita”. “E’ l’intera esistenza che deve essere orientata all’incontro con Lui, all’amore verso di Lui; e, in essa, un posto centrale lo deve avere l’amore al prossimo, quell’amore che, alla luce del Crocifisso, ci fa riconoscere il volto di Gesù nel povero, nel debole, nel sofferente. Ciò è possibile solo se il vero volto di Gesù ci è diventato familiare nell’ascolto della sua Parola” e soprattutto nel Mistero dell’Eucaristia. “Nel Vangelo di san Luca – ha sottolineato – è significativo il brano dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono Gesù allo spezzare il pane.” L’Eucaristia – ha precisato – “è la grande scuola in cui impariamo a vedere il volto di Dio, entriamo in rapporto intimo con Lui; e impariamo, allo stesso tempo – ha concluso – a rivolgere lo sguardo verso il momento finale della storia, quando Egli ci sazierà con la luce del suo volto. Sulla terra noi camminiamo verso questa pienezza, nell’attesa gioiosa che si compia realmente il Regno di Dio”.

radio vaticana

Quattro motivi per fidarsi di Dio

di fratel Alois

Qual è il senso della nostra vita? Come ci poniamo di fronte alla sofferenza e alla morte? Cosa dona la gioia di vivere? Ecco delle domande alle quali ogni generazione e ogni persona è chiamata a rispondere. Le risposte non possono essere contenute in formule già fatte. “E se Dio esistesse?”. La domanda su Dio non è sparita dall’orizzonte, ma si è profondamente modificato il modo di proporla. Il fatto che l’individualità sia centrale nella nostra epoca ha questo lato positivo: valorizza la persona umana, la sua libertà, la sua autonomia. Anche nelle società dove la religione è molto presente, la fiducia in Dio non viene da se stessa, ma necessita di una decisione personale. “Dio abita una luce inaccessibile. Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto ne può vederlo” (1 Timoteo, 6, 16). Questa parola dell’apostolo Paolo ha una risonanza molto attuale. Quali conseguenze trarne? Cerchiamo insieme, parliamone con altri, credenti, agnostici o atei! La linea che passa fra la fede e il dubbio attraversa i credenti come i non credenti. Quando dei cercatori di Dio sono meno assertivi nell’espressione della fede, non è perché sono meno credenti, è che sono molto sensibili alla trascendenza di Dio. Rifiutano di rinchiudere Dio in concetti. Se nessuno può vederlo, in che modo, allora, i primi cristiani hanno potuto affermare che in Gesù noi vediamo Dio? “Egli è immagine del Dio invisibile” scrive lo stesso apostolo Paolo (Colossesi, 1, 15). Gesù è uno con Dio, vero Dio e vero uomo, senza separazione né mescolanza. Quanti combattimenti nel corso della storia per affinare il senso di queste espressioni paradossali del mistero di Dio! Esse non si sostituiscono alla nostra ricerca personale, ne tracciano il cammino. Gesù, attraverso tutto ciò che è stato e che ha fatto, mostra che Dio è amore, rivela il cuore di Dio. Dio non è una forza arbitraria, ma Colui che ci ama. I primi cristiani hanno testimoniato che Gesù si è rialzato dalla morte, che egli è in Dio. E mette la vita stessa di Dio, come un tesoro, nel cuore di coloro che incontra. Questo tesoro è ancora una presenza personale, si chiama Spirito Santo, egli consola e incoraggia.

(©L’Osservatore Romano 29 dicembre 2012)

Io credo, oggi. In Dio creatore

Dell’unico vero Dio la Bibbia racconta in primo luogo l’atto della creazione: è logico pertanto che la Chiesa ci proponga Dio creatore come primo oggetto della nostra fede. Quando prega, Israele non tralascia mai di ricordare la creazione accanto alla liberazione dall’Egitto. Emblematico, sotto questo profilo, è il Salmo 136 (135), un inno all’amore e alla bontà di Dio, esaltati a partire dalla creazione passando poi agli interventi di Dio nella storia di Israele. Creare significa “fare dal nulla” e di questo è capace solo Dio. Credere in Dio creatore significa riconoscerlo come unico principio di tutte le cose. Né dobbiamo dimenticare che Israele è l’unico popolo che, non senza l’aiuto di Dio, è riuscito a formulare il concetto di “creazione” e l’ha espresso con il verbo barà’. Un’acquisizione di fondamentale importanza sia sotto il profilo teologico che sotto il profilo filosofico, che Dio ha voluto offrire all’umanità per mezzo del popolo da lui eletto.

Il creatore nella lunetta della parrocchiale di Spigno Monferrato

Il creatore nella lunetta della parrocchiale di Spigno Monferrato (Al, foto CENSI)..

Il Dio che ha creato i cieli.

Con tono in parte declamatorio e in parte polemico si legge in Isaia 45,18ss: «Poiché così dice il Signore, / che ha creato i cieli, / egli, il Dio che ha plasmato / e fatto la terra e l’ha resa stabile, / non l’ha creata vuota, / ma l’ha plasmata perché fosse abitata: / “Io sono il Signore, non ce n’è altri”. / […]. Non sono forse io il Signore? / Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore / non c’è all’infuori di me». Qui, come in altre pagine delle sue profezie, Isaia afferma l’unicità di Dio, Dio creatore, che non ha eguali e non sopporta la concorrenza di altri dèi. Tra tutti i profeti è certamente Isaia il principale, se non unico, cantore dell’unicità di Dio. Come abbiamo detto, egli lo fa certamente in funzione polemica verso gli altri popoli, la cui idolatria era nota e vasta. Ma lo fa anche nella speranza di immunizzare il suo popolo dal pericolo di imitare i pagani in questa pratica religiosa. Del resto la tentazione dell’idolatria emerge già nella vicenda del vitello d’oro, narrata in Esodo 32,1ss: una tentazione che si ripresenta immancabilmente nelle diverse tappe della storia d’Israele. Né possiamo dimenticare che, secondo il salmo 104 – un inno alla bellezza della creazione – nel mare «nuota il Leviatano che hai creato perché rida con te». Pertanto il sorriso divino incarna ed esprime la gioia del creatore per la creazione. Lo si rileva, tra l’altro, anche nel ritornello che scandisce la creazione nei diversi giorni: «E Dio vide che era bello, molto bello » (Gen 1,4.10.12.31).

«Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra».

Gesù stesso, rivolgendosi al Padre per esprimergli lode e riconoscenza, lo proclama «Signore del cielo e della terra» (Lc 10,21-22). Anche per Gesù Dio è anzitutto il creatore di tutte le cose e lo riconosce persino quando prega. Quando professiamo la nostra fede in Dio creatore, ci associamo non solo alla Chiesa, comunità orante, ma a Gesù stesso e ne condividiamo i sentimenti più profondi. Oltre alla paternità di Dio qui si accenna alla sua maestà e signoria sul mondo, che ne evidenzia la libertà sovrana. Del resto non c’è alcun dubbio che una prima manifestazione della sua paternità universale Dio l’ha offerta nell’atto creativo: di ogni creatura egli è padre e ogni creatura non può non riconoscerlo come padre. Si direbbe che sulle dimensioni della paternità di Dio Gesù commisura la sua stessa missione salvifica. Infatti «tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). Professando la nostra fede in Dio creatore, noi ci immettiamo nella dimensione dell’universalità, che caratterizza pure la missione salvifica del Figlio.

Tutto è stato creato in vista di Cristo.

All’inizio del grande inno cristologico che caratterizza la lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Colossi leggiamo: «Cristo è immagine del Dio invisibile, / primogenito di tutta la creazione, / perché in lui furono create tutte le cose / nei cieli e sulla terra […]. Tutte le cose sono state create / per mezzo di lui e in vista di lui. / Egli è prima di tutte le cose / e tutte in lui sussistono» (1,15-17). È chiaro il messaggio paolino: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui». È come dire che, creando, Dio non agiva da solo, ma «per mezzo di Cristo» perché Cristo è Dio e, come si legge in Giovanni 1,3: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui, / e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste». Inoltre, creando, Dio non agiva per altri fini, bensì per preparare l’evento della venuta del Figlio suo sulla terra per redimere l’umanità dal peccato. «In vista di lui», dunque, Dio creò il mondo, affinché l’incarnazione del Verbo fosse come una “nuova creazione” e tutti i credenti potessero diventare una “nuova creatura” (vedi 2Cor 5,17). Il progetto del creatore perciò fuoriesce dall’orbita dell’eternità per entrare in quella del tempo e dello spazio.

monsignor Carlo Ghidelli

Lo sguardo sulla nostra vita: porta che va aperta

Non c’è spazio in noi per Dio, ha detto il Papa la notte di Natale, riecheggiando il peregrinare per Betlemme della partoriente per cui «non c’era posto nell’alloggio». Non c’è posto, ha aggiunto, «perché noi vogliamo noi stessi, le cose che si toccano, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri perso­nali progetti». Siamo, ha detto ancora, così riempiti da noi stessi, che non resta spazio per Dio.

Nella notte Natale, la voce del Papa come la parola di un padre, che ai figli non può tace­re di ciò che loro più di tutto manca. E, a­scoltandolo, ci siamo sentiti fotografati nel profondo. Non ci lamentiamo forse in tanti di una fede da poco, di avvertire Dio come a­stratto, di non vedere, di non toccare davve­ro quella gioia che ci è promessa? Quanti di­cono: io domando, ma non c’è risposta. O invece, ci ha chiesto il Papa, non è Dio stes­so a essere respinto da noi? Non siamo noi, che teniamo chiusa la porta, che la sbarria­mo con cura perché abbiamo altro da fare, e nemmeno un minuto per lo Sconosciuto che bussa? La questione di Dio, poi, «non sem­bra mai urgente», osserva Benedetto. In ef­fetti: non adesso che sono giovane, non ora che cerco un lavoro, ora che ho i figli picco­li, o la famiglia da mantenere. Dio? È come una questione a latere. Ci penseremo davvero un giorno, da vecchi.

Ma ciò che dice il Papa è invece proprio l’ur­genza della metànoia di san Paolo: del la­sciarsi trasformare nel modo stesso di pen­sare. Dove la forma che indica un ‘essere a­giti’ è fondamentale, perché dice non di un proprio sforzo, ma di un lasciare fare a un Al­tro. Di un consentire a che entri, Colui che sta alla porta. In una conversione che secondo Benedetto deve arrivare «alla profondità del nostro rapporto con la realtà». (E difficil­mente di una tale metamorfosi un uomo è capace da solo; è quasi impossibile poi, da so­li, rinascere da vecchi, come desiderava Ni­codemo quando andava di notte a interpel­lare Cristo – quasi che il buio lo proteggesse, in quella domanda assurda e audace).

Così nel Natale, giorno spesso ridotto a va­cuo sentimentalismo, a fiaba per bambini, la voce di Benedetto XVI ha chiamato a una conversione del cuore inteso in senso bibli­co: cioè sentimento e ragione insieme.

Cioè ragione non ristretta – come è stato a molti di noi insegnato – a facoltà che misura soltanto ciò che può pesare, esplorare, dimostrare; ma una ragione invece allargata, che non neghi la possibilità che qualcosa la trascenda, e venga prima, e vada oltre il pensiero dell’uomo e la natura stessa della materia, per quanto la conosciamo. «Lasciatevi trasformare», domanda la frase della Lettera ai Romani proclamata l’altra notte in San Pietro. Aprite la porta, lasciate che sia Lui, a operare. Esortazione cui fa seguito nell’omelia quel forte «transeamus» pronunciato dal Papa, e da lui stesso tradotto come un andare di là, osare il passo che va oltre; osare la traversata dalle nostre abitudini, in là, verso l’essenziale. Verso il Dio che in Cristo si è fatto bambino, ha spiegato Benedetto, perché sa che il suo splendore ci spaventa. Un Dio che alle soglie del mondo si è presentato come un figlio appena nato, di cui nessuno ha paura, e che è istintivo accogliere e amare.

Ma, tutto questo forse noi non crediamo già di saperlo, e da sempre? Non siamo così abituati alla storia di Betlemme, che pensiamo che non ci sia più nulla da capire, nulla che c’entri con l’oggi? Come allora si può riscoprire la formidabile novità del Vangelo? «Lasciatevi trasformare», è la parola del Natale in San Pietro, a pochi giorni dal 2013, Anno della Fede. Qualcuno bussa. Occorre solo aprire, e deporre l’orgoglio di chi sa tutto, è capace, ‘a posto’, autosufficiente; lasciare che entri, come splendidamente recita la liturgia bizantina, «Colui che è presente in ogni luogo, ed ogni cosa porta a compimento».

Marina Corradi – avvenire.it

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Le vie per arrivare alla conoscenza di Dio

Un commento all’Udienza generale di mercoledì 14 novembre 2012

di Massimo Introvigne

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 15 novembre 2012 (ZENIT.org).- Nell’ambito delle catechesi sull’Anno della fede Benedetto XVI ha dedicato l’udienza del 14 novembre 2012 alle vie per arrivare alla conoscenza di Dio. L’espressione «vie», ha spiegato il Papa, non deve ingenerare equivoci. La conoscenza di Dio non è mai il risultato di un nostro puro sforzo intellettuale, ma ha sempre come premessa la libera iniziativa dello stesso Dio. «Non dimentichiamo mai l’esperienza di sant’Agostino [354-430]: non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede».

È anche vero che oggi, «abbagliati dai luccichii della mondanità» e da «certe mentalità diffuse» ostili alla religione, siamo diventati «meno capaci di percorrere tali vie». Con parole che sembrano fare eco alla tesi del filosofo canadese Charles Taylor secondo cui l’incredulità ha oggi sostituito la fede in Europa come opzione «di default» per chi entra nella vita adulta, il Pontefice constata che «nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la fede era l’ambiente in cui si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità. Nel nostro mondo, la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione della sua fede».

Ampliando questa constatazione sociologica con uno sguardo storico, il Papa aggiunge che «dall’Illuminismo in poi, la critica alla religione si è intensificata; la storia è stata segnata anche dalla presenza di sistemi atei, nei quali Dio era considerato una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni. Il secolo scorso poi ha conosciuto un forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo».  E infine il secolo XXI ha portato con sé «un fenomeno particolarmente pericoloso per la fede: c’è infatti una forma di ateismo che definiamo, appunto, “pratico”, nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili». Magari si afferma ancora di credere, «in modo superficiale», ma si vive «come se Dio non esistesse», e alla fine «questo modo di vivere risulta ancora più distruttivo, perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio».

Questo processo storico ha anche gravi conseguenze politiche: «l’uomo, separato da Dio, è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale, e proprio questo riduzionismo è una delle cause fondamentali dei totalitarismi che hanno avuto conseguenze tragiche nel secolo scorso, come pure della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale. Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà, che invece di essere liberante finisce per legare l’uomo a degli idoli».

Ma proprio perché «Dio, però, non si stanca di cercarci», dare ragione di una fede pure «poco compresa, contestata, rifiutata» è possibile ancora oggi, e in questo senso vale ancora la pena di parlare di «vie». Come fa spesso, Benedetto XVI si è riferito, ancora, a sant’Agostino per riassumere tre vie di conoscenza di Dio con tre parole: il mondo, l’uomo, la fede. Anzitutto, si può conoscere Dio tramite la bellezza del creato. Non è la prima volta che il Papa cita questo brano di sant’Agostino:  «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?». Ma trovare oggi chi sia capace anche solo di porsi questo interrogativi non è scontato: «dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice».

Che, in secondo luogo, si possa conoscere Dio partendo dall’uomo lo afferma ancora sant’Agostino: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» . Ma oggi anche questo è un «aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere quella sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare».

Terzo: «non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede». Per comprendere questo, dobbiamo spiegare all’uomo contemporaneo che la fede «non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita». Oggi molti «hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo». Certamente – è un tema forte dell’Anno della fede – il cristianesimo ha una dottrina precisa. E tuttavia – e nello stesso tempo – non possiamo mai dimenticare che «il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio».

E alla fine sarà il Logos

Alla fine sarà il Logos. Sta irrobustendosi, nella cultura contemporanea, una tendenza scientifico-filosofica, di matrice dichiaratamente non-cristiana, che non esita a parlare di Dio. Una visione dai tratti panteisti o, più propriamente, panenteisti (Dio non coincide con l’Universo, ma l’Universo è parte di Dio), che si colloca in un’ampia riflessione non tanto sull’origine del cosmo, quanto sul suo immanente sviluppo e destino.

Ed è quasi come se quel Dio «cacciato» dal ruolo di Origine, che l’umanità gli aveva tradizionalmente attribuito («In principio Dio creò il Cielo e la Terra»), «rientrasse» con il nuovo ruolo di Compimento. Un Dio più omega che alfa, dunque, più ricapitolatore che fonte, più reditus che exitus.

Le attestazioni sono molteplici, anche in opere recentemente tradotte in Italia. Spesso si parte da tutt’altro genere di considerazioni e poi, inaspettatamente, sfogliando le ultime pagine, ecco che l’idea ritorna. In La Singolarità è vicina (Apogeo, 2008), Ray Kurzweil, uno dei maggiori teorici delle scienze applicate, dopo un grandioso affresco sullo stato e le tendenze di genetica, informatica e nanotecnologie, prosegue idealmente il suo grafico oltre le coordinate del tempo presente: «L’evoluzione va nella direzione di una maggior complessità, di maggior eleganza, conoscenza, intelligenza, bellezza, creatività e livelli più alti di attributi fini come l’amore. In ogni tradizione monoteista, Dio viene analogamente descritto con tutte queste qualità tese all’infinito… L’evoluzione procede inesorabilmente verso questa concezione di Dio, anche se non raggiunge mai esattamente questo ideale.

Dunque, possiamo pensare che il liberarsi del nostro pensiero dalle gravi limitazioni della sua forma biologica sia sostanzialmente un’impresa spirituale». Un percorso assai simile è tratteggiato da Kevin Kelly, una delle firme prestigiose della divulgazione scientifica americana, in Quello che vuole la tecnologia (Codice, 2011). Kelly usa il termine «tecnologia» nell’accezione larga dell’etimo «techne», per cui i suoi confini vengono a coincidere con tutto ciò che è introdotto nel mondo dall’essere umano: «la cultura, l’arte, le istituzioni sociali e le creazioni intellettuali di ogni genere».

Tale cosmo di artefatti a firma umana – osserva Kelly – è come se adesso assumesse autonomia e tendesse per «inevitabilità strutturale» verso una direzione precisa, dove la casualità dell’ortodossia darwiniana è sostituita dai meccanismi dell’auto-organizzazione, imperativi di sviluppo che comparirebbero di nuovo, anche «se il nastro della vita venisse riavvolto». Ebbene, conclude Kelly, «se esiste un Dio, è precisamente il traguardo a cui punta tale traiettoria». Pur prendendo espressamente le distanze dal panteismo, Kelly finisce per parlare di «una forza impressa nel tessuto della materia e dell’energia» e, nelle pagine conclusive, chiama in gioco quella teologia del processo di J.B. Cobb jr. e D.R. Griffin nei cui confronti, complessivamente, sembra ben disposto. Un approccio frontale al tema è poi proposto da Stuart Kauffman, membro dello storico Istituto di Santa Fe, con il suo Reinventare il sacro (Codice, 2010), introdotto da una dichiarazione d’intenti senza infingimenti: «Presenterò una nuova concezione di Dio – un Dio calato profondamente nella natura – e del senso del sacro, che fonderò su una nuova ed emergente visione scientifica del mondo».

La nuova visione scientifica è basata sul riconoscimento della «inadeguatezza del riduzionismo» e sull’affermarsi della «concezione emergentista», secondo cui la biologia e l’evoluzione non possono essere spiegate esaurientemente dalle sole leggi della fisica. Al loro posto, o meglio accanto ad esse, sta «una meravigliosa creatività naturale… e Dio è il nome da noi scelto per questa incessante creatività dell’universo naturale, della biosfera e delle culture umane». Kauffman rafforza la propria posizione con un elenco di nomi eccellenti della scienza della complessità che gli sono compagni lungo questo viaggio intellettuale – Phil Anderson, Robert Laughlin, Leonard Susskind… – e osserva come tale prospettiva offra il vantaggio di «schiudere agli umanisti laici la legittimità della loro spiritualità».

L’inaspettato accorciarsi del tempo tra una scoperta notevole e l’altra ed una rinnovata consapevolezza intorno alle potenzialità dell’essere umano nel destino del mondo – che non sono più, fortunatamente, solo potenzialità distruttive – alimentano, così, riflessioni intense sul senso della storia. E per itinerari di simile guisa, l’approdo è frequentemente costituito dalla nozione di Dio. Una nozione di Dio certamente sui generis, che evita quasi totalmente i concetti di «persona» e di «sostanza» e rimarca soprattutto l’aspetto di spinta interna al cosmo, razionale e diretta a uno scopo. «Quasi Dio» o «abbastanza Dio», si potrebbe dire, mutuando il titolo (God Enough che Steve Paulson ha dato alla sua conversazione tra scienza e fede con Kauffman comparsa su Atom & Eden.

Il dato forse più interessante di questa convergenza di idee sta nel nuovo rapporto concettuale che si viene ad instaurare tra fede e freccia dell’evoluzione. Il plurisecolare dibattito sullo «scoccare» di tale freccia ha sollevato interminabili contese – talvolta anche inappropriate, come la pseudo-opposizione tra i concetti di «creazione» ed «evoluzione», in linea teorica del tutto compatibili -, mentre l’attuale disquisire sulla «direzione» della freccia medesima sembra inclinare verso una ricomposizione. Con molte differenze, certo, ma, almeno, con un nucleo condiviso.
Quasi a confermare quanto il teologo Ian Barbour della Unity Church ebbe a dichiarare al momento di ricevere il premio Templeton: «L’evoluzione è l’idea più importante introdotta dalla scienza nel mondo moderno e i teologi non hanno ancora colto tutte le implicazioni di quest’idea, soprattutto a riguardo della natura umana, della creazione e della relazione Dio-mondo». E a segnare il rinnovato clima tra scienza e fede, all’apertura del teologo fa da pendant la suggestione dello scienziato. Nella fattispecie il fisico teorico Freeman Dyson che, muovendo dall’alveo delle considerazioni dei colleghi sopra tratteggiate, può consequenzialmente affermare come «sia giunto ormai il tempo di fare della escatologia una disciplina scientifica rispettabile».

Andrea Vaccaro – avvenire.it