Nel Vangelo gli strumenti per combattere la crisi

“L’Europa è il grembo originario del cristianesimo e non deve perdere questo grande dono”: è quanto ha sottolineato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) nella giornata conclusiva dei lavori dell’incontro sulla coesione sociale in Europa. L’incontro è stato promosso a Nicosia (Cipro) dalla “Commissione Caritas in veritate” del Ccee. La Chiesa – ha detto il cardinale – ha un grande messaggio per quanto concerne la questione sociale e la società, grazie alla dottrina sociale della Chiesa, che è il compendio delle implicazioni a livello culturale, sociale, economico, politico, ma soprattutto antropologico, del mistero di Cristo e del Vangelo”. Le Chiese cattoliche europee, ha continuato, “sentono profonda la missione di mettersi a servizio dell’evangelizzazione, sapendo che dentro al Vangelo vi è l’elevazione di tutto l’uomo e, quindi, della società”.
Durante l’incontro i vescovi europei hanno evidenziato come nel continente manchi una visione antropologica e sociale incentrata sulla solidarietà e la sussidiarietà. Le politiche sociali non possono basarsi su meri criteri di redditività, che mettono a dura prova la coesione sociale del vecchio continente.

(©L’Osservatore Romano 7 settembre 2012)

Riscoprire le virtù per battere la crisi

La grande sfida si vince con i giovani se cambiamo con loro le regole del gioco. Che per Ernesto Olivero si fondano su le­galità, sobrietà, coerenza,


Di chi sono le responsabilità della crisi?

È sotto gli occhi di tutti che molti hanno ruba­to e sprecato a dismisura perché chi poteva fermarli si è lasciato corrompere. Ora dobbia­mo trovare il coraggio di rinascere. Se non ve­diamo con occhi nuovi quello che ci sta piom­bando addosso, rischiamo di entrare in una tragedia dai contorni inimmaginabili. Occor­re far di tutto perché alcune categorie che non hanno sempre vegliato, che sono state soven­te di parte, rientrino in se stesse. Penso a giu­dici, giornalisti, ai rappresentanti delle religio­ni, che hanno il compito di custodire il bene di tutti. Chi ruba, chi passa con il rosso infran­ge la legge e va sanzionato, chiunque esso sia. La notizia è notizia se libera da colori e inte­ressi di parte. Questo vale anche per l’appara­to giudiziario, chiamato ad applicare lo stato di diritto, e per le autorità religiose che pro­muovono comportamenti etici e solidali.

La crisi economica è inseparabile da quella politica?
Soprattutto c’è una crisi di cuore, tocca il sen­timento di appartenenza alla comunità. Così muore la politica. Che politica è infatti senza bene comune, se ognuno cerca il suo bene non insieme, ma contro quello altrui? Ritengo i­naccettabile il comportamento dei parlamen­tari che per non perdere il diritto al vitalizio ­per me immorale – hanno contribuito a non far cadere il governo. È stato sempre così ed è sta­to sempre sbagliato.

Amici del Sermig come Helder Camara, il Car­dinale Pellegrino, Sandro Pertini, Madre Te­resa quale lezione di speranza e carità hanno lasciato?
Questi e molti altri maestri, primo fra tutti dom Luciano Mendes de Almeida, hanno dato fi­ducia a dei ragazzi, come eravamo noi quan­do li abbiamo incontrati. Grazie a questo sia­mo cresciuti e attraverso di noi in 47 anni mi­lioni di persone ne hanno aiutate altrettante. Mi commuove ancora il gesto del Presidente Sandro Pertini l’11 aprile del 1984 quando ven­ne a inaugurare la nostra casa. Aveva saputo delle nostre difficoltà e voleva aiutarci. In quel­l’occasione disse: ‘Chi tocca Olivero, tocca me’. Così è iniziata una tradizione che coin­volge le più alte autorità e i più alti testimoni del nostro tempo che vengono all’Arsenale del­la Pace a vedere come i giovani realizzano i so­gni. E mi commuove pensare a Giorgio Napo­litano che ci ha visitati il 19 marzo scorso con questa motivazione: ‘Siete costituzione vi­vente’. Invitiamo il Presidente del Consiglio Mario Monti a venire ad ascoltare giovani che non insultano, ma propongono.

Povertà e fame li sfidano, come mezzo secolo fa.
Ogni giorno 100mila morti per fame reclama­no la nostra commozione e l’impegno fatti­vo, come il samaritano sulla strada per Ge­rico. La costruzione di un mondo mi­gliore non si fonda sulle speculazioni fi­nanziarie, ma sulla responsabilità. L’u­manità, credente e non, deve rimettere in discussione l’impiego di tempo, e­nergie, creatività a servizio del bene co­mune. Circolo virtuoso che crea lavoro, salute, scuole, cibo, acqua e dignità an­che in luoghi e situazioni ‘impossibili’.

Allora servono sobrietà e nuovi stili di vita. Sei d’accordo?
Sono convinto da anni che viviamo al di sopra delle nostre possibilità almeno per un 20-30%. Dobbiamo finalmente esserne consapevoli, a­vere l’autorevolezza e l’umiltà di saperlo spie­gare e di chiedere conversione per curare le cause, non solo gli effetti. Ma senza legalità non si va da nessuna par­te. Mi piange il cuore sa­pere che siamo uno dei Paesi più corrotti al mondo. Significa che schiere di cattivi mae­stri ci hanno assicurato che evadere le tasse era un bene e un diritto. Con tali falsi principi abbiamo ‘educato’ intere ge­nerazioni. Sentire l’urgenza e la necessità di denunciare le distorsioni significa entrare in una credibilità nuova, dura, ma è questa la via della speranza. Sento che è possibile vivere be­ne in una società dove tutti insieme rispettia­mo le regole. Troviamo il coraggio di rientrare nella legalità! E poi avremo la forza morale di dire alle mafie e a tutti i gruppi segreti: ‘Con­vertitevi!’… di dire alla gente: ‘Paghiamo le tasse’… di dire al mondo: ‘Riscopri l’etica!’. Ma per uscire da una situazione con i contor­ni di una guerra mondiale dobbiamo rimboc­carci le maniche.

La questione giovanile è risolta?
No e non è stata affrontata seriamente. Da u­na delle nostre inchieste emerge che il 98% dei giovani non ha fiducia in nessuna istituzione, che l’85% ha paura del futuro e la percentua­le di violenza di questa società è indicata fra il 62 e l’85%. I giovani sono i più poveri per le dif­ficoltà che affrontano ogni giorno e per le po­tenzialità inespresse. Sono imbottiti di niente presentato come il tutto. La generazione dei padri è responsabile di aver proposto per an­ni la cultura del ‘minor danno’ anziché quella del massimo bene. Così droga e sballi sono un diritto e la libertà indi­viduale una divinità. Sto con i giovani notte e giorno. Non sopportano le ingiustizie, ma non hanno la forza di contrastarle e impe­gnarsi da soli. Perciò da anni chiediamo alle i­stituzioni di valorizzarli come ‘patrimonio del­l’umanità’ e agli adulti di diventare riferimen­ti credibili. I giovani sono disposti a convertir­si se trovano non parolai, ma testimoni.

Cosa deve fare l’Italia per loro?
Metterli al centro con una visione a lungo ter­mine e politiche per aiutarli a scoprire poten­zialità e talenti. Investiamo per creare occu­pazione, cultura d’impresa, innovazione. Coin­volgiamoli in organismi consultivi. Stiamo dando vita ad un’associazione tra sindaci per tradurre i principi in scelte amministrative.

E tu cosa proponi?
Prepararsi alle responsabilità della vita con la formazione permanente. Con loro cerchiamo uno stile di vita coerente con gli ideali che af­fermano, l’unico che può dare autorevolezza e credibilità alle richieste. Impariamo ad ab­bassare il nostro io avido e impaurito perché la bellezza seminata in noi ci innalzi a grandi cose. Diciamo a ciascuno: ‘Non aspettare so­luzioni, diventa pastore, entra in politica, nel­la scienza, nello sport, nella cultura portando ciò che serve al mondo per migliorare’. I gio­vani puri, indomabili non saranno signori del­la guerra e dell’economia, ma seguiranno la logica di Dio.

Anche la Chiesa deve pagare le tasse sul pa­trimonio immobiliare?
Penso che la Chiesa, le Chiese e gli enti la cui opera ha rilevanza sociale abbiano diritto a un trattamento di riguardo dallo Stato perché si prendono cura di poveri ed emarginati. Le a­gevolazioni che sostengono queste finalità so­no sacrosante, il resto no. Questa per me è la chiave perché la Provvidenza continui ad o­perare.

C’è una ricetta per risollevare l’Italia?
Il nostro petrolio è il turismo. Nessuno ha le no­stre bellezze naturali e il 60-70% delle opere d’arte del mondo è qui. Il recupero dell’am­biente e dei beni culturali, il turismo di massa e d’elite potrebbero dare lavoro qualificato e duraturo a tanti giovani. Chi ci governa deve convincersene, investire e proporre itinerari nuovi e affascinanti. L’Italia di Michelangelo, Giotto, Raffaello deve tornare ad essere un’ec­cellenza culturale, le nostre università ad at­trarre giovani da tutto il mondo. È un incorag­giamento al nostro Ministro perché abbia il co­raggio non tanto di riformare la scuola quan­to di farla rinascere, con docenti convinti di rientrare nelle radici culturali del Paese.


CHI È ERNESTO OLIVERO

Classe 1940, sposato con Anna e nonno di 8 nipoti, Ernesto Olivero ha fondato nel 1964 a Torino il Sermig, al cui interno negli anni 80 è nata la Fraternità della Speranza. Nel 1983 ha ricevuto in comodato l’Arsenale, che con l’aiuto di amici e giovani volontari ha restaurato interamente, trasformandolo nell’Arsenale della pace. Oggi è un monastero metropolitano che accoglie immigrati, tossicodipendenti, alcolizzati, malati di Aids e senza tetto e dove viene svolta anche un’intensa attività culturale. Olivero ha aperto nel 1996 l’Arsenale della Speranza a San Paolo del Brasile e nel 2003 l’Arsenale dell’Incontro in Giordania. Ha avuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero, quest’anno è stato nominato europeo dell’anno e cittadino onorario di Torino.

 

Paolo Lambruschi – avvenire.it

Fraternità anti-crisi: la Chiesa per la gente

Combattere la sofferenza economica delle famiglie e l’usura, rendendo più accessibile il credito. È tutta in questo obiettivo la ricetta anti-crisi messa in campo in Sicilia da Caritas e Regione con il microcredito per famiglie, lanciato durante un periodo «forte» come l’Avvento che avvicina al Natale. Uno strumento per quei nuclei familiari che non riescono ad accedere al credito bancario per mancanza di garanzie, ma che presentano potenzialità economiche tali da garantire la restituzione di un microprestito in pochi anni.
La Regione investe 12 milioni di euro per 2.500 interventi iniziali, in base alle richieste che saranno selezionate e seguite da 50 enti no profit e dalla Caritas in tutta l’Isola. «Da gennaio avvieremo il microcredito per le famiglie, per dare risposte vere alle sacche di povertà – garantisce l’assessore regionale al Bilancio, Gaetano Armao, che ieri ha presentato l’iniziativa a Palermo –. Questo provvedimento entrerà in vigore contemporaneamente al microcredito per le imprese e servirà a far sentire le famiglie meno sole».
Lungi dall’assistenzialismo, il microcredito è uno strumento di sostegno al reddito ma solo per spese in alcuni settori essenziali: casa, salute, istruzione, progetti di vita familiari volti a migliorare le condizioni sociali, economiche e lavorative. Le 50 tra associazioni, fondazioni e diocesi che faranno da tramite per raccogliere e scremare le istanze accompagnando le famiglie nell’espletamento delle procedure, vigileranno affinché siano rispettate queste finalità. «È la realizzazione concreta di qualcosa che pochi anni fa era un sogno – osserva don Sergio Librizzi, delegato regionale delle Caritas –. La situazione economica delle famiglie si aggrava. C’è chi pensa che iniziative come queste non creino sviluppo e indipendenza. Invece, è il modo di evitare un danno maggiore in un momento particolarmente difficile».
Il singolo prestito non potrà superare i 6 mila euro, ma ogni famiglia potrà usufruire di più finanziamenti successivi, purché quello precedente sia stato estinto e per un massimo di 25 mila euro in totale. Unicredit è la banca che si è aggiudicata la gara per il servizio di tesoreria e sarà non solo il gestore del fondo di garanzia ma lo sosterrà finanziariamente. «Unicredit considera il microcredito un importante strumento di aiuto alle famiglie che si trovano in un momentaneo stato di difficoltà – sottolinea Roberto Bertola, responsabile per la Sicilia –. In tal modo è possibile, con i meccanismi del mondo bancario, combattere l’usura».
È invece dal Giubileo per Napoli, indetto dal cardinale Crescenzio Sepe il 16 dicembre 2010 e ormai alla conclusione, che nasce il «Call center della solidarietà» presentato sempre ieri. «Un contributo per dare risposte a emergenze oggi ancora più sentite, non in supplenza delle istituzioni – precisa il cardinale – ma come Chiesa che sente il comando del Signore a stare con i poveri».
Durante il percorso giubilare è emersa la presenza attiva di tante strutture che si occupano di persone sole, povere, in disagio, ma è apparsa evidente la scarsità di collegamento tra loro, con l’incapacità di un’azione comune. Una situazione che ha spinto Arcidiocesi di Napoli, Fondazione Vodafone, Regione Campania, Fondazione «In Nome della Vita» e la Cisl Campania a ipotizzare una forma di intervento nuova, coniugando la tutela della fasce a forte rischio di esclusione sociale con le più moderne tecnologie.
Il progetto, attivo dal prossimo anno, segue le modalità note dei call center telefonici con la particolarità che sarà «un’informazione vera», come sottolinea Sepe, mettendo in rete una vasta gamma di servizi per offrire risposte ai problemi sociali più comuni attraverso percorsi di uscita dall’emarginazione e di autonomia personale.
Chi dal 1° marzo 2012 chiamerà un numero verde – che sarà comunicato – potrà ottenere aiuto per ogni necessità quotidiana: accompagnamento, ricovero, assistenza previdenziale, cure mediche, orientamento legale, ospitalità notturna e diurna, ricerca di lavoro, segnalazione di emergenze sociali… «L’obiettivo – spiega Antonio Bernardi, presidente della Fondazione Vodafone – è realizzare interventi efficaci attraverso la costruzione e il coordinamento di reti solidali che coinvolgano tutti gli attori sociali. Siamo convinti che queste situazioni, se affrontate in maniera sinergica e in una cornice di responsabilità collettiva, potranno nel tempo restituire valore alle comunità».

 

Alessandra Turrisi e Valeria Chianese – avvenire.it

Per riscoprire i valori religiosi alla base dell’economia di mercato

di JONATHAN SACKS
Rabbino capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth e membro della Camera dei Lord

I leader politici europei si incontrano per salvare l’euro e l’Unione europea. Lo stesso dovrebbero fare i leader religiosi. È per questo che vengo a Roma: per discutere delle nostre preoccupazioni comuni durante l’udienza con il Papa e nel corso di colloqui presso l’Università Gregoriana.
L’idea potrebbe apparire assurda. Cosa ha a che fare la religione con l’economia o la spiritualità con le istituzioni finanziarie? La risposta è che l’economia di mercato ha radici religiose. Essa è infatti emersa in un’Europa permeata di valori ebraico-cristiani.
Come ha evidenziato l’economista di Harvard, David Landes, fino al XV secolo, la Cina era molto progredita in una vasta gamma di tecnologie rispetto all’Occidente. Tuttavia, la Cina non ha creato un’economia di mercato, non ha visto la nascita della scienza moderna né la rivoluzione industriale. Come afferma Landes, essa non possedeva l’insieme di valori che l’ebraismo e il cristianesimo hanno dato all’Europa.
L’economia di mercato è profondamente coerente con i valori esposti nella Bibbia ebraica. La prosperità materiale è una benedizione divina. La povertà schiaccia lo spirito e il corpo, e alleviarla è un compito sacro. Il lavoro è una nobile vocazione. “Vivrai – recita il Salmo – del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai di ogni bene”.
La competizione alimenta il fuoco dell’inventiva: “La rivalità fra gli scribi aumenta la sapienza”. Dio ci invita – dicevano i rabbini – a essere suoi collaboratori nell’opera della creazione. I diritti di proprietà privata sono fondamentali per la libertà. Quando il ruolo di guida di Mosè viene messo in discussione, egli afferma: “Io non ho preso da costoro neppure un asino”. Elia sfida re Acab per la confisca della vigna di Nabot. Oltre a ciò, afferma Landes, la Bibbia introduce il concetto del tempo lineare, rifiutando l’idea che il tempo sia un ciclo in cui, in definitiva, nulla cambia.
I primi strumenti finanziari del capitalismo moderno furono sviluppati nel XIV secolo dalle banche nelle città cristiane di Firenze, Pisa, Genova e Venezia. Max Weber ha tracciato i collegamenti fra l’etica protestante e lo spirito del capitalismo moderno. Michael Novak ha fatto la stessa cosa per il cattolicesimo. Gli ebrei, pur essendo solo lo 0,2 per cento della popolazione mondiale, sono stati insigniti di più del 30 per cento dei premi Nobel per l’economia. Quando ho chiesto all’economista dello sviluppo Jeffrey Sachs che cosa motivava il suo lavoro, ha risposto senza esitare, tikkun olam, l’imperativo ebraico di “risanare un mondo disgregato”. La nascita dell’economia moderna è inseparabile dalle sue radici ebraico-cristiane.
Tuttavia, non si tratta di un equilibrio stabile. Il mercato mina i valori stessi che gli hanno dato origine. La cultura consumistica è profondamente antitetica alla dignità umana. Accende il desiderio, mina la felicità, indebolisce la capacità di rinviare la soddisfazione dei propri istinti e ci rende ciechi di fronte alla distinzione, di vitale importanza, fra il prezzo delle cose e il loro valore.
Gli strumenti finanziari al centro della crisi attuale, mutui subprime e cartolarizzazione del rischio, sono così complessi che i governi, le autorità normative e, a volte, persino i banchieri stessi non sono riusciti a comprenderli nella loro estrema vulnerabilità. Quanti hanno incoraggiato le persone ad accendere mutui che poi non sono in grado di pagare, si sono resi colpevoli di ciò che la Bibbia definisce mettere “inciampo davanti al cieco”.
La creazione di un debito personale e collettivo in America e in Europa dovrebbe aver inviato segnali di allarme a chiunque abbia familiarità con le istituzioni bibliche degli anni sabbatici e giubilari, indetti proprio a causa del pericolo che le persone venissero intrappolate dal debito.
Questi sono sintomi di un fallimento più ampio: considerare il mercato come un fine e non come un mezzo. La Bibbia offre un’immagine vivida di cosa accade quando le persone smettono di vedere l’oro come mezzo di scambio e cominciano a considerarlo come oggetto di culto. Chiama questo il vitello d’oro. Il suo antidoto è il sabato: un giorno su sette in cui né lavorare né dare lavoro, né vendere né comprare. È un tempo dedicato a cose che hanno un valore, non un prezzo: famiglia, comunità e rendimento di grazie a Dio per ciò che abbiamo, invece di preoccuparci di quel che ci manca. Non è una coincidenza che in Gran Bretagna, la domenica e i mercati finanziari siano stati deregolati più o meno nello stesso momento.
Stabilizzare l’euro è una cosa, guarire la cultura che lo circonda è un’altra. Un mondo in cui i valori materiali sono tutto e i valori spirituali sono nulla, non genera né uno Stato stabile né una buona società. È giunto il momento di riscoprire l’etica ebraico-cristiana della dignità umana a immagine di Dio. L’umanità non è stata creata per servire i mercati. I mercati sono stati creati per servire l’umanità.

(©L’Osservatore Romano 9-10 dicembre 2011)