Le Chiese festeggiano la Giornata Mondiale dell’Ambiente

Le Chiese di tutto il mondo incoraggiano ad impegnarsi in prima persona per la Giornata Mondiale dell’Ambiente il prossimo 5 Giugno, un’opportunità per celebrare la creazione di Dio ed aiutare a proteggere il pianeta.

La Chiesa Anglicana festeggia la Giornata Mondiale dell’Ambiente a sostegno degli animali

La Anglican Church of Southern African Environmental Network, ha messo a disposizione delle risorse perchè i giovani possano partecipare alla Giornata Mondiale dell’Ambiente.

The Anglican Church of Southern Africa’s Environmental Network (Green Anglicans)
The Anglican Church of Southern Africa’s Environmental Network (Green Anglicans)

Il coordinatore ambiente per la Chiesa Anglicana, il reverendo dottor Rachel Mash ha detto, “La Giornata Mondiale dell’Ambiente è l’occasione per crescere ed incoraggiare la consapevolezza globale e l’azione per la cura del creato. Nella Genesi 15: 2, Dio ci ha dato il mandato di custodire la sua terra. Questa giornata è un’opportunità per dedicarsi alle attività che possano frenare il riscaldamento globale, il cambiamento climatico e le altre questioni connesse, riducendo l’impronta di carbonio”.

L’Angola  quest’anno partecipa alla giornata a supporto del tema “Go Wild for Life”, lo slogan che riassume l’importanza della lotta al commercio illegale di fauna selvatica.Il paese sta cercando infatti di ripopolare le mandrie di elefanti, di conservare la biodiversità e salvaguardare l’ambiente dopo un quarto di secolo di guerra civile. Il ministro dell’Ambiente angolano Maria de Fatima Jardim ha detto: “Il commercio illegale di animali selvatici, in particolare il commercio di corno di avorio di rinoceronte, è un grave problema in tutto il nostro continente. In questo giorno di festa e di sensibilizzazione, ci proponiamo di inviare il messaggio chiaro che tali pratiche saranno presto sradicate “.

Le Chiese in Sud Africa sono in fermento per una serie di eventi, in particolare la rappresentazione del dramma basato sulla storia del premio Nobel Wangari Maathaie tutte stanno prendendo un impegno per sostenere l’ambiente.

La Chiesa Cattolica a sostegno dell’Indonesia per la Giornata Mondiale dell’Ambiente

Le condizioni dell’Indonesia, da punto di vista ambientale sono molto preoccupanti. La cronaca riporta dell’eccessivo inquinamento e del disboscamento selvaggio delle foreste tropicali dell’arcipelago, in particolare a Sumatra, Kalimantan e Papua. A partire dal 2000 almeno 10 milioni di acri di foreste sono andate in fumo per far posto alle piantagioni di palma da olio. La situazione è stata portata agli onori della cronaca da Leo Di Caprio, il più famoso e agguerrito attivista nella battaglia alla deforestazione.

Il mons. Ignatius Suharyo, arcivescovo di Giakarta, in una lettera pastorale dal titolo “Proteggere la madre terra, il grembo della vita”, si appella alla comunità cattolica ad amare, proteggere e rispettare il pianeta e la natura, come delineato nell’ultima enciclica di Papa Francesco “Laudato si’ sulla cura della casa comune”.

Waterways in Jakarta, Indonesia | Farhana Asnap/World Bank
Waterways in Jakarta, Indonesia | Farhana Asnap/World Bank

Scrive il mons. Suharyo che la terra soffre per le vaste aree inquinate e in particolare a Giakarta (la città peggiore al mondo per quantità di traffico) un gran numero di centrali industriali e mezzi di trasporto rendono l’aria quasi irrespirabile. Le strade, come i fiumi che attraversano la città, dove vengono abbandonati rifiuti, sono ormai totalmente inquinati.

L’arcivescovo ha dato alcune direttive pratiche ai cattolici, come quelle di ridurre l’uso della plastica, non consumare l’acqua in contenitori usa-e-getta, ridurre l’uso del polistiroloe imparare a separare l’immondizia. “Queste abitudini – scrive mons. Suharyo – dovrebbero essere introdotte e praticate da tutti i cattolici, incluse le canoniche, le residenze pastorali dei sacerdoti, i religiosi e le suore, comprese le strutture scolastiche

L’arcidiocesi di Giakarta è stata sempre molto sensibile alle tematiche ambientali ed ha promosso numerose iniziative a favore della città, come quella di organizzare gruppi volontari di parrocchiani per raccogliere l’immondizia dalle strade.

 

Tesori delle chiese in Val Tassobbio

Sabato 8  Agosto nel Centro Polivalente di Leguigno, presso la chiesa, si terrà alle 16,30 un importante evento culturale nel corso del quale Monsignor Tiziano Ghirelli illustrerà il grande patrimonio d’arte religiosa che caratterizza le chiese delle vallate del torrente Tassobbio e del rio Maillo.

Con l’ausilio di un videoproiettore, saranno mostrate le principali opere d’arte religiosa delle due vallate, evidenziandone le caratteristiche tipologiche e stilistiche, definendone inoltre l’inquadramento artistico-culturale.

La conferenza sarà introdotta dal Sindaco di Casina, che porterà i saluti dell’Amministrazione e dall’architetto Giuliano Cervi che inquadrerà brevemente il contesto territoriale al quale fanno riferimento le opere d’arte.

Il carattere singolare dell’iniziativa risiede nel fatto che, nell’intento di dare un riscontro operativo alla salvaguardia del grande patrimonio d’arte religiosa della valle del Tassobbio, al termine della conferenza è prevista una cena di “finanziamento” presso il castello di Leguigno, il cui ricavato sarà devoluto per il restauro di una di queste opere d’arte religiosa della val Tassobbio che maggiormente necessita di intervento.

Anche la cena è stata impostata in modo che abbia importanza culturale, si baserà infatti su pietanze tratte dalla tradizione culturale della zona.

Per partecipare alla cena è necessario prenotare entro il 7  AGOSTO telefonando al numero 32698545 OPPURE AL FISSO 0522 605268.

locandina-8-agosto_eselaliberta.info

Vicenza: Convegno ORGANO A CANNE E CHIESA NEL TERZO MILLENNIO: E’ POSSIBILE UNA NUOVA SINERGIA PROGETTUALE?

a cura di AIOAssociazione Italiana Organari

Koiné Vicenza 2013: Sala Trissino – Lunedì 15 Aprile 2013, ore 9.30

Che cosa significa progettare un organo? Quali sono le scelte da compiere e valutare quando si decide di costruire un organo a canne in uno spazio liturgico? A volte non ci si rende conto di tutte le problematiche che vanno affrontate quando si pensa ad uno strumento nuovo, in una chiesa già esistente come in un ambiente di nuova costruzione e concezione. Nuove frontiere architettoniche, idee, ma soprattutto resa sonora da restituire a chi veramente l’organo apprezza ed utilizza a scopo liturgico: l’assemblea dei fedeli. Queste sono alcune fra le tematiche che verranno prese in esame durante la mattinata di studi a cura di AIO – Associazione Italiana Organari (che da anni si adopera per migliorare le condizioni dello strumento organo).
Durante il convegno saranno presentati importanti nomi dell’organaria italiana, ma anche il punto di vista di un architetto, di un organista e di un sacerdote: tante figure diverse, quindi, che devono relazionarsi e cooperare nel momento in cui si sceglie l’organo per uno spazio liturgico. Storicamente, poi, è sempre stata l’Assemblea a volere fortemente l’organo e ad identificarsi in quella speciale voce, diversa da tutte le altre (perché ogni organo, si sa, è diverso dall’altro); ed è proprio questa volontà che spesso riesce a far superare la maggior parte dei problemi che possono sorgere in fase progettuale. Questo convegno non vuole dare risposte, ma vuole porre la luce su alcuni aspetti a volte tralasciati in nome di “altre priorità”.

Il convegno si rivolge ad ingegneri, architetti, tecnici e collaboratori delle curie, incaricati diocesani e delegati per l’edilizia di culto, organari, organisti, nonché ai parroci.

http://www.koinexpo.com

Il dibattito sull’adeguamento delle chiese alla riforma liturgica

di Roberto Cecchi

L’adeguamento delle chiese alla riforma liturgica voluta dal Vaticano II non è questione di gusto. È una riflessione profonda che ha come fondamento il rinnovamento della Chiesa, dove il presente s’illumina guardando al passato. Di questo si è discusso a Roma alla presentazione del libro di Tiziano Ghirelli, Ierotopi cristiani, le chiese secondo il magistero (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pagine XXV + 833, euro 110) all’Accademia di San Luca con il cardinale Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona, e Paolo Portoghesi, presidente dell’Accademia. Un volume che nasce da un’attenta riflessione sul progetto della cattedrale di Reggio Emilia; dunque, un percorso di conoscenza da tenere nella massima considerazione e rispetto, perché “attraverso la liturgia si attua l’opera della nostra redenzione”, come ricorda l’autore, mentre si è alla ricerca della volontà di crescere all’insegna del binomio “sana tradizione” e “legittimo sviluppo”, come sottolinea il vescovo Adriano Caprioli nell’introduzione al volume; parole del tutto simili a quelle espresse dal cardinale Lajolo, quando afferma che “la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso”.
Che rapporto c’è tra quest’esigenza di rinnovamento e la tutela del patrimonio culturale? C’è contraddizione? Inutile nascondersi che fino a non troppi anni fa era difficile contemperare quest’istanza profonda di revisione con le testimonianze del passato.
Così, l’accezione di bene culturale non è più intesa solo attraverso il pregio estetico che caratterizzava la legge Bottai e che gli dava quel sapore vagamente elitario; ora, il bene culturale viene visto come il tramite della capacità di produrre storia. L’oggetto della tutela è la storia, è il documento, è la memoria e cioè la “testimonianza materiale avente valore di civiltà”.
Quindi, il valore documentario storico-antropologico come prodotto delle culture che si sono succedute nel tempo; non un’opera compiuta in sé, ma in continua sovra-scrittura e stratificazione. In questa visione ogni testimonianza ha piena legittimità e il nuovo ha piena dignità.

(©L’Osservatore Romano 20 gennaio 2013)

La Sagrada Familia, una lode a Dio. E un libro di Mons. Ghirelli che spiega come dovrebbero esserlo tutte le chiese

“Una lode a Dio”. Così Benedetto XVI ha definito la Sagrada Familia. Una chiesa monumentale, in costruzione da circa 128 anni, che è sopravvissuta al suo geniale inventore, l’architetto catalano Andoni Gaudì, morto investito da un tram mentre il suo capolavoro era ancora in costruzione. E “una lode  a Dio” devono essere tutte le Chiese. Ci sono dei precisi canoni liturgici da rispettare. E monsignor Tiziano Ghirelli, responsabile dell’ufficio diocesano per i Beni Culturali della diocesi  di Reggio Emilia ha voluto dedicare un intero volume all’analisi degli edifici ecclesiali. Con l’obiettivo – spiega – di “Tentare di capire se e come gli spazi sacri e i loro complementi rispondano alle istanze che, a partire dalla Sacrosanctum Concilium, sono richieste per favorire una ‘actuosa participatio’ dell’intera comunità cristiana al fare liturgico” Il libro, Ierotopi cristiani. Le chiese secondo il magistero, è edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

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Ierotopi cristiani. Le chiese secondo il magistero Titolo

Ierotopi cristiani. Le chiese secondo il magistero

Autore Ghirelli Tiziano
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(Prezzo di copertina € 110,00 Risparmio € 16,50)

E il fatto che alla presentazione sia presente anche il cardinal Lluìs Martìnez Sistach, arcivescovo di Barcellona, è significativo. Anche perché la Sagrada Familia, la “prima delle cattedrali gotiche di una nuova era” come amava definirla Gaudì, è un’opera densa, perché piena di simboli. L’esatto contrario di molte cattedrali moderne, spoglie, geometriche, nelle quali a malapena si riconosce l’altare. Tanto che c’è chi ipotizza che è proprio nella freddezza di queste cattedrali, nelle loro spigolature, che un sacerdote può perdere la fede in Dio.

Ghirelli non è un purista dell’arte sacra. Ne è un esempio il controverso restauro della cattedrale di Reggio Emilia – che grande spazio ha nel libro – avvenuto sotto i suoi auspici. Il restauro ha creato molte polemiche sui giornali, a partire proprio dalla foggia della cattedra episcopale di arte povera in legno e ferro dello scultore di Kounellis, smontata per “motivi di spazio” quando a Reggio Emilia si è insediato il vescovo Massimo Camisasca. Una sconfessione per l’opera di restauro, che presentava altre scelte “artistiche” che hanno destato polemica?

In una intervista al Sir dello scorso novembre, Ghirelli aveva parlato proprio dei problemi della recezione degli spazi sacri da parte delle persone. “Intorno a noi – aveva detto – si registrano risultati che creano una certa insoddisfazione e in non pochi casi lasciano perlomeno perplessi, soprattutto perché rivelano – contrariamente alle indicazioni date dai vescovi italiani, e non solo – una mancanza di collegamento di competenze. Spesso, infatti, l’architetto e il progettista vengono lasciati soli, perché non c’è una presenza liturgica, oppure c’è l’architetto e il liturgista ma non l’artista. Si fa fatica, insomma, ad andare nella direzione della complementarità dei ruoli, e questo metodo di partecipazione può compromettere i risultati. In positivo, però, tutto ciò può essere uno sprone – sull’esempio di quanto, concretamente, affermava e realizzava Paolo VI – a recuperare lo spirito di quella grande committenza ecclesiale che nei secoli ha fatto della Chiesa una componente essenziale dell’evolversi della storia dell’arte. Il rapporto tra la Chiesa e gli artisti – come si evince dallo splendido discorso pronunciato da papa Montini nel 1964, nella Cappella Sistina – è essenziale, anche per sollecitare gli artisti a produrre opere non da destinare a un museo, ma da inserire e utilizzare in un contesto liturgico”.

Di questo si trova esempio anche nella Sagrada Familia. Ad esempio, Etsuro Sotoo è uno scultore giapponese  che da oltre trent’anni si occupa delle statue dellafacciata della natività della Sagrada Familia, ed è soprattutto membro della Junta Constructora, l’equipe di artisti che in collaborazione con architetti, designer e ingegneri dirige i lavori dell’eterno cantiere modernista, e nel suo piccolo studio non lontano dalla chiesa fa nascere le idee per i modelli che poi verranno consegnati ad assistenti perché li realizzino coprendoli di maiolica in piccole tessere. E il fatto che sia un artista giapponese, contemporaneo, a far parte della Junta fa capire come alcuni concetti riguardanti i rapporti tra la Chiesa e l’arte non sono mutati con la contemporaneità. C’è sempre la necessità di un immaginario che si misuri con l’eternità e la tradizione deve si parlare all’uomo, evolversi, ma deve anche fare i conti con la liturgia.

Lo sa bene Jordi Faulì, da poco nominato architetto della Sagrada Familia. La nomina del quinto architetto capo della celebre cattedrale di Barcellona ancora incompiuta è forse il segnale di come tradizione e modernità vadano di pari passo nella costruzione di questa cattedrale. Come in una cattedrale medioevale, dove nessuno ricorda i nomi dei costruttori,  per essere architetto della Sagrada Familia bisogna dimenticarsi di se stessi e seguire il progetto che un altro ha iniziato. Al contrario della tendenza attuale, purtroppo presente anche all’interno della Chiesa,  dove è l’architetto stella che impone il “suo” stile anche sopra i valori simbolici propri della tradizione cristiana, Jordi Faulí è un architetto che in continuità con quattro generazioni costruisce la Sagrada Familia. Dalla prima pietra posata nel 1882 ad oggi, il progetto di Gaudì è rimasto intatto. E la speranza di Faulì è di terminare la costruzione della cattedrale nel 2026, per celebrare i cento anni della morte di Gaudì.

In una intervista a Radio Vaticana, Faulì stesso ha sottolineato il valore della continuità dell’opera. “E’ molto importante la continuità – ha detto – e il segno della continuità è stato sempre presente nella storia della Sagrada Familia. La stessa continuità che si ha nella costruzione di una qualsiasi cattedrale, dove ammiriamo l’edificio terminato, ma del quale non ci ricordiamo quali siano stati gli architetti, perché questo non è necessario. Qui, nella Sagrada Familia, c’è l’architetto ed è Andoni Gaudì. Dopo la sua morte, c’è sempre stata una continuità con lui su diversi piani: anzitutto la continuità nello studio, nelle indagini e nella fedeltà al progetto di Gaudì. In secondo luogo, la continuità nelle generazioni, nelle persone. Nella Sagrada Familia, hanno sempre lavorato architetti del secolo di Gaudì, architetti ormai di quinta generazione, e la conoscenza è stata trasmessa da una generazione a quella successiva”.

E ripercorriamola, questa cattedrale, per comprenderne la simbologia. Tre sono i libri dai quali Gaudì ha tratto ispirazione per la sua monumentale opera: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Da lì è partito per il suo intreccio architettonico, unendo realtà del mondo e storia della salvezza. C’è molto di liturgico nell’opera di Gaudì, molta attenzione per il dettaglio sacro, per il modo in cui la narrazione biblica viene resa presente nella liturgia. La Sagrada Familia è una chiesa sorta al centro di un chiostro e concepita come un luogo all’interno di un giardino (il Paradiso terrestre) nel quale Dio e l’uomo possono parlarsi faccia a faccia. Il chiostro non è dentro, come in tutta l’arte cristiana, ma è intorno. E fuori del chiostro, il deserto.

Per Gaudì, anche Barcellona era deserto. Avanti negli anni, si fece “monaco nella città”, con una vita di una semplicità disarmante, in una casetta a ridosso del cantiere. Ma ogni giorno la Sagrada Família cresceva di nuove pietre e lui gridava alla sua città che la nuova creazione è già iniziata, che il deserto inizia a fiorire.

Anche dentro l’edificio sacro, ci sono pietre, alberi e vita umana:  tutta la creazione doveva convergere nella lode divina. Allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. In questo modo, attraverso l’arte, Gaudì ha superato la scissione fra coscienza umana e cristiana. Non lo ha fatto con le parole o con la liturgia, lo ha fatto con la regolarità delle pietre.

Il solo vedere a distanza la chiesa dà un forte senso di sacro, come un vero e proprio richiamo. Era nelle intenzioni di Gaudì.  Le torri campanarie sono ciò che impressiona di più e subito chi per la prima volta si accosta alla Sagrada Família. Ce ne sono quattro per ciascuna delle due facciate laterali, In tutto dovranno essere diciotto: altre quattro sulla facciata principale; altre cinque sopra la crociera centrale, con la più alta dedicata a Cristo e le altre agli evangelisti; e infine una sopra l’abside, dedicata alla Madonna. Su ogni torre sono scolpite le parole “Sanctus” e, verso la cima, “Hosanna in excelsis”. Sono le parole del canto che introduce la grande preghiera eucaristica, la liturgia della Chiesa terrena e celeste che si celebra in ogni messa.

Niente manca di senso, nella chiesa progettata da Gaudí. Che avrebbe anche voluto orientare la chiesa verso il sole che sorge. Non gli fu possibile: la Sagrada Família è sorta sull’asse nord-sud. Allora ideò due facciate laterali, quella a oriente dedicata alla Natività e quella a occidente dedicata alla Passione. Se Cristo è il “sole di giustizia” e “il giorno che il Signore ha fatto” (Salmo 118, 24), allora entrare nella basilica e partecipare alla liturgia è vivere “in” questo giorno.

Gaudí, con le due facciate sulla Natività e la Passione, interpreta anche la Chiesa come “passaggio”. Mentre il sole che è Cristo passa attraverso la Sagrada Família da oriente a occidente, dalla nascita alla morte redentrice, la città degli uomini – a cominciare da Barcellona situata prevalentemente a ovest della basilica – è chiamata a fare il cammino inverso, dalla morte alla nuova nascita.

Dalla perdita delle sue radici a nuova nascita nella fede cristiana: è il cammino che dovrebbe fare l’Europa? Forse è dalla simbologia della Sagrada Familia che si può ripartire per riempire di senso lo spazio sacro, e ritornare alle radici della fede. Un percorso che si fa anche attraverso la bellezza. È proprio attraverso la bellezza che si può aiutare la partecipazione dei fedeli. “La bellezza della liturgia – aveva detto Ghirelli – nella sua dimensione terrena, deve essere un riflesso della bellezza perfetta, assoluta, della realtà celeste. Quello che diventa molto rischioso, complicato, è che il concetto di bellezza e la sua attuazione nella pratica è assolutamente soggettivo, perché ciascuno la realizza secondo i propri canoni. Ecco perché è importante avere una forte consapevolezza del proprio limite. Quando Giacobbe, dopo la lotta con l’Angelo, dice ‘è terribile questo luogo’, non fa riferimento a un luogo di minaccia o paura, ma alla consapevolezza di chi si rende conto del suo essere assolutamente impari nei confronti di tanta grandezza”.

Le chiese moderne? Non buttiamole via

Potrebbe spaventare un po’ il titolo (e la mole) del volume di Tiziano Ghirelli Ierotopi cristiani, pubblicato dalla Lev e dedicato al rapporto tra liturgia e architettura negli ultimi 50 anni (sconto scheda online su ibs 15%). Ma non poteva forse essere altro: perché al centro non c’è semplicemente l’edificio chiesa ma la dimensione simbolica di luogo sacro, icona spaziale della comunità. La ricerca del direttore dell’Ufficio dei beni culturali di Reggio Emilia, tra i membri della commissione che ha seguito la riforma della cattedrale emiliana, è ampia per taglio storico e geografico oltre che illuminante, a partire dalla raccolta e dall’analisi dei testi degli episcopati nazionali in materia di adeguamento liturgico.

Ghirelli Tiziano – Ierotopi cristiani. Le chiese secondo il magistero – >>acquista il libro

 

Ierotopi cristiani. Le chiese secondo il magistero Titolo Ierotopi cristiani. Le chiese secondo il magistero
Autore Ghirelli Tiziano
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Don Ghirelli, il volume evidenzia come la liturgia e lo spazio a essa dedicato siano cambiati continuamente nei secoli. Come interpretare allora la parola «tradizione»?
«Pensiamo all’ombrello usato per accompagnare il sacerdote negli spostamenti processionali o al canto sostenuto da chitarre elettriche. Esempi estremi tratti dall’esperienza, che individuano polarità concrete dell’attuale dibattito. La liturgia ha strutture tipiche non modificabili, pena la perdita di senso, e il respiro nel tempo degli uomini. Potremmo dire che è un “qui e ora, come allora e come sarà”. La liturgia, dove storia ed escatologia si abbracciano, non è cronaca. Proprio per questo il termine tradizione va analizzato con cura. Vogliamo richiamarci alla tradizione degli Atti degli Apostoli? O a quella dei Padri della Chiesa? Ai grandi santi del Medioevo? Ai riformatori tridentini? Ai fondatori dei movimenti missionari dell’Ottocento? La Chiesa è cattolica in quanto costituita da un multiforme popolo in cammino; le liturgie, cioè le “soste” che fanno pregustare il Paradiso, sono espressioni di comunità dinamiche che, sapientemente guidate, trovano identità e speranza nel Cristo risorto. Dunque parlare di tradizione al di fuori di questa prospettiva da un lato rischia di diventare rivisitazione di segni non più parlanti, dall’altro alibi per fughe in avanti che durano una stagione».

Si può tracciare un bilancio, a 50 anni dalla «Sacrosanctum Concilium», del rapporto tra liturgia rinnovata e architettura?
«Il Concilio ci ha fornito delle linee guida e soprattutto ci ha responsabilizzati. Non ha detto: guardate al passato, alle costruzioni romaniche o barocche… Ha dato una prospettiva, lasciandoci liberi, e ci ha invitati a un cambiamento. La sottolineatura conciliare della comunità come partecipe ed espressione del sacerdozio di Cristo impone un “guardarci in faccia”, un riconoscersi e un accettarsi reciproco. Un assetto mentale e affettivo di questo genere non può non produrre ambienti e strutture coerenti con l’incontro tra fratelli e tra loro con Cristo. Gli spazi dell’incontro si modellano intorno a un ordine che non è più solo gerarchia di ruoli ma è gerarchia di servizio: “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti”. Introdurci in questa dimensione non è facile. L’ordine che ci danno i banchi ci rassicura, invochiamo il “senso del sacro” che si respira in una pieve romanica. Le chiese d’oggi vengono accomunate da un giudizio negativo senza appello. Dimentichiamo che l’aura di quegli ambienti persiste non grazie alle pietre ma perché i nostri padri nella fede hanno sofferto, ideato e creato quegli spazi perché le loro liturgie vibrassero nell’incontro che salva. Oggi siamo chiamati a creare spazi per gli uomini d’oggi altrettanto significativi. È una sfida che vogliamo abbandonare? Non ci riteniamo all’altezza? Possiamo solo ripetere le lezioni del passato? Gli “stampi” già sperimentati sono gli unici riproponibili oggi? Dobbiamo dire di no. Le risorse, intellettuali e di fede per rispondere alla sfida ci sono: è possibile, anche nel terzo millennio, creare spazi attraverso i quali i credenti rendono visibile l’amore di Dio per l’uomo. Ancora oggi si può sperimentare nella liturgia un anticipo di Paradiso: ovviamente occorrono luoghi, oggetti, suoni, voci, luci, movimenti coerenti con questa tensione».

Il volume raccoglie per la prima volta i testi in materia delle conferenze episcopali. Quali sono i punti in comune? E perché faticano a diventare patrimonio diffuso?
«Tutti i testi censiti presentano una visione ecclesiologica unitaria, frutto di un notevole livello di assimilazione del Concilio Vaticano II. Le forme celebrative, che sono la prospettiva che deve guidare nella progettazione dei luoghi liturgici, sono viste dai diversi episcopati in maniera univoca. È evidente infatti in tutti i testi la sottolineatura della centralità dell’assemblea che recupera un ruolo sacerdotale. Grande importanza nell’articolazione dello spazio è conferita all’ambone come forte richiamo a Dio che parla all’uomo con parole d’uomo. È enfatizzato il fonte battesimale quale “pasqua” alla partecipazione alla vita divina: pertanto la sua collocazione corretta è presso l’ingresso. Soprattutto è chiaramente sottolineata la preminenza dell’altare e come debba essere il centro intorno al quale l’assemblea si dispone: tutti i documenti evidenziano che l’altare deve essere “circondabile”, scindendo anche il luogo della celebrazione eucaristica da quello della riserva eucaristica. Ma questi documenti restano troppo spesso negletti. In questo ambito manca la comunicazione anche tra le diverse nazioni: negli anni Novanta, quando sono stati emanati i testi della Cei, si riteneva erroneamente che nessun episcopato avesse fino ad allora affrontato il tema. Il lavoro, in alcuni casi davvero ciclopico, compiuto dagli episcopati nazionali è spesso rimasto ignoto anche a quanti avrebbero dovuto conoscerlo per ragioni professionali. È questa una delle ragioni del volume».

Può indicare dei casi «esemplari» di riforma liturgica?
«Dove si è creata un’alleanza tra committenza, comunità e progettista, i risultati sono stati positivi. Tra i quali, in contesti importanti, ricordo quello della cattedrale di Milano. Meno felici invece gli esiti quando un professionista, anche di grande valore, o un artista di fama vengono lasciati soli, come è accaduto ad esempio nella cattedrale di Pisa: se esteticamente possono convincere, non funzionano invece a livello liturgico. Altre volte un giusto percorso non sfocia in un risultato convincente proprio per il poco coraggio nelle scelte estetiche, come nel duomo di Trapani. Tra i casi positivi in contesti per così dire quotidiani, un esempio è il nuovo spazio liturgico che affianca la chiesa parrocchiale di San Floriano in Gavassa a Reggio Emilia, segnalato anche dalla fondazione Frate Sole di Pavia. L’interazione fra gli architetti Silvia Fornaciari e Marzia Zamboni, il parroco don Angelo Guidetti e la vivace comunità ha consentito di raggiungere un risultato rispettoso del passato e, insieme, capace di valorizzare il momento della comunità orante».

 

Alessandro Beltrami – avvenire.it