Papa Francesco per «Cattolici in politica, non serve un partito»

Un incontro tra amici. Con un dialogo appassionato, con domande e risposte a 360 gradi. È quello che si è tenuto oggi, in Aula Paolo VI, tra Papa Francesco e i membri della Comunità di vita cristiana (CVX) – Lega Missionaria Studenti d’Italia. Circa 5.000 persone. Di seguito le domande di alcuni partecipanti e le risposte a braccio del Papa. In fondo il testo del discorso scritto che Francesco però non ha letto.

Paola: Santo Padre – non è un modo di dire … Sono Paola. Presto servizio al carcere di Arghillà, Reggio Calabria. Lì incontro molta sofferenza e tutte le contraddizioni del nostro mondo. Le chiediamo una luce. Tra di noi, in questi ambienti, è facile parlare di speranza, è una parola che ci è familiare; ma come farlo con un ergastolano? Con un uomo che è definito “fine-pena-mai”? E poi volevo chiederle anche come affinare la nostra coscienza, in maniera tale che stare insieme a chi soffre non sia per noi una semplice beneficienza, ma riesca a convertire il nostro cuore, profondamente, e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto? Grazie, Santo Padre, perché fa sentire ciascuno di noi, in qualunque condizione ci troviamo, un figlio amato.

Papa Francesco: Paola, qui ho scritte le tue due domande – sono due! – tu sai che a me piace dire – e un modo di dire, ma è la verità del Vangelo, eh? – che dobbiamo uscire e andare fino alle periferie. Anche, uscire per andare alla periferia della trascendenza divina nella preghiera, no? Ma sempre uscire. Il carcere è una delle periferie più, più brutte, [con] più dolore … Andare in carcere significa prima di tutto dire a se stesso: “Se io non sono qui, come questa, come questo, come questa, come questo, è per pura grazia di Dio”. Pura grazia di Dio. Se noi non siamo scivolati in questi sbagli, anche in questi reati o crimini, alcuni forti, è perché il Signore ci ha presi per mano. Non si può entrare in carcere con lo spirito di “ma io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore”: no, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo. Ma, nel carcere uno può dirlo con tanto coraggio, ma dobbiamo dirlo sempre: quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio.

Ma questa è condizione indispensabile: noi non possiamo andare in [nelle] periferie senza questa coscienza. Paolo: Paolo aveva questa coscienza. Lui dice di se stesso che è il più grande peccatore; anche, lui dice una parola bruttissima di se stesso: “Io sono un aborto”! Ma questo è nella Bibbia, è la Parola di Dio, eh?, ispirata dallo Spirito Santo! Non è fare faccia di immaginetta come dicono che i Santi … ma i Santi si sentivano peccatori perché avevano capito questo! E la grazia del Signore ci sostiene; se tu – se io, se tu, se ognuno di voi non ha questo non potrà prendere il mandato di Gesù, la missione di Gesù: “Andate fino alla fine del mondo, a tutte le Nazioni, nelle periferie …”. E chi sono quelli che sono stati incapaci di ricevere questo? I chiusi, i dottori, quei dottori della legge, quella gente chiusa che non ha accettato Gesù, non ha accettato il suo messaggio di uscire.

Sembravano giusti, sembravano gente di Chiesa, ma Gesù dice loro una parola non tanto bella, eh?: “Ipocriti”. Così li chiama Gesù. E per farci capire come sono loro, la fotografia che Gesù fa di loro è: “Ma voi siete sepolcri imbiancati!”. Quello che è chiuso, che non può ricevere, è incapace di ricevere questo coraggio dello Spirito Santo, e rimane chiuso e non può andare in periferia. Tu chiedi al Signore di rimanere aperta alla voce dello Spirito, per andare in quella periferia; poi domani, forse, ti chiederà di andare in un’altra, tu non [lo] sai … Ma sempre c’è il Signore che ci invia. E nel carcere dire sempre questo, no? Anche con tante persone che soffrono: perché questa persona soffre, e io no? Perché questa persona non conosce Dio, non ha speranza nella vita eterna, sa che tutto finisce qua e io no? Perché questa persona viene accusata nei tribunali perché è corrotta per questo e io no? Ma, per la grazia del Signore! Questa è la più bella preparazione per andare in [nelle] periferie.

Poi, tu chiedi di … dici: “Di che speranza io parlo, con questa gente in carcere?”, che tanti sono condannati a morte … Ma no, in Italia, non c’è la pena di morte, ma un ergastolano … L’ergastolo è una condanna a morte, perché si sa che di lì non si esce. E’ duro. Cosa dico a quell’uomo? Cosa dico a quella donna? Ma forse … non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Ma tante volte noi non possiamo dire niente. Niente. Perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. “Tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo”, e quel condividere con l’amore: niente di più. Questo è seminare l’amore. E poi metti il dito nella piaga, no?

“Come affinare la nostra coscienza, perché stare insieme a chi soffre non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto?”. La beneficienza è uno scalino, eh? “Ma, tu hai fame? – Sì. – Ti do da mangiare, oggi”. Ma la beneficienza è il primo passo verso la promozione. E questo non è facile. Come promuovere i bambini affamati? Come promuovere … parliamo di bambini, adesso: come promuovere i bambini senza educazione? Come promuovere i bambini che non sanno ridere e che se tu li accarezzi ti danno uno schiaffo, perché a casa loro vedono che il papà dà schiaffi alla mamma? Come promuovere? Come promuovere la gente che ha perso il lavoro, come accompagnare e promuovere, no? Fare strada con loro? E che ha bisogno del lavoro perché senza il lavoro una persona si sente senza dignità?

Si, sta bene: tu gli porti da mangiare. Ma la dignità è che lui, lei, portino da mangiare a casa: questo dà dignità. E’ la promozione: il presidente ne ha parlato (il Papa si riferisce all’indirizzo rivoltogli dal Presidente delle CVX poco prima): tante cose che voi fate … Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale – non dico la beneficienza per uscire dalle difficoltà più gravi – che fa la differenza tra la beneficienza abituale e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: “Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire”. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio …” … Quella sana inquietudine dello Spirito Santo.

E questo è quello che mi viene di dirti, no? Che questo non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore. E questa inquietudine che ti dà lo Spirito Santo per trovare strade per aiutare, promuovere i fratelli e le sorelle, questo ti unisce a Gesù Cristo: questo è penitenza, questo è croce, ma questo è gioia. Una gioia grande, grande, grande che ti dà lo Spirito quando dai quello. Non so se ti aiuta, quello che ti ho detto … Perché, quando mi fanno queste domande, il pericolo – anche il pericolo del [per il] Papa, eh? – è credere che possa rispondere a tutte le domande … E l’unico che può rispondere a tutte le domande, è il Signore. Il mio lavoro è semplicemente ascoltare e dire quello che mi viene da dentro. Ma molto insufficiente e molto poco.

Tiziana: Santo Padre, sono Tiziana e vengo da Cagliari. Mi sento emozionata e felice: stare davanti a Lei è realizzare un sogno che ho avuto fin da bambina. Faccio parte della Comunità di vita cristiana e della Lega missionaria studenti, attraverso cui ho avuto il privilegio di vivere meravigliose esperienze di comunione e servizio. Però, oggi, parlando con il cuore in mano Le confido che la speranza a volte la perdo. A volte la mia fragilità è la stessa di tanti giovani. Aiuti me e tutti noi a capire che Dio non ci abbandona mai, che noi giovani possiamo ancora sognare in mezzo a chi vuole toglierci questo dono.

Papa Francesco: Ma, ai giovani [mi] piace dire: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Ma la tua domanda va oltre: “Ma di che speranza mi parla, Padre?”. Alcuni possono pensare che la speranza sia avere una vita comoda, una vita tranquilla, raggiungere qualcosa … E’ una speranza controllata, una speranza che può andare bene in laboratorio, eh?, ma se tu stai nella vita e lavori nella vita, con tanti problemi, con tanto scetticismo che ti offre la vita, con tanti fallimenti, “di che speranza mi parla, Padre?”. Ma, sì, io posso dirti: “Ma, tutti andremo in Cielo …”: sì, è vero. Il Signore è buono. Ma io voglio un mondo migliore, e io sono fragile, e io non vedo come questo si possa fare, io voglio immischiarmi – per esempio – nel lavoro della politica, o della medicina … Ma, alcune volte trovo corruzione, lì, e lavori che sono per servire diventano affari … Io voglio immischiarmi nella Chiesa, e anche lì il diavolo semina corruzione e tante volte c’è … Io ricordo quella Via Crucis di Papa Benedetto XVI, quando ci invitava a cacciare via le sporcizie della Chiesa Anche nella Chiesa [c’]è corruzione! Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può … Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi? Oggi, all’inizio della Messa, c’era un versetto di un salmo molto bello, molto bello: “Quando Tu, Signore, camminavi in mezzo al tuo popolo, quando Tu lottavi con noi, la Terra tremava e i Cieli stillavano”.

Sì. Ma non sempre si vede, questo. Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – [di] questo sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro – Dio cammina con il suo popolo. Dio mai abbandona il suo popolo. Lui è il pastore del suo popolo. Ma quando io faccio un peccato, quando io faccio uno sbaglio, quando io faccio una cosa ingiusta, quando io vedo tante cose, io domando: “Ma Signore, dove sei? Dove stai?”. Oggi, tanti innocenti che muoiono: dove stai, Signore? Ma è possibile fare qualcosa? La speranza è una delle virtù più difficili da capire, e alcuni grandi – penso che sia stato Peguy, uno di quelli che dicevano che è la più umile delle virtù, la speranza, perché è la virtù degli umili.

Ma bisogna abbassarsi tanto perché il Signore ce la doni, perché il Signore ce la dia. E’ lui che ci sostiene. Ma dimmi: che speranza può avere, dal punto di vista naturale, pensiamo a un ospedale: una suora che da 40 anni è nel reparto di malattie terminali, e ogni giorno uno, l’altro, l’altro, l’altro … Ma, sì, credo in Dio, ma l’amore che dà quella donna sempre finisce, finisce, finisce … e a un certo punto quella donna può dire a Dio: “Ma questo è il mondo che Tu hai fatto? Si può sperare qualcosa da Te?”. La tentazione, quando noi siamo nelle difficoltà, quando noi vediamo le brutalità che succedono nel mondo, la speranza sembra cadere. Ma nel cuore umile rimane. E’ difficile capire questo perché la tua domanda è molto profonda, no? Come non lasciare la lotta e fare la dolce vita e così, senza speranza … è più facile … Il servizio è lavoro di umili: oggi l’abbiamo sentito nel Vangelo. Gesù è venuto per servire, non per essere servito. E la speranza è virtù degli umili. Credo che quella può essere la strada. Ma ti dico con sincerità, non mi viene di dirti un’altra cosa. Umiltà e servizio: queste due cose custodiscono la piccola speranza, la virtù più umile, ma quella che ti dà la vita. Adesso? Grazie … Non so. E’ quello che mi viene di dirti. Grazie.

Bartolo: Carissimo Santo Padre, mi chiamo Bartolo e sono sacerdote diocesano da nove anni. Attualmente la missione affidatami è quella di formatore di seminaristi e docente presso il Seminario campano interregionale di Napoli, retto dai Padri Gesuiti; luogo in cui tante volte si danno molte cose per scontate: la formazione in genere … Da circa dieci anni collaboro con padre Massimo Nevola nell’animazione dei campi missionari, in particolare a Cuba, proposti a giovani adulti della Lega missionaria studenti. Attraverso queste esperienze ho toccato con mano le ferite del Signore nella povertà degli uomini del nostro tempo, che mi hanno messo in crisi e mi hanno spinto a cercare di più il Suo volto. E questo ha rafforzato molto la mia vocazione presbiterale, che sento sempre più come un dono per tutta l’umanità e la Chiesa. Le volevo chiedere, vista anche la presenza di tante parrocchie: che apporto specifico può offrire un movimento di ispirazione ignaziana, quale la Cvx, per la formazione cristiana di operatori pastorali, e la Lega missionaria studenti per il coinvolgimento e l’educazione alla mondialità di giovani? Grazie.

Papa Francesco: Il presidente ha fatto memoria di un motto ignaziano, no?, “contemplativo nell’azione”, e essere contemplativo nell’azione non è camminare nella vita guardando il cielo, perché cadrai in un buco [ride], sicuro … E questo è capire cosa significa questa contemplazione, no? Tu hai detto una cosa, una parola che mi ha colpito: ho toccato con mano le ferite del Signore nelle povertà degli uomini del nostro tempo. E questa credo che sia una delle migliori medicine per una malattia che ci colpisce tanto, che è l’indifferenza. Anche lo scetticismo: credere che non si possa fare niente.

Il patrono degli indifferenti e degli scettici è Tommaso: e Tommaso ha dovuto toccare le ferite. C’è un bellissimo discorso, una bellissima meditazione di San Bernardo sulle piaghe del Signore. Tu sei prete, puoi trovarla nella terza settimana di Quaresima, nelle letture, nelle seconde letture della terza settimana; non ricordo in che giorno. Entrare nelle ferite del Signore: noi serviamo un Signore piagato d’amore; le mani del nostro Dio sono mani piagate di amore. E essere capaci di entrare lì … e anche, Bernardo continua: “E sii fiducioso: entra nella ferita del suo fianco e contemplerai l’amore di quel cuore”.

Le ferite dell’umanità, se tu ti avvicini lì, se tu tocchi – e questa è dottrina cattolica – tocchi il Signore ferito: questo lo troverai in Matteo 25, non sono eretico, dicendo questo, eh? Quando tu tocchi le ferite del Signore, tu capisci un po’ di più il mistero di Cristo, di Dio incarnato. Questo è proprio il messaggio di Ignazio, nella spiritualità: una spiritualità dove al centro è Gesù Cristo, non le istituzioni, non le persone, no. Gesù Cristo. Ma Cristo incarnato! E quando tu fai gli Esercizi [spirituali], ma Lui ti dice che vedendo il Signore che soffre, le ferite del Signore, ma fa forza per piangere, per sentire dolore! E la spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo.

Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi … è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un “Dio-spray”, un Dio diffuso, un Dio all’aria … Ignazio, Ignazio voleva che tu incontrassi Gesù Cristo, il Signore, che ti ama e ha dato la sua vita per te, ferito per il tuo peccato, per il mio peccato, per tutti … E le ferite del Signore sono dappertutto. In questo che tu hai detto è proprio la chiave, no? Noi possiamo parlare tanto di teologia, tanto … cose buone, eh?, parlare di Dio … ma la strada è che sei capace di contemplare Gesù Cristo, leggere il Vangelo, cosa ha fatto Gesù Cristo: è Lui, il Signore! E innamorarti di Gesù Cristo e dire a Gesù Cristo che ti scelga per seguirlo, per essere come Lui.

E questo si fa con la preghiera e anche toccando le ferite del Signore. Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite. Lui è stato ferito per noi. E questa è la strada, è la strada che ci offre la spiritualità ignaziana a tutti noi: il cammino … Ma anche io vado un po’ di più: tu sei formatore di futuri sacerdoti, eh? Ma per favore: … se tu vedi che un ragazzo intelligente, bravo ma che non ha questa esperienza di toccare il Signore, di abbracciare il Signore, di amare il Signore ferito, consigliagli di andarsene a prendere belle vacanze di uno, due anni … e gli farai [del] bene. “Ma, Padre, noi siamo pochi sacerdoti: ne abbiamo bisogno …”. Per favore, che l’illusione della quantità non ci inganni e ci faccia perdere di vista la qualità!

Abbiamo bisogno di sacerdoti che preghino. Ma che preghino Gesù Cristo, ma che sfidino Gesù Cristo per il loro popolo, come Mosé che aveva la faccia tosta per sfidare Dio e salvare il popolo che Dio voleva distruggere, con quel coraggio davanti a Dio: anche sacerdoti che abbiano il coraggio di soffrire, di portare la solitudine e dare tanto amore. Anche per loro vale quel discorso di Bernardo sulle piaghe del Signore, eh? Capito? Grazie.

Gianni: Santo Padre, io sono Gianni, vengono dalla Cvx dell’Aquila. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel volontariato, nell’associazionismo e nella politica. Allora, nel nostro impegno nella vita sociale vorremmo che ognuno – specialmente chi è più giovane tra noi – comprenda che oltre al bene privato, troppo spesso prevalente, esiste un interesse generale che appartiene alla comunità intera. Santo Padre, quale discernimento può venirci dalla spiritualità ignaziana per aiutarci a mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale? Grazie.

Papa Francesco: Credo che questa domanda che tu hai fatto la risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge – non so se è qui: no, non l’ho visto … Lui è stato uno bravo, eh? Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma, si sente: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici”: non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma, un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”.

Il Beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. “Ma, Padre, fare politica non è facile, perché in questo mondo corrotto … e alla fine tu non puoi andare avanti …”: cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po’ martiriale? Sì. Eh sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per quello, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco … ma si fa.

Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Ma, nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche, che hanno aiutato alla pace nei Paesi. Ma pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra – alcuni: pensate a De Gasperi; pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione … Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominare più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune.

Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché, nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore: ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. “No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare” – “Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e continui avanti!”. Ma fare, fare … E proprio lottare per una società più giusta e solidale.

Qual è la soluzione che oggi ci offre, questo mondo globalizzato, per la politica? Semplice: al centro, il denaro. Non l’uomo e la donna: no. Il denaro. Il dio denaro. Questo al centro. Poi, tutti al servizio del dio denaro. Ma per questo, quello che non serve al dio denaro si scarta. E quello che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta.

Si scartano i bambini perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere; si scartano gli anziani, perché … ma, gli anziani non servono: ma adesso che manca il lavoro vanno a trovare i nonni perché la pensione ci aiuti, no? Ma servono congiunturalmente, no? Ma si scartano, si abbandonano gli anziani. E adesso, il lavoro si deve diminuire perché il dio denaro non può fare tutto, e si scartano i giovani: qui, in Italia, giovani dai 25 anni in giù – non voglio sbagliare, correggimi, eh? – il 40-41% è senza lavoro. Si scarta … Ma questo è il cammino della distruzione.

Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Dà il meglio: se il Signore ti chiama a quella vocazione, va lì, fai politica: ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Anche scarta il Creato, ché il Creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quello del Beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità. Non so se ho risposto …

Io avevo scritto un discorso … [ridono] forse noioso, come tutti i discorsi, no?, ma lo consegnerò, eh?, perché ho preferito questo dialogo … [Poi il Papa recita con tutta l’Assemblea una Preghiera alla Madonna della Strada… e infine imparte la Benedizione.] E per favore, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

Il discorso non letto
Di seguito il testo del discorso del Papa preparato e dato per letto:

Cari fratelli e sorelle, saluto tutti voi, che rappresentate la Comunità di Vita Cristiana d’Italia, e gli esponenti dei vari gruppi di spiritualità ignaziana, vicini alla vostra tradizione formativa e impegnati nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Un saluto particolare agli alunni ed ex-alunni dell’Istituto “Massimo” di Roma, come pure alle rappresentanze di altre scuole dirette dai Gesuiti in Italia.

Conosco bene la vostra Associazione per esserne stato assistente nazionale in Argentina, alla fine degli anni settanta. Le vostre radici affondano nelle Congregazioni Mariane, che risalgono alla prima generazione dei compagni di sant’Ignazio di Loyola. Si tratta di un lungo percorso nel quale l’Associazione si è distinta in tutto il mondo per l’intensa vita spirituale e lo zelo apostolico dei suoi membri, e anticipando, per certi versi, i dettami del Concilio Vaticano II circa il ruolo e il servizio dei fedeli laici nella Chiesa. Nel solco di questa prospettiva, avete scelto il tema del vostro Convegno, che ha come titolo “Oltre i muri”. Oggi vorrei offrirvi alcune linee per il vostro cammino spirituale e comunitario. La prima: l’impegno per diffondere la cultura della giustizia e della pace. Di fronte alla cultura della illegalità, della corruzione e dello scontro, voi siete chiamati a dedicarvi al bene comune, anche mediante quel servizio alle gente che si identifica nella politica.

Essa, come affermava il beato Paolo VI, «è la forma più alta ed esigente della carità». Se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica, sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce nel mondo anche attraverso questa modalità di presenza. Come seconda priorità apostolica vi indico la pastorale familiare, nel solco degli approfondimenti dell’ultimo Sinodo dei Vescovi. Vi incoraggio ad aiutare le comunità diocesane nell’attenzione per la famiglia, cellula vitale della società, e nell’accompagnamento al matrimonio dei fidanzati. Al tempo stesso, potete collaborare all’accoglienza dei cosiddetti “lontani”: tra di essi vi sono non pochi separati, che soffrono per il fallimento del loro progetto di vita coniugale, come pure altre situazioni di disagio familiare, che possono rendere faticoso anche il cammino di fede e di vita nella Chiesa.

La terza linea che vi suggerisco è la missionarietà. Ho appreso con piacere che avete avviato un cammino comune con la Lega Missionaria Studenti, che vi ha proiettato sulle strade del mondo, nell’incontro con i più poveri e con le comunità che più necessitano di operatori pastorali. Vi incoraggio a mantenere questa capacità di uscire e di andare verso le frontiere dell’umanità più bisognosa. Oggi avete invitato delegazioni di membri delle vostre comunità presenti nei Paesi dei vostri gemellaggi, specie in Siria e Libano: popoli martoriati da terribili guerre; ad essi rinnovo il mio affetto e la mia solidarietà. Queste popolazioni stanno sperimentando l’ora della croce, pertanto facciamo sentire loro l’amore, la vicinanza e il sostegno di tutta la Chiesa. Il vostro legame solidale con esse, confermi la vostra vocazione a tessere ovunque ponti di pace.

Il vostro stile di fraternità, che vi sta impegnando anche in progetti di accoglienza dei migranti in Sicilia, vi renda generosi nell’educazione dei giovani, sia all’interno della vostra associazione, sia nell’ambito delle scuole. Sant’Ignazio capì che per rinnovare la società bisognava partire dai giovani e stimolò l’apertura dei collegi. E in essi nacquero le prime Congregazioni Mariane. Sulla scia luminosa e feconda di questo stile apostolico, anche voi potete essere attivi nell’animazione delle varie istituzioni educative, cattoliche e statali, presenti in Italia, così come già avviene in tante parti del mondo. Alla base di questa vostra azione pastorale ci sia sempre la gioia della testimonianza evangelica, unita alla delicatezza dell’approccio e al rispetto dell’altro.

La Vergine Maria, che col suo “si” ispirò i vostri fondatori, vi conceda di rispondere senza riserve alla vocazione di essere “luce e sale” negli ambienti nei quali vivete e operate. Vi accompagni anche la mia benedizione che di cuore imparto a voi tutti e ai vostri familiari. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

avvenire.it

Cattolici e mondo rurale, il 7 giugno il convegno a Reggio Emilia

Cattolici e mondo rurale, il 7 giugno il convegno a Reggio Emilia

Dopo l’Unità l’attenzione per i mondo rurale da parte dei cattolici (così pure le altre componenti) s’incentra sui rapporti tra proprietari e lavoratori della terra. Dall’enfasi sul valore dell’impegno dei proprietari borghesi si passa a denunciare il loro assenteismo, al chiedere maggiore equità nei patti agrari (mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione, affitto), tutele per la piccola proprietà, sviluppo della cooperazione e abolizione del latifondo con la riforma fondiaria. All’inizio del 1900 con Toniolo, i democratici cristiani e Sturzo emerge l’obiettivo di rendere il contadino proprietario della terra quale condizione per l’evoluzione sociale delle campagne, ma poi con la promessa di arrivare alla proprietà i contadini sono massacrati nella Grande Guerra. Durante il ‘biennio rosso’ l’impegno dei cattolici raggiunge il culmine e Giuseppe Micheli, Ministro dell’Agricoltura nel Governo Giolitti, presenta al congresso di Napoli nel 1920 i due disegni di legge sulle rappresentanze agrarie e sul latifondo. Micheli proviene dalla Val d’Enza e affronta la questione agraria non solo nei rapporti tra privati (proprietà/lavoro) ma anche tra istituzioni pubbliche per dare peso alla comunità rurale. Operazione interrotta dal fascismo che rafforza i proprietari della terra, crea lo Stato corporativo, sceglie l’autarchia, provoca il blocco dello sviluppo industriale, lascia ai contadini l’unico sbocco nel colonizzare nuove terre da bonificare in Italia, oltremare, li spedisce in tre conflitti (Libia, Etiopia, Spagna) e infine nella seconda guerra mondiale.

Negli anni della ricostruzione la questione agraria si ripresenta con gli stessi contenuti del primo dopoguerra e anche a sinistra sorge l’Alleanza contadina voluta da Emilio Sereni nonostante sia ancora prevalente la visione collettivista. Le leggi contro il latifondo e le terre incolte sono firmate da legislatori comunisti (Gullo) e democristiani (Segni).

Dagli anni ’50 i governanti democristiani si adoperano per sostenere lo sviluppo industriale e organizzare l’inurbamento, emanano Piani Verdi per stimolare la meccanizzazione del lavoro, la modernizzazione dell’agricoltura e aboliscono la mezzadria. Azioni che sospingono-accompagnano l’esodo dalle campagne di 30 milioni di persone e in parallelo avviano sul mercato il progetto della Comunità europea. Per la pacificazione tra i popoli europei il Trattato di Roma punta all’autosufficienza alimentare cessata con l’impero romano dato che, dopo il suo crollo, il fabbisogno di cibo genera 1500 anni di conflitti per conquistare terre coltivabili in Europa e nelle colonie. Sembrava irraggiungibile l’autosufficienza con solo terreni europei e con popolazione e consumi in aumento, ma ci si arriva in quindici anni (68-83) grazie a Politica Agricola Comune, sviluppo e pace. Quei risultati ottenuti con la sostituzione del lavoro animale e con le innovazioni non sono replicabili, pertanto l’UE (come gli USA) si adopera per conservare la sovranità alimentare. Da tempo ogni Paese membro ha introdotto nel suo ordinamento delle riforme volte a riequilibrare i rapporti tra città e campagna con norme che fissano gli ettari di superficie agricola da destinare allo spazio urbano, assicurano l’azienda contadina con i servizi di sviluppo rurale e assegnano ala popolazione rurale dei poteri di governo sull’ambito rurale. L’Italia è l’unico dei grandi Paesi europei a non prestabilire anno per anno le superfici agricole che si possono consumare (a livello nazionale, regionale e comunale), non tutela l’azienda famigliare contadina con il Codice Civile, il PSC, ecc., non identifica la popolazione rurale per affidale apposite istituzioni. E’ andato perduto in breve tempo un terzo della superficie coltivabile della penisola, si è consolidato il disavanzo agroalimentare per i bisogni indispensabili di cerali e proteine (solo attenuato dall’esportazione di dolci e vino), si adoperano per il settore primario meno di 30.000 persone sotto i 30 anni (immigrati compresi) e in ogni zona il dissesto idrogeologico minaccia la città. L’ONU ha dichiarato il 2014 Anno Internazionale del’Azienda Famigliare perché in tutto il mondo questa realizza il miglior equilibrio tra uomo e ambiente e se finisce la popolazione contadina che lo cura ‘il creato non perdona’ come avverte Papa Francesco. Urge riprendere l’obiettivo di Micheli (eletto 100 anni fa nella provincia reggiana) creando in Italia l’ente dedicato all’ambito rurale per rendere equilibrati i rapporti tra società urbana dominante e mondo rurale soccombente. Da tutto ciò emerge l’importanza della riflessione che si svolge il 7 giugno.

                                Enrico Bussi

Programma Convegno del 7 giugno 2014 a Reggio Emilia

Sala del Consiglio provinciale, Corso Garibaldi 59

Mondo rurale e riforme

9,15 Apertura dei lavori, Giardo Filippini, Presidente di RuRe

Jan D.van der Ploeg, Università di Wageningen-Olanda

Contadini e sviluppo delle società avanzate 

Antonio Onorati, Associazione Rurali Italiani e Crocevia-Roma

Agricoltura contadina e sovranità alimentare italiana

Alberto Ferraboschi, Responsabile archivio storico della Provincia di Reggio Emilia

Rappresentanze agrarie in Italia: due proposte nel ‘900

Kees De Roest, Centro Ricerche Produzioni Animali, Reggio Emilia

Cambiamento recente della campagna reggiana

11,15 Interventi

Eleuterio Agostini, sacerdote che ha operato nel capoluogo e all’esterno

Vita contadina, esempio di reciprocità

Roberta Rivi, Assessore all’Agricoltura della Provincia di Reggio Emilia

Eredità di valori del mondo rurale

 

Altri interventi e dibattito

Persone di enti, di organizzazioni, del mondo rurale e urbano

12, 30 Conclusioni

Luca Vecchi, Sindaco di Reggio Emilia e Presidente dell’assemblea dei sindaci

Rapporto città/campagna da riequilibrare

 lalibertà.info

Intervista ad Andrea Riccardi. Cattolici in politica

Per un cattolico ci sono dei valori di fondo che non possono passare in secondo piano. In questo momento di crisi economica, è una priorità occuparsi delle famiglie, degli anziani: non fu creato un fisco a misura di famiglia, e ora si vede. Le diverse appartenenze sono una ricchezza.

Per anni corteggiato a destra e a sinistra, il 16 novembre 2011 Andrea Riccardi aveva detto il suo sì a Mario Monti, entrando a far parte del governo con la carica di ministro (senza portafoglio) per la cooperazione internazionale e l’integrazione. Romano, classe ’50, ordinario di storia contemporanea presso la Terza università degli studi di Roma, esperto del pensiero umanistico contemporaneo, Riccardi è noto soprattutto per essere stato il fondatore, nel 1968, della Comunità di Sant’Egidio. Oltre che per l’impegno sociale e i numerosi progetti di sviluppo nel Sud del mondo, l'”Onu di Trastevere”, come viene chiamata, è conosciuta per il suo lavoro a favore della pace e del dialogo. È stato insignito di molti premi internazionali, tra cui il Premio Balzan 2004 per l’umanità, la pace e la fratellanza fra i popoli.

Il cardinale Bergoglio in visita alla sede della Comunità di Sant'Egidio di Buenos Aires (foto ANSA / COMUNITÀ SANT'EGIDIO).

Il cardinale Bergoglio in visita alla sede della Comunità di Sant’Egidio di Buenos Aires (foto ANSA / COMUNITÀ SANT’EGIDIO).

Professore, cattolico politico o politico cattolico? Quale definizione preferisce e perché.

«Mi piace “cattolico appassionato di politica”. La “passione” per la politica, una politica che guarda al bene comune, si è persa negli ultimi anni, tra interessi “particolari”, lotte di potere, scandali e vere e proprie ruberie».

Cosa significa per lei la “laicità” nell’esercizio della politica?

«Significa, ma non mi sembra di dire nulla di originale, saper distinguere – senza separare – tra il piano della fede e quello della politica. Sapendo che lo Stato e la Chiesa concorrono, nei rispettivi ambiti, per la promozione del bene comune».

L’Italia (i suoi governi e le forze politiche) viene accusata di subire l’ingerenza della Chiesa cattolica, anche nelle sue scelte legislative. Cosa ne pensa?

«C’è in Italia una storia secolare della presenza della Chiesa la cui influenza è stata, nel tempo, favorita, contrastata, combattuta, ridimensionata. Certo, in Italia c’è una cultura impregnata di cattolicesimo, ma oggi il popolo vota liberamente, sceglie i suoi rappresentanti in Parlamento. La Chiesa nell’Italia pluralista di oggi è una voce decisiva, un grande riferimento morale, una fonte viva d’ispirazione per cattolici e laici. Ma non mi pare disponga di “truppe” o di mezzi capaci d’imporre volontà a governi, partiti o al Parlamento».

Spesso l’etichetta “cattolico” viene usata per indicare dei temi sensibili che per alcuni dovrebbero portare direttamente alla costituzione di un nuovo partito “cattolico”. Lei cosa ne pensa?

«I tempi per il partito cattolico non ci sono più. Peraltro la stessa Democrazia cristiana – il partito nel quale ha militato la maggioranza dei politici cattolici italiani – rifiutava l’etichetta di partito confessionale, definendosi partito laico d’ispirazione cattolica. E così il Partito popolare di Sturzo, da lui descritto come “aconfessionale”. Da molti anni la scelta dei cattolici è pluralista anche se in alcune aree c’è una concentrazione maggiore».

Quali sono a suo parere i temi che un politico cattolico dovrebbe avere come priorità?

«Per un cattolico ci sono dei valori di fondo, penso alla difesa della vita dal suo concepimento alla morte naturale, i valori della famiglia e della pace, che non possono mai passare in secondo piano. In questo momento di grave crisi economica, ritengo una priorità occuparsi delle famiglie, specie quelle numerose, che sono diventate dei veri e propri ammortizzatori sociali e che stanno soffrendo parecchio per via di scelte economiche ultradecennali, che non ne hanno mai valorizzato l’importanza fondamentale all’interno della società. Collegato con questo, c’è il tema degli anziani. La società invecchia, i costi per l’assistenza vanno alle stelle. Bisogna favorire il più possibile la permanenza degli anziani nella loro casa, vicino alle loro famiglie».

Guardando alle ultime legislature, quali le sembrano le occasioni che, tenendo presenti i temi di cui sopra, sono state sprecate o sbagliate?

«Stiamo attraversando un momento di crisi e ci siamo dannati, durante il governo Monti, per trovare qualche risorsa per le famiglie. Il grande rammarico è che nei periodi in cui le risorse c’erano non c’è stata la lungimiranza necessaria per costruire un fisco a misura di famiglia».

Il pluralismo culturale e religioso in che misura interpella il Parlamento e il governo italiano? Quali sono le scelte che, nell’ambito a lei più caro, andrebbero prese?

«Stiamo andando, necessariamente, verso una società in cui dovranno convivere culture, etnie e religioni. Bisogna lavorare fin da ora sui temi dell’integrazione, se vogliamo che il domani sia un domani di convivenza e di serenità. Durante il mio incarico di ministro ho insediato la Consulta religioni, cultura e integrazione, con i leader religiosi delle comunità immigrate presenti in Italia. È stata un’esperienza significativa e feconda: i leader religiosi sono molto influenti presso le loro comunità e il dialogo continuo, tra loro e con le istituzioni, ci ha aiutato molto a mettere a fuoco problemi, idee e proposte».

Durante la recente esperienza politica il fatto di essere essere cattolico in che misura ha pesato?

«In ogni decisione pesa la propria appartenenza, la propria storia, la propria esperienza. Ma le diverse appartenenze sono una ricchezza, non degli steccati. Nel governo Monti c’erano ministri di diverso orientamento. Abbiamo condiviso idee, proposte e impegni non sulla base dell’appartenenza, ma su quella dell’interesse nazionale».

Che tipo di riconoscimento dovrebbero avere le coppie di fatto?

«Per me il matrimonio resta un’unione tra una donna e un uomo. E anche per la nostra Costituzione la famiglia è fondata sul matrimonio. La difesa della famiglia non significa negare che nella società di oggi ci sono altre forme di convivenza. Penso per loro a soluzioni equilibrate, nel campo del diritto civile, dell’assistenza sanitaria, e così via».

Ha un politico, italiano o straniero, come riferimento nel suo impegno?

«Mi sto interrogando molto in questi ultimi anni intorno all’attualità di una grande figura come Alcide De Gasperi».

Vittoria Prisciandaro vita pastorale aprile 2013

POLITICA & VALORI «Cattolici, partecipare per cambiare»

La disoccupazione è oggi «la grave urgenza del nostro Paese», col rischio che, se irrisolta, «il rischio è di sacrificare intere generazioni». E, insieme, la famiglia, da difendere sempre più in un’Italia in cui «è vistosa, specie a confronto con altri Paesi europei, l’assenza di politiche familiari adeguate e durature». Emergenze, l’una e l’altra – ma non le sole – che costituiscono «un banco di prova su cui la politica dopo le elezioni sarà costretta a cimentarsi». Perché «la crisi economica e sociale è il sintomo drammatico di uno spaesamento più profondo. L’effetto è un ripiegamento sul privato e una fuga nella demagogia che allontana la possibilità di un cambiamento. Ma a un cattolico quest’atmosfera di disimpegno non è consentita e partecipare con il voto è già un modo concreto per non disertare la scena pubblica».

Alla vigilia della presentazione del suo libro La porta stretta, in programma domani a Roma con la partecipazione del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e del professor Joseph H.H. Weiler, della New York University School of Law, il presidente della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco, risponde in un’intervista a Famiglia Cristianaalle domande di Antonio Sciortino, direttore del settimanale, sul momento che il Paese sta vivendo. Compreso, ovviamente, il tema della prossima tornata elettorale, quando, per il presidente dei vescovi italiani, «la presenza di esponenti cattolici in schieramenti differenti dovrà accompagnarsi a una concreta convergenza sulle questioni eticamente sensibili», perché «non si possono affrontare problemi come la crisi del mondo del lavoro, le disuguaglianze sociali, la questione ambientale, mettendo tra parentesi i valori di partenza, come il rispetto per la vita, il sostegno alla famiglia, la libertà di educazione».

Infatti, aggiunge, «è falso ritenere che i valori non negoziabili siano “divisivi” mentre quelli sociali sarebbero unitivi. In realtà stanno o cadono insieme. E questo per una semplice ragione: perché i valori sociali stanno in piedi se a monte c’è il rispetto della dignità inviolabile della persona». E, quindi, «in concreto, un cattolico che sta a destra dovrà farsi riconoscere proprio quando si tratta di fare pressione per i valori della solidarietà. E se sta a sinistra, verrà allo scoperto proprio quando sono in gioco i temi della bioetica. Così entrambi diventano coscienza critica all’interno del loro mondo di riferimento e il Vangelo più che essere diluito diventa fermento».

Delle emergenze più acute del momento Bagnasco, come accennato, mette in evidenza in primis la disoccupazione, in particolare quella giovanile, perché, osserva, «se si pensa ai giovani che sono in larga misura condannati a questa situazione si capisce che la fragilità dei legami è dovuta pure a questo stato di cose. La Chiesa fa tutto ciò che può inventandosi anche canali nuovi di aiuto, ma è ovviamente troppo poco rispetto ai bisogni. Se non si riuscirà a trovare una risposta concreta a questa emergenza il rischio è di sacrificare intere generazioni». Insieme a questo, ci sono poi la difesa della vita, le politiche a tutela della famiglia, gli immigrati, la questione delle unioni omosessuali, le tasse. Su quest’ultimo punto il porporato risponde anche alle ricorrenti polemiche sull’Imu. «La Chiesa le tasse finora le ha pagate, contrariamente a ciò che si dice e si scrive», anche perché – ricorda Bagnasco – «evadere le tasse è peccato».

E ancora, ovviamente, c’è la questione della Chiesa, che «è tale – afferma – se è profetica. Il profeta guarda le cose con lo sguardo di Dio, ne coglie la verità interna e ne intravede l’esito. Per questo appare spesso poco “diplomatica”, perché invece di assecondare certe tendenze che più facilmente le darebbero consenso e prestigio, non esita a contestare i miti dominanti che non portano alla felicità, ma a deserti tristi e disumani». Perché «solo in questo modo la fede non è destinata a restare un fatto puramente emotivo, sentimentale, irrilevante per la vita concreta». Si assiste, infatti, spiega il porporato nell’esordio del colloquio, a una «crisi della fede» che è «la questione delle questioni». Una «sfida» che «è sotto gli occhi di tutti». Ma che non si vince «con semplici strategie pastorali o affinando i linguaggi della comunicazione diffusa. Il punto di partenza è che i credenti vivano di fede nella vita concreta». Quando «la nostalgia di Dio rinasce e con essa la gioia di viverlo e testimoniarlo, l’evangelizzazione diventa possibile. Il relativismo etico è, in realtà, l’effetto della perdita di orientamento che si produce quando Dio sparisce dall’orizzonte e l’uomo finisce per credersi misura di tutte le cose», conclude il porporato.

Salvatore Mazza – avvenire.it

Il punto sui rapporti religiosi con l’ebraismo in occasione della Giornata del 17 gennaio

di Norbert Hofmann

Il 17 gennaio 2013, giorno in cui viene celebrata la Giornata dell’ebraismo nelle Chiese di Italia, Polonia, Austria e Paesi Bassi, è un’ottima occasione per ripensare alle attività intraprese dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo nel 2012. Dal 1965 il compito di questa commissione è tradurre nella realtà l’orientamento suggerito dalla dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4), ravvivarlo continuamente nelle relazioni concrete tra ebrei e cristiani e approfondire l’amicizia reciproca, impartendole impulsi sempre nuovi. In questo testo conciliare, fondamentale per il dialogo ebraico-cattolico, viene evidenziato quale intento prioritario quanto segue: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo”. Questo dialogo fraterno ha in ultima analisi lo scopo di incoraggiare la collaborazione tra ebrei e cattolici per la giustizia e per la pace, di rafforzare l’impegno per la tutela del creato, e, sulla base di una crescente amicizia, di approfondire la conoscenza e la stima reciproche, affinché sia possibile rendere una testimonianza comune della presenza e dell’opera salvifica di Dio in questo mondo. Se è vero che la crisi maggiore del nostro tempo è la crisi di Dio, ovvero l’oblio di Dio e l’estromissione di Dio dall’esistenza quotidiana, allora ebrei e cristiani sono chiamati soprattutto oggi a rendere sempre presente questo Dio, in tutte le circostanze, a parlare di Lui e ad annunciare i suoi insegnamenti a favore di una pacifica e gioiosa convivenza di tutti gli uomini.

(©L’Osservatore Romano 17 gennaio 2013)

Unità d'Italia, Ruini al Peri per parlare dei cattolici reggiani

Nell’ambito delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, promosse a Reggio Emilia il cardinale Camillo Ruini è intervenuto all’istituto musicale Achille Peri sul tema “L’originale contributo dei cattolici reggiani e italiani all’Unità nazionale”.
L’incontro, promosso dall’associazione nazionale Comitato Primo Tricolore, presieduta dall’onorevole Otello Montanari, si è tenuto dalle 10,30 nell’Auditorium dell’Istituto musicale, in via Dante Alighieri 11. All’intervento del cardinale Ruini, ha fatto seguito la mostra storica: “L’Italia s’è desta”, con 92 cimeli sul Tricolore e sull’Unità nazionale.

Presenti l’assessore a Cultura e Università Giovanni Catellani, delegato al coordinamento delle celebrazioni per il 150esimo dell’unità d’Italia a Reggio; il prefetto Antonella De Miro; il vescovo della diocesi di Reggio-Guastalla, Adriano Caprioli; il presidente del Consiglio provinciale Gianluca Chierici e il consigliere regionale Giuseppe Pagani; lo stesso presidente Montanari e altre autorità.

L’associazione nazionale Comitato primo tricolore ha fatto  dono al cardinale di una copia del primo tricolore e di una rara cartella sui polacchi a Reggio Emilia nel periodo risorgimentale, stampata in occasione della visita a Reggio di papa Giovanni Paolo II, di cui Ruini è stato vicario per la diocesi di Roma.

“Il cardinale Ruini – ricorda l’associazione Comitato primo tricolore – è il primo reggiano e italiano, che il 4 gennaio 1996 portò il Tricolore cispadano, offerto dall’onorevole Montanari, quale simbolo di unità, pace e diritti civili, a Sarajevo, poco dopo la fine della guerra nei Balcani”.

ilrestodelcarlino

Unità d'Italia, Ruini al Peri per parlare dei cattolici reggiani

Nell’ambito delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, promosse a Reggio Emilia il cardinale Camillo Ruini è intervenuto all’istituto musicale Achille Peri sul tema “L’originale contributo dei cattolici reggiani e italiani all’Unità nazionale”.
L’incontro, promosso dall’associazione nazionale Comitato Primo Tricolore, presieduta dall’onorevole Otello Montanari, si è tenuto dalle 10,30 nell’Auditorium dell’Istituto musicale, in via Dante Alighieri 11. All’intervento del cardinale Ruini, ha fatto seguito la mostra storica: “L’Italia s’è desta”, con 92 cimeli sul Tricolore e sull’Unità nazionale.

Presenti l’assessore a Cultura e Università Giovanni Catellani, delegato al coordinamento delle celebrazioni per il 150esimo dell’unità d’Italia a Reggio; il prefetto Antonella De Miro; il vescovo della diocesi di Reggio-Guastalla, Adriano Caprioli; il presidente del Consiglio provinciale Gianluca Chierici e il consigliere regionale Giuseppe Pagani; lo stesso presidente Montanari e altre autorità.

L’associazione nazionale Comitato primo tricolore ha fatto  dono al cardinale di una copia del primo tricolore e di una rara cartella sui polacchi a Reggio Emilia nel periodo risorgimentale, stampata in occasione della visita a Reggio di papa Giovanni Paolo II, di cui Ruini è stato vicario per la diocesi di Roma.

“Il cardinale Ruini – ricorda l’associazione Comitato primo tricolore – è il primo reggiano e italiano, che il 4 gennaio 1996 portò il Tricolore cispadano, offerto dall’onorevole Montanari, quale simbolo di unità, pace e diritti civili, a Sarajevo, poco dopo la fine della guerra nei Balcani”.

ilrestodelcarlino