Raccolta differenziata in parrocchia? Dovrebbe essere ovvia

A scuola ho studiato educazione civica e fin da bambina ricordo gli schiaffi di mio padre sulle mani se lasciavo scivolare a terra, ovunque fossi (a casa o per strada) l’involucro di una caramella: «Si tiene in mano e si butta nel cestino», la risposta perentoria. Ben prima della raccolta differenziata viene la raccolta dei rifiuti, invece di spargerli colpevolmente al di fuori del proprio uscio, «tanto non ci abito su questa strada o in quel luogo». I pericoli d’inciviltà acuta si annidano anche in parrocchie, santuari, chiese e oratori. Dove i fedeli riuniti per banchettare, festeggiare, brindare o fare incontri con rinfresco corrono via prima di sparecchiare a dovere. E prima di gettare i rifiuti seguendo i dettami della raccolta differenziata.

Per questo mi sono stupita (ma non troppo) nel leggere che il Vicariato di Roma ha siglato un accordo con l’Azienda municipale ambiente (Ama) del Comune per coinvolgere le comunità parrocchiali nella raccolta differenziata “porta a porta”. Come se i condomini diligenti si trasformassero in fedeli indisciplinati varcato il recinto delle mura sacre: è spiegabile questa mutazione etica, oppure dovrebbe essere ovvio il rispetto tout court delle regole del buon vivere civile? La raccolta differenziata fa parte del corredo di doveri, non di buone pratiche facoltative, del credente. Quindi non può essere un’eccezione praticata per buon cuore e attenzione al cosmo, ma una sollecitudine doverosa e imprescindibile di ogni cittadino, credente o non che sia.

Il comunicato della diocesi di Roma recita che l’intesa è stata firmata a gennaio, «ma in questi giorni i buoni propositi fissati su carta stanno diventando realtà: la raccolta è partita già in 90 parrocchie della diocesi – su oltre 300 -, presso le quali sono stati installati i contenitori destinati alla raccolta di scarti alimentari e organici, multimateriale leggero (plastica e metallo) e vetro. Per la carta e i materiali non riciclabili si provvederà invece con i cassonetti posti su strada». Mi chiedo se ci voleva l’input comunale o se la buona educazione non faccia parte di default della carta d’identità cristiana, insieme al rispetto dell’ambiente e degli esseri viventi che vi abitano.

Forse al catechismo, oltre alle parabole evangeliche, bisognerebbe cominciare a insegnare un po’ di educazione civica, per imparare tutti – ragazzi ed educatori – le regole-base della convivenza umana (quindi anche cristiana).

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