PENSARE LA FEDE Attraversare, cambiando, il pomeriggio del cristianesimo

Pomeriggio del cristianesimo

«Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla»: così rispondono i discepoli al Nazareno che si affaccia sulla loro barca, chiedendo loro di prendere il largo. Su questa immagine evangelica si innesta il nuovo libro del filosofo e teologo ceco Tomaš Halík, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare (Vita e Pensiero, 2022, pp. 275), perché stanchezze, delusioni e dubbi sono ancora oggi presenti in tanti cristiani, che ‘hanno faticato tutta la notte’ per portare l’annuncio di Cristo risorto, raccogliendo però reti vuote. Ma, dice l’autore, ancora oggi può risuonare l’invito a prendere il largo, gettando le reti in mare, questa volta riempiendo la barca di pesci. Tuttavia, dove gettare le reti? In che modo pescare? In che modo cambiare per poter pescare? Verso quale meta ci indirizza oggi lo Spirito?

A queste risposte prova a rispondere Halík, forte della sua esperienza di accompagnatore spirituale e docente in un’Università laica a Praga, di studioso e di uomo immerso nel suo tempo, in una nazione, la Repubblica Ceca, che conosce tassi altissimi di secolarizzazione, dopo l’oppressione nazista prima e il lungo regime comunista dopo. Infatti, la prima questione da mettere a fuoco, è che il teologo è in primo luogo un testimone e un pastore che costruisce le sue riflessioni a partire da ciò che è la sua esperienza sul campo: 3000 gli adulti da lui battezzati nel corso degli anni, dopo la caduta del comunismo, quando finalmente egli poté rivelare il suo essere sacerdote cattolico (dopo gli anni della ‘chiesa del silenzio’). Quindi, le sue si configurano come riflessioni fortemente radicate nella concretezza pastorale, nell’ascolto, e poi nello studio, nella ricerca, nella preghiera, nel dialogo con intellettuali, cristiani o laici. Da qui nasce la convinzione profonda di Halík: «Se il cristianesimo deve superare la crisi in cui versano molte delle sue forme attuali e divenire una risposta ispiratrice di fronte alle sfide di questa epoca di grandi cambiamenti della civiltà, deve oltrepassare con coraggio molti odierni confini mentali e istituzionali. È giunto il tempo del superamento di sé del cristianesimo».

I segni dei tempi

Per compiere tale superamento è necessario avviare con coraggio un discernimento lucido dei segni dei tempi, cercando di capire che cosa Dio sta dicendo nella storia che stiamo attraversando, secondo una metodologia ermeneutica che si pone all’incrocio tra teologia, filosofia, sociologia, una metodologia che l’autore definisce cairologia, intesa come «esperienza ermeneutica teologica della fede nella storia»; cairologia, dunque, da kairos, perché il momento che viviamo è una crisi opportuna per ripensare (e rivivere) il messaggio evangelico, avendo la consapevolezza che Cristo risorto è vivo e presente e, pertanto, la storia diviene luogo teologico e luogo di rivelazione: «per la Bibbia il luogo della teofania è innanzitutto la storia». Essa non è affidata al caso – «Non è forse la storia il ‘terzo libro’, accanto alla Bibbia e alla natura?» – poiché nel tempo misteriosamente si compie la guida dello Spirito.

Sono anni, questi che viviamo, in cui imperversano due pandemie: non solo quella del virus, ma anche quella degli abusi sessuali, uno scandalo che secondo il teologo ceco è pari a quello della vendita delle indulgenze che accelerarono la Riforma luterana (nel libro non si parla di guerra in Ucraina, essendo stato licenziato nella sua prima versione ceca nel 2021, ma nella presentazioni de visu l’autore richiama anche questo fatto e l’uso errato ed identitario del cristianesimo che caratterizza il conflitto).

Oggi il cristianesimo è in una grandi crisi, culmine di un processo iniziato con la Riforma e via via sempre più aggravatosi, in una dicotomia pugnace con il mondo moderno, culminato nella cosiddetta «età piiana» (da Pio IX a Pio XII), quando la Chiesa di Roma è divenuta animatrice di una controcultura sempre più combattiva, che ha causato però una esculturazione del cristianesimo, poiché ha messo in atto «un’autocastrazione intellettuale riducendo al silenzio, nella sua battaglia antimodernista, molti pensatori creativi presenti tra le sue file. Così, all’apice della modernità, ha perso la capacità di condurre un dialogo dignitoso con la filosofia del tempo e con una scienza in tumultuoso sviluppo». E quando, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha invertito la rotta entrando in un dialogo costruttivo con il mondo, liberandosi da nostalgie premoderne, era però trascorso troppo tempo. I frutti del Concilio sono stati buoni, ma nel mentre il mondo è entrato nel postmoderno e nell’età di Internet, che Halík data simbolicamente a partire dal 1969, anno dello sbarco sulla Luna e del primo microprocessore, quindi pochi anni dopo la chiusura del Concilio.

Il pomeriggio della vita e del cristianesimo

Avvertiamo oggi, secondo il sacerdote ceco, l’apice di una crisi di maturità del cristianesimo, tanto nei modelli banalizzanti del kitsch, quanto in forme superficiali di spiritualità che assumono i modi della psicoterapia, così come nelle forme di un cristianesimo identitario e strumentalizzato a livello politico, anche nelle sue autoconsolatorie spinte tradizionaliste (e i recentissimi dibattiti ecclesiali confermano la lettura di Halík), assai sterili nel loro distanziarsi dall’umanità: «il tradizionalismo e il fondamentalismo, che sono a loro volte forme della scena religiosa contemporanea, non sono una mera prosecuzione della religione premoderna alla quale si riferiscono, ma piuttosto un fenomeno moderno, e nel loro sforzo di imitare e fissare una certa forma di religione del passato divengono anzi antitradizionali: negano la sostanza stessa della tradizione, che è movimento creativo di ricontestualizzazione dei contenuti religiosi e loro adattamento a nuovi contesti». Così, mutuando da Jung l’immagine delle fasi della vita come fasi del giorno, egli ritiene che oggi abitiamo il pomeriggio del cristianesimo, per cui la Chiesa può essere come l’uomo nella maturità inoltrata e nella vecchiaia, il quale molto spesso attraversa una crisi che può essere un invito a una discesa nel profondo, un’occasione per portare a compimento un «processo di maturazione di tutta una vita», generando «lungimiranza, saggezza, pace e tolleranza, la capacità di controllare le emozioni e di superare l’egocentrismo», così giungendo a pienezza. Oppure l’uomo può adempiere male il compito del ‘pomeriggio’, vivendo «rigidità, disordine emotivo, ansia, sospettosità, meschinità, autocommiserazione», insieme a paura e terrore. Ugualmente, il cristianesimo odierno rischia di ‘invecchiare male’ o di non scendere nel profondo, al cuore del messaggio di Gesù di Nazareth. In questo modo, corre il pericolo di non cogliere più la dinamicità della vita di fede, che è sempre una sequela e non un deposito statico che congela esistenze e spinte di rinnovamento, primariamente biografico. Perché, dice il filosofo ceco, la religione non è mai morta né, di conseguenza, è mai ‘ritornata’, solo ha cambiato forme e oggi si presenta con i tratti di un forte desiderio di spiritualità, nelle vie del mistero che sono più apertura verso l’azione di Dio che chiusura in formule e definizioni (Halík in ogni libro si dimostra sempre vicino alla tradizione della teologia negativa). Egli afferma a riguardo: «Il compito che spetta al cristianesimo nella fase pomeridiana della sua storia consta in gran parte dello sviluppo della spiritualità, e una spiritualità cristiana compresa in modo nuovo può contribuire significativamente alla cultura spirituale dell’umanità di oggi anche lontano dai confini delle Chiese».

Quattro vie per l’oggi

Dopo una acuta e intelligente ermeneutica dell’attualità (che deriva diverse categorie da Bonhoeffer, De Chardin, Raner, De Certeau, Taylor), traendo spunto da alcune grandi immagini di Papa Francesco, Halík propone quattro concetti ecclesiologi da approfondire e da immettere nella vita. Il primo è quello della Chiesa come «popolo di Dio in pellegrinaggio nella storia», ossia una «Chiesa in movimento e alle prese con incessanti cambiamenti»: ciò porta – secondo la teologia processuale – a maturare una concezione dinamica di Dio e quindi della Chiesa, in un incessante movimento escatologico.

Il secondo concetto riguarda la Chiesa come «scuola di vita e scuola di sapienza». Secondo il principio medievale del contemplata aliis tradere (trasmettere ciò che prima si è contemplato), «anche nelle società ecclesiali moderne – le parrocchie, i conventi, i movimenti ecclesiali – si dovrebbe rinnovare questa cultura del dialogo con Dio e fra i cristiani, l’unione di teologia e spiritualità, di formazione religiosa e cura della vita spirituale». Il tutto mettendo al centro del dialogo, della ricerca, della discussione il cuore del cristianesimo, ossia le tre virtù teologali, chiedendosi cosa significhino per l’umanità di oggi fede, speranza e amore.
Il terzo concetto ecclesiale è quello della Chiesa come ospedale da campo, ossia una comunità che vada a cercare i feriti dalla vita, siano essi socialmente, psicologicamente, fisicamente, spiritualmente feriti, provando a portare cura e guarigione (in questo senso, sono davvero intense le pagine in cui Halík racconta della sua opera di ascolto della persone che hanno subito abusi sessuali da parte di figure religiose).
Il quarto concetto è, infine, quello della Chiesa come spazio di accompagnamento spirituale, per cui essa dovrebbe farsi promotrice di luoghi di adorazione e contemplazione, di silenzio, di incontro e dialogo, «dove sia possibile condividere l’esperienza della fede», nella certezza della presenza continua dell’incarnazione di Dio in Cristo, quindi della sua permanenza in ogni situazione umana. In questo, ecco la proposta di ripensare alle parrocchie più come centri spirituali e non più come semplici comunità territoriali.

In tal senso, ciò che possono essere necessarie rivisitazioni nel campo della morale, dell’organizzazione ecclesiale, del sacerdozio, della presenza femminile – superando una volta per tutte moralismi sterili e fobie sessuali: «La mentalità pubblica secolare ha cominciato a percepire la Chiesa come una sorta di società arrabbiata, ossessivamente interessata ad alcuni temi (aborti, profilattici, rapporti omosessuali) cui rivolgere continuamente e incomprensibilmente il proprio anatema; le persone sapevano contro cosa fossero i cattolici, ma hanno smesso di capire per cosa fossero» – si vanno a porre come passi dentro una più ampia metanoia della vita di fede, del singolo e delle Chiese, secondo intensità, modalità e carismi differenti ma integrabili. In tal modo, passando da cattolicesimo a cattolicità, quindi a una vera universalità, in dialogo con tutti (Fratelli tutti è uno dei grandi punti cardinali della riflessione di Halík), i cristiani potrebbero tornare a essere «quelli della via», secondo la felice definizione degli Atti degli Apostoli, cioè quelli sulla via della sequela nelle vie del mondo. Insomma tornare a essere nel mondo senza essere del mondo. E uscire, come Abramo, nella fiducia della vicinanza di Dio, perché, ricorda Halík, «nessuno è al di fuori dell’amore di Dio».
di Sergio Di Benedetto – vinonuovo.it