Donne e minori, lʼorrore che Telegram non vede

Avvenire

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – che si tiene ogni anno il 25 novembre – è passata da oltre una settimana.

Ciò che purtroppo non è passato è la violenza di ogni tipo che, ogni giorno, anche nel digitale, colpisce le donne.

A svelarne un tratto molto preoccupante è il rapporto dell’associazione «Permesso negato» che si occupa del supporto tecnologico e feedback legale alle vittime del cosiddetto «revenge porn». E cioè, della diffusione nella Rete di immagini sessualmente esplicite, senza il consenso del soggetto ritratto, spesso con l’intento di vendicarsi dell’ex partner.

Si tratta di un reato, come indicato dal nuovo articolo 612, inserito nel cosiddetto «Codice Rosso», in vigore dal 9 agosto 2019 e che sanziona chi lo commette con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. Bandito da motori di ricerca come Google e Bing e da social come Facebook, il crimine del «revenge porn» resta purtroppo presente su altre piattaforme.

Leggendo il rapporto «State of revenge» si scopre che la peggiore di tutti è Telegram. E cioè, il servizio di messaggistica istantanea e broadcasting, fondato da un imprenditore russo, ma con sede a Dubai e che vanta 400 milioni di utenti mensili. Fino a pochissimo tempo fa, il rivale di WhatsApp tollerava tutto. Che si trattasse della violazione di copyright di giornali, film, canzoni o serie tv, fino all’esistenza di canali gestiti da gruppi terroristici, Telegram ha sempre lasciato correre.

Quest’estate, dopo una denuncia di Fieg (la Federazione italiana editori di giornali) e Agcom (l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) si è vista costretta a chiudere 300 canali illegali che offrivano giornali gratis. E qualcosa si sta muovendo anche sul fronte della tutela dei film e delle serie tv, visto che anche alcuni canali pirata di questo tipo sono stati recentemente chiusi.

Per quello che riguarda il rispetto della donna e dei minori, la situazione appare tragica. Scrive nel report «Permesso Negato»: «piattaforme come Telegram paiono apparire compiacenti e sorde anche nel caso di pedopornografia». Su quest’ultimo punto non passa giorno che associazioni come Meter, non scovino e segnalino alle autorità orrori di ogni tipo. Ma se far oscurare un sito (magari estero) può essere complicato, la vicenda relativa alla violazione del copyright dei giornali italiani, ci ha dimostrato che si può ottenere da Telegram di giustizia.

Se pensate che in Italia quello del «revenge porn» su Telegram sia un fenomeno marginale, vi sbagliate di grosso. Soltanto a novembre , l’osservatorio di Permesso Negato ha rilevato «89 gruppi/canali attivi nella condivisione di pornografia non consensuale destinati ad un pubblico italiano». Il gruppo più numeroso annoverava «997.236 utenti unici». In totale «i gruppi sottoposti ad esame hanno rilevato un numero di utenti registrati non unici pari a oltre 6 milioni». È probabile che il 60% degli utenti di ogni canale sia composto dalle stesse persone, ma si tratta di un fenomeno comunque enorme.

Tanto più che «è in rapida crescita nel corso del 2020». Per capirci: nel febbraio 2017 i gruppi rilevati di questo tipo «erano 17 per un totale di 1.147.000 utenti non univoci», a maggio 2020«i gruppi/canali erano 29 per un totale di 2.223.336 utenti non univoci». Oggi, dopo pochi mesi, sono il triplo. Con un’ulteriore aggravante: «La massima parte dei gruppi in osservazione contiene particolareggiate richieste di contenuti che coinvolgono minori». Persino video di «bambine stuprate». Il rapporto «è stato inviato a Telegram, alle forze dell’ordine e all’AgCom». Il minimo che ora dobbiamo tutti pretendere è che almeno si faccia quanto (giustamente) è stato fatto per proteggere il copyright dei giornali.

Quei canali vanno chiusi, senza se e senza ma.

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Sacrifici piccoli e sacrifici grandi CIÒ CHE CONTA PER DAVVERO

MARINA CORRADI Avvenire

Tg di ieri sera, le norme del Dpcm di Natale. Vietati gli spostamenti fra Regioni dal 21 dicembre all’Epifania, e perfino fra i Comuni della stessa Regione, il 25 e 26 dicembre.

Sentendo di questo divieto, in quanti abbiamo sussultato: pare un Natale agli arresti domiciliari quello che si annuncia, in chiusura di un amarissimo 2020.

Quanti nonni, fratelli, nipoti, negli hinterland e nella provincia italiana, abitano in Comuni divisi appena da una manciata chilometri. E quindi quanto davvero, se queste norme sono definitive, il prossimo 25 dicembre sarà, irrimediabilmente, diverso da ogni altro.

Quante persone, e spesso avanti con gli anni, quel giorno lo passeranno da sole a meno che uno «stato di necessità» non lo imponga. Ascolti e ti verrebbe voglia di dire al Governo: si può morire anche di tristezza, non soltanto di Covid. Ma, ieri, si apprende a sera, i morti in Italia erano 993. Mai, così tanti. Siamo ormai ben oltre i cinquantamila. Allora, noi stessi che trovavamo quei divieti di Natale intollerabili ci siamo fermati a pensare a questi mesi. Al lavoro stremante nei reparti negli ospedali, ai medici e agli infermieri che pure sono morti. Ai momenti terribili in cui i respiratori non bastavano. Ai camion carichi di bare che nella notte, in silenzio, come in una tragica ritirata, lasciavano Bergamo, dove non c’era più posto nei cimiteri.

Il costo umano del Covid in Italia è stato imponente, ma poteva esserlo ancora di più senza i sacrifici fatti, e la crisi che ne deriva lo sarà, temiamo, altrettanto.

Allora puoi immaginare che l’urgenza di fermare una terza ondata di contagi che si profila all’orizzonte mentre la seconda ancora monta sia alla base di un decreto, in alcuni passaggi, duro da accettare.

Perché sono proprio le riunioni conviviali fra persone che abitualmente non si frequentano, vivendo lontani, ciò che il virus, l’invisibile convitato, attende per tornare ad allargarsi. Il cenone in cui i commensali vengono da città diverse, da luoghi distanti, è il crocevia da cui, ormai lo sappiamo, si dipartono le nuove linee di contagio, come una ragnatela. E il ragno, ancora non smette di tessere.

Natale però, proprio il giorno di Natale, continui a pensare. Quanti vecchi soli.

Sono, però, proprio loro i più fragili, da proteggere da un virus che può essere, aggiunto ad altri malanni, il colpo definitivo. E quindi questo inimmaginabile 2020 nel suo finire ci mette, per quanto riguarda i nostri nonni, davanti a un aut aut che brutalmente potrebbe essere tradotto: il Natale ‘in presenza’ o la vita? Che amarezza, certo, rinunciare a uno dei pochi momenti in cui ci si ritrova tutti insieme: si può capire l’insofferenza che questo dovere genererà. È forse però l’aspro prezzo da pagare, perché le curve dell’incidenza dei malati e dei morti non tornino a impennarsi, fuori controllo. Nel decreto, si parla anche di altro. Di impianti da sci chiusi, di cenoni vietati negli alberghi, di San Silvestro con coprifuoco alle dieci di sera, di quarantena per chi torna da viaggi all’estero. Un ulteriore colpo per operatori turistici, albergatori, e per tanti semplici lavoratori già in forti difficoltà.

Ma c’è una fascia di proteste che avverti qui e là, che non ha niente a che fare con la crisi. È quella di chi si vede privato delle vacanze sulla neve, o nella seconda casa, o di una festa di Capodanno affollata che duri fino all’alba. Belle cose, insomma, ma non indispensabili. Cui in un anno come questo si può rinunciare: grati magari, invece, che il Covid non ti sia passato vicino, se ancora puoi continuare a mantenere intatte le tue abitudini, e avere voglia di brindare a champagne.

Proprio questa forse è la scriminante, nell’Italia che ieri sera dai tg ha ascoltato le norme del Dpcm di Natale. Chi si è ammalato o ha perso una persona cara, o il lavoro, sa quale solco lascia l’epidemia quando ti colpisce.

C hi invece è rimasto indenne, e non ha neanche paura del domani, questiona sul coprifuoco di San Silvestro – perché in realtà, non ha perso niente. Ci sono rinunce minori e rinunce grandi, in questa fine d’anno. Quella di stare insieme alle persone care, è grande: e soprattutto per chi quel giorno non avrà nessuno accanto. O per i figli, per la prima volta senza i genitori vicini. Sarà come smarrito, Natale senza di loro, un posto vuoto a tavola che lascerà pensierosi e straniti. Protestare, ribellarsi? Ma, quella cifra come uno schiaffo possente: 993 morti. Sperare allora che questo Natale drammatico, mai visto, sia un duro costo umano che possa almeno servire ad arginare il virus: e il numero dei malati e morti, con il 2021, calante. Perché sia – veramente – un anno nuovo.

C’era una volta… E un mondo si spalanca

Arrivano in libreria nuove edizioni dei racconti della tradizione che non smettono mai di appassionare grandi e piccini

È come girare una chiave ed entrare in una stanza. C’era una volta è l’inizio di ogni fiaba, la chiave che apre quella porta che dalla realtà ci introduce in un tempo senza tempo e in un luogo imprecisato in cui possiamo sentirci a nostro agio. Una formula importante per segnare il passaggio, assicurarci che siamo dentro un mondo magico dove tutto è possibile: gli animali parlano, le zucche diventano carrozze, le fate provocano incantesimi, gli umani devono affrontare terribili pericoli e prove difficili. Intanto la nostra immaginazione può volare, sentiremo un brivido, staremo in tensione per ciò che sta per succedere ma un’altra formula… e vissero felici e contenti, ci rassicura che la storia si concluderà bene. Questa però è solo una parte della straordinaria forza delle fiabe che continuano a regalarci una saggezza antica per aiutarci a conoscere chi siamo. Grazie alle voci di chi si ostina a volerle raccontare e anche agli editori che ne pubblicano – mai come quest’anno – nuove edizioni. Dopo tante scorpacciate di supereroi era ora.

Da bambina le fiabe le ha lette e rilette, da studiosa le ha analizzate sui testi originali, da zia le ha raccontate ai due nipotini e, infine, da scrittrice qual è, ne ha raccolte venti in un libro intitolato Ti racconto le fiabe, appena pubblicato da Giunti.

Non sono fiabe moderne, inventate oggi, quelle che Paola Zannoner – autrice tra le più affermate, Premio strega Ragazze e Ragazzi nel 2018 – ha riscritto con un linguaggio attuale adatto ai bambini di oggi, ma quelle classiche del nostro patrimonio popolare. «Storie provenienti da un mondo antico ma capaci di parlare anche a noi contemporanei, di raccontare il presente – spiega – perché mettono in scena l’esperienza e i sentimenti dell’umanità. Emozioni forti e contrastanti, come amore, rabbia, gelosia, comprensione, che impariamo a riconoscere nell’interpretazione dei protagonisti, nella sorellastra invidiosa, nel fratello sbruffone, nella matrigna cattiva o la suocera megera. Ci sono trame e figure ricorrenti, personaggi senza nomi ma con ruoli precisi, il re, la regina, la principessa, la contadina, il giovane povero che intraprende un cammino in cerca di fortuna. Si parte sempre da una situazione di svantaggio, le difficoltà della vita che si cerca di superare attraverso prove difficili e abilità del tutto umane e non quei superpoteri cui sono abituati oggi i bambini: l’intelligenza, l’arguzia, il buon cuore, la compassione, il coraggio». Infine, grande protagonista è la paura, impersonata da streghe spaventose, orchi e lupi ma anche dal bosco, il luogo in cui non si sa mai cosa può capitare: «Con un linguaggio chiaro e semplice la fiaba – conclude Zannoner – ci riporta a noi stessi, ci dice che il bene trionfa e la paura fa parte della vita e delle sue difficoltà, ma lì nel racconto possiamo guardala in faccia sapendo che con coraggio si può fronteggiarla».

Nate non come un genere per bambini e senza figure, le fiabe sono diventate solo in seguito un pozzo d’ispirazione per artisti e illustratori che ce le raccontano attraverso i loro occhi.

Non manca certo di spettacolarità questo albo firmato da Fabian Negrin , argentino, big dell’illustrazione contemporanea: Alfabetiere delle fiabe

(Giunti 18 euro) comprende ventisei grandi e raffinate tavole che accompagnano con un testo in perfetta rima altrettante fiabe tra le più popolari dall’A alla Z , da Aladino alla zucca di Cenerentola.

Direttamente dalla raccolta delle “Mille e una notte”, la bella scrittura contemporanea di Nadia Terranova incontra la forza delle illustrazioni di Lorenzo Mattotti in un Aladino e la lampada magica (Orecchio acerbo; 21 euro) dove la magia si mescola alla fortuna che sorride a chi sa usarla.

Ancora Orecchio acerbo con I tre porcellini che David Wiesner racconta con geniale anticonformismo: dagli agguati del lupo alla folle fuga dei maialini dentro e fuori le pagine dell’albo. E gran finale a sorpresa.

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È sloveno l’abete di Piazza San Pietro

A sollevare in verticale la sua mole poderosa ha provveduto il braccio meccanico di una gru, manovrato da un folto drappello di operai: l’albero di Natale di Piazza San Pietro ora è al suo posto. Si tratta di un abete rosso alto 28 metri, con un diametro di circa 70 centimetri, arrivato in Vaticano dalla Slovenia, esattamente dal comune di Kocevje, sul fiume Rinža. Si tratta di un’area ricoperta al 90% di foreste, inserita tra i 63 siti delle antiche faggete primordiali nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. L’abete rosso è la specie più diffusa sul territorio sloveno, che ospita anche il più alto d’Europa: misura 61,80 metri e si trova sul massiccio di Pohorje. Ha circa 300 anni, una circonferenza di tre metri e 54 centimetri.

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Arte: la lingua dei segni svela i capolavori

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Video-descrizioni delle opere esposte L’iniziativa della Galleria degli Uffizi

L’arte parla un linguaggio universale e non ha bisogno di traduzioni.

Verissimo. Ma quando si visita un museo capita di voler scoprire il più possibile sui capolavori esposti: per questo, i musei organizzano percorsi guidati, affidando a personale specializzato la descrizione delle opere. Oppure danno ai visitatori la possibilità di noleggiare apposite registrazioni. La Galleria degli Uffizi, a Firenze, ha pensato anche alle persone sorde, escluse da queste due possibilità: per loro sono state realizzate videodescrizioni delle opere nella Lis, la lingua italiana dei segni, con sottotitoli in italiano.

A breve, gli stessi filmati saranno disponibili anche in segni internazionali, con sottotitoli in inglese. È una delle iniziative per migliorare l’accessibilità delle persone disabili al museo, sviluppata in collaborazione con l’Ente nazionale sordi.

Ciascun video presenta un capolavoro – “La Primavera”, di Sandro Botticelli, o i ritratti dei Duchi di Urbino, dipinti da Piero della Francesca – con brevi spiegazioni, per non distrarre del tutto il visitatore dall’osservazione delle opere. Il tutto a portata di smartphone. L’iniziativa è stata presentata in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità, che si celebra oggi.

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Natale se cambia orario mezzanotte la Messa non ha meno valore

La discussione di questi giorni ha riportato l’attenzione sulla Messa di Natale. Se il 24 dicembre non è a mezzanotte ha meno valore? La risposta è no, come dimostra papa Francesco che l’anno scorso l’ha celebrata alle 21.30 mentre Benedetto XVI iniziava alle 22. In proposito il cosiddetto ordinamento con le regole per l’anno liturgico stabilisce che l’Eucaristia della vigilia sia fissata prima o dopo il Vespro (cioè tra le 17 e le 18.3019) mentre a Natale si possono celebrare tre Messe: nella notte (senza indicazione di ora), all’aurora e durante il giorno.

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Natale. Vado a Messa, l’ora si vedrà

Per rispettare il coprifuoco, la funzione della vigilia di Natale, che per tradizione si celebra a mezzanotte, dovrà essere anticipata. L’importante sarà esserci

Lo sentiamo ripetere da giorni.

Quello che ci apprestiamo a vivere sarà un Natale diverso dal solito. Probabilmente con meno persone intorno alla tavola e poche possibilità di viaggiare. Il coronavirus cambia anche il modo di fare festa. Una cosa però non dobbiamo perdere: il vero significato del 25 dicembre, cioè la nascita di Gesù, il mistero di un Dio che si fa bambino, che ci ama al punto da sacrificare il Figlio prediletto per noi. È quanto celebriamo ogni volta che andiamo a Messa, a maggior ragione a Natale. In queste ore si discute sulla possibilità di partecipare al tradizionale rito di mezzanotte, il 24 dicembre. A sconsigliarlo, il rischio che la presenza di tanta gente renda più difficile rispettare le distanze e il cosiddetto coprifuoco che, se come sembra verrà confermato, continuerà fermare le città alle 22. Di qui la scelta dei vescovi italiani di suggerire ai parroci di prevedere l’inizio e la durata delle celebrazioni entro quell’ora. Un sacrificio grande, anche considerando che le chiese sono tra i luoghi più sicuri, con uso costante delle mascherine, gel all’ingresso, quasi sempre entrate e uscite separate. I vescovi però in questo caso hanno preferito puntare sulla prudenza e sul senso di comunità. Sottolineando come ciò che conta davvero, orario a parte, sia andare a Messa.

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