Non si spiega il presente senza il passato

L’Osservatore Romano

Dom Helder Câmara – Paulo Evaristo Arns
Alla scuola di san Girolamo. Con Paulo Evaristo Arns scompare una grande figura del cristianesimo contemporaneo, vescovo tanto coraggioso quanto amato e ricercatore rigoroso che si appassionò ai Padri della Chiesa durante i suoi studi nella Parigi del dopoguerra. Un’epoca che il cardinale francescano raccontò vividamente in un testo scritto nel marzo del 2005 — per l’edizione italiana della sua celebre tesi, edita a Parigi nel 1953, rimasta fondamentale (Paulo Evaristo Arns, La tecnica del libro secondo san Girolamo, traduzione e cura di Paolo Cherubini, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2005, pagine 256, euro 17,50) — e che in questa pagina pubblichiamo integralmente.(g.m.v.)
(Paulo Evaristo Arns) Ogni tesi ha la sua storia. Il mio relatore, Pierre Courcelle, era reputato tra i più esigenti della Sorbona. Un suo collega mi disse addirittura che, quando esaminava i testi, sembrava più un tedesco che un francese, che è tendenzialmente più predisposto a perdonare qualche errore. Di fatto, assistetti per due anni alle lezioni preliminari di Courcelle presso gli Alti studi della Sorbona.

Egli cominciò a manifestare una grande fiducia nei miei confronti dopo aver esaminato le mie schede, che erano redatte in modo simile a quello del mio professore di teologia di Petrópolis, padre Constantino Koser, in seguito ministro generale dell’ordine francescano. Alla vigilia della discussione della tesi, come era usanza alla Sorbona, feci una visita formale alla famiglia di Pierre Courcelle e uscii ammirato dall’armonia regnante tra tutti i suoi membri. Non posso dire che mi abbia aiutato in maniera straordinaria. Fu di più. Direi che lavorammo quasi come compagni.
Con Jean Bayet non ebbi altro contatto al di fuori della frequenza delle sue magnifiche lezioni sul periodo classico della letteratura latina, il I secolo.
Diverso fu il rapporto con Henri-Irenée Marrou. Egli aveva scritto un’opera fondamentale su sant’Agostino e la decadenza dell’impero romano, e ci trasmetteva con molta libertà le conclusioni, nelle lezioni alle quali assistevo per mio piacere e per completare quello che mi sembrava potesse mancare nell’analisi della cultura del secolo d’oro della patristica (secoli dal III al VI).
Ferdinand Cavallera era un gesuita in pensione e viveva a Tolosa, nel sud della Francia. Con lui ebbi una grande amicizia. Era autore di due volumi insuperabili su san Girolamo. Mi fece la cortesia di leggere per intero la mia tesi e aggiungere addirittura — sempre con la matita — le virgole che mancavano nel testo. Fu senza dubbio un grande uomo, che soffrì molto perché non poté pubblicare tutto quello che scrisse su san Girolamo. Eravamo ai tempi di Pio XII e della critica alla nouvelle théologie, movimento animato soprattutto da gesuiti e domenicani.
Bernhard Bischoff mi ricevette con estrema delicatezza, direi quasi con profonda amicizia, nell’edificio in cui lavoravano gli specialisti che curavano l’edizione del Thesaurus linguae Latinae. Mise persino a mia disposizione una sala e mai gli pesò darmi spiegazioni su centinaia di parole, la cui origine io andavo scoprendo sopra un dizionario in quell’immensa accozzaglia di note. Arrivò al punto di darmi alcuni esemplari di quaderni scomparsi durante la guerra.
È evidente che la nouvelle théologie e i suoi rappresentanti più illustri mi entusiasmarono a tal punto che la patrologia, ossia lo studio del contenuto della migliore teologia dell’antichità, fu sempre la mia principale ispirazione, e lo è rimasta fino a oggi. Soffrii, è chiaro, le censure imposte ai diversi rappresentanti di questa corrente che poi finì per alimentare buona parte del concilio Vaticano II.
Il mio amore per i Padri si deve in gran parte a tali maestri, gesuiti e domenicani, che soffrirono molto ma molto perseverarono nella Chiesa e nello studio delle grandi fonti cristiane.
In modo particolare i poveri, tanto considerati nelle assemblee latino-americane di Medellín e Puebla (1968 e 1979) non furono dimenticati dai luminari dei primi secoli. Costoro mi accompagnarono nella comprensione e nella messa in pratica dei tanti stimoli che i poveri ci trasmettevano con entusiasmo.
Oltre all’influenza che gesuiti e domenicani ebbero sulla mia formazione devo dire che tanto il medioevo quanto il Vaticano II mi arricchirono con le ricerche e le pubblicazioni in lingua francese e nelle altre lingue dei più diversi paesi d’Europa, oltre che, al giorno d’oggi, quelle del continente americano.
Attualmente in tutti gli strati sociali del popolo si legge la Bibbia con molto più amore e realismo che in passato.
Ogni cosa è stata resa più chiara rispetto ai testi, al loro contenuto e al rapporto del popolo con se stesso e soprattutto con Dio onnipotente che si è rivelato attraverso Gesù Cristo, particolarmente nelle pubblicazioni sulla responsabilità dei cristiani nella diffusione del Vangelo.
Il mio libro è stato un povero contributo in questo senso: san Girolamo creò un vero centro di studi e diffusione della parola di Dio che produce frutti fino ai nostri giorni.
Non si spiega il presente senza il passato, così ben analizzato e diffuso dagli scritti di san Girolamo. Le tesi accademiche sono solite influenzare il popolo semplice, proprio come colui che tutti i giorni entrava in contatto con l’arcivescovo di San Paolo. Mi rallegrò, nel frattempo, il fatto che la mia tesi fosse ricordata tra persone appartenenti alla classe media come anche tra gli evangelizzatori della nostra gente, che ama la parola di Dio tanto o anche più di noi.
È successo quindi che, dopo cinquanta anni esatti del mio dottorato a Parigi, mi sia arrivata la richiesta insistente da parte di una casa editrice brasiliana di tradurre la tesi, nella stessa forma in cui era stata discussa alla Sorbona nel 1953. Questa edizione brasiliana si esaurì più rapidamente dell’originale francese.
Si è aggiunto anche il fatto che l’università di San Paolo, specializzata in comunicazione attraverso i mezzi più moderni, mi abbia chiesto l’autorizzazione ad organizzare, in occasione dei cinquant’anni della discussione della tesi in Francia, una celebrazione in mio onore, al fine di porre in evidenza l’evoluzione degli studi e la mia esperienza in questo campo. Pertanto, fu invitato un membro dell’Accademia brasiliana di lettere, che è uno dei maggiori specialisti della lingua portoghese, per svolgere un’analisi della tesi e della sua importanza al giorno d’oggi. Il professore e accademico Alfredo Bosi accettò l’impegno e riuscì a riempire il grande auditorium dell’università con giovani studenti e professori, ma solo per comunicare il contenuto, senza neppure procedere alla critica del mio testo franco-brasiliano. Fu un’assemblea memorabile, che assomigliò quasi a una celebrazione della parola di Dio, in un ambiente che si è soliti considerare agnostico. Il libro non solo interessò per l’originalità della ricerca, ma anche per il suo contenuto e per la genialità di san Girolamo nei secoli IV e V.
Sorpreso da una tale manifestazione chiesi al preside della facoltà di Comunicazione e multimedia come poteva un libro del passato suscitare ancora tanto entusiasmo. Egli mi rispose: «non perché l’autore è oggi il cardinale arcivescovo della più grande città del paese, ma perché senza la conoscenza del passato non si spiega né il cammino della storia né l’importanza di tutto quanto è stato realizzato con grandi sacrifici prima di noi».
Costruiamo il futuro sopra le fondamenta del passato, e queste fondamenta sono state poste proprio da Dio e rivelate a un artista della parola e del pensiero. Ogni scrittore lascia dietro di sé alcuni semi che, un giorno, possono trasformarsi in alberi da frutto, per tempi nuovi e situazioni inaspettate.
L’Osservatore Romano, 15-16 dicembre 2016.