L’intervista. Rohan Mukherjee: «Il mondo non è ancora pronto per essere multipolare»

Il docente di relazioni internazionali alla London School of Economics, immagina il Pianeta tra 10 anni: quello che mi spaventa di più è il cambiamento climatico
Rohan Mukherjee, docente di relazioni internazionali alla London School of Economics

Rohan Mukherjee, docente di relazioni internazionali alla London School of Economics – Lse

Incerto e diviso ma in crescita. È così che Rohan Mukherjee, docente di relazioni internazionali alla London School of Economics, immagina il mondo tra dieci anni. Autore di una premiata pubblicazione scientifica sulle potenze in ascesa, “Ascending Order”, l’esperto studia in particolare cosa spinge i Paesi emergenti a scegliere la guerra, o la collaborazione, con gli Stati più potenti per vedersi riconoscere dalla comunità internazionale un ruolo proporzionale alla propria crescita.

Professore, immagini di essere nel 2033: qual è il titolo di politica estera che si aspetterebbe di leggere oggi giornali?

Dipende se sei ottimista o pessimista. Diciamo che mi piacerebbe trovarmi a leggere un articolo su una scoperta tecnologica applicabile al cambiamento climatico. Qualcosa che possa perlomeno aiutarci a mitigarne gli effetti. Mi aspetterei però anche che titoli su chissà quali trattative tra Usa e Cina.

Come sarà l’ordine internazionale del prossimo decennio?

 

Prevedo più negoziati, più discussioni, più tensioni. Sono molte le nazioni che stanno emergendo sulla scena. Non solo Cina e India ma anche Brasile, Indonesia, Nigeria. Tutti Paesi che ora stanno accumulando risorse e potere per perseguire i propri interessi sullo scacchiere globale. Si dice che il mondo si stia lentamente muovendo verso un sistema multipolare e sono parzialmente d’accordo con questo. Ma ciò non significa che non ci saranno spazi per la cooperazione. Per esempio, su temi come il clima, l’intelligenza artificiale o l’informatica quantistica.

 

Quali sono le sue riserve sul futuro multipolare?

Credo che gli Stati Uniti, il polo più importante, sono molto più avanti rispetto alla maggior parte degli altri Paesi, Cina compresa, e che continueranno ad esserlo per lungo tempo. Hanno sicurezza energetica, innovazione e tecnologia militare. La Cina è un Paese molto grande e per certi versi, per esempio in termini di Pil, ha già superato Washington. Ma sulla scena globale non ha lo stesso peso degli Stati Uniti. Non ha alcun alleato, ad eccezione della Corea del Nord e, forse, del Pakistan e della Russia. Per questo direi, piuttosto, che stiamo passando da una sorta unipolarismo a un sistema bipolare con tendenze multipolari.

Se gli Stati Uniti sono destinati ad essere a lungo il primo polo dell’ordine globale come vede il futuro dell’Europa?

In questo momento l’Europa è in difficoltà su molti fronti. Sfide economiche, sconvolgimenti sociali e uno spostamento politico verso destra. In un certo senso è caratterizzata da una divisione interna che la Russia, invadendo l’Ucraina, ha peggiorato. Credo che sia a un bivio. O un ulteriore declino o la rimonta. Questa seconda strada è percorribile solo iniziando a farsi carico dei propri affari. È il piano di autonomia strategica di cui parla il presidente francese Emmanuel Macron. Credo che l’Europa non possa dipendere troppo né dagli Stati Uniti né dalla Cina perché nessuno dei due avrà a cuore i suoi interessi. L’Europa ha bisogno di trovare la sua strada per diventare un terzo polo.

Ritieni che le organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite, siano all’altezza di governare il mondo che verrà?

Le istituzioni internazionali sono un forum che rappresenta non sono le grandi potenze. In cui trovano spazio anche Ong e attori del settore privato. Ritengo che siano il luogo in cui è ancora possibile fare pressioni per evitare conflitti talvolta inevitabili. La tradizione diplomatica che li caratterizza è il dibattito in cui ciascuno presenta le proprie ragioni. Si dice spesso dice che le Nazioni Unite non sono efficaci perché, ad esempio, la Russia può porre il veto su qualsiasi cosa. È vero. Ma diplomaticamente mettono Mosca in un angolo. Credo che questo effetto dalle ricadute sociali sia il più potente dell’Onu che ritengo abbia ancora un ruolo importante nel futuro.

Cosa la spaventa di più del futuro?

Il cambiamento climatico. Non sono un esperto ma ci penso molto. Ritengo che siano preoccupante soprattutto gli effetti che avrà dal punto di vista umano, sociale e politico. Ci sarà una migrazione di massa che causerà danni non solo economici. Penso ai disagi che causerà alle comunità e alle città. Questa è una di quelle cose che potrebbero peggiorare molto velocemente e non sappiamo come andrà a finire.

Non ha paura di un’escalation nucleare?

Credo che i Paesi che sviluppano arsenali nucleari molto probabilmente non li useranno mai se non come deterrente. Penso che, fondamentalmente, siano armi difensive. Lo abbiamo visto per esempio con la Corea del Nord. A parte la retorica e le azioni provocatorie, il loro programma nucleare è ciò che gli consente di sedersi al tavolo delle trattative con gli americani. Penso che questo possa essere anche l’approccio dell’Iran. Ci si preoccupa molto dell’uso di ordigni nucleari tattici su piccola scala da parte di Putin ma ritengo che si tratti di una soglia difficile da raggiungere e superare perché la prospettiva non piace neppure a chi, come la Cina, sostiene la Russia, né a chi, come l’India, sulla guerra preferisce mantenere il silenzio.

Dove ripone invece le tue speranze più ottimistiche?

Nella tecnologia al servizio dell’ecologia e, in termini di geopolitica, nel crescente potere di attori terzi, Paesi o blocchi, in varie regioni del mondo. Certo, in un contesto multipolare è più difficile mettersi d’accordo su qualsiasi cosa. Ma ci sono buone ragioni per essere ottimisti sul fatto che l’ascesa di nazioni come India, Brasile, Turchia, Messico e Indonesia, interessate a creare prosperità per la propria gente senza dover scegliere tra l’ovest e l’est, possa mitigare gli effetti peggiori della rivalità tra Washington e Pechino a favore della stabilità.

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