L’anniversario della morte del vescovo di Molfetta è l’occasione per portare avanti la sua missione, soprattutto oggi che, ancora una volta, come scriveva «c’è nell’aria odore di zolfo»

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«Perché, vedete, questa esperienza è stata una specie di ONU rovesciata: non l’ONU dei potenti è arrivata qui a Sarajevo ma l’ONU della base, dei poveri (…). Allora io penso che queste forme di utopia, di sogno dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi, terra nuova, aria nuova, mondi nuovi, tempi nuovi (…). Quanta fatica si fa in Italia, ma abbiamo fatto fatica anche qui, anche con i rappresentanti religiosi, perché è difficile questa idea della difesa nonviolenta. Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati!” (don Tonino Bello, Sarajevo, 12 dicembre 1992).

Molti si chiedono: cosa direbbe oggi don Tonino Bello, morto il 20 aprile 1993, di fronte a quanto sta succedendo oggi, di fronte a questo mondo dilaniato da guerre e ingiustizie sempre più inquietanti. Credo che invece di porci questa domanda, dovremmo chiederci: cosa ha fatto e detto don Tonino nella sua vita? Quali le sue scelte? Quali le testimonianze che oggi noi siamo chiamati a raccogliere? Più che chiederci cosa farebbe lui, dobbiamo chiederci cosa dovremmo fare noi! Molto belle e toccanti le parole di Tonio Dell’Olio – che di don Tonino fu amico e collaboratore – nell’editoriale di Mosaico di pace di questo mese di aprile: «Il mondo è in ginocchio. E non sempre per pregare. La nostalgia della tua presenza non è rimpianto romantico ma sete, semplicemente sete di senso per comprendere come è stato possibile piegarsi al simulacro della guerra piuttosto che ridurlo in polvere come fece Mosè con il vitello d’oro». E parlando della modifica alla legge 185/90 sul commercio delle armi, una legge che vide don Tonino impegnato in prima persona come presidente di Pax Christi, Tonio aggiunge: «Vedessi oggi come stanno operando nell’ombra tra imprenditori e rappresentanti delle istituzioni per allargare le maglie di quelle norme! E questo è niente di fronte alla proposta di imputare alla spesa per la Difesa più del 2% del Pil!».

Sì, ricordare don Tonino non è fare memoria di un ‘santino’, ma rivivere oggi con passione le sue scelte. «È possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati? – scriveva don Tonino al ritorno dalla marcia a Sarajevo, dicembre ’92 – È davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono, il popolo si possa organizzare per conto suo e collocare spine nel fianco a chi gestisce il potere? Fino a quando questa cultura della nonviolenza rimarrà subalterna? (…) E qual è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi in questa delirante barbarie che si consuma sul popolo della Bosnia? Sono troppo stanco per rispondere stasera. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza: le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono».

Ma c’è un altro discorso, appassionato e profondo, oltre che molto attuale, pronunciato da don Tonino. È quello all’Arena di Verona, con Beati i costruttori di pace, il 30 aprile 1989. Ci può davvero illuminare anche in vista dell’appuntamento Arena di pace, a Verona il prossimo 18 maggio, con la presenza di papa Francesco. «Perché il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. È un popolo pasquale, che sta in piedi, come quello dell’Apocalisse: ‘Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello’. Davanti al ‘trono’ di Dio. Non davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo. E davanti all’Agnello. Simbolo di tutti gli oppressi dai poteri mondani. Di tutte le vittime della terra. Di tutti i discriminati dal razzismo. Di tutti i violentati nei più elementari diritti umani. A questo popolo invisibile della pace, dall’Arena di Verona, giunga la nostra solidarietà».

E ancora, sempre all’Arena: «Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata “orizzontalismo” la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l’amore per Lui. Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo Mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi del mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del Vangelo, che la non violenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali».

Sì, in piedi costruttori di pace perché, come scriveva nella lettera ad Abramo nel ‘91, anche oggi «nell’aria c’è odore di zolfo».

Famiglia Cristiana

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