I rimandi della Resurrezione di Piero della Francesca a una miniatura di un messale ambrosiano di quasi sessant’anni prima

La Resurrezione di Piero della Francesca a Sansepolcro dopo il restauro

La Resurrezione di Piero della Francesca, dipinta attorno al 1460 nella sua città natale Sansepolcro, è uno dei risultati più alti del genio creativo del pittore. Ma un capolavoro nasce da un atto creativo assoluto o è anche legato a ciò che altri artisti hanno creato prima? Nella storia dell’arte, pure nelle opere più innovative si trovano rimandi a scelte compositive, cromatiche e contenutistiche che qualcuno aveva già pensato. Nella Biblioteca del Capitolo del Duomo di Milano, il prezioso Messale ambrosiano di Santa Tecla, del 1402, contiene una miniatura (attribuita ad Anovelo da Imbonate) che anticipa di quasi sessant’anni certe soluzioni presenti nell’affresco del maestro toscano. Lo racconta Luca Frigerio su Vita e Pensiero.

“In entrambi i casi, […] Cristo si leva trionfante dal sepolcro: e non si tratta, si badi, di una generica raffigurazione di questo particolare soggetto, ma della stessa, medesima rappresentazione, dove, in modo pressoché sovrapponibile, il Risorto s’innalza al centro della tomba appoggiando il piede sinistro sul bordo del sarcofago […]. Sarcofago, come si buon ben notare, che è anch’esso assai simile nelle due immagini, apparendo, nell’una e nell’altra, marmoreo, squadrato, con una pronunciata cornice aggettante e con una campitura centrale. […] I soldati addormentati e inermi attorno al sepolcro […] sono in numero di quattro, di cui tre calzano l’elmo, uno invece è a capo scoperto: a Sansepolcro come nella Biblioteca della cattedrale di Milano.”

Ovviamente, ci sono anche delle differenze. Il tradizionale vessillo con croce rossa in campo bianco, simbolo del suo trionfo sulla morte, è tenuto da Cristo risorto con la mano destra in Piero, con la sinistra nel Messale, visto che con l’altra mano sta benedicendo. Sullo sfondo, in Piero la natura da arida si fa rigogliosa, esprimendo il concetto di rinascita e ritorno alla vita, mentre il codice ambrosiano propone il giardino in cui sorgeva il sepolcro, come narrato nel Vangelo di Giovanni (un rimando all’Eden, con i due alberi della vita e della conoscenza?).

“Ma il punto di maggior contatto fra le due raffigurazioni consiste forse in quell’insolito, splendido manto di color rosa che avvolge il Risorto. Insolito perché ci è forse più familiare, in simili scene dipinte, la veste bianca (come in Giotto nella Cappella degli Scrovegni) o il telo rosso (come in tanta parte della pittura fiamminga, e non solo). Ma questo drappo rosaceo, azzardiamo, si pone proprio come sintesi e come trasfigurazione del manto scarlatto della Passione unito allo sfolgorio della Resurrezione, in un’invenzione straordinaria di cui la miniatura ambrosiana è, a nostra conoscenza, proprio l’esempio più antico, e che trova la sua massima espressione esattamente nel capolavoro di Sansepolcro.”

Piero della Francesca, dunque, ha copiato da Anovelo da Imbonate? Non proprio. Ha fatto quello che solo i grandi artisti sono in grado di fare: ha rielaborato in modo sublime ed eterno una particolare tradizione iconografica testimoniata dal Messale.

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