Gli incontentabili e gli accontentàti

I cristiani dovrebbero essere un po’ così: insaziabilmente alla ricerca, insoddisfatti delle incoerenze su cui galleggia il mondo. E invece…

C’era una volta, nel tempo remotissimo in cui gli spot erano in bianco-e-nero e si chiamavano «Carosello», lo sketch di una pubblicità intitolato «Gli incontentabili». Una classica famigliola si recava in un negozio per acquistare un certo prodotto e inevitabilmente ne usciva scontenta; finché naturalmente trovava la marca reclamizzata, l’unica che appagasse le esagerate esigenze de «Gli incontentabili», restituendo loro il sorriso.

Beh, pure i cristiani dovrebbero essere un po’ così: insaziabilmente alla ricerca («Hai fatto il mio cuore inquieto», Agostino d’Ippona), insoddisfatti delle incoerenze su cui galleggia il mondo, in continuo cammino verso un dove che – già lo sappiamo – non raggiungeremo mai quaggiù… E invece trovo che troppo spesso noi credenti assomigliamo piuttosto a degli «accontentàti»…

«Accontentàti» perché ormai senza grandi aspettative, appagati da un tran tran senza scosse né sorprese.

«Accontentàti» in quanto immersi nell’aurea mediocritas: il perbenismo imborghesito di chi non si sbilancia mai (però si riserva di criticare chi lo fa).

«Accontentàti» perché senza speranza, tristi e ingrigiti nell’attesa di qualcosa che forse accadrà dopo la morte, di certo non su questa terra.

«Accontentàti» e sazi di un benessere che tuttavia si ha timore di condividere, tanto meno con quelli che non sono «dei nostri».

«Accontentàti» perché comunque «ci penserà il Signore a mettere le cose a posto, noi intanto preghiamo…».

Anche i cristiani sono uomini di mondo e come tali sono ormai impregnati dello spirito incattivito e di cinica autodifesa che caratterizza il nostro tempo, spesso arroccati a riccio su posizioni di pura conservazione (sarà per questo che Papa Francesco chiede di porsi «in uscita»?). Non siamo diversi né migliori degli altri, no, anzi a volte una religione mal interpretata ci offre un’impalcatura di pretesti ancora maggiori per rifiutare certe domande inquietanti, o militanze scomode, o ancora confronti destabilizzanti.

Ho partecipato di recente a un matrimonio nel quale il prete (un giovane che deve avere una marcia in più rispetto a tanti colleghi) all’omelia ha augurato alla coppia che celebrava le nozze di avere dell’ansia, un’allergia e un po’ di pazzia… E poi, tra la curiosità generale, ha declinato tali «malattie» in senso cristiano: ansia di non sentirsi mai arrivati, allergia alle ingiustizie, pazzia nell’andare controcorrente.

Io, che sono un fratello minore del Sessantotto, ho capito al volo; ma – tra incertezze dell’economia in crisi, angoscia da terrorismo internazionale, arrembante cozzo di civiltà, insicurezze sul lavoro e in famiglia – discorsi del genere non se ne sentono più in giro tanti, nemmeno in chiesa. «Chi si accontenta gode»: forse. Di certo non ha molta voglia di far crescere se stesso e il mondo.

vinonuovo.it