Abusi del clero sui minori: un tema culturale fondamentale

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Certo possiamo essere sconvolti dalle recenti vicende sui dossier francesi e tedeschi (e non solo) riguardanti gli abusi di persone organiche all’organismo ecclesiale verso minori o comunque fragili. Ma, come ho cercato di sostenere in un articolo apparso su FC (qui), se cerchiamo di pensare il problema, non possiamo non rilevare che si tratta di un disastro che deriva da un paradigma culturale ben preciso: quello secondo cui l’istituzione va salvaguardata a tutti i costi, anche a danno delle persone, perché lo scandalo va evitato a prescindere.

Continuando ad accumulare coperchi sugli scandali, questi alla fine esplodono e mettono in grave crisi anche coloro che invece lavorano quotidianamente con dedizione e passione, anche se non senza difetti, nella Chiesa e sul territorio.

Non si tratta neppure di essere più o meno umani, come sostiene anche comprensibilmente padre Zöllner. La questione è culturale: quanti hanno responsabilità apicali, anche nella Chiesa, si sono sempre preoccupati di salvaguardare l’istituzione per affermarne la credibilità.

Questo era, dal loro punto di vista, il compito affidatogli, anche a scapito del loro tornaconto personale (dedizione per loro ha questo senso e spesso è stata vissuta in maniera esemplare). Questa cultura ha dominato per secoli, anche dopo il Vaticano II. Ma non è la cultura che si genera dal Vangelo. Ma siamo sicuri che, anche nel campo della società cosiddetta civile e laica, non abbiamo bisogno di un’analoga inversione di tendenza?

La svolta alla quale tutti dobbiamo lavorare riguarda appunto la centralità della persona (“diritto sussistente” secondo Antonio Rosmini), da salvaguardare e custodire soprattutto quando è vittima di violenze e abusi. Attenzione però che essa dovrà riguardare sia le vittime che i veri o presunti carnefici. Molto spesso, infatti, essi sono stati a loro volta vittime.

A questo riguardo vale la pena riflettere sul contesto sessuofobico in cui la maggior parte dei presbiteri sono stati formati. E, in questo contesto, si è trattato di una educazione tendente a comprimere, se non sopprimere, la dimensione affettiva e sessuale dell’esistenza, la quale, a lungo andare, esplode, in forme del tutto deviate e decisamente condannabili.

Dove ha portato la fedeltà assoluta all’istituzione ecclesiale, se non alla deriva concernente la sua credibilità? E questo riguarda non solo gli scandali di natura sessuale, ma anche quelli che afferiscono alla sfera economica. In entrambi i settori le gogne mediatiche e giudiziarie retroattive non servono a nulla, fatta salva la necessità di perseguire penalmente i reati ove provati al di là di ogni ragionevole dubbio.

Piuttosto bisogna guardare al futuro e prepararlo, anche se su di esso pesano secoli di una tendenza opposta, che ci pone sempre e comunque al cospetto della banalità del male, dirompente anche in questi casi.

Di qui la domanda sull’identità del “funzionario di Dio”, per dirla con Eugen Drewermann. E riguarda chiunque assuma un ruolo nella comunità credente, dai ministri domenica scorsa investiti di tale compito, ai diaconi, presbiteri, vescovi…

Se, infatti si tratta di essere funzionali al Dio di Gesù Cristo, allora si tratterà di essere a servizio esclusivo delle persone e non delle strutture. Al momento non ci sembra di intravedere tali figure nei ruoli apicali della comunità credente, a meno che non ci si rivolga ai parroci e a quanti come loro sono al fronte, piuttosto che dietro le scrivanie dei dicasteri o delle curie.

Ripartire dalla formazione e formulare un progetto educativo, comprensivo delle diverse dimensioni della persona, è un punto di partenza imprescindibile perché le future generazioni non abbiano a doversi misurare con scandali di questo genere, ma, come dice Paolo oportet haereses esse (1Cor 11,19), a patto che sappiamo trarne impulsi e spinte per un rinnovamento radicale del sistema anche ecclesiastico.

di Giuseppe Lorizio in Settimana News