Scuola. Diplomati magistrali in cattedra fino al 30 giugno

Raggiunta l’intesa tra sindacati e Ministero, per garantire la continuità didattica. Interessati circa 30mila insegnanti

Diplomati magistrali in cattedra fino al 30 giugno

avvenire

I diplomati magistrali resteranno in cattedra fino al 30 giugno 2020. Lo stabilisce l’accordo raggiunto tra i sindacati e il ministero dell’Istruzione, che in questo modo vogliono «tutelare la continuità didattica dell’anno scolastico in corso», si legge in un comunicato firmato dai segretari generali di Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Unams. La necessità di arrivare a questa intesa deriva dalla sentenza del Consiglio di Stato che stabilisce come i diplomati magistrali, con titolo conseguito entro l’anno scolastico 2001-2002, non abbiano diritto a iscriversi nelle Graduatorie ad esaurimento e ad entrare in ruolo. Una sentenza arrivata dopo altre, dello stesso Consiglio di Stato, di segno opposto e in forza delle quali migliaia di diplomati magistrali erano entrati in ruolo e nelle Gae. Complessivamente, gli insegnanti coinvolti nel contenzioso sono circa 30mila, di cui almeno 6mila con sentenza incombente (cioè in arrivo in queste settimane) e tremila entrati in ruolo all’inizio di quest’anno scolastico. Senza quest’accordo, avrebbero dovuto lasciare il servizio una volta ricevuta comunicazione della sentenza a loro sfavorevole. Così, invece, tutti potranno restare in cattedra fino alla fine dell’anno. 

L’intesa, precisano i sindacati, tutela anche «coloro che avrebbero avuto diritto all’immissione in ruolo in forza dei medesimi provvedimenti giurisdizionali e che vedranno salvaguardati i diritti derivanti dalle posizioni occupate legittimamente nelle graduatorie».

Reggio Emilia, festa per il nuovo parroco don Luca Grassi

Reggio Emilia, festa in Sant’Agostino per il nuovo parroco don Luca Grassi
Nelle foto: Don Luca con i ragazzi della Cresima; 

DON LUCA GRASSI
– Parroco di Sant’Agostino in Città
e nell’Unità Pastorale n.1/A “Santi Crisanto e Daria” in Reggio Emilia,
delle parrocchie cittadine di San Giovanni Ev. in Santo Stefano, Santissimo Salvatore in Santa Teresa e San Zenone V. e M. in San Zenone.
– Moderatore, nella stessa Unità pastorale, anche delle parrocchie cittadine della Cattedrale e diSan Prospero.
Fino ad ora Sacerdote “Fidei Donum” in Brasile.

Al suo fianco lavorerà come vicario don Gionatan Giordani. Solenne concelebrazione eucaristica che il vescovo venerdì alle ore 20.30

REGGIO EMILIA – La parrocchia cittadina di Sant’Agostino, in centro storico, è pronta ad accogliere il nuovo parroco don Luca Grassi. Prende il posto di don Guido Mortari, che per 54 anni ha rappresentato un punto di riferimento per l’intera comunità. Con don Luca farà il suo ingresso il vicario parrocchiale don Gionatan Giordani, ordinato sacerdote nel 2014, assistente spirituale della Caritas Reggiana.
L’ingresso avverrà durante la solenne concelebrazione eucaristica che il vescovo Massimo presiederà venerdì alle ore 20.30 nella chiesa di Sant’Agostino.

Per don Grassi, classe 1973, ordinato sacerdote dal vescovo Adriano Caprioli il 14 maggio 2005, si tratta di un ritorno in Sant’Agostino. Per un biennio, durante gli studi in Seminario per prepararsi al sacerdozio, ha prestato servizio pastorale nella parrocchia cittadina seguendo in particolare gli adolescenti che la domenica di Pentecoste 2005 furono cresimati dal vescovo Paolo Gibertini. Nominato vicario parrocchiale a Regina Pacis dal 2005 e assistente scout reparti Reggio 2-S.Agostino e Reggio 4-Regina Pacis, don Luca ha compiuto nel 2014 gli studi in Terra Santa per poi recarsi in Brasile come missionario diocesano“Fidei donum” a Pintadas in Brasile.

tratto da reggionline.com

La veglia di preghiera e i mandati missionari Sabato alle 21 in Cattedrale

Con la Veglia della Giornata Missionaria Mondiale che quest’anno, sabato 19 ottobre alle ore 21, sarà celebrata in Cattedrale con il mandato del vescovo Massimo a don Gabriele Burani e don Gabriele Carlotti, inizia ufficialmente una nuova tappa del cammino missionario della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla.

Dopo più di 54 anni di presenza in Brasile, nella Diocesi di Ruy Barbosa nella area del Nord-Est (dove rimarrà comunque una permanenza rappresentata dalla Casa della Carità e da alcuni laici) si aprirà il nuovo fronte nello Stato di Amazzonia su richiesta della Chiesa della Regione Pan-Amazzonica stessa, richiesta accolta anche da Papa Francesco che ha indetto per il mese di ottobre 2019 anche un Sinodo speciale per tutta l’area della foresta più grande del pianeta.

I due missionari reggiani, entrambi con alle spalle una significativa esperienza missionaria in Brasile, nella Diocesi di Ruy Barbosa, partiranno alla volta della Diocesi di Alto Solimöes che si trova al confine tra Brasile, Colombia e Perù.
La Diocesi ha sede a Tabatinga ed è composta da 8 parrocchie in una estensione de 131.614,48 kmq, poco meno della metà dell’Italia.

laliberta.info

Come è possibile «pregare sempre»? Commento al Vangelo Domenica 20 Ottobre 2019

di Ermes Ronchi

Avvenire

XXIX Domenica
Tempo ordinario – Anno C

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. […] 

Disse poi una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Questi sempre e mai, parole infinite e definitive, sembrano una missione impossibile. Eppure qualcuno c’è riuscito: «Alla fine della sua vita frate Francesco non pregava più, era diventato preghiera» (Tommaso da Celano). Ma come è possibile lavorare, incontrare, studiare, mangiare, dormire e nello stesso tempo pregare? Dobbiamo capire: pregare non significa dire preghiere; pregare sempre non vuol dire ripetere formule senza smettere mai. Gesù stesso ci ha messo in guardia: «Quando pregate non moltiplicate parole, il Padre sa…» (Mt 6,7). Un maestro spirituale dei monaci antichi, Evagrio il Pontico, ci assicura: «Non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano». Intimità: pregare alle volte è solo sentire una voce misteriosa che ci sussurra all’orecchio: io ti amo, io ti amo, io ti amo. E tentare di rispondere. Pregare è come voler bene, c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami giorno e notte, senza smettere mai. Basta solo che ne evochi il nome e il volto, e da te qualcosa si mette in viaggio verso quella persona. Così è con Dio: pensi a lui, lo chiami, e da te qualcosa si mette in viaggio all’indirizzo dell’eterno: «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (sant’Agostino). Il tuo desiderio di preghiera è già preghiera, non occorre star sempre a pensarci. La donna incinta, anche se non pensa in continuazione alla creatura che vive in lei, diventa sempre più madre a ogni battito del cuore. Il Vangelo ci porta poi a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, anonima e indimenticabile, indomita davanti al sopruso. C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario! Una donna che non si arrende ci rivela che la preghiera è un no gridato al «così vanno le cose», è il primo vagito di una storia neonata: la preghiera cambia il mondo cambiandoci il cuore. Qui Dio non è rappresentato dal giudice della parabola, lo incontriamo invece nella povera vedova, che è carne di Dio in cui grida la fame di giustizia. Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere! Alla fine pregare è facile come respirare. «Respirate sempre Cristo», ultima perla dell’abate Antonio ai suoi monaci, perché è attorno a noi. «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Allora la preghiera è facile come il respiro, semplice e vitale come respirare l’aria stessa di Dio.
(Letture: Esodo 17,8-13; Salmo 120; 2 Timoteo 3,14-4,2; Luca 18,1-8)

Sinodo per l’Amazzonia, ecco cosa (e come) si è fatto finora

Cominciato il 6 ottobre, il Sinodo approderà al voto sul documento finale il 26 ottobre. Un bilancio provvisorio di questa prima metà di cammino

Il Papa con i partecipanti al Sinodo per l'Amazzonia, il 12 ottobre scorso

Il Papa con i partecipanti al Sinodo per l’Amazzonia, il 12 ottobre scorso

da Avvenire

Cominciato il 6 ottobre con la Messa di apertura, il Sinodo sull’Amazzonia è giunto alla metà del cammino. Dal fine settimana, comincerà la redazione del documento finale che sarà votato dall’Assemblea il 26 ottobre. Se un bilancio esaustivo è ancora impossibile, si può, però, fare il punto del percorso fatto finora dai 185 Padri sinodali, sei delegati fraterni, 12 invitati speciali, 25 esperti nonché 55 uditori e uditrici, tra cui 16 rappresentanti indigeni.

Di che cosa si è discusso finora?

Possiamo individuare, per semplificare, quattro grandi questioni anche se esse sono profondamente intrecciate fra loro. In primo luogo, l’impegno a una conversione ecologica per proteggere l’Amazzonia, organo vitale della casa comune. «Non è detto – hanno affermato in Aula – che ci sia un’altra Arca di Noè per salvarci dal diluvio».

Vari interventi si sono, inoltre, concentrati sul tema dell’interculturalità e dell’inculturazione.

Altro ambito centrale attiene all’azione ecclesiale. In particolare, si è parlato della necessità di garantire ai fedeli una pastorale di presenza e i sacramenti, della questione dei ministeri ordinati e non ordinati, del ruolo dei laici e delle donne nella Chiesa. Infine, da più parti è stata la necessità di un impegno sociale per tutelare i diritti umani dei popoli della regione, gravemente minacciati.

Quale clima caratterizza il dibattito?

Come ha affermato papa Francesco, il Sinodo non è un Parlamento: l’obiettivo non è prendere decisioni bensì discernere insieme. Varie voci hanno riconosciuto il clima di libertà, rispetto e unità in cui si stanno svolgendo i lavori sinodali. Anche le questioni più spinose vengono analizzate con assoluta tranquillità e grande ascolto reciproco.

In che modo si svolgono i lavori?

Le Congregazioni generali – ovvero la riunione dell’intera Assemblea – si alternano ai Circoli minori, dodici gruppi ristretti divisi per lingua (5 per lo spagnolo, 4 per il portoghese, 1 gruppo per il francese e 2 per l’italiano). Dopo la condivisione da parte di questi ultimi delle rispettive relazioni, dal fine settimana, inizierà la redazione del documento finale.

Chi scrive il documento finale?

È stata costituita un’apposita Commissione, presieduta dal Relatore generale del Sinodo, il cardinale Claudio Hummes. Ne fanno autenticamente parte il Segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale Lorenzo Baldisseri, il pro-segretario Mario Grech, e i segretari speciali: il neo-cardinale Micheal Czerny e il vescovo di Puerto Maldonado, David Martínez de Aguirre. Nella seconda Congregazione generale di lunedì, l’Assemblea ha eletto i quattro membri di propria nomina: il brasiliano Mário da Silva, vescovo di Boa Vista, il peruviano Héctor Miguel Cabrejo, arcivescovo di Trujillo e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), il colombiano Nelson Cardona, vescovo di San José del Guaviare, il boliviano Sergio Gualberti Calandrina, vescovo di Santa Cruz de la Sierra. Martedì, papa Francesco ha indicato gli ultimi quattro nomi: il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia accademia per le scienze sociali, Edmundo Valenzuela, arcivescovo di Asunción, padre Rossano Sala, docente della Pontificia università salesiana.

E il resto dell’Assemblea che ruolo ha?

Una prima bozza del testo verrà presentata all’Assemblea lunedì perché quest’ultima possa modificarla con i cosiddetti “modi”. Il processo di discussione e eventuali integrazioni o correzioni dura l’intera settimana, fino alla votazione del sabato successivo. Il documento, comunque, non ha valore decisionale. È una proposta che sarà sottoposta al Pontefice il quale sceglierà se e quali spunti raccogliere nella sua esortazione post-sinodale.

In Italia si stanno diffondendo le “famiglie missionarie a km 0”, esperienze di coppie che vivono in edifici parrocchiali dismessi e propongono “nuovi modi per abitare la Chiesa”

In un tempo in cui talora i cattolici si sentono assediati e corrono il serio rischio di rinchiudersi in fortini, fisici o simbolici, le storie che ho raccolto dicono che si possono incarnare modalità più evangeliche, missionariamente efficaci perché elementari nella loro grammatica (accoglienza reciproca, servizio e condivisione, apertura al diverso) e, quindi, immediatamente comprensibili anche all’uomo di oggi e in un tempo come il nostro.

Sono le “famiglie missionarie a km zero”, realtà di condivisione tra famiglie che spesso abitano in edifici ecclesiastici, come canoniche e oratori, e che fanno dello stesso “abitare” una forma di annuncio. Una nuova presenza della Chiesa tra la gente, una presenza “formato famiglia” ormai diffusa, in forme diverse, in varie regioni d’Italia.

Nello spirito della Evangelii Gaudium, a queste famiglie non interessa occupare spazi: non vanno in parrocchia con obiettivi di “potere” o per accedere agli incarichi più prestigiosi. Al contrario, insieme con i sacerdoti e la comunità, stanno innescando processi, liberando energie talvolta sopite. Cosa accadrà e quali risultati si otterranno da tali sforzi non è dato loro sapere. Molte famiglie potrebbero non vedere, se non in piccola parte, l’esito delle fatiche fatte; eppure già oggi tutte (sono loro stesse a dirlo) sperimentano «il centuplo quaggiù»: quella ricchezza sovrabbondante, imprevedibile e immeritata, che il Signore fa vivere a quanti, come nel loro caso, si mettono in gioco per il Vangelo.

Il “centuplo” – per le “famiglie missionarie a km zero”, che vivono ogni giorno in case disordinate e tra mille “interferenze” – sono le coccole che le signore anziane del quartiere riservano ai figli, le mille attenzioni che parrocchiani di ogni età manifestano per i nuovi arrivati in casa, gli abbracci e le torte ricevute in dono, le relazioni che si moltiplicano e infittiscono, il vicino che si riavvicina alla Chiesa perché l’ha trovata accogliente. E, su tutto, la percezione di una vita più ricca e piena proprio perché donata.

Tutt’altro che trascurabili, a detta degli stessi protagonisti, sono i benefici che anche i sacerdoti che vivono questa esperienza ricevono in dono. Uno dei preti incontrati in questo viaggio ha detto: «La testimonianza del Vangelo è più credibile se frutto di una condivisione e di una vita fraterna, comunitaria. Vale anche per noi preti. Il celibato, se combinato alla vita solitaria, più che una testimonianza rischia di trasformarsi in una comodità, diventando un segno che non parla agli uomini e alle donne di oggi».

Il «centuplo quaggiù» è accordato infine alla comunità dove le “famiglie missionarie a km zero” si trovano a vivere. Grazie a loro, diventa più immediato cogliere che al cuore della parrocchia c’è non “un uomo solo al comando”, ma una fraternità di persone con ruoli, vocazioni ed età diverse. E questo contribuisce a trasformare la parrocchia in profondità: da una realtà alla quale ci si rivolge per chiedere e ottenere una serie di servizi (religiosi o di altro tipo) a luogo di vita, ossia dove si incontrano gli altri e si sperimenta la gioia del Vangelo.

Il fatto di ridare vita, restituendo loro anche un senso, a strutture parrocchiali (oratori o canoniche che siano) abbandonate o non più presidiate, è l’immagine visibile di un’operazione, ben più importante, che le “famiglie missionarie a km zero” compiono: restituire alla comunità cristiana una capacità di ri-generare, con audacia e creatività, spazi e relazioni, perché il Vangelo si incarni anche oggi, sempre più, nella vita della gente.

Il libro di Gerolamo Fazzini «Famiglie missionaria a Km0» (Edizioni Ipl, p.176, euro 18) verrà presentato a Milano giovedì 17 ottobre alle ore 18,30 presso il nuovo Centro Pime di via Monte Rosa 81. Insieme all’autore interverranno la coppia Manuela Salari e Fabio Panzeri e don Ambrogio Basilico parroco della chiesa della Pentecoste a Quarto Oggiaro (Milano)

vinonuovo.it

I magistrati. «Non esiste un sistema Bibbiano, ma veleni di soggetti in malafede»

Nel caso emiliano su 100 richieste di affido 85 erano state negate e sui 9 casi affrontati nell’inchiesta 5 erano già stati risolti dal Tribunale dei minori

La fiaccolata dopo le rivelazioni dell'inchiesta 'Angeli e demoni', relativa ad un presunto giro di affidi illeciti, Bibbiano (Reggio Emilia), 20 luglio 2019 (Ansa)

La fiaccolata dopo le rivelazioni dell’inchiesta ‘Angeli e demoni’, relativa ad un presunto giro di affidi illeciti, Bibbiano (Reggio Emilia), 20 luglio 2019 (Ansa)

Avvenire

Chi ha sbagliato dovrà pagare, ma non esiste un “sistema emiliano”fondato su una gestione di assoluto potere da parte dei servizi sociali. Sbagliata anche la scelta di offrire nell’immediatezza all’opinione pubblica una notizia così rilevante – cioè l’inchiesta su Bibbiano – «senza alcun filtro, cautele, sufficienti e autorevoli spiegazioni dei percorsi investigativi e della peculiarità del caso». Scelta che ha determinato «una devastante e generalizzata delegittimazione delle professioni di aiuto, di assistenza, di cura e protezione delle persone di minore età e della funzione del Giudice delle relazioni».

Dietro il linguaggio tecnico dei magistrati minorili – che ieri hanno concluso a Lecce la loro tre giorni nazionale – si coglie il disappunto per come è stata gestita la vicenda Bibbiano e, soprattutto, per le ricadute sull’intero sistema di protezione dei minori fuori famiglia. In un comunicato dai contenuti molto fermi, con qualche “espressione pop” insolita per l’aplomp giuridico dei magistrati, la presidente dell’Aimmf (Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia) Maria Francesca Pricoco, segnala che sull’episodio sono arrivate «recenti e puntuali precisazioni» da parte del presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna, Giuseppe Spadaro.

Si tratta delle notizie che avevano ripreso anche su “Avvenire” di giovedì scorso, relative alle verifiche compiute su 100 casi affidati ai servizi sociali della Val d’Enza dal 2017 al 2019. Per 85 procedimenti la proposta di allontanamento dalla famiglia avanzata dai servizi sociali della Val d’Enza era stata respinta. Dimostrazione – spiegano i magistrati minorili – che non c’è stata assenza di «approccio critico e valutativo» da parte del Tribunale.

Sarebbe da aggiungere che, anche per i nove casi esaminati nell’inchiesta avviata dalla procura di Reggio Emilia, cinque erano già stati risolti dai giudici minorili ancora prima che il caso esplodesse, rimandando i minori alle proprie famiglie. E due si sono conclusi nelle settimane successive. Informazioni che sarebbero state preziose ma che nessuno, annunciando alla stampa i provvedimenti cautelari – 17 ai domiciliari e 27 indagati – si è premurato di chiarire.

In assenza di queste precisazioni, «il sistema della Giustizia minorile e familiare è stato enormemente esposto alle speculazioni e, in qualche ipotesi – scrivono ancora i responsabili dell’Aimmf – anche a comportamenti rivendicativi di soggetti in malafede, catalizzando le istanze “di pancia” degli “scontenti”, e amplificando l’inutile logica del sospetto su tutto e su tutto».

Accuse molto pesanti la cui portata investe da una parte i rapporti tra uffici giudiziari, dall’altra gli interventi di persone – tra cui non pochi addetti ai lavori – che in questi mesi si sono distinte per attacchi sistematici e indiscriminati a giudici, comunità, psicologi. Tutti ugualmente colpevoli senza distinzione – almeno a parere di questi “scontenti” – di congiure ai danni dei bambini. Evidentemente le cose sono più complesse e differenziate. I magistrati non negano che servano riforme profonde per migliorare il sistema e che esistano criticità e carenze, ma non serve distruggere tutto, gettando al vento «percorsi evolutivi virtuosi e d’esperienza».

Nobel a tre economisti per ricerche sulla lotta alla povertà globale

Avvenire

Assegnato congiuntamente a tre economisti per gli studi sperimentali

Nobel a tre economisti per ricerche sulla lotta alla povertà globale

Il premio Nobel per l’economia è stato assegnato congiuntamente agli economisti Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer per l’approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale. Tutti e tre sono ritenuti piuttosto giovani per aver vinto il premio Nobel (nessuno di loro arriva ai 60 anni).

Banerjee, che ha 58 anni è un economista indo-americano e lavora al Massachusetts Institute of Technology (MIT); Duflo, che ha 47 anni, è un’economista franco-americana e anche lei è impiegata al MIT (i due sono sposati); Kremer ha 54 ed è un economista americano dell’Università di Harvard.

Duflo ha già scritto diversi libri sul tema ed in Francia, il suo paese d’origine, è nota da tempo come una dei principali economisti della “nuova sinistra“.

(Ansa)

(Ansa)

I tre hanno introdotto un nuovo approccio per ottenere risposte affidabili circa i migliori modi per combattere la povertà, hanno spiegato i responsabili della Royal Swedish Academy of Science. La ricerca condotta dai nuovi premi Nobel “ha considerevolmente migliorato la nostra abilità di lottare la povertà globale. In soli due decenni, il loro nuovo approccio ha trasformato l’economia dello sviluppo, che è diventato ora un fiorente campo di ricerca”, è scritto in un comunicato.

Esther Duflo, premio Nobel per l'Economia 2019 (Ansa)

Esther Duflo, premio Nobel per l’Economia 2019 (Ansa)

In particolare, “come risultato di uno dei loro studi, più di 5 milioni di ragazzi indiani hanno beneficiato di programmi scolastici di tutoraggio correttivo”. Nella motivazione si segnala come i tre vincitori “hanno introdotto un nuovo approccio per ottenere risposte affidabili sui modi migliori per combattere la povertà globale”: fra questi, “suddividere questo problema in questioni più piccole e più gestibili, come ad esempio gli interventi più efficaci per migliorare la salute dei bambini”.

Ad esempio a metà degli anni ’90, Kremer e i suoi colleghi “hanno dimostrato quanto possa essere efficace un approccio sperimentale, usando test sul campo per mettere alla prova una serie di interventi che avrebbero potuto migliorare i risultati scolastici nel Kenya occidentale”. Quanto a Banerjee e Duflo, spesso in collaborazione con lo stesso Kremer, “hanno condotto studi simili su altre questioni e in altri paesi, tra cui l’India. I loro metodi di ricerca sperimentale ora sono centrali negli studi economici sullo sviluppo”.

(Ansa)

(Ansa)

Il premio, dal valore di 9 milioni di corone svedesi (circa 915.000 dollari), si somma ai cinque premi creati per volontà di Alfred Nobel, industriale e inventore della dinamite, istituiti dalla banca centrale svedese e assegnati per la prima volta nel 1969.