Autonomia: Bussetti, la scuola non si tocca

(di Valentina Roncati) (ANSA) – ROMA, 12 LUG – La scuola come è organizzata oggi è quella che ci sarà anche domani, i programmi non si toccano, non è prevista nessuna gabbia salariale, né si vuole alcuna regionalizzazione della scuola. Il giorno dopo gli strappi e le accuse all’interno della maggioranza gialloverde sull’Autonomia, con la scintilla provocata proprio dalla discussione in tema di scuola, il ministro dell’Istruzione, il leghista Marco Bussetti, interviene per rasserenare gli animi. Assicura che “le norme generali sull’istruzione previste in Costituzione non si toccano assolutamente, la scuola rimane quella che è, non c’è il rischio di creare una scuola di serie A e di serie B”. C’è semmai “la possibilità di incentivare, con iniziative mirate, alcuni aspetti della scuola” e alcuni territori, per esempio quelli più difficili da raggiungere, ma “non esisteranno le graduatorie regionali”, la volontà non è certo quella di procedere ad una “regionalizzazione della scuola”; del resto c’è già autonomia scolastica “è già prevista da quasi 20 anni. “Stiamo solo dando delle opportunità, non introducendo novità. E questo non potrà che portare esempi virtuosi e migliorare il sistema nazionale che rimane quello che è oggi”, conclude. 

Ma i governatori scalpitano e qualcuno non ci sta. Per il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, “sull’autonomia scolastica c’è un po’ di confusione” e cita la sentenza 13 del 2004 della Corte Costituzionale “dove la stessa Corte diceva che l’organizzazione, l’assunzione autonoma, la possibilità di costituire degli albi regionali degli insegnanti, è del tutto legittima. Se comunque per caso l’accordo su questo ambito non si dovesse trovare, ebbene lo farò ugualmente, autonomamente sulla base della sentenza della Corte Costituzionale. Perché i medici vengono già assunti a livello regionale e gli insegnanti no?”. 

Anche il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, rivendica di aver chiesto maggiore autonomia per la propria Regione, ma per lui la scuola deve rimanere “nazionale, i dipendenti statali, i concorsi per i docenti unici per tutta Italia e anche le retribuzioni”. “La Lega non ha mai chiesto di abbassare gli stipendi degli insegnanti al Sud. È una stupidaggine, neppure praticabile”, rassicura il presidente della Commissione Cultura del Senato, Mario Pittoni (Lega). I sindacati chiedono che il governo apra al dialogo con le forze sociali su tutte le materie contrattuali che possono essere oggetto di intese tra Governo e Regioni. “Vorremo poi leggere le intese tra Regioni e Governo – afferma Maddalena Gissi, leader della Cisl Scuola – solo così potremo dare il nostro contributo, evitando uno conflitto che la scuola non si può permettere”. E della necessità di un coinvolgimento del Parlamento parla anche l’opposizione: “Sulla cosiddetta autonomia differenziata, assistiamo da un anno e mezzo, prima con il Governo Gentiloni poi con il Governo Conte, a discussioni e sottoscrizione di atti ufficiali, condivisioni di bozze, riaperture di confronti, rinvii, nella totale esclusione del Parlamento e in un quadro di inaccettabile segretezza. Le prerogative costituzionali del Parlamento vanno difese”, chiede il deputato di LeU Stefano Fassina. 

TLC: BOLLETTE A 28 GIORNI, RESPINTI I RICORSI DELLE COMPAGNIE, CONSIGLIO DI STATO, ORA DOVRA’ SCATTARE LA RESTITUZIONE

ansa

Sono stati respinti dal Consiglio di Stato i ricorsi presentati dalle compagnie telefoniche Vodafone, Wind-3 e Fastweb contro le decisioni del Tar relative alle bollette telefoniche a 28 giorni. La decisione, presa il 4 luglio in camera di consiglio, ha respinto l’appello principale e quello in via incidentale ed è stata depositata oggi. Le compagnie telefoniche che hanno applicato i rimborsi a 28 giorni per effetto della decisione del Consiglio di Stato che ha respinto il loro appello dovranno ora restituire i ‘giorni illegittimamente erosi’ dal giugno 2017. 

Sunniti e sciiti uniti dal documento sulla fratellanza firmato da Francesco

formiche.net

(Riccardo Cristiano)  Un documento firmato da numerosi intellettuali musulmani sul significato dell’eccezionale dichiarazione congiunta firmata dal papa e dall’imam dell’Università islamica del Cairo, Ahmad Tayyeb, ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso conferma come siamo di fronte a una svolta culturale senza precedenti soprattutto per il mondo musulmano. “Per i rapporti tra musulmani e cristiani comincia una fase nuova, grazie al reciproco riconoscimento della legittimità provvidenziale delle rivelazioni, teologie, religioni e delle comunità religiose. La diversità non è più motivo di conquista o proselitismo, o pretesto per una semplice tolleranza di facciata, piuttosto è un’opportunità per mettere in pratica la fratellanza che è una vocazione contenuta nel piano di Dio”.

Papa: blasfemo chi invoca il nome di Dio per uccidere. Lettera per anniversario di attentato a ebrei a Buenos Aires


askanews 

Papa Francesco ricorda l’attentato del 18 luglio 1994 contro l’l’Associazione Mutualità Israelita Argentina (Amia), che provocò 85 morti e 200 feriti, e, in una lettera inviata per l’occasione alla Delegación de Asociaciones Israelita Argentina, sottolinea che “troppe volte in questi 25 anni abbiamo visto vite e speranze spezzate in nome della religione” in tutto il mondo e denuncia l’uso “blasfemo del nome di Dio”. 

Cronaca / KAMIKAZE BAMBINO A UN MATRIMONIO IN AFGHANISTAN, SEI MORTI

ansa

NELLA PROVINCIA ORIENTALE DI NANGARHAR, I FERITI SONO 40 Almeno sei persone sono state uccise e 40 ferite in un attentato suicida in una festa di matrimonio compiuto oggi in Afghanistan da un “bambino”. Lo hanno detto al sito della Bbc in persiano fonti della provincia orientale di Nangarhar, dove è avvenuto l’attacco. Secondo fonti di polizia, l’attentatore aveva 13 anni. 

Commento al Vangelo Domenica XV domenica Tempo ordinario – Anno C

di Ermes Ronchi da Avvenire

Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. (…) Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (…).
La straordinaria intelligenza comunicativa di Gesù: svela il cuore profondo inventandosi una storia semplice, che tutti possono capire, i professori come i bambini! Le parabole sono racconti che provengono dalla viva voce di Gesù, è come ascoltare il mormorio della sorgente, il momento iniziale, fresco, sorgivo del vangelo. Rappresentano la punta più alta e geniale, la più rifinita del suo linguaggio, non l’eccezione. Per lui parlare in parabole era la norma (Mc 4,33-34). Insegnava non per concetti, ma per immagini e racconti, che liberano e non costringono. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Una delle storie più belle al mondo. Un uomo scendeva, e guai se ci fosse un aggettivo: giudeo o samaritano, giusto o ingiusto, ricco o povero, può essere perfino un disonesto, un brigante anche lui: è l’uomo, ogni uomo! Non sappiamo il suo nome, ma sappiamo il suo dolore: ferito, colpito, terrore e sangue, faccia a terra, da solo non ce la fa. È l’uomo, è un oceano di uomini, di poveri derubati, umiliati, bombardati, naufraghi in mare, sacche di umanità insanguinata per ogni continente. Il mondo intero scende da Gerusalemme a Gerico, sempre. Il sacerdote e il levita, i primi che passano, hanno davanti un dilemma: trasgredire la legge dell’ama il prossimo, oppure quella del sii puro, evitando il contatto col sangue. Scelgono la cosa più comoda e più facile: non toccare, non intervenire, aggirare l’uomo, e… restare puri. Esternamente, almeno. Mentre dentro il cuore si ammala. Toccano le cose di Dio nel tempio, e non toccano la creatura di Dio sulla strada. La loro è solo religione di facciata e non fede che accende la vita e le mani. Il messaggio è forte: gesti e oggetti religiosi, riti e regole “sacri” possono oscurare la legge di Dio, fingere la fede che non c’è, e usarla a piacimento. Può succedere anche a me, se baratto l’anima del vangelo, il suo fuoco, con piccole norme o gesti furbi. Chi fa emergere l’anima profonda, è un eretico, uno straniero, un samaritano in viaggio: lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino. Sono termini di una carica infinita, bellissima, che grondano umanità. La compassione vale più delle regole cultuali o liturgiche (del sacerdote e del levita); più di quelle dottrinali (il samaritano è un eretico); surclassa le leggi etniche (è uno straniero); ignora le distinzioni moralistiche: soccorro chi se lo merita, gli altri no. La divina compassione è così: incondizionata, asimmetrica, unilaterale. Al centro del Vangelo, una parabola; al centro della parabola, un uomo. E il sogno di un mondo nuovo che distende le sue ali ai primi tre gesti del buon samaritano: lo vide, ebbe compassione, si fece vicino.
(Letture: Dt 30,10-14; Salmo 18 (19); Col 1,15-20; Lc 10,25-37)

Musica. Muti alle radici della cultura: «Ad Atene è nata l’Europa»

Intensa tappa nella culla della civiltà occidentale e della democrazia per Ravenna festival e “Le vie dell’amicizia” con la “Nona Sinfonia” di Beethoven e l’Inno di Schiller all’Odeon di Erode Attico

Il concerto all’Odeon di Erode Attico ad Atene per Ravenna Festival (Silvia Lelli)

Il concerto all’Odeon di Erode Attico ad Atene per Ravenna Festival (Silvia Lelli)

da Avvenire

Atene Medea, la straniera, abita (ancora) ad Atene. Sta davanti ad un negozio con la saracinesca abbassata sulla quale qualcuno con la bomboletta spray ha scritto (in inglese) crisis. Il colore è ormai sbiadito. Perché la crisi in Grecia è iniziata nel 2009. Ed ora è (dovrebbe essere) superata. Basta sacrifici. Lo promette dagli schermi tv Kyriakos Mitsotakis, forte della vittoria che nelle elezioni di domenica ha consegnato al suo partito Nea Dimokratia la maggioranza del parlamento e ha chiuso l’era di Alexis Tsipras. Lei, la donna straniera, è seduta a terra, lo sguardo basso a osservare i due figli che tiene addormentati in braccio, fiaccati dal sole a picco di mezzogiorno. Il termometro segna 41 gradi. Nessuna richiesta alle poche persone che passano. Per lei la crisi non è finita. Sono tante le saracinesche che ad Atene non si alzano da tempo, diventate muri sui quali i ragazzi disegnano graffiti. Muri da abbattere perché «senza la Grecia l’Europa non ha senso di esistere ». Lo dice Riccardo Muti con sottobraccio la partitura della Nona sinfonia in re minore di Ludwig van Beethoven mentre entra nell’Odeon di Erode Attico. Il sole è calato, sopra la skenéspunta la luna e i grilli cantano tra gli ulivi, come quando intorno all’acropoli c’erano solo campi. «Qui ci sono le radici della cultura e della civiltà occidentale» riflette il direttore d’orchestra guardando oltre le gradinate di marmo, verso il Partenone: il tempio dedicato ad Atena è un cantiere senza sosta, la facciata imbragata dai ponteggi che cercano di tenere insieme pezzi di un passato dal quale – qui lo respiri – veniamo. Un cantiere, come l’Europa. «La democrazia è nata qui. Una fratellanza politica è possibile, basta volerlo. Non è utopia. Certo, ci sono tanti elementi che entrano in gioco, primo fra tutti quello economico dal quale sembra non si possa prescindere. Ma sono convinto che oggi più che mai occorra ripartire dalla cultura. Stiamo perdendo il rapporto con la spiritualità e il rischio per i giovani è di cadere disperati nella delinquenza » avverte Muti aprendo la partitura e indicando le parole di Friedrich Schiller, quelle dell’Inno alla gioia che chiude la Nona. Scelte, non a caso, come Inno d’Europa.

La Nona risuona nella nuova tappa de “Le vie dell’amicizia”, il ponte di fratellanza attraverso la musica di Ravenna festival, partito nel 1997 da Sarajevo e che martedì ha fatto scalo ad Atene nell’Odeon di Erode Attico, teatro adagia- to al pendio dell’acropoli: un muro impressionante di 5mila persone – in prima fila, accanto a Cristina Mazzavillani, il ministro della Cultura uscente (il nuovo governo ha giurato proprio martedì) Koniordou –, un grande abbraccio, immagine palpitante di quello auspicato da Schiller, a stringere i ragazzi dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini ai quali Muti ha voluto si unissero sei orchestre greche, giovani e meno giovani, da Atene e Salonicco. Il direttore li ha plasmati in pochi giorni di prove lavorando sul suono (compatto e bello) e sullo stile. «E penare che in Italia ci sono regioni come la Basilicata che non hanno orchestre sinfoniche» commenta amaro il direttore che non risparmia una frecciata a Roma: «Da noi i ministri della cultura hanno una cultura necessaria per ricoprire questo ruolo?». Ma basta un attimo e la vertigine di essere nella storia ti prende. Orchestrali e coristi – a unirsi alle formazioni locali il coro Costanzo Porta – entrano dalparodos. E l’effetto è quello di un ritorno a quando un popolo, il popolo greco, si ritrovava a teatro per guardarsi dentro. Un rito collettivo, sacro, una sorta di lettino di Freud dove oggettivare ed esorcizzare paure e miserie per rialzarsi e ripartire. Entrava dal parodos il coro nella tragedia greca e dava il via al rito. Anche Muti entra da lì, attacca Beethoven che all’inizio della Nona mette un suono primordiale, quasi di un’orchestra che accorda. Il suono di una (ri)partenza. E all’Odeon, a picco sulla musica, ti sembra di essere tirato dentro quel suono per un viaggio che è il tornare alle origini del pensiero, dell’interrogarsi dell’uomo su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Le domande dei filosofi. Le domande della tragedia. Le domande della fede. Risuonano anche nel Beethoven rigoroso di Muti, riflessione in musica sul senso dell’esistenza per dire che affondano qui le nostre radici, nell’agorà e nella polis. Ma non solo, poggiano salde sulla roccia dell’areopago dove Paolo, indicando l’altare del dio ignoto, parlò agli ateniesi della resurrezione senza essere, però, compreso.

Radici di umanità, da rivendicare con coraggio. Antigone lo aveva fatto infrangendo la legge per seppellire il fratello Polinice. Lo racconta la tragedia di Sofocle che oggi si specchia nella cronaca con il comandante di una nave che va contro le regole per salvare le vite dei migranti. Corto circuito tra teatro e vita reale. Tragico, appunto. Ecco, nell’Odeon, compiersi la catarsi. Come nella tragedia greca. Oggi avviene con Beethoven: tre movimenti strumentali, poi il coro e i solisti (Maria Mudryak, Anastasia Boldyreva, Luciano Ganci e Evgeny Stavonsky) fanno risuonare l’invito: «Abbracciatevi amici». Due popoli si incontrano, guardano il loro passato, rimettono al centro ciò che sono e che sono stati gettando lo sguardo in avanti per ritrovare la rotta. Questa volta, però, sulla scena non arriva nessun deus ex machina a facilitare il finale: la soluzione, sembra dire Muti con Beethoven e Schiller, dobbiamo trovarla (in) noi. Il sigillo nell’applauso liberatorio. «Il nostro fare musica insieme, italiani e greci, è un messaggio politico e civile per dire a chi regge le sorti del Vecchio continente che in Grecia e in Italia ci sono le radici senza le quali l’albero Europa non sarebbe cresciuto» dice il maestro dal podio. Un messaggio che attraversando il Mediterraneo stasera arriva a Ravenna (e in tv su Rai 1 il 5 agosto) dove italiani e greci suonano Beethoven ancora una volta insieme. Per provare a cambiare, con la musica, la storia e provare a dare cittadinanza (e speranza) a Medea, la straniera.