Biagio Conte lascia Palermo per un pellegrinaggio in Europa


palermo.gds.it 

Biagio Conte, il missionario laico fondatore della missione “Speranza e Carità” di Palermo che accoglie, migranti, senza tetto e persone in situazioni di disagio sociale, ha deciso di lasciare l’Italia come “esule” per un pellegrinaggio nei paesi europei con l’obiettivo di “scuotere le coscienze e aprire i cuori duri”. Un appello “ad aprirsi e ad essere più solidale” nei confronti dei migranti rivolto anche all’Italia. Frà Biagio ha raggiunto oggi Genova in nave e da lì comincerà a piedi il suo cammino di penitenza, digiunando durante il giorno, verso la Svizzera, la Germania, l’Olanda il Belgio e le sedi del Parlamento europeo a Bruxelles e Strasburgo.

Bussetti, pronta norma per stabilizzazione dei prof precari

“E’ stata predisposta e trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri una specifica proposta legislativa, preventivamente condivisa con le Organizzazioni sindacali”, per la stabilizzazione dei precari della scuola con almeno 36 mesi di esperienza: lo ha annunciato alla Camera durante il question time il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti. 

L’esecutivo a questo scopo, ha spiegato il titolare di Viale Trastevere, disporrà “percorsi abilitanti straordinari riservati al personale docente della scuola secondaria che abbia un’esperienza di servizio pari ad almeno tre anni negli ultimi otto e un bando di concorso straordinario finalizzato alla stabilizzazione del personale docente precario della scuola secondaria statale, sempre con una anzianità di servizio di almeno tre anni negli ultimi otto”. 

In questo modo, ha aggiunto, da una parte “si intende rimediare alla storica carenza di personale docente abilitato all’insegnamento nella scuola secondaria – evitando così di dover continuare a ricorrere, anche in futuro, a contratti a tempo determinato con docenti non abilitati – e dall’altro ad ovviare alla carenza di personale di ruolo nelle scuole statali, acuitasi a seguito delle disposizioni relative alla cosiddetta ‘quota 100’. Confido che tale proposta normativa – ha auspicato da ultimo Bussetti – possa essere inserita in un provvedimento legislativo urgente da sottoporre all’esame di uno dei prossimi Consigli dei Ministri”.(ANSA).

Don Colmegna incontra Papa Francesco: “Ci ha ricordato che l’accoglienza è un valore fondamentale”

Il presidente della Casa della Carità ricevuto in Vaticano con gli altri preti della diocesi di Milano ordinati 50 anni fa. Il Pontefice ai parroci: “Non vi sentite vecchi, altrimenti io cosa dovrei dire?”

Don Colmegna incontra Papa Francesco: "Ci ha ricordato che l'accoglienza è un valore fondamentale"

Un’ora e mezza a casa di Papa Francesco. Lo racconta nel suo blog don Virginio Colmegna, presidente della casa della Carità, che la settimana scorsa è stato ricevuto a Santa Marta, in Vaticano, dal Pontefice, assieme ai suoi “compagni di messa”, vale a dire quei preti della diocesi di Milano che, 50 anni fa, hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Un dialogo fra persone legate da grande affetto e stima reciproca e in conclusione un sorriso. Il Papa, salutando i preti, li ha invitati a non sentirsi vecchi: “Altrimenti io che dovrei dire?”, ha scherzato.

“E’ stato un incontro davvero emozionante, che ho avuto il privilegio di introdurre con un breve discorso. Poi è seguito un dialogo molto franco e sereno su tanti punti, in un clima che definirei quasi famigliare”, racconta Colmegna. “Il primo richiamo fondamentale il Papa lo ha fatto a quei brani del Vangelo che devono accompagnare la nostra vita: le Beatitudini e Matteo 25. Ci ha poi invitati a riscoprire una “santità della quotidianità”, da vivere cioè nella normalità della propria vita. Ci ha anche restituito una visione della Chiesa che deve essere segnata dall’annuncio di un Vangelo da vivere con grande serenità di cuore e di spirito, specie in un momento così complesso e articolato come quello che stiamo vivendo. Ci ha detto di continuare, come Chiesa, a testimoniare l’accoglienza come valore fondamentale, utilizzando la “virtù della prudenza”, cioè tentare di costruire delle risposte pur in ore drammatiche, mantenendo sempre come fondamentale l’irrinunciabile valore del rispetto della dignità della persona”.

Don Colmegna incontra Papa Francesco: "Ci ha ricordato che l'accoglienza è un valore fondamentale"

Colmegna era molto vicino al cardinale Carlo Maria Martini, gesuita come Francesco, che fece molto per l’elezione di questo Papa nel Concistoro. Anche questa figura fondamentale nella Chiesa non solo italiana, è stata al centro dell’incontro “soprattutto per la sua visione di Chiesa che sta dentro la società cogliendone le dinamiche”. Commosso, don Colmegna che il primo agosto compirà 74 anni, scrive “Ciò che mi sono portato via da questo incontro lungo e affettuoso è il sentimento verso un Papa cui non si può non voler bene, anzi gli si deve voler bene. Per il coraggio delle scelte che porta avanti, la sua testimonianza, i valori che ci consegna. Il suo magistero dà anche a noi una grande responsabilità di impegno e di forza per il futuro”.

repubblica.it

L’inchiesta. Monopattini & co., quanti pericoli sulle strade

Segway, monowheel e mezzi simili sono ecologici, piccoli e maneggevoli. Ma dopo un incidente mortale a Parigi e l’introduzione in Italia ci si interroga sulla loro sicurezza

Crescono i monopattini elettrici (Fotogramma)

Crescono i monopattini elettrici (Fotogramma)

Avvenire

Calava la sera sul quartiere la Goutte d’Or, nel diciottesimo arrondissement di Parigi, quando è avvenuto lo scontro. La prima vittima parigina alla guida di un monopattino aveva 25 anni. E aveva torto: non ha rispettato un semaforo ed è finita travolta da un autista sobrio, senza in corpo alcuna sostanza stupefacente, neppure oltre il limite di velocità. Succedeva il 10 giugno, pochi giorni dopo la firma (il 4 giugno) del decreto ministeriale che anche in Italia introduce la circolazione di monopattini elettrici, hoverboard( due ruote collegate a due piattaforme snodate su cui bisogna mantenersi in equilibrio), segway (la pedana con due ruote parallele e un manubrio) e monowheel (la monoruota che si tiene tra i due piedi). Di dimensioni ridotte o ridottissime, sono l’ultima frontiera della mobilità verde: i mezzi di trasporto “per l’ultimo miglio” – che dovrebbero venir utilizzati solo per tragitti brevissimi, a conclusione di itinerari svolti, per il resto, con i mezzi tradizionali – sono sostenibili, maneggevoli, per tutte le tasche. Esclusivamente elettrici, dovrebbero contribuire a migliorare la qualità dell’aria e a decongestionare il traffico urbano.

Tra gli ultimi, il nostro Paese sdogana questi mezzi di trasporto quando gli altri cominciano a prendere in considerazione la possibilità di limitarne l’utilizzo. Perché i problemi che creano sono forse più di quelli che risolvono. Restando a Parigi (ma sono oltre cento le città in cui i servizi di sharing sono già approdati), le società di noleggio dei monopattinicertificano 20mila mezzi in circolazione, pronti a raddoppiarli entro la fine di quest’anno. La sindaca Anne Hidalgo promette norme stringenti sebbene al momento sia stata partorita solo una “Carta di buona condotta” che tra l’altro è indirizzata ai gestori perché trovino soluzioni per garantire la sicurezza di chi si trova in strada. New York ha ufficialmente vietato la circolazione sia dei monopattini a noleggio sia di quelli privati: troppo pericolosa la convivenza con i pedoni sui marciapiedi sempre affollati e con le auto sulle carreggiate dove il traffico è congestionato. Anche strade e marciapiedi di Barcellona sono off limits, mentre Madrid ha allo studio regole più restrittive. Il recente via libera della Germania non è stato indolore: l’opposizione di automobilisti, ciclisti e pedoni – convinti che glie-roller provochino caos e incidenti – è stata feroce.

In Italia i monopattini circolano ma non potrebbero: il codice della strada non li prevede, tanto meno sulla carreggiata. Anche le nuove regole, contenute in un decreto ministeriale, li confinano in spazi ben precisi: aree pedonali, percorsi pedonali e ciclabili, piste ciclabili, corsie riservate e zone 30. Ma non basta che un’area appartenga a quelle elencate perché sia automaticamente percorribile dai micromezzi: ai Comuni è affidato il compito di individuare quelle in cui la circolazione sarà possibile e anche decidere quali fattispecie di dispositivi autorizzare. E potrebbe darsi il caso che alcuni micromezzi siano autorizzati su certi percorsi ma non su altri. Complicato? Parecchio. Come faranno i micromobilisti a sapere dove possono muoversi e dove no? Attraverso l’apposita segnaletica verticale e orizzontale che toccherà sempre ai Comuni predisporre: dove i segnali non ci sono – e fino a che non ci saranno – non si può circolare. Onere delle amministrazioni comunali sarà anche avviare “campagne di informazione sulla sperimentazione in atto” per i cittadini. Come si vede, monopattini, segway, hoverboard e monowheel sono destinati a muoversi nell’illegalità ancora per un pezzo: al netto di alcune città interessate a snellire il traffico (e ad appaltare i servizi di sharing), per le altre la micromobilità può aspettare. Anche il dm conforta chi preferisce rimandare o soprassedere del tutto. Consapevole che in alcune zone del Paese bisogna fare i conti con centri storici impervi e urbanistiche intricate, il legislatore afferma che “nell’individuazione delle infrastrutture stradali (…) i Comuni valutano che le stesse abbiano caratteristiche geometriche, funzionali e di circolazione adeguate”: è prevedibile che non ci sarà una corsa delle amministrazioni a legalizzare la micromobilità,

È un problema per gli italiani? Certo che no: già adesso in alcune grandi città, come Milano – che ha autorizzato il servizio fin da quest’autunno scavalcando il Codice della strada – questi mezzi di trasporto alternativi non sono più una rarità. Anzi. E dove le regole non ci sono si inventano. Qualcuno viaggia sulla carreggiata, qualcuno sul marciapiede tra i pedoni, condividendo con i ciclisti la convinzione di poter fare qualsiasi cosa: contromano, sulle strisce pedonali (dove le biciclette non possono stare a meno che vengano portate a mano), ignorando semafori e precedenze. Ed esattamente come i ciclisti, i micromobilisti possono contare sull’impunità: come farebbe un agente scrupoloso a multarli se identificarli è impossibile? Non c’è targa e solo i minorenni hanno l’obbligo, per guidarli, di essere in possesso almeno della patente per il motorino. Niente casco obbligatorio ma dopo il tramonto del sole e mezz’ora prima del suo sorgere – impone il decreto – bisognerà indossare il giubbotto o le bretelle retroriflettenti ad alta visibilità.

Il decreto specifica anche che “gli utilizzatori devono mantenere un andamento regolare” e “devono evitare manovre brusche e acrobatiche”: ma non è già un’acrobazia muoversi per la strada in equilibrio su una monoruota? C’è il rischio che siano i pedoni a dover fare i salti mortali. In molte città i micromezzi creano problemi quando sono in moto ma ancor di più quando stanno fermi visto che i fornitori del servizio di noleggio lavorano per la gran parte in modalità “dockless”, ossia senza stalli fissi di prelievo e riconsegna: lasciare il monopattino dove capita fa parte dell’accordo. Bisognerà rassegnarsi, quindi, a trovarli sulla propria strada, come già capita per le bici in condivisione. L’assicurazione obbligatoria non è prevista: ma in caso di incidente grave il cui il micromobilista avesse torto, chi paga?

Ricapitolando: dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto, i Comuni dovranno individuare le aree da destinare alla micromobilità, chiedere l’autorizzazione alla sperimentazione – che potrà essere rilasciata entro un anno dall’entrata in vigore del decreto e dovrà concludersi entro 24 mesi dall’inizio dei test – e, infine ma non ultimo, provvedere a installare la segnaletica necessaria. Fino ad allora, la circolazione dei mezzi di trasporto alternativi resta non contemplata. E potrebbe continuare a esserlo anche in futuro: come sottolineato più e più volte nel decreto ministeriale – fiore all’occhiello del ministro Toninelli che sogna «una mobilità veramente green» – di sperimentazione si tratta e soltanto tra due anni sarà possibile tirare le somme, capire se le regole funzionano o se hanno bisogno di venir ritoccate in senso più restrittivo oppure più lassista. Paradossalmente, i micromezzi potrebbero tornare fuorilegge: come spesso capita, a rendere improbabile questa possibilità sono questioni di carattere economico, visto che gli interessi in gioco sono, a dir poco, considerevoli.

“Si può restare cristiani anche sotto elezioni”


La Stampa

(Giacomo Galeazzi) Nel libro di Salvatore Martinez la “straordinaria attualità dell’umanesimo cristiano in don Luigi Sturzo”. “E’ un’immensa fortuna essere fedele: alla ragione umana, alla fede soprannaturale, alla disciplina sociale basata sulla giustizia, ai precetti dell’etica cristiana”. E’ don Luigi Sturzo a definire questa scala di fedeltà che dalla natura si eleva al soprannaturale, dalla ragione alla fede, dall’autorità temporale all’autorità di Dio e Salvatore Martinez su queste basi costruisce il suo saggio “La vera rivoluzione è spirituale- La straordinaria attualità dell’umanesimo cristiano in don Luigi Sturzo”

L’episcopato e le sfide in Angola e São Tomé


 
L’Osservatore Romano 

Criminalità giovanile, crescita della disoccupazione ma anche depenalizzazione dell’aborto e proliferazione delle sette: sono alcune tra le principali problematiche affrontate negli ultimi tempi dalla Conferenza episcopale di Angola e São Tomé. I vescovi deplorano la crescita dilagante della disoccupazione e della criminalità tra i giovani, che «si sentono disperati e senza soluzioni immediate» nella regione. La lotta per la moralizzazione della società — affermano — deve quindi essere seguita da «misure chiare e urgenti per promuovere l’occupazione e combattere la povertà».

In un libro il problema dell’interazione fra sacerdoti e laici nella Chiesa ortodossa russa. La messe è abbondante ma sono pochi gli operai

L’Osservatore Romano

(Giovanni Zavatta) Non basta edificare nuovi luoghi di culto per sviluppare la Chiesa. È una condizione necessaria ma non sufficiente. Prima viene la costruzione delle comunità parrocchiali, attive, inserite nella società. Senza di esse non può esserci espansione della vita ecclesiale. Anzi, è dalla comunità stessa che può prodursi la crescita del numero di sacerdoti, altra condizione essenziale per espletare al meglio la missione pastorale. È una delle conclusioni a cui giunge l’arciprete Nikolaj Emeljanov, vicerettore dell’Istituto di teologia dell’università ortodossa San Tichon di Mosca e ricercatore presso il laboratorio di Sociologia della religione, nel suo libro «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai». Il problema dell’interazione tra sacerdoti e laici nella Russia contemporanea, edito dallo stesso ateneo. Quello della costruzione di vere comunità parrocchiali è una delle principali preoccupazioni del patriarca di Mosca Cirillo, una costante nei suoi discorsi. Secondo l’autore, intervistato da Pravoslavie.ru, raggiungere tale obiettivo è molto più facile se il sacerdote proviene lui stesso dalla comunità parrocchiale e mantiene un legame costante con essa. L’ideale sarebbe che il prete, dopo aver ricevuto adeguata formazione spirituale e intellettuale, tornasse nella parrocchia di origine per celebrare e predicare a sua volta. «Sarebbe una pratica efficace se la vita ecclesiale e il ministero sacerdotale fossero trasmessi di generazione in generazione», afferma.
Nella monografia — si legge sul sito in rete dell’università — viene proposto un metodo originale basato sulla sovrapposizione di due approcci allo studio della religione: come culto del sacro (domanda) e come interazione (offerta), in questo caso tra sacerdoti e laici credenti. È stato predisposto un modello che consente di dare una valutazione quantitativa dell’offerta della Chiesa ortodossa russa. Tale modello teorico è stato approvato in base ai dati della ricerca empirica quantitativa intitolata «Cinquanta confessioni nelle parrocchie moscovite» e a un ampio materiale empirico di ricerche qualitative sul campo, condotte dal laboratorio di sociologia della religione dell’ateneo fra il 2003 e il 2017. I risultati della ricerca consentono di mettere in dubbio la tesi relativa alla secolarizzazione in atto e, in generale, di guardare in modo nuovo alla situazione religiosa contemporanea in Russia.
L’Istituto teologico della San Tichon prepara i candidati all’ordinazione sacerdotale da oltre venticinque anni. Lo studio effettuato permette di avere uno sguardo nuovo sul processo di preparazione pastorale, di comprendere più chiaramente la situazione attuale della Chiesa, di domandarsi soprattutto di che tipo di sacerdoti si ha bisogno oggi, come e a cosa devono essere preparati. «Sono certo che la Chiesa risponderà al problema della mancanza di sacerdoti. Dalle pietre Dio “può suscitare figli di Abramo”», osserva Emeljanov, citando il vangelo di Luca (3, 8).
Il libro parte da un dato statistico: in Russia, a fronte di un 80 per cento di cittadini che si dichiarano ortodossi, ci sarebbe solo un 3-5 per cento che frequenta effettivamente e regolarmente la Chiesa. Le risposte sono molteplici: «La più conosciuta e semplice è che questa consapevolezza di essere ortodosso non ha generalmente nulla a che fare con la religiosità. Si definiscono ortodossi coloro che vogliono in questo modo manifestare la propria appartenenza etnica o nazionale, come russi e cittadini russi». Un’altra ipotesi è legata alla tendenza globale alla secolarizzazione, direzione verso la quale si sta muovendo anche la Russia: «La secolarizzazione dà origine a una forma particolare di religiosità che è extra-ecclesiale, vaga, e non può più, per questo motivo, essere definita classica, istituzionale nel senso pieno del termine». Ma esiste un’altra spiegazione ed è legata alla scarsità di preti: in Russia uno per 6050 fedeli, contro ad esempio (sono cifre contenute nel volume) uno per 2688 in Francia o uno per 1050 in Grecia. Come soddisfare i bisogni spirituali, ma anche come rispondere ai problemi personali, di tutti? Non c’è tempo e non è più come all’epoca di san Giovanni di Kronštadt (1829-1908), famoso perché ogni mattina nella sua parrocchia riceveva per la confessione migliaia di persone. «Se parliamo delle chiese nelle grandi città — afferma l’autore — il prete si sente costantemente in uno stato di continua fretta. Vede che c’è sempre qualcuno che vuole parlare con lui, ma spesso non può. Per il parroco è un’esperienza dolorosa. Sono personalmente convinto che metà delle situazioni di conflitto nella Chiesa, che sovente leggo su Facebook o sulla stampa, sono legate a queste circostanze. Raccontano che il fedele è entrato in chiesa e che il prete si è comportato in modo rude nei suoi confronti. Analizzando queste situazioni, intuisco che in almeno metà dei casi è successo perché il sacerdote aveva fretta, doveva andare da qualche parte. Ecco perché non ha avuto l’opportunità di parlare con lui». Ma la mancanza di attenzione dovuta ai troppi impegni è diventata abitudine, «cosa assolutamente non consentita a un sacerdote»: fatto sta che «una reazione di difesa può solo respingere le persone, può solo produrre un’impressione fastidiosa». E a pagarla è l’immagine della Chiesa.
Una situazione tipica è quella in cui, durante un servizio festivo, davanti al sacerdote arrivano quasi cento persone in fila per confessarsi ed egli deve parlare con tutti in un’ora. Tra queste persone possono trovarsi quelli che chiedono semplicemente la preghiera dell’assoluzione, ma anche coloro che vengono per la prima volta in chiesa. In tale situazione, «nessun contatto profondo può, in linea di principio, avvenire con il sacerdote».
Nel corso della sua ricerca, Emeljanov ha cercato inoltre di stabilire approssimativamente la dimensione della comunità che un prete da solo può gestire: «Anche se non abbiamo fatto uno studio su larga scala, siamo giunti alla conclusione, basata sui colloqui con i sacerdoti e sull’analisi dei documenti, che le dimensioni ideali di una comunità servita da un solo sacerdote è di duecento, al massimo cinquecento persone».
La mancanza di una cultura ecclesiale larga e di massa, così come la carenza di forme sociali diffuse (a differenza dell’Europa occidentale in Russia sono pochi i movimenti e le associazioni cristiane), comportano che il prete rappresenti a volte per un individuo «l’unico punto di accesso alla Chiesa», la cruna dell’ago attraverso cui deve passare tutta la vita ecclesiale. Ed è anche per questa poca offerta, conclude l’autore, che la domanda (3-5 per cento di praticanti) stenta così tanto a crescere.
L’Osservatore Romano, 8-9 luglio 2019

Non rinnegare Cristo. Il grido dei martiri del Mediterraneo

L’Osservatore Romano

All’inizio del ventunesimo secolo assistiamo alla minaccia di una nuova “peste”, quella del ripiegamento su se stessi e del rifiuto dell’altro(François Vayne) Albert Camus, il celebre scrittore francese nato in Algeria, premio Nobel per la letteratura, ha pubblicato nel 1947 un romanzo che mantiene una grande attualità. In La peste, racconta la storia degli abitanti di Orano durante un’epidemia che ha colpito la città algerina, situata sulle rive del Mediterraneo. La storia, ambientata negli anni Quaranta, è centrata intorno al personaggio di Bernard Rieux, un medico sensibile e umanista che combatte contro la peste, un’epidemia che potrebbe essere considerata una metafora della “peste marrone”, il nazismo.