Il programma. Come seguire da casa l’incontro di papa Francesco con i giovani

Come seguire da casa l'incontro di papa Francesco con i giovani

Decine di migliaia di ragazzi e ragazze si sono messi in marcia da ogni parte di Italia e stanno per raggiungereRoma per l’incontro di due giorni con papa Francesco in vista del Sinodo dei giovani.

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Per chi si trova lontano da Roma o è impossibilitato a raggiungere la capitale in tivù su Tv2000 (visibile Canale 28 digitale terrestre, 18 di tivùsat, 146 di Sky) e in radio, grazie al circuito InBlu, a partire dalle 15.45 di sabato 11 agosto e fino a domenica dopo l’Angelus del Papa, è possibile seguire la diretta della due giorni dei giovani con Francesco.

Sui social per seguire in diretta i commenti e le emozioni di chi sta partecipando all’incontro del Circo Massimo si possono cercare e utilizzare gli hashtag #PerMilleStrade #SiamoQui #VadoAlMassimo.

Vediamo più nello specifico gli orari: l’evento prende il via con l’arrivo a Roma sabato 11 agosto dei partecipanti delle tante diocesi al Circo Massimo che aprirà i cancelli alle 13.30. L’arrivo di papa Francesco è previsto intorno alle 18.30. Da programma a quell’ora il Pontefice saluta i 70mila ragazzi e risponde anche alle domande di alcuni di loro.

Dopo la Veglia di preghiera alle 20.30 papa Francesco fa il suo intervento dal palco del Circo Massimo. Segue la grande festa, “Vado al Massimo“, organizzata dal Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, che inizia alle 21.30 con Alex Britti, il rapper Clementino e Mirkoeilcane, accompagnati dalla presentatrice Andrea Delogu che si alternano sul palcoscenico fino alle 23.

L’arrivo del Papa tra i giovani, il dialogo con alcuni di loro e la Veglia di preghiera al tramonto possono vengono trasmessi in diretta anche sul programma su Rai 1 “A sua immagine” che farà diversi collegamenti per raccontare l’incontro dei giovani italiani con papa Francesco in preparazione alla XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che in ottobre sarà sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

La Notte bianca delle chiese di Roma, con l’aperture delle Basiliche romane conclude la prima giornata della manifestazione.

COME SEGUIRE DA CASA L’INCONTRO TRA IL PAPA E I GIOVANI

Nella giornata di domenica 12 agosto alle 6.30 è prevista l’apertura dei varchi di piazza San Pietro, con la celebrazione della Messa alle 9.30. Papa Francesco – da programma – incontra i giovani alle 11.30 prima della recita dell’Angelus.

Tv2000 offre le immagini in diretta e in studio a commentare la seconda giornata di Francesco con i giovani ci sono Marco Ronconi, teologo e professore di religione; Gabriella Serra, presidente nazionale della Fuci e alcuni giovani impegnati nel cammino del Sinodo tra cui Gioele Anni, Margherita Anselmi, Lorenzo De Luca.

Sempre su Tv2000 e in radio attraverso i collegamenti di Inblu viene raccontato anche a partire dalle 18.30 l’incontro vocazionale al Circo Massimo dei giovani del Cammino Neocatecumenale con Kiko Arguello.

avvenire

La storia. Il clochard e il fotoreporter: «Fianco a fianco, sulle strade di Milano»

da Avvenire

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L'anima di Fabrizio»

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L’anima di Fabrizio»

Fabrizio non ha una casa. Non ha un lavoro. Non ha un reddito. Non ha famiglia. Li aveva: ha perso tutto. E da 15 anni vive sulle strade di Milano. Come tante altre persone senza dimora. Cosa gli resta? Una storia, un volto, un nome. Un’anima. Invisibili e sconosciuti alla folla dei milanesi «con dimora», tanto abituati alla presenza dei «barboni» nel quotidiano scenario urbano, da non accorgersene più, finché non succede qualcosa che turbi l’ordinaria, reciproca indifferenza. Nel caso di Fabrizio, il «qualcosa» che lo ha strappato alla condizione di invisibile è, in realtà, un «qualcuno»: Marco Mignano, fotoreporter. Che ha conosciuto Fabrizio partecipando alle uscite serali dell’unità di strada di Mia-Milano in Azione onlus (associazione che dal 2012 assiste persone in stato di emarginazione grave: www.milanoinazione.org).
Una relazione, una fiducia, un’amicizia hanno messo radici. E Fabrizio ha detto sì al progetto di Marco:documentare e raccontare la vita ordinaria dei senza dimora di Milano. Così è nata la mostra fotografica«L’anima di Fabrizio». Le immagini, tutte in bianco e nero, sono esposte fino a sabato 11 agosto allo spazio «Secondopiano» della libreria Hoepli di Milano. Chi non riuscisse a recarsi in via Hoepli 5, le troverà tutte pubblicate in http://mignanophotography.com. E chi volesse acquistare una stampa, sappia che il 50% del ricavato verrà devoluto a Mia onlus.

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L'anima di Fabrizio»

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L’anima di Fabrizio»

Mignano: «Prima l’incontro con la persona, poi la foto»

«Sono nato a Urbino, ho 29 anni, vivo a Milano ma viaggio tantissimo. Mi muove il desiderio di raccontare, in particolare, la vita e le storie di chi sta ai margini, come i nomadi in Mongolia o gli sherpa del Nepal – spiega Marco Mignano ad Avvenire –. Quando torno, ogni volta, vedo sulle nostre strade tante persone sole e in difficoltà. Così è nata in me l’idea di dedicare loro un reportage: ma non con foto rubate, “mordi e fuggi”, di cui è pieno il web. Volevo incontrare volto a volto queste persone, conoscerle, condividere un po’ della loro vita, stare con loro, fianco a fianco, e fotografarle: con il loro consenso. Rispettandone la dignità. Ho parlato del progetto con Mia onlus. E per due mesi e mezzo, la scorsa primavera, sono uscito, quasi ogni settimana, con la loro unità di strada. Senza macchina fotografica. Trovare le persone giuste non è stato facile: chi è ormai “fuori di testa”, chi invece ha vergogna e teme di essere riconosciuto da familiari e amici. Fabrizio ha detto sì. Ho passato un’intera giornata con lui, dalle 7 del mattino fino a sera. Con la macchina fotografica, stavolta. E ho potuto condividere i momenti di solitudine, tristezza, fatica, come quelli di felicità che riesce a vivere anche chi non possiede nulla».
Un giorno intero a fare foto. «Con Fabrizio e i suoi amici che mi incoraggiavano a scattare – riprende Marco –. Non capita tutti i giorni di avere un fotografo al tuo servizio, e loro ne erano ben consapevoli…». Un giorno per gettare il seme di nuovi incontri: «Quando posso, vado a trovare Fabrizio. Sto con lui, la sua compagnia mi rasserena e mi fa percepire come tanti pensieri, preoccupazioni e rabbie non meritano tutto il peso che diamo loro».

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L'anima di Fabrizio»

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L’anima di Fabrizio»

Il presidente di Mia onlus: «Quante domande, in queste immagini»

«Questo progetto fotografico nasce da un’idea di Marco che la nostra associazione ha accolto con convinzione – incalza il presidente di Mia onlus, Luca Sechi –. La sua idea di documentare la giornata tipo di una persona senza dimora, di portarne alla luce la quotidianità, è stata arricchente anche per noi: con l’unità di strada siamo abituati a incontrare queste persone solo a sera. Così è nato un reportage il cui valore sta anche nel fatto che fa emergere domande più di quanto non offra risposte. In alcune fotografie vediamo persone felici. In altre si fa incontro a chi le osserva una solitudine che provoca e ferisce: penso all’immagine di Fabrizio che raccoglie le sue coperte e si avvia, lungo il marciapiede, nel luogo in cui passerà la notte. Nei momenti di felicità, a volte compare il tetrapak di vino. È felicità vera, quella che vivono? O è un modo per sopravvivere alla realtà, alla sofferenza per aver perso il lavoro, la famiglia, la casa, la vita di prima? Quando parli con loro, non di rado – penso soprattutto agli “irriducibili” – ti dicono di stare in strada per scelta, di essere contenti così, di non sentirsi affatto dei falliti. Ma quando la relazione di fiducia che hai instaurato con loro li fa sentire accolti e non giudicati, chi fin lì ha magari fatto la parte del clochard per vocazione, finalmente, si toglie la maschera svelando il volto e il cuore della sua sofferenza».

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L'anima di Fabrizio»

Milano, una fotogafia di Marco Mignano per il progetto «L’anima di Fabrizio»

«La sfida? Superare la logica dell’emergenza»

«Come associazione, con i nostri cinquanta volontari e gli attuali due dipendenti, che vengono dal mondo della strada, non ci limitiamo ad assistere le persone senza dimora nelle necessità della vita quotidiana, ma cerchiamo di aiutarle a “superare” la strada, a costruire percorsi di autonomia, a ritrovare lavoro e casa – prosegue il presidente –. Per questo, ad esempio, fra il 2014 e il 2016 abbiamo gestito un orto di tredicimila metri quadrati a Bollate, nel Parco delle Groane, dove imparare a lavorare la terra e vendere i suoi prodotti, mentre di recente – grazie al contributo della Banca popolare di Milano e col supporto tecnico del Capac, il Politecnico del commercio e del turismo – abbiamo avviato corsi di formazione nell’ambito della ristorazione»
«Alla radice di tutto – scandisce Sechi – è decisivo l’incontro con le persone, per capire quali problemi li hanno portati sulla strada e quali risorse mobilitare per ripartire e riprendere in mano la propria vita. Per questo sarebbe importante avere, nelle unità di strada come la nostra, ad affiancare l’opera dei volontari, professionisti esperti, ad esempio psicologi specializzati nell’area delle dipendenze. E non penso solo all’alcol ma allaludopatia, che porta sempre più gente in strada. A volte incontriamo situazioni di sofferenza psichica che richiedono professionalità adeguate».
Ma c’è un altro punto che sta a cuore al presidente di Mia onlus. «La grande sfida è superare la logica dell’emergenza. Nelle strutture aperte d’inverno, dove non sempre è facile portare i senza dimora, trovi educatori e psicologi con i quali è possibile iniziare un percorso. Ma quando finisce l’emergenza freddo e la struttura chiude, tu torni sulla strada e il percorso avviato si interrompe. Servizi e interventi, invece, dovrebbero proseguire tutto l’anno per aprire davvero prospettive di autonomia e di inserimento sociale».

Il caso. La gente sta troppo tempo sui social, sindaco stacca il wifi comunale

da AVVenire

La gente sta troppo tempo sui social, sindaco stacca il wifi comunale

Troppo tempo passato sui social. Così il sindaco di Sellia, piccolo centro alle porte di Catanzaro, Davide Zicchinella, di professione pediatra, chiude la connessione pubblica. La notizia arriva dall’Agenzia Italia. Davanti alle esagerazioni dei suoi concittadini che utilizzato il Wi-fi comunale ha firmato un’ordinanza con cui «limita l’uso di internet giornaliero, se non per scopi puramente didattici o scientifici e di lavoro al solo tempo strettamente necessario per procedere ad aggiornamenti o comunicazioni ritenute importanti».
Agli internauti, in particolare i giovani, chiede di «utilizzare i canali di socializzazione tradizionali, al fine generare un processo di crescita sociale e culturale fondato sui valori che hanno da sempre contraddistinto la nostra società. Di cominciare o ricominciare a praticare attività sportive e ricreative che mirino alla salvaguardia della propria salute, utilizzando le strutture che il comune mette a disposizione, campo da tennis, campo di calcetto, palestra».

A spingere il sindaco in questa direzione è stata anche un’indagine svolta nel piccolo paese presilano, «che ha rivelato dati definiti allarmanti«. E cioè? «Il 53 per cento degli intervistati, infatti, dichiara di trascorrere in media più di tre ore al giorno online, prevalentemente nella fascia oraria pomeridiana e serale», con i giovani che «dichiarano di non staccarsi mai dal proprio smartphone, mentre ben l’80 per cento dichiara di restare sempre connesso». Secondo il rapporto We are social, la media in Italia di conenssione via smartphone è di 2 ore e 20 minuti.

Il problema di Quanto tempo passiamo nel digitale e come farlo al meglio ci sta a cuore ed è molto serio. Come ha spiegato il sindaco all’Agi, «anche in un Comune piccolo come Sellia, dove tutti ci conosciamo, non si comunica più tra la gente, soprattutto tra le nuove generazioni, ma si sta solo collegati e si comunica virtualmente. Una condizione che mi ha fatto riflettere, tenendo conto anche che in molti si connettono utilizzando la rete Wi-Fi comunale, ho preso atto che si poteva fare pressione in tale senso. Siamo pronti a staccare la rete pubblica, considerato che l’80 per cento si connette con questa».

 

A New York riapre il Four Seasons Per il ristorante dei vip chef giovanissimi e un ex Casa Bianca

The Bar Room at the new Four Seasons ( Credit Nicole Craine for The New York Times) © Ansa

A due anni dalla chiusura il leggendario Four Seasons riapre a tre isolati di distanza dalla vecchia sede del Seagram Building. La targa di ottone con il logo dei quattro alberi che apparteneva al ristorante più amato da Henry Kissinger torna a segnalare l’ingresso ai nuovi locali in un palazzo per uffici su Park e 49/a strada. Restano, nella nuova impresa di Julian Niccolini e Alex von Bidder, alcunipezzi forti dello storico menu come l’anatra arrosto. “Vecchi clienti sono già passati per assicurarsi il tavolo”, ha detto Niccolini al New York Times in vista dell’apertura. Ma se il primo Four Seasons aveva chiuso perché giudicato non più all’altezza dei tempi, la sua reincarnazione proverà a rinnovarsi cominciando delle cucine.

A dirigere i cuochi l’italiano Niccolini e lo svizzero von Bidder hanno chiamato il messicano Diego Garcia, 30 anni, con esperienze a Le Bernardini e al piccolo Gloria di Hell’s Kitchen specializzato in pesce. Il suo numero due, Brandon Lajes, ha solo 26 anni. Per i dolci un veterano della Casa Bianca: Bill Yosses che ha lavorato per George W. Bush e Barack Obama dal 2007 al 2014. I locali sono firmati dall’architetto brasiliano Isay Weinfeld. A indicarlo ai proprietari come epigono di Philip Johnson è stato il critico Paul Goldberger: “Una sfida enorme.  Non volevano il solito architetto di New York, ma neanche un perfetto sconosciuto. Isay capisce la tradizione del modernismo, ma è capace di portarla al passo coi tempi”.

Clientela in media ultrasessantacinquenne all’epoca della chiusura, nel 1959, quando aprì i battenti, il Four Seasons inventò il power lunch. Per i suoi locali passarono tutti i presidenti americani tranne Richard Nixon, Jackie Onassis aveva un tavolo fisso così come la matriarca della New York bene Brooke Astor che, ormai centenaria, dimenticava di aver prenotato, ma per lei un posto c’era sempre vicino a Donald Trump, Martha Stewart, Warren Buffett.

Il 16 luglio 2016 i ristorante aveva servito l’ultima cena ed era stata la fine di un’era. Il primo Four Seasons era costato 4,6 milioni di dollari, la sua reincarnazione da 110 coperti, 50 in meno dell’originale, viaggia sull’ordine dei 30.

Alla chiusura un’asta ne aveva disperso gli arredi storici: dalle sedie sui cui si erano accomodati gli ospiti per il 45/o compleanno di JFK alle pentole, alle stoviglie e alle posate disegnate appositamente da Ada Louise Huxtable, riprodotte adesso per l’edizione 2.0. Niccolini e von Bidder avevano ricevuto lo sfratto dal proprietario del palazzo Aby Rosen, convinto che fosse arrivata l’ora di svecchiare. Oggi meditano la rivincita.

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Viaggio a Treviso, Urbs Picta

Treviso Urbs Picta © ANSA

TRIESTE – Passeggiare tra i vicoli acciottolati, o sotto i portici, è un’esperienza commovente che la bellezza del Palazzo dei Trecento con l’elegante Loggia Dei Cavalieri rafforza. Un’emozione che il serpeggiare silenzioso delle acque del Sile e del Cagnan vivifica. Convogliate in canali, le acque scompaiono dietro il cortile di una villa antica, riappaiono da una bocca nella parete di una casa. Treviso splendida. C’è un inedito itinerario per visitarla, è tratteggiato dalle facciate affrescate della città. Con una specifica: dal XIII al XXI secolo.
Tra le cancellature del tempo, l’usura del passaggio di mani e carri, la sferza di freddo, pioggia, caldo, il lavoro certosino che hanno fatto nell’arco di sei anni di studi l’architetta Rossella Riscica e la storica dell’arte Chiara Voltarel nel voluminoso “TREVISO URBS PICTA” (FONDAZIONE BENETTON; 206 PAG.; 33 EURO) somiglia a una colta caccia al tesoro cadenzata da occhiate e illuminazioni, da scorci e volte. Dapprima attraverso l’osservazione, hanno dovuto individuare uno spigolo di affresco che affiorava, scolorito, tra una parete scalcinata e un impiantito rotto di finestra; un putto acrobata che volteggiava a dieci metri di altezza, sotto una tettoia. Successivamente, catalogati i 475 edifici affrescati esistenti nel centro storico al 2017 di questa piccola ma ricca città veneta di 85 mila abitanti, hanno dovuto interpretarli, dunque ricomporli virtualmente attribuendone paternità e significato. Una sorta di gigantesco puzzle. 475 tessere per disegnare una figura che era la Treviso di un tempo.
Una ricostruzione che considera anche quanto distrutto dall’indimenticato bombardamento del 7 aprile 1944.
E non si tratta soltanto di opere del Duomo o del polo museale di Santa Caterina dei Servi di Maria, ma di decorazioni e pitture che abbellivano case di notabili, impreziosivano palazzi di famiglie in vista: un corredo iconografico che simile a un merletto fila di edificio in edificio, di volta in volta nel centro e oltre, in tutta la Marca e nelle grandi città vicine in un immaginario intarsio che è lo stile della Grande città madre, Venezia. Così, città dipinte del circondario sono Padova, Verona, Oderzo, Pordenone, solo per fare alcuni nomi.
Il volume, elegantissimo, vero libro d’arte, pubblica decine e decine di foto di particolari, di luoghi d’epoca e piazze attuali e compone una nuova mappa topografica (sincronica e diacronica) della città affrescata, in una prospettiva che tiene conto delle diverse fasi storiche, fino alla condizione attuale e alle sue diverse emergenze, oltre che al futuro, con proposte concrete di salvaguardia del patrimonio, attraverso i temi del restauro e della valorizzazione. Esso ha infatti portato alla creazione di una banca dati (trevisourbspicta.fbsr.it) che conserva informazioni sulle testimonianze pittoriche all’interno della cerchia muraria di Treviso.
Rossella Riscica parla di “decorazioni importanti, varie, complesse e di dipinti murali” che costituiscono il “tratto peculiare di Treviso”, che “potrebbe apparire il vanto del tempo passato”, mentre “la sfida è lanciata proprio oggi: la conservazione”.

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Neorealismo e fotografia a New York

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Gli anni bui del fascismo, la povertà del dopoguerra, la speranza di una nazione distrutta ma desiderosa di rinascere a nuova vita, la dignità di un popolo che non vuole arrendersi alla miseria: è la grande mostra “NeoRealismo: The New Image in Italy, 1932-1960” che dal 6 settembre all’8 dicembre occuperà i grandi spazi espositivi della Grey Art Gallery, il museo delle belle arti della New York University nel cuore di Manhattan, per raccontare con la fotografia il coraggio e la bellezza dell’Italia di metà ‘900.
Al centro del percorso c’è la realtà di un Paese intero, catturata e interpretata attraverso il linguaggio dell’immagine e filtrata dallo sguardo di grandi autori: un Neorealismo non letterario né cinematografico, ma fotografico, per delineare i mutamenti dell’Italia nel periodo che va dal fascismo al boom economico. Sono 180 gli scatti presentati al pubblico newyorchese, opere suggestive e intense nel loro linguaggio scarno ed essenziale, firmate da 60 artisti italiani, tra cui Mario De Biasi, Franco Pinna, Arturo Zavattini, Tullio Farabola, Enrico Pasquali, Chiara Samugheo, Ando Gilardi, Enzo Sellerio, Nino Migliori, Gianni Berengo Gardin, Cecilia Mangini. A cura di Enrica Viganò e organizzata da Admira di Milano, la mostra offre anche l’occasione per riflettere sul ruolo che nel movimento neorealista ebbe il medium fotografico, documentandone l’evoluzione. Il Neorealismo viene raccontato attraverso 5 sezioni: “Realismo in epoca fascista”, in cui la fotografia viene usata per la propaganda del regime ma anche da alcuni autori impegnati che di nascosto documentavano l’arretratezza del Paese, “Miseria e ricostruzione”, che racconta il periodo successivo la fine della seconda guerra mondiale con l’Italia devastata ma percorsa da un fremito di rinascita, “Indagine etnografica”, in cui si rivela quanto la fotografia sia stata essenziale per ricreare un’identità collettiva del dopoguerra, “Fotogiornalismo e rotocalchi”, con i lunghi reportage pubblicati su numerose testate a testimonianza dell’uso sempre più frequente delle immagini sulla carta stampata, e infine “Tra arte e documento”, dedicata ai dibattiti sul valore creativo della fotografia. A corredo della mostra anche pubblicazioni originali di rotocalchi, libri fotografici, cataloghi, poster, accanto a spezzoni tratti da film diretti da alcuni dei registi più significativi del Neorealismo, tra cui Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Luchino Visconti. Oltre alla Grey Art Gallery, anche il Metropolitan Museum of Art e la Galleria Howard Greenberg partecipano a questo omaggio americano all’Italia neorealista: il primo proporrà dal 18 settembre a 15 gennaio una selezione delle opere dei fotografi del dopoguerra italiano, recentemente acquisite per la collezione permanente, la seconda allestirà la collettiva (con molti degli stessi autori in mostra alla Grey Art Gallery) intitolata “The New Beginning for Italian Photography, 1945-1965”, dal 13 settembre al 10 novembre.

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Via del Sale, tra pedalate in quota e panorami mozzafiato

La via del Sale © ANSA

È un itinerario che regala emozioni fortissime: pedalare in quota, nel silenzio della montagna, ammirando paesaggi a 360 gradi che spaziano dai ghiacciai del Monte Rosa al Mar Ligure. Nelle giornate di cielo terso lo sguardo può spingersi fino a scorgere all’orizzonte il profilo della Corsica. In questo lembo di terra, compreso fra Alpi Marittime, Alpi Liguri e Tirreno, al confine tra Italia e Francia, Piemonte e Liguria, la geografia si mostra sotto forma di panorami mozzafiato. Puro godimento estetico, che evoca le suggestioni della “sindrome di Stendhal”.

È qui che nel corso dei secoli la tenacia dei pescatori liguri ha sviluppato una rete di sentieri e di mulattiere , che si inerpicano sulle montagne, in un sistema orografico assai complesso, per poi svalicare nella pianura e portare come merce di scambio innanzi tutto il sale, un bene all’epoca preziosissimo, ma anche acciughe e altri prodotti del mare. Al di là dei monti quella merce entrava nelle cucine, dove veniva trasformata, tra l’altro, in bagna càuda, piatto tipico della tradizione piemontese.

Questo reticolo di vie comunicazione ha preso il nome di Via del Sale, anche se sarebbe più corretto parlare al plurale di Vie del Sale. Tante , infatti, sono le varianti che dalla costa ligure portano oltre i monti.
Strade commerciali, dunque. Ma anche strade percorse nei secoli dai pellegrini in cammino verso Santiago de Compostela o verso Roma. Un’infrastruttura di base che poi, tra l’Ottocento e il Novecento, è stata ampliata per costruire strade militari al servizio delle fortificazioni di confine tra Francia e Regno Sabaudo e poi Regno d’Italia. La Via del Sale di oggi (anche detta “Alta Via del Sale”) sfrutta le antiche carrarecce realizzate negli ultimi due secoli: un vero capolavoro di ingegneria militare. Molte le fortezze e le caserme che si incontrano lungo la strada. Facevano parte del Vallo Alpino Occidentale: anche queste testimonianza interessantissima del genio militare del XIX e XX secolo.

Il punto di partenza è Limone Piemonte, in provincia di Cuneo. Da lì si sale al Col di Tenda a oltre 2.200 metri di altezza. L’arrivo è a Ventimiglia (Imperia) o – secondo le varianti – a Sanremo. Sono circa 125 chilometri di strade sterrate a tornanti, in parte ben mantenute, in parte meno. Comunque tutte percorribili non solo in mountain bike, ma anche in jeep. La strada è aperta, secondo le condizioni meteo, indicativamente da fine giugno a inizio a ottobre. Per cinque giorni alla settimana, dal mercoledì alla domenica, è accessibile anche ai veicoli a motore (fuoristrada e moto), sia pure in misura contingentata e a pedaggio. Per i ciclisti la quiete è assicurata il lunedì e il martedì. In bici il percorso è abbastanza impegnativo e richiede due giorni con pernottamento in rifugio a metà strada. Malgrado si parta dalla montagna per scendere verso il mare, non è tutta discesa. Al contrario. È un continuo saliscendi. Bisogna mettere in conto circa 2.500 metri di dislivello in salita. Ma la fatica è senz’altro ripagata. Il percorso offre una straordinaria varietà di paesaggi e di biotopi: nella prima parte marmotte, stambecchi, aquile, larici ed abeti; al traguardo gabbiani, ulivi e palme. Arrivati a Ventimiglia il premio finale: un rigenerante bagno in mare.

Fra le tante varianti di questo itinerario i ciclisti più esperti sono attratti da un passaggio molto tecnico di una decina di chilometri lungo il fianco Nord del monte Toraggio. A tratti non è pedalabile. È molto esposto su un precipizio; quindi anche pericoloso. Decisamente sconsigliato per chi non abbia un’ottima bici e una perfetta tecnica di guida. Il cicloviaggio può essere affrontato con le proprie forze a condizione che si abbia buona esperienza di montagna e di cartografia e che si disponga di un’attrezzatura e di un allenamento adeguati. Chi, invece, voglia godersi questo itinerario in tutta tranquillità può rivolgersi a un tour operator. Tra questi ConiTours di Cuneo, che offre l’assistenza di guide di mountain bike altamente professionali. Per i meno allenati, infine, c’è sempre l’opzione validissima e sempre più diffusa della bici a pedalata assistita.

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A Trieste spunta la corsia ciclabile a senso unico Controlli dei vigili urbani in pieno centro, si rischia la multa

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Piste ciclabili divise al centro da una linea discontinua oppure disegnate ai lati di una stessa carreggiata (di qua si va, di là si viene) o ancora, che sfilano lungo una strada sterrata. Di qualunque tipo queste siano, i ciclisti le percorrono in entrambi i sensi. Come accade anche a Trieste, una delle poche città dove la breve pista del centro storico è a senso unico (ma viene percorsa ugualmente in entrambe le direzioni dagli ignari ciclisti). A scoprire la normativa stradale sono state alcune persone fermate dai vigili urbani mentre procedevano in direzione da piazza Unità d’Italia verso la Stazione ferroviaria, nei 300 metri di pista che corre in via Trento. I cittadini in bici per la città hanno pensato a uno scherzo quando la polizia locale ha detto loro che stavano procedendo in senso contrario, poi sono ammutoliti quando è stato fatto loro notare che la segnaletica orizzontale, composta dal disegno di una bicicletta, era corredata da una freccia che indica sempre la stessa direzione.

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