Incontro dei giovani d’Italia l’11 e il 12 agosto con Papa Francesco: un raduno che sa molto di reggiano

Un gruppo di nostri giovani, che sono andati a piedi da Castelnovo a San Pellegrino,  i quasi 200 giovani che con don Giordano sono andati da Novellara fino a Lucca a piedi passando per la nostra montagna e  tantissimi altri da tante parrocchie dalla diocesi saranno presenti a Roma alla due giorni.

Inoltre sono partiti oggi alle 15 dal seminario di Reggio i coristi della  Corale della Resurrezione di Castelnovo Monti assieme all’altro sostanzioso gruppo di coristi e musicisti dell’Istituto Diocesano di musica e liturgia. Saranno a Roma questa sera ad animare con musica e canti la veglia di preghiera di Papa Francesco con i giovani d’Italia. L’inno della giornata è stato appositamente composto, assieme a tutte le partiture di un’intera messa, dall’istituto di musica e liturgia della diocesi e  il nostro concittadino, il Maestro Giovanni Mareggini ha avuto in tutto questo lavoro un ruolo fondamentale. E sarà lui questa sera a dirigere il grande coro di giovani che animerà la veglia di preghiera che si svolgerà al Circo Massimo come pure domenica mattina la Santa Messa in Piazza san Pietro.  “Un bel riconoscimento – scrivono dall’Unità pastorale castelnovece – che la Cei ha fatto al nostro maestro Giovanni Mareggini e all’Istituto di musica e liturgia della diocesi di Reggio Emilia (e  anche alla corale della Resurrezione che assieme a loro si esibisce) affidando a loro  l’organizzazione di canti e musica della due giorni e chiedendo di comporre un’intera messa e di realizzarla. Purtroppo apprendiamo con dispiacere da  Redacon che il nostro Vescovo non sarà presente a Roma per l’incontro dei giovani con Papa Francesco: a lui facciamo tanti auguri e una preghiera per una pronta guarigione tuttavia crediamo che in questo incontro,  pur mancando la presenza del nostro Vescovo, resti ancora  tanto di reggiano”.

La veglia con Papa Francesco sarà trasmessa in diretta dalla 1° rete  Rai a partire dalle ore 18.30 di sabato 11 agosto mentre la santa messa di domenica,  in piazza san Pietro, sarà trasmessa dalle ore 9,30, in diretta, da SAT.2000.

“E’ stato un impegno enorme scrivere testi e musiche e altrettanto impegnativo farle imparare coinvolgendo giovani provenienti da altre diocesi d’Italia e ‘armonizzare’ il tutto anche sul piano logistico di viaggio e partecipazione alla veglia e alla messa”. Al maestro Mareggini il grosso “in bocca al lupo” dell’unità pastorale così come a tutti quelli che hanno collaborato per rendere possibile questa partecipazione.

redacon.it

Vescovo Reggio Emilia ricoverato Indisposizione causata da un’infezione, in via di miglioramento

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Ricovero in ospedale per il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons.Massimo Camisasca. Ieri – si legge sul sito della Diocesi della città emiliana – mentre si trovava in soggiorno a Giandeto di Casina, sull’Appennino reggiano, “ha accusato un malessere in conseguenza del quale, in serata, è stato ricoverato, in osservazione, all’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. In base ai primi accertamenti – viene sottolineato – la causa dell’indisposizione è da ricercare in un’infezione”, ma “dopo le prime cure risulta in via di miglioramento. Al momento – viene evidenziato – sono previsti alcuni giorni supplementari di ricovero ospedaliero, cui seguirà un periodo di convalescenza di un paio di settimane”.
Alla luce di quanto accaduto, monsignor Camisasca annullerà gli impegni che aveva in programma, “in particolare la Messa mattutina di sabato 11 agosto a Roma con un gruppo di giovani reggiani diretti all’incontro con Papa Francesco e la celebrazione in Cattedrale nella solennità dell’Assunta”.

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Santa Chiara, onomastico/ Santo del giorno, l’11 agosto si festeggia il “braccio destro” di Francesco d’Assisi

L’11 agosto si festeggia Santa Chiara, Santo del giorno: si tratta della patrona di numerosi comuni italiani tra cui quello di Marciana Marina sull’Isola d’Elba. Le feste a lei dedicate.

sussidiario.net

Santa Chiara, Santo del giorno

Santa Chiara è celebre per essere stata una sorta di braccio destro di Francesco d’Assisi, fondatore dell’Ordine francescano. Nata ad Assisi, probabilmente intorno al 1193, Chiara Scifi (questo era il nome di battesimo) non trascorse una vita all’ombra del celebre religioso citato poc’anzi. Il nome di Chiara d’Assisi è strettamente connesso a quello dell’ordine delle monache clarisse, di cui la donna fu la fondatrice. A differenza di altre figure religiose del passato, le notizie sulla vita di santa Chiara sono tutt’altro che scarse: ciò in virtù del fatto che, rispetto ad altri santi ben più remoti, Chiara visse praticamente in pieno Medioevo, epoca più vicina a noi rispetto alle poche testimonianze relative a periodi antecedenti alla cosiddetta “età di mezzo”. Sin da piccola, Chiara dimostrò una notevole sensibilità per i problemi delle persone disagiate al suo tempo: nonostante provenisse da una famiglia ricca e benestante, la bambina non amava vestirsi e comportarsi come un’appartenente al suo ceto sociale. Tra gli episodi più rilevanti relativi alla sua esistenza vanno inoltre segnalati la fuga dalla casa dei genitori, con destinazione la confraternita di Francesco (dove fu vestita alla pari dei frati), e il successivo arrivo alla chiesa di San Damiano, dove vi rimase per più di quarant’anni fondando un ordine religioso e compiendo miracoli e guarigioni. Morì sempre ad Assisi in data 11 agosto 1253, lasciando dietro di sé una scia di “sorelle” che, in ambito religioso, portano ancora alto il suo nome.

Santa Chiara, Feste e sagre dedicate alla Santa

Santa Chiara è la patrona di numerosi comuni d’Italia, all’interno delle quali ogni anno (precisamente nel periodo della sua venerazione, ovvero l’11 agosto) si tengono feste e sagre per onorare la vita e l’opera religiosa della santa. Un esempio è dato dalla festa patronale di santa Chiara in quel di Marciana Marina, sull’Isola d’Elba, dove si tiene una processione con la statua della Santa correlata a trofei sportivi e regate. Altro esempio è la festa che si tiene la seconda settimana di agosto a San Gavino Monreale, nella provincia del Sud Sardegna: la santa viene celebrata tra processioni religiose e serate all’insegna dei balli e della musica.

Marciana Marina

Marciana Marina è solo uno dei tanti paesi a cui santa Chiara fa da patrono. Situato sull’Isola d’Elba, dunque facente parte della provincia di Livorno, il comune di Marciana Marina è il più piccolo di tutta la Toscana se si tiene conto della sola superficie territoriale. Va inoltre segnalato che le piccole dimensioni del paese derivano dal fatto che esso consiste nell’area marina della vicina Marciana, di dimensioni più grandi rispetto al paese di mare. La devozione alla santa è espressa anche e soprattutto attraverso la chiesa di Santa Chiara, che sorge in pieno centro del paese.

Altri santi e beati venerati l’11 agosto

L’11 agosto è ben noto per la celebrazione della figura di santa Chiara, ma in tale data si ricordano anche altre figure religiose di particolare importanza: è il caso di san Cassiano di Benevento, vescovo campano, e di sant’Alessandro da Comana, vescovo greco dalle origini incerte; si ricordano, inoltre, nomi come quelli di santa Filomena di Roma e santa Susanna di Roma, entrambe martiri.

L’Europa celebra Edith Stein, donna di dialogo e speranza

Il 9 agosto del 1942 moriva ad Auschwitz, “quale figlia del suo popolo martoriato”, santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein. Al termine dell’Udienza generale di ieri, Papa Francesco ne ha ricordato l’amore e la coerenza con cui questa donna, “martire del suo popolo ebraico e cristiano”, ha cerca Dio. “Ebrea, filosofa, suora e martire”convertita al cristianesimo, non rinnegò l’appartenenza al popolo ebraico ma ne condivise la sorte. “Illustre figlia di Israele e allo stesso tempo figlia del Carmelo”, come la definì Giovanni Paolo II, Santa Teresa Benedetta della Croce aveva profonda coscienza di “appartenere a Cristo non soltanto spiritualmente ma anche per discendenza”.

Dall’ateismo alla conversione

“Quando ero una ragazza di quattordici anni – scrive lei stessa – smisi di praticare la religione ebraica e per prima cosa, dopo il mio ritorno a Dio, mi sono sentita ebrea”. Per la Stein ricevere il battesimo non significò dunque “rompere con il popolo ebraico”. A cambiare il corso della vita della futura santa e ad avvicinarla alla Chiesa cattolica è un evento di vita quotidiana, tanto comune quanto stravolgente: una donna che entra in chiesa a pregare con i sacchetti della spesa. “La mia miscredenza andò in frantumi e Cristo cominciò a splendere”. Nella granitica sicurezza delle convinzioni della Stein, Dio aveva dunque fatto breccia in modo irrimediabile.

Il mistero della Croce

“Fu capace di rendere ragione di quella speranza in cui ha creduto e a cui solo dopo la sua conversione riesciù a dare un nome: Cristo” – spiega sr Tiziana Caputo, domenicana esperta del pensiero della Stein (Ascolta l’intervista integrale). Entrò nel mistero della Croce, abbracciò la sofferenza mostrando al mondo che” l’amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l’amore” come disse Giovanni Paolo II nell’illuminante omelia per la messa di Canonizzazione del 1998.

“ Suor Teresa Benedetta fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! (Giovanni Paolo II) ”

“Gridò al mondo l’orrore della Shoah – prosegue sr Caputo – e attraverso il suo percorso spirituale propose una visione della donna che tenesse conto di tutta la complessità e la specificità del suo essere in modo da non appiattirla in una semplice copia in opposizione all’uomo.” L’eredità della Stein è dunque un patrimonio ampio e articolato e “che per noi – conclude la religiosa – diventa fonte di ricerca, ispirazione e contemplazione”.

“ All’inizio il suo ideale fu la libertà. Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse: ‘Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio.’ (Giovanni Paolo II) ”

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Page Personnel. Dieci domande sotto l’ombrellone sul proprio lavoro

da Avvenire

Dieci domande sotto l'ombrellone sul proprio lavoro

L’estate e in particolare il periodo di ferie lontano dall’ufficio è il momento migliore per pensare con distanza ma obiettività alla propria situazione lavorativa. Con la calma dei giorni di ferie, infatti, si può essere più lucidi e tranquilli per analizzare il proprio percorso e le proprie prospettive di crescita professionale. Per facilitare l’autoanalisi della propria situazione lavorativa Page Personnel, Brand di Page Group leader di mercato nella ricerca, selezione e somministrazione di impiegati e giovani professionisti qualificati, ha individuato le dieci domande corrette da porsi per capire come orientare la propria carriera:

1. Quali sono state le tre migliori esperienze lavorative?
Nel porsi questa domanda è bene essere quanto più precisi ed analitici, tenendo in considerazione più variabili: non solo il team coinvolto ma anche la natura del progetto, le attività svolte, il proprio ruolo ed i risultati conseguiti. Si consiglia un grande sforzo di obiettività.

2. E le tre peggiori?
Anche in questo caso è bene lasciare da parte l’emotività e ragionare in modo oggettivo per ricordare i problemi emersi e le cause che hanno determinato il malessere lavorativo. A mente lucida è anche importante pensare alle azioni che avrebbero potuto, invece, risolvere la situazione.

3. Quali sono i tre elementi essenziali che un lavoro deve avere?
È importante individuare ciò che nell’esperienza passata ha reso il lavoro piacevole, stimolante e appagante. Che si tratti di benefit offerti dall’azienda, particolari responsabilità o possibilità di aggiornamento, ogni elemento deve essere preso in considerazione per capire quali sono le priorità personali.

4. Quali sono i tre elementi da evitare in ambito lavorativo?
Bisogna individuare tutte le situazioni, i comportamenti e le politiche che non si è disposti ad accettare e valutare se nella situazione attuale ci siano già alcuni segnali a suggerire la presenza di elementi disturbanti.

5. Quali capacità, talenti, obiettivi vorreste avere o sviluppare nella vostra vita?
I momenti di vacanza sono adatti per meditare sui traguardi raggiunti e i prossimi passi da compiere: è necessario analizzare i propri obiettivi per capire se il percorso che si sta facendo stia effettivamente andando nella direzione desiderata.

6. Cosa vi stimola, vi entusiasma o vi fa arrabbiare? Dove risiedono le vostre passioni?
Interesse e coinvolgimento sono indispensabili per lavorare bene ed essere soddisfatti del proprio operato. Per questo motivo è molto importante individuare le proprie passioni e provare ad integrarle anche con le attività lavorative.

7. Che cosa vorreste ottenere se aveste la certezza di non fallire?
Le persone tendono a precludersi importanti possibilità per paura di non farcela ma se si prova ad analizzare con tranquillità ciò che si desidera realmente fare e ciò che ce lo impedisce sarà più facile trovare il percorso adatto per raggiungere la meta.

8. Che cosa vi sta impedendo di trovare il lavoro ideale? Che cosa vi ostacola?
Identificare gli scogli che si frappongono sul cammino verso il lavoro dei sogni ed averne una buona consapevolezza è il primo passo per poter ideare una strategia vincente.

9. Quando eravate bambini, cosa sognavate di diventare da grandi? Avete realizzato le vostre fantasie in qualche modo, con una carriera, un hobby o in altre forme? Che cosa avete lasciato perdere… e perché? Sembrava irrealizzabile, o non abbastanza ragionevole? Siete stati scoraggiati, o avete perso interesse? Come potreste dare spazio a questi sogni nella vostra vita in questo momento?
Non importa quanto strano, improbabile o impossibile possa sembrare. Riscoprire ciò che si sognava da bambini può aiutare a vedere il proprio percorso da un’altra prospettiva, permettendo di adattare le competenze sviluppate con gli anni alle esigenze di un ambito che ha sempre suscitato passione e interesse, seppur mai considerato.

10. Elencate 12 esperienze/abilità/attività/lavori che vorreste avere nella vostra vita ma che non avete ancora fatto.
Focalizzare cosa si vuole fare e tenerlo a mente è fondamentale per riuscire a raggiungere i propri obiettivi: bisogna valutare analiticamente la situazione e le reali possibilità per poter pianificare una strategia volta a portare a termine le proprie aspirazioni.

Spiritualità. Neopelagianesimo, sfida per la Chiesa del XXI secolo

da Avvnire

Neopelagianesimo, sfida per la Chiesa del XXI secolo

È chi fa affidamento solo sulle proprie forze dimenticando che «ci si salva insieme», come ripeteva caparbiamente il poeta Charles Péguy; chi osserva rigidamente le regole e così si sente superiore; chi invece di annunciare il Vangelo si mette a classificare gli altri, siano credenti o no; chi rimarca solo penitenza e sacrificio dimenticando la gioia della fede; chi diventa preda di un elitarismo narcisista e autocompiaciuto; chi ha fiducia solo nelle strutture e nelle pianificazioni astratte, ignorando la concretezza della vita.

Sotto queste varie tipologie può rientrare la definizione di “neopelagiano” cui così spesso si richiama papa Francesco. Assieme al neognosticismo, è un’eresia che si presenta oggi all’interno del cattolicesimo secondo Bergoglio, che nel manifesto del suo pontificato, la Evangelii Gaudium, ma anche in molte altre circostanze ha insistito su questi due pericoli.

Cosa è il pelagianesimo?

Il neognosticismo esprime l’ideologia del “niente carne”, cioè la visione di un Dio che non si è incarnato; ilneopelagianesimo invece del “niente Dio”, la concezione dell’uomo prometeico che dispone della propria esistenza contando solo sulla propria ragione.

Ma chi era Pelagio? Un monaco originario della Britannia vissuto fra IV e V secolo, che propugnava l’ideale di una vita spirituale di assoluta perfezione, ma riduceva il cristianesimo a una dottrina morale, una sorta di aggiornamento dello stoicismo. Per lui l’uomo è dotato di una «santità naturale» che lo porta a fare il bene senza necessità di un intervento divino. Insomma, la natura non ha bisogno della grazia. Il peccato originale viene cancellato. A tutto ciò si aggiungono un rigore e una disciplina assoluti, applicando radicalmente gli ideali di ascesi e di rinuncia propri del cristiano. La sua eresia come noto fu debellata da Agostino, il quale precisò come la libertà umana senza il contributo della grazia non è in grado di optare verso il bene.

Neopelagianesimo, Chiesa e contemporarenità

Ma tutto questo cosa c’entra con lo stato attuale della Chiesa? Che il richiamo del papa non sia solo un vezzo da esegeta o da storico lo testimonia un libro di Giuliano Zanchi, pubblicato dalle edizioni San Paolo col titolo Il neopelagianesimo (pagine 126, euro 10). Direttore del Museo Bernareggi di Bergamo, nonché del Museo della cattedrale, Zanchi ha al suo attivo numerose opere in ambito teologico e artistico, fra cui Il destino della bellezza(Ancora 2008) e Prove tecniche di manutenzione umana. Sul futuro del cristianesimo (Vita e Pensiero 2012). Nel volume l’autore ricostruisce perfettamente sia il contesto storico in cui si radicò l’eresia pelagiana sia le motivazioni cha hanno spinto l’attuale pontefice a richiamarne oggi il pericolo per i credenti, ma la parte del libro che più ci pare interessante sottolineare è quella relativa alla situazione della cultura cattolica oggi.

Egli vede il rischio di «una Chiesa che diserta il terreno della cultura comune» e che evita di «familiarizzare con il continuo ruminare dell’uomo», di un cattolicesimo di base avvolto da «un’inerzia diffusa» e da «una pigrizia intellettuale ormai cronica».

Eppure, dinanzi alla cultura dominante del «disincanto radicale», che tende a schiacciare l’uomo solo alle sue componenti biomeccaniche, che premia l’individuo a scapito del senso di comunità, che esprime un «insieme di saperi forti» che finiscono per liquidare la parte spirituale dell’uomo, il cristianesimo è tutt’altro che in condizione di essere destinato al silenzio.

Si tratta di ribadire che «la verità non è brutta», che il significato dell’esistenza non è solo la casualità per cui l’unica modalità diventa l’esperienza del piacere e del godimento, che la felicità può essere un destino non solo temporaneo, che il legame sociale precede la libertà dell’individuo, che la misericordia può diventare una regola per impedire che la vita diventi una giungla.

Tutte sfide possibili a condizione che la fede cristiana non sia elitaria e che la Chiesa stessa non pensi di essere un baluardo contro l’inciviltà ritenendosi perfetta, l’isola felice per la salvezza di pochi: «Quello che in una società secolare – scrive Zanchi – non è più un respiro meccanico, è proprio la corrispondenza tra la verità evangelica dell’umano rivelato in Gesù e quell’originario dinamismo di approssimazione al senso di cui vive ogni uomo. Questa corrispondenza, per quanto reale e decisiva, oggi non è più evidente. Va continuamente mostrata, argomentata, riflettuta. Ma questo lavoro non è praticabile senza entrare in modo competente nel merito dei paradigmi culturali che formano l’acquario del senso nel quale ognuno di noi nuota assieme a tutti con disinvolto automatismo».

La necessità di una presenza culturale della Chiesa

Dinanzi a un pelagianesimo diffuso, quello che Augusto Del Noce denunciava come edonismo di massa, e a unvitalismo obbligatorio (non senza la «supervisione dell’apparato tecnoeconomico del mercato globale», annota Zanchi), occorre ribadire «un’etica della grazia contro un’etica della prestazione».

È la sfida del rilancio di una presenza culturale quella che emerge: «Occorre pensare quello spirituale senza di cui non si dà l’umano. La questione è insieme luogo della più attuale e strenua battaglia culturale, e del lato forse più disatteso di una pronta e attrezzata cultura credente». Sfida ardua, date le premesse, ma la Chiesa italiana in tutte le sue componenti non può non porsi davanti alla prova di rianimare la cultura religiosa del nostro Paese.

Lo spirito del luogo. Arte e liturgia: la parola «sacro» da sola non basta

Raul Gabriel, tabernacolo della chiesa di Olmo, Perugiada Avvenire

Le riflessioni delle cinque puntate precedenti di “Lo spirito del luogo” sono nate dal mio lavoro di artista a confronto con lo spazio sacro in progetti e realizzazioni. Sono un manifesto concreto di un possibile approccio nel dialogo tra arte e sacro, riflessione in corso d’opera, diario aperto di un lavoro che prosegue.

A mio parere oggi rischia di consolidarsi una prassi che, sotto il manto della professionalità e della tensione verso la perfezione procedurale, cela mancanza di ispirazione e volontà di compromettersi con la visione. Non migliora le cose la separazione dei campi, se condotta come dialogo compartimentale e quindi sterile.

Sono artista militante, libero da influenze e vincoli accademici e mercantili per formazione e per carattere. In studio faccio ciò che incontro, indipendentemente dalle aspettative di chiunque. Sembrerebbe una contraddizione che mi sia entusiasmato quando mi è stata data la possibilità di realizzare il primo, estensivo intervento in una chiesa, ambito che spesso si immagina come luogo di limitazione artistica. Invece la sfida del luogo sacro riassume tutto ciò che dell’arte e della poesia sono gli elementi essenziali. Il confronto con il percorso liturgicosimbolico non è vincolante ma liberatorio. Mi stimola a fondere il rigore formale con il fluire costante di energia che caratterizza il mio fare arte, sfida intellettuale trasformata in materia pulsante attraverso forme che giocoforza fissano un dinamismo costantemente inarrestabile.

Raccogliere la sfida della storia e della contemporaneità e coniugarla con quella della propria identità, della visione che dovrà essere ispirante anche per altri, dal singolo fedele alla comunità all’intera città. Poche cose sono fertili come confrontarsi visceralmente con un luogo sacro e tentare il processo di incarnazione simbolica di una visione. Sacra è la stessa radice della poesia e del pensiero.

Tante sono le riflessioni possibili, e in queste settimane ho cercato di evidenziare le principali che stimolano la mia reazione. Una ulteriore, che riassume il mio modo di operare, investe la modalità con cui la forma simbolo traduce il dinamismo vitale di ciò che rappresenta: se essa è una pura descrizione, memoria cristallizzata, o ne diventa esperienza diretta, vibrante. La taratura del magma vitale che fluisce dalla visione con il confine preciso di un luogo è una delle sfide più entusiasmanti che si possano immaginare. Perché tenta di riprodurre la misteriosa contraddizione che ci costituisce. Il nostro corpo, un luogo definito, che racchiude l’infinito.

Santa Maria di Colle, ai piedi del centro storico di Perugia, la mia prima avventura, mi ha messo in dialogo con l’opera dell’architetto Vincenzo Tutarini, risalente alla seconda metà degli anni ’50. La sensazione che mi ha trasmesso è stata di entrare in un luogo mobile, che interferiva fortemente con la mia percezione di spazio. La struttura era, nell’esperienza, una perfetta manifestazione dello sbilanciamento. Entrando nella chiesa di Tutarini avevo l’impressione di cadere.

È stata una illuminazione. Il primo momento in cui ho compreso che la potenza di un simbolo non è nella didascalia, che pure può essere confortante e semplificativa, ma nella incredibile possibilità di trasmettere il processo vivo, in fieri, a coloro con cui ci si confronta. Il contatto senza parole è diventato per me fulcro dell’operare e del ragionare, la modalità di rapporto più simile al cardine, non solo del cristianesimo, ma di ogni ricerca sinceramente rivolta all’uomo: l’incontro. Incontrare la materia costitutiva del gesto liturgico dentro la struttura e il materiale degli elementi che compongono il luogo sacro. Il simbolo ha una sua liturgia formale interna che, se assente, rende inutile ogni tipo di etichetta gli si possa applicare, fossero anche tutti i versetti dei vangeli messi insieme. Perché è incontro concreto, manifestazione sostanziale della Parola, prima che della parola come esegesi sintattica e concettuale. La Parola, prima che narrazione, è evento.

L’immediata conseguenza è stato il primo simbolo liturgico che io abbia realizzato: l’ambone. Che ho immaginato come pietra che si spacca, letteralmente, sotto la pressione della parola. Si spacca in modo da lasciare a chi passa vicino la sensazione che possa cadergli addosso, con i suoi spigoli molto vicini alla parola- spada dei vangeli.

Raul Gabriel, ambone per la chiesa di Santa Maria di Colle, Perugia, render di progetto

Raul Gabriel, ambone per la chiesa di Santa Maria di Colle, Perugia, render di progetto

È fondamentale ricordare che prima ancora dell’intuizione strettamente descrittiva c’è stata la intuizione formale che, essendo potente, portava in sé l’arricchimento anche della visione interpretativa. L’intuizione formale ha a che fare non con un costrutto ideologico, ma con un ponte diretto tra la percezione, i sensi, la carne e la dimensione del gesto.

La sensazione dello sbilanciamento dell’architettura di Tutarini era diventata il fulcro estetico nel simbolo, per forma, materia e soprattutto processo. Tutto il mio progetto di Santa Maria di Colle è stato guidato da questa intuizione. Un altro esempio sono le opere che ho realizzato tra il 2013-2015 presso la chiesa di Santa Maria della Speranza a Olmo, Perugia. La struttura di nuova realizzazione – non priva di stimoli – richiedeva a mio parere l’indicazione della corporeità e della carne. Il mio medium sono stati i materiali che, come un fiume carsico, attraversano il bianco asettico dell’edificio per riapparire come affioramenti del corpo e della sostanza del mistero. Terra, sangue e acqua.

Raul Gabriel, fonte battesimale della chiesa di Olmo, Perugia

Raul Gabriel, fonte battesimale della chiesa di Olmo, Perugia

In quel contesto ho pensato a un fonte che fosse acqua anche senza l’acqua, tentando di rendere tangibile il suo processo, il suo fluire, la sua sospensione, la sua incontenibilità. Non come descrizione didascalica ma, attraverso il tentativo di catturare la vita dell’acqua, la sua essenza dinamica che può e deve dare anche la sensazione di sbilanciamento, condizione del flusso. Scandalo per coloro che immaginano il fonte come una bacinella o una pozza d’acqua da stabilimento termale.

È ovvio che il sacramento ha valore anche in una tinozza. Ma se dobbiamo intervenire con arte allora il compito è mostrare qualcosa che vada al di là della prassi, la quale è solo un aspetto marginale della nostra essenza. L’amore ne diventa profumo ed espansione, gloria e contemplazione.

Il tabernacolo è stato una gioia realizzarlo. Tutto in pietra eppure intriso di fisica dell’universo plasmabile. Come l’ambone non è un leggio, così il tabernacolo non è una scatola. È architettura di un mondo intero. E quello di Olmo, anche se in pietra, si torce come fosse argilla, sia all’esterno che all’interno dove l’architettura è curata come quella della chiesa. L’altare con le sue torsioni e la “simmetria asimmetrica” (per cui sacerdote e assemblea vedono la stessa forma), parla da sé di un fulcro che tende al cubo ma è articolato, vivo, complesso, sintesi formale di tutte le tensioni geometriche della chiesa, pulsante come dovrebbe essere la comunità.

Raul Gabriel, altare della chiesa di Olmo, Perugia

Raul Gabriel, altare della chiesa di Olmo, Perugia

Il luogo sacro è un luogo abitato da processi formali e sostanziali, processo a sua volta, casa che vibra in consonanza con ciò che la abita, di cui va ribadito il primato. Il luogo sacro è acqua anche senza acqua, fuoco anche senza fuoco. Parola anche senza lettera o voce. Vita.

Raul Gabriel, particolare del fonte battesimale della chiesa di Olmo, Perugia

Raul Gabriel, particolare del fonte battesimale della chiesa di Olmo, Perugia

Testimonianza. Suor Clare Crockett, la vita è uno spettacolo

Clare Crockett, da giovane, sognava di diventare una stella della Tv. Ma la notorietà che ha tenacemente inseguito ora la sta raggiungendo (anzi: l’ha già conquistata) in modo del tutto imprevedibile. Proprio come piace alla Provvidenza.

Già, perché Clare è una suora irlandese, morta in Ecuador nel 2016 a soli 33 anni di età. Dotata di un non comune talento artistico, una bellissima voce, un fisico attraente e un sorriso accattivante, avrebbe potuto sfondare nel mondo dello spettacolo. C’era quasi riuscita: a soli 15 anni era stata assunta come presentatrice di programmi televisivi per giovani per Canale 4, uno dei più importanti del Regno Unito e successivamente si era interessato di lei il canale statunitense Nickelodeon. Aveva pure recitato, anche se in una parte secondaria, nel film Sunday del regista Charles McDougall.

Poi però, in seguito a una radicale conversione, la giovane che sognava il cinema e intanto passava il tempo libero tra feste, discoteche e alcol, è diventata suor Clare Crockett della Trinità e del Cuore di Maria. Il 16 aprile 2016 è morta, con altre cinque ragazze, a causa del crollo di un edificio in cui si trovava, durante il terremoto che colpì Playa Prieta in Ecuador.

A distanza di qualche anno, le sue consorelle hanno realizzato un docu-film su di lei, dal titolo “O tutto o niente”. La notizia è che il documentario sta facendo conoscere la storia di suor Clare letteralmente in tutto il mondo. E ora il film è disponibile anche in italiano.

Suor Beatriz Liaño, che – nel suo minuscolo ufficio di Roma, a due passi da Piazza Farnese – si dedica alla comunicazione, mi mostra sul Mac un file Excel con una lista che ha dell’incredibile: «Abbiamo ricevuto oltre mille richieste di proiezione del film, da tutto il mondo: dall’Argentina all’Australia, da Cuba alle Filippine, dal Ghana all’Indonesia… Oltre, ovviamente, che dai Paesi dove suor Clare aveva lavorato, ossia Irlanda, Regno Unito, Spagna ed Ecuador». Continua: «Le testimonianze che ci arrivano, dalle migliaia di persone che hanno già visto il film, ci dicono che nessuno rimane indifferente alla testimonianza di suor Clare».

Il successo planetario di “O tutto o niente” ricorda quello del documentario “L’ultima cima”, dedicato a don Pablo Dominguez, un giovane prete spagnolo appassionato di montagna, morto a 42 anni nel 2009, durante un’arrampicata. In entrambi i casi siamo in presenza di storie forti nella loro semplicità: storie che raccontano di una dedizione totale, senza riserve e di una felicità autentica trovata abbracciando Dio. Lo documenta pure una bellissima testimonianza, disponibile sul Web, in cui suor Clare si racconta ai giovani presenti alla Gmg di Madrid nel 2011.

Per Clare – nata nel 1982 a Derry, in Irlanda, cattolica per tradizione ma senza convinzione – l’incontro sorprendente con Cristo accadde durante la Settimana Santa del 2000, quando si trovò a partecipare, “per caso”, a un incontro di preghiera in Spagna con le Serve del Focolare della Madre, giovane congregazione religiosa spagnola. Al termine, una suora trovò Clare in lacrime, mentre ripeteva: «Gesù è morto per me. Mi ama!… Perché nessuno me l’ha detto prima?». Tale esperienza segnò profondamente la ragazza che da tempo aveva tagliato i ponti con la Chiesa.

L’intuizione di cambiare totalmente vita, dopo il rientro in Irlanda e la partecipazione alle riprese di “Sunday”, arriva improvvisa, una notte. Mentre, ubriaca, Clare sta vomitando nel bagno di una discoteca, sente che Gesù le parla: «Perché mi continui a ferire?». Di lì a pochi giorni, mentre si trova in un importante hotel di Londra per lavoro, avverte chiaramente che la sua vita non ha senso se non donata totalmente a Cristo. E decide. Non la fermano né le suppliche della sua famiglia né le promesse del suo manager.
L’11 agosto 2001, a 19 anni, entra come postulante delle Serve del Focolare della Madre e l’8 settembre 2010 pronuncia i voti definitivi. Successivamente presta servizio in varie comunità delle Serve del Focolare della Madre, in Spagna, negli Stati Uniti e, finalmente, in Ecuador. Lì, alcuni anni dopo, troverà la morte. Ma non la parola “fine”.