Uno scritto di Antonio Monticelli per don Fabrizio

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Scritto per don Fabrizio…

Nel vuoto di questa chiesa

si sente ancora

la tua presenza.

Sento ancora i tuoi passi

che fanno ancora ancora

eco nel mio cuore

come le tue parole dall’altare.

Mi parla di te la mia poca fede

nel ricordo vivo

della nostra grande amicizia.

(Scritta da Antonio Monticelli – Reggio Emilia 8 Agosto 2018)

Il Monastero aperto alla comunità, silenzio ma anche Caf e concerti

Il chiostro Monastero delle Benedettine di Sant'Anna, a Bastia Umbra © ANSA

“È la gente che ci chiede di aprire il Monastero. Le persone hanno bisogno di avvicinarsi al silenzio”. Così hanno preso spazio e forma la foresteria, i corsi e i laboratori, gli studi di consulenza e di ascolto: il Monastero delle Benedettine di Sant’Anna, a Bastia Umbra, a pochi chilometri da Assisi in provincia diPerugia, è un luogo di accoglienza e di apertura alla comunità e in questi giorni, nell’ambito di una manifestazione estiva locale, è anche occasione per ospitare nel chiostro concerti di musica classica.

“La nostra attività quotidiana è l’accoglienza e l’ospitalità, nel rispetto delle regole di S. Benedetto”, spiega la badessa, Noemi Scarpa (40 anni, di Venezia),- precisando che la clausura non è rinnegata ma occupa solo alcuni momenti della giornata. Per il resto, lo sguardo è fuori al monastero, soprattutto verso chi ha bisogno di aiuto: “il nostro monastero è a servizio della cittadinanza, come del resto lo è stato in tempi lontani”.

Il sito web del Monastero di Sant’Anna

Dopo la già collaudata esperienza della foresteria, nel monastero umbro sono nati da pochi mesi alcuni servizi, gratuiti: un Caf per l’assistenza fiscale; un centro di ascolto; uno studio di progettazione; corsi di cucito e laboratori artistici. E poi, distribuzione quotidiana di panini e pasti caldi quotidiana per i più poveri e coltivazione biologica di prodotti dell’orto. “E’ un modo nuovo per rispondere ai bisogni della gente” dice suor Noemi che ha vitalità e serenità da vendere. “Mettiamo in comunione tutti i nostri beni, sia quelli materiali che spirituali. A noi interessa lo scambio relazionale con le persone, impostare relazioni sane, e questa apertura all’esterno serve anche a noi monache. Dalla nostra esperienza, vediamo che le persone hanno bisogno di avvicinarsi con noi al silenzio, non necessariamente per pregare. La preghiera può anche venire ma dopo. Chi viene in monastero resta colpito dalla serenità che trova, percepisce la nostra pienezza e si sente in pace”.

Nell’antico monastero che fu residenza dei conti Baglioni, nessun pregiudizio verso chi suona alla porta. “Lavoriamo per la condivisione e il rispetto – prosegue Noemi – chiunque può bussare, di qualunque religione sia. Da noi ad esempio lavora un operaio musulmano”. “Il nostro principale interesse è veicolare valori, la freschezza della relazione. E quindi, valori umani, spirituali, anche ecologici. Chi vuole può infatti venire nel nostro orto e raccogliere i prodotti, condividere anche questa esperienza”. Frequenti anche le cene in comune fra ospiti, pellegrini, monache, dove ognuno porta qualcosa di sé e non solo materialmente.

Suor Noemi, a capo di una ventina di religiose, è lontana dagli stereotipi della monaca di clausura. E’ una ‘donna nel mondo’, ricca di un percorso di ricerca spirituale. “Da ragazza proprio non pensavo a questo tipo di vita. Anzi, mi ero allontanata dalla Chiesa , mi piaceva divertirmi e pensavo che Dio minacciava i miei piaceri. Ricercavo la felicità – racconta – mi chiedevo come avrei potuto vivere in pieno la mia vita, spesso sentivo un vuoto. Ma avevo attrazione per la vita contemplativa e per Madre Teresa di Calcutta, in particolare per la sua dedizione ai poveri”. Alla morte di quest’ultima, mentre era in viaggio in Europa, suor Noemi sente nuovi richiami interiori: fa una breve esperienza in monastero e dopo un po’ di tempo capisce che quella è la sua strada. Lascia lavoro, fidanzato, lo sport (militava in serie A2 nella pallacanestro), fa un viaggio a Sharm El Sheikh con un’amica (“per mettermi alla prova”) e si ritira in convento, venti anni fa: “ho provato gioia profonda che non si è più spenta”.  Fra gli impegni del momento, il suo contributo per l’unione dei monasteri benedettini femminili del centro-nord. Un’idea avviata due anni fa per “favorire l’aiuto reciproco, per l’autonomia delle decisioni”. Un’iniziativa che ha già avuto il benestare del Vaticano e avrà vita a breve, dopo l’approvazione dello statuto che è in fase di elaborazione.

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DAL CARPOOLING AL TRENO, LE REGOLE PER ANDARE IN VACANZA CON IL CANE Viaggiare senza stress, 5 consigli e cosa mettere nella valigia di Fido

in macchina in vacanza con il cane. foto iStock. © Ansa

In viaggio con il cane, tutto pronto? Quali sono le le regole per viaggiare in aereo, treno, pullman o carpooling? In occasione della Giornata Mondiale del Cane che si celebra il 26 agosto, Virail, la piattaforma e app che compara tutti i mezzi di trasporto, fa il punto utilissimo su cosa bisogna sapere.

Viaggiare in aereo con il cane

Ricordate che dovrete fare un biglietto anche per il vostro cane. A seconda della taglia potrà volare in cabina oppure in stiva: in ogni caso, dovrà rimanere dentro al trasportino o al kennel omologato IATA (International Air Transport Association). Attenzione: non possono volare i cuccioli che hanno meno di 3 mesi di età.

 Viaggiare in treno con il cane

In treno è ammesso un solo animale per ciascun viaggiatore. I cani di taglia piccola viaggiano gratuitamente – previa comunicazione – all’interno dell’apposito contenitore (dimensioni 70x30x50). I cani di taglia medio-grande, con guinzaglio e museruola, hanno invece bisogno del biglietto. Per il mese di agosto tante società per il trasporto ferroviario propongono offerte per portare gli amici animali in carrozza.

 Viaggiare in carpooling con il cane

Per prendere un passaggio insieme a Fido, controllate che il conducente indichi nel suo annuncio la possibilità di portare cani a bordo. Per questioni di sicurezza gli animali possono viaggiare su BlaBlaCar solo in presenza del legittimo proprietario. Preferibilmente, il cane dovrebbe viaggiare in un kennel rigido, per non creare problemi al guidatore, oppure nell’abitacolo con la cintura di sicurezza, per non farsi male in caso di frenate brusche. Portate un telo per proteggere i sedili e un mini aspirapolvere per auto per ripulire l’auto dai peli del cane.

 Viaggiare in pullman con il cane

Per chi si sposta per lunghe distanze con i pullman in compagnia del proprio amico a 4 zampe, bisogna tener conto che non sempre purtroppo gli animali domestici sono ammessi a bordo. In alcuni casi possono viaggiare – pagando un biglietto – i cani di piccola taglia, trasportati in una borsa o in altro mezzo idoneo. E mentre organizzare trasportino e visite dal veterinario potrà richiedere un po’ di impegno, per trovare la soluzione più conveniente su Viral si può confrontare in tempo reale tutte le proposte di viaggio, dal treno all’aereo, dal carpooling (BlaBlaCar) ai bus (Flixbus e altri).

E se Fido è con noi in macchina? Ecco i 5 consigli da non dimenticare: 

 1 – PASSAPORTO Anche il cane ha bisogno dei suoi documenti per partire! Soprattutto nel caso in cui si viaggi in aereo o in treno sarà fondamentale avere con sé il certificato di iscrizione all’anagrafe canina, il libretto sanitario o il passaporto. Per i viaggi all’estero, potrebbero essere necessari tatuaggio o microchip, e alcune vaccinazioni.

2 – TRASPORTINO Preparate il vostro cane al viaggio che dovrà affrontare facendogli prendere confidenza con il trasportino, utilizzandolo come cuccia nelle settimane precedenti la partenza.

3 – VALIGIA Oltre al kit di pronto soccorso, portate i suoi oggetti preferiti, come cuccia, giochi e ciotole per farlo sentire a suo agio anche fuori casa.

4 – CIBO E ACQUA Per evitare che il vostro animale soffra di mal di trasporto, non fatelo mangiare prima della partenza. Tenete acqua fresca a portata di mano, in un recipiente ermetico. Se il cane viaggia in stiva in aereo dovrà avere con sé nel trasportino una ciotola per l’acqua.

5 – PAUSA Fate delle pause durante il tragitto. Se viaggiate in macchina fermatevi presso le aree di sosta, se state organizzando un viaggio in treno informatevi se ci sono fermate più lunghe in alcune stazioni e approfittatene.

 

 

Ma quali sono le regole per viaggiare in aereo, treno, pullman o carpooling? Virail ricorda le norme da tenere a mente quando si organizza un viaggio a 6 zampe.

 

Viaggiare in aereo con il cane

Se navigando su Virail scegliete come opzione di viaggio l’aereo, ricordate che dovrete fare un biglietto anche per il vostro cane. A seconda della taglia potrà volare in cabina oppure in stiva: in ogni caso, dovrà rimanere dentro al trasportino o al kennel omologato IATA (International Air Transport Association). Attenzione: non possono volare i cuccioli che hanno meno di 3 mesi di età.

 

Viaggiare in treno con il cane

Come ricorda Virail, in treno è ammesso un solo animale per ciascun viaggiatore. I cani di taglia piccola viaggiano gratuitamente – previa comunicazione – all’interno dell’apposito contenitore (dimensioni 70x30x50). I cani di taglia medio-grande, con guinzaglio e museruola, hanno invece bisogno del biglietto. Per il mese di agosto tante società per il trasporto ferroviario propongono offerte per portare gli amici animali in carrozza.

 

Viaggiare in carpooling con il cane

Su Virail è possibile visualizzare anche le offerte per spostarsi in carpooling: per prendere un passaggio insieme a Fido, controllate che il conducente indichi nel suo annuncio la possibilità di portare cani a bordo. Per questioni di sicurezza gli animali possono viaggiare su BlaBlaCar solo in presenza del legittimo proprietario. Preferibilmente, il cane dovrebbe viaggiare in un kennel rigido, per non creare problemi al guidatore, oppure nell’abitacolo con la cintura di sicurezza, per non farsi male in caso di frenate brusche. Portate un telo per proteggere i sedili e un mini aspirapolvere per auto per ripulire l’auto dai peli del cane.

 

Viaggiare in pullman con il cane

Per chi si sposta per lunghe distanze con i pullman in compagnia del proprio amico a 4 zampe, bisogna tener conto che non sempre purtroppo gli animali domestici sono ammessi a bordo. In alcuni casi possono viaggiare – pagando un biglietto – i cani di piccola taglia, trasportati in una borsa o in altro mezzo idoneo.

ansa

In treno con il cane. foto iStock. © Ansa

E’ la giornata del gatto, Micio spopola sui social Nelle case degli italiani ce ne sono 7,5 milioni

Un gatto © Ansa

Da Facebook a Instagram, sono migliaia le foto di Micio pubblicate oggi sui social con gli hashtag #internationalcatday, #worldcatday e similari.

L’occasione è la Giornata internazionale del gatto, una ricorrenza stabilita nel 2002 dall’International Fund For Animal Welfare, che si aggiunge agli altri festeggiamenti del quattrozampe in calendario. Il 17 febbraio, infatti, in Italia si celebra la Festa nazionale del gatto, mentre il 17 novembre è dedicato ai gatti neri.

Il gatto vive insieme all’uomo da almeno 9.500 anni ed l’animale domestico più diffuso al mondo, dal Nord America all’Europa. Non è invece amato in Australia, dove la sua importazione per mano degli europei ha contribuito all’estinzione di diverse specie endemiche. Nelle case degli italiani vivono circa sette milioni e mezzo di gatti.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

In file word da scaricare i testi delle feste del 9 agosto 2018 SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE, vergine e martire Patrona d’Europa, e del 10 Agosto 2018 SAN LORENZO, diacono e martire

In file word da scaricare i testi delle feste del 9 agosto 2018 SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE, vergine e martire Patrona d’Europa, e del 10 Agosto 2018 SAN LORENZO, diacono e martire,
per i presbiteri, diaconi, consacrati, per tutte le comunità della Diocesi preparati dall’Ufficio Liturgico, con gli adattamenti della cripta della Cattedrale (per scaricare i testi clicca sui link in basso sopra le relative immagini>>>)

Cinema. Costanza Quatriglio porta al Festival di Locarno la tragedia dei migranti

“Sembra mio figlio” si ispira alla ricerca della madre da parte di un profugo afghano da tempo in Europa: «Lo sradicamento globale è la condizione umana oggi, al di là di ogni confine»

da Avvenire

Una scena del film “Sembra mio figlio” di Costanza Quatriglio

Tutto è cominciato molti anni fa, almeno dodici, durante le riprese del documentario Il mondo addosso, che la regista palermitana Costanza Quatriglio girava a Roma tra il 2005 e il 2006. Quel film raccontava le vite incrociate di minori stranieri arrivati in Italia non accompagnati ed era girato sia nei centri di prima accoglienza che nelle case-famiglia. Tra i tanti ragazzi incontrati c’era Mohammad Jan Azad, arrivato nel nostro paese dopo aver attraversato il Pakistan, l’Iran, la Turchia e la Grecia, per sfuggire come tanti coetanei alla furia dei talebani negli anni che hanno preceduto l’11 settembre. Nel finale del documentario diceva: «Quando incontro per le strade i ragazzi afghani, io chiedo come sono arrivati qui, da quale parte dell’Afghanistan provengono, se vengono proprio dalla mia zona… forse prima o poi conoscerò qualcuno che mi darà la possibilità di trovare la mia famiglia…». Il sogno di quel ragazzo è diventato realtà: nel 2010 Jan racconta infatti alla Quatriglio di essere riuscito a rintracciare sua madre. È cominciato così un lungo lavoro di trascrizione dei suoi racconti diventato prima il cortometraggio Breve film d’amore e libertà, in cui Jan rivive le telefonate con la madre, e poi il filmSembra mio figlio, presentato ieri al Festival di Locarno e in uscita nelle nostre sale il 20 settembre. La storia è quella di Ismail che sfuggito alle persecuzioni in Afghanistan quando era ancora bambino, vive in Europa con il fratello Hassan, ancora traumatizzato dalla violenza subita in passato. La madre, che non ha mai smesso di attendere notizie dei suoi figli, oggi non lo riconosce. «Non ho nessun figlio che si chiama Ismail», dice con un filo di voce la donna, che dopo la morte del marito si è risposata. Dopo diverse telefonate, Ismail andrà incontro al destino della sua famiglia facendo i conti con l’insensatezza della guerra e con la storia del suo popolo, gli Hazara, originariamente buddhisti, vittime di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità sia in Afghanistan che in Pakistan, dove la comunità è ciclicamente colpita da attacchi di gruppi terroristici sunniti. Erano simbolo della loro cultura i giganteschi Buddha nella roccia distrutti dai talebani nel marzo del 2001. Sceneggiato dalla regista con Doriana Leondeff e lo stesso Jan, il film è un teso, commovente apologo sui temi dell’identità e dell’appartenenza, sui quali la bravissima Quatriglio riflette da anni. «Questa storia mi ha offerto la possibilità di conoscere quella di tanti ragazzi afghani, ora uomini che vivono in tutta Europa, e di comprendere la portata epica di fatti simili a quelli raccontati nella grande tragedia classica. E da questa storia d’amore tra una madre e un figlio lungo il filo del telefono sono arrivata a conoscere la condizione di un popolo perseguitato. Ma la vicenda di Ismail ci racconta anche della condizione umana oggi, al di la dei confini geografici. Parla di sradicamento globale, impossibilità di appartenere a un solo luogo. Sembra mio figlio è insomma un film sugli esseri umani, senza alcuna distinzione». Per trovare l’attore protagonista, sono stati fatti provini in tutto il mondo, da a Kabul alla Danimarca, Norvegia, Austria, Canada. «Alla fine abbiamo trovato Basir Ahang in Italia: lui è un poeta, laureato in storia e letteratura persiana, con una memoria fisica del dolore della sua gente. È un uomo abituato a coltivare la lingua e a pensare in termini poetici. Tihana Lazovic invece mi aveva molto colpito nel film Sole alto, e nonostante molti altri provini, non mi è mai uscita dalla testa. Il film è ambientato per lo più a Trieste, nel cuore dell’Europa, mentre le scene pachistane sono in realtà girate in Iran. Ci sono voluti molti mesi per ottenere il permesso e siamo stati la prima produzione italiana a girare in Iran dopo Il deserto dei tartari». Hassan è invece interpretato da Dawood Yousefi, che frequenta il secondo anno dell’Università per stranieri Dante Alighieri, ed è mediatore interculturale, interprete, assistente educativo culturale, fotografo, animatore, attivista per i diritti umani e nel mondo di volontariato. Il tema dell’identità, dicevamo, è al centro del film. «Anche la vecchina che nel film vende la sua sartoria a un afghano deve ridefinirsi perché il suo sapere viene trasmesso non alla figlia o alla nipote, ma a un giovane che arriva da lontano e lei deve necessariamente fare i conti con un altrove. L’identità te la costruisci con l’esperienza della tua vita, ma non è qualcosa di rigido. Ismail beve, fuma, ha una ragazza europea, ma conosce i codici di comportamento del suo mondo e parla la sua lingua». E a proposito del pensante clima di intolleranza e di razzismo, la regista afferma: «Sono caduti i freni inibitori che hanno consentito dopo la Seconda guerra mondiale di tenere a bada istinti mai sopiti. Mi spaventa non solo la voce di Salvini, ma anche il vicino di casa. Oggi si fa a gara a chi è più crudele. Noi abbiamo conosciuto i grandi vecchi che hanno vissuto la Resistenza o la Shoah e mi chiedo cosa accadrà quando a breve i testimoni dei grandi orrori del Novecento non ci saranno più. Ognuno fa i propri gesti per denunciare tutto questo, io faccio film, il cinema è il linguaggio attraverso il quale mi esprimo».

Sentenza. Per pubblicare una foto scaricata dal web serve l’autorizzazione dell’autore

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo, in seguito a una causa in Germania

La sede della Corte di giustizia europea a Lussemburgo (Ansa)

da Avvenire

La pubblicazione di una fotografia scaricata liberamente da un sito internet richiede l’autorizzazione preventiva del suo autore. A stabilirlo è la Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata in causa dalla Corte federale di giustizia della Germania per una disputa tra un fotografo, Dirk Renckhoff, e il Land di Renania Settentrionale-Vestfalia.

All’origine, lo scarimento di una fotografia di Renckhoff da parte di un allievo di una scuola della regione tedesca, per riprodurla come illustrazione sul sito dell’istituto. L’immagine era pubblicata in libero accesso su un sito web dedicato ai viaggi. Il fotografo ha fatto ricorso alla giustizia per far vietare la riproduzione della fotografia, affermando che la sua diffusione online sul sito scolastico danneggiasse il suo diritto d’autore. Ha chiesto 400 euro di danni e interessi.

La Corte ha ricordato che una fotografia è suscettibile di essere protetta dal diritto d’autore “a condizione che sia una creazione intellettuale dell’autore, riflettendone la personalità e manifestando le sue libere scelte e creative durante la realizzazione”. Spetta alla giustizia tedesca verificare il rispetto di questa condizione, hanno precisato i giudici. Il fatto che l’immagine sia stata pubblicata sul sito consacrato ai viaggi, senza restrizioni che impedissero lo scarimento, non dispensa dall’obbligo di chiedere all’autore l’autorizzazione per qualsiasi nuova pubblicazione, secondo il tribunale europeo. La legge sul diritto d’autore gli dà il diritto di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione della sua opera al pubblico.

“La messa online di un’opera protetta dal diritto d’autore su un sito internet diverso da quello su cui ha effettuato la comunicazione iniziale con l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore deve, in corcostanze come quelle del caso, essere qualificata come messa a disposizione di nuovo pubblico”, secondo i giudici. La situazione sarebbe stata diversa se l’immagine scelta dal giovane fosse stata pubblicata con un link che rinviasse al sito internet di viaggi.

Razzismo. Don Colmegna: dobbiamo combattere il linguaggio d’odio

Il presidente della Casa della Carità di Milano: chi fa politica non usi la paura per costruire consenso. Tanti italiani hanno bisogno di assistenza: perché non riaprire i flussi per il lavoro?

da Avvenire

Don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano

Xenofobia e razzismo? Non si può scherzare. Non si deve far finta di nulla. La preoccupazione c’è: qui in Casa della Carità, a Milano, come fra quanti, nelle ‘periferie’ del nostro Paese, aderiscono alle ‘Reti della Carità’, network di realtà impegnate nella lotta alla povertà. Avvertiamo un clima di paura, chiusura, ostilità verso gli immigrati che cresce. E che sta contagiando anche i giovani. Nel contempo percepiamo i timori e le sofferenze degli immigrati. Anche di quelli regolari, che sentono attorno a sé un clima che è cambiato: è come se dovessero giustificare la loro presenza fra noi, mentre da anni sono parte della nostra vita sociale e contribuiscono al nostro benessere».

È un fiume in piena, don Virginio Colmegna. Il presidente di Casa della Carità – l’opera-segno nata nel 2002 alla periferia di Milano per volontà dell’allora arcivescovo, il cardinale Carlo Maria Martini – guarda alle sfide del presente con la passione che fa la differenza fra il mero ‘gestore’ di servizi e il tessitore di relazioni buone.
Qual è la posta in gioco oggi, in Italia?
Il senso della dignità di ogni persona e la generosità straordinaria – che sono alla radice delle culture del nostro Paese e hanno alimentato a lungo la coesione sociale – rischiano di essere compromesse dalle paure, dalle parole d’odio, dall’ignoranza, dagli slogan politici, che mentre promettono più sicurezza, generano solo più insicurezza e paura.

Come possiamo reagire a questa deriva?
Serve un grande lavoro culturale, educativo e spirituale. Serve il coraggio della non violenza, della mitezza, della tenerezza, serve il rischio della profezia, come chiede papa Francesco. E serve intransigenza totale contro linguaggi e gesti di odio. Nel nostro Paese vedo più xenofobia che razzismo. E un drammatico vuoto educativo e di senso. Per questo è decisivo il ruolo della scuola e dei mass media.
Con altri avete condotto la campagna «Ero straniero » per superare la legge Bossi-Fini e promuovere leggi e politiche per l’inclusione sociale dei migranti. E ora?
La proposta di legge ha raccolto 90mila firme, depositate alla Commissione affari costituzionali della Camera. Chiediamo alla politica il coraggio di superare le urla e gli slogan e di affrontare davvero i problemi, riconoscendo anzitutto che a creare gli irregolari – i famosi 600mila irregolari che qualcuno vorrebbe rimandare tutti a casa, mentre è il primo a sapere che è impossibile – sono le nostre leggi e le nostre politiche. Si diventa irregolari perché si perde il lavoro. O perché non c’è altra via di accesso legale che la richiesta d’asilo. Che a tanti è negata. In Italia abbiamo 2,5 milioni di persone non autosufficienti. Hanno bisogno di assistenza: perché non riapriamo i flussi per lavoro? Inclusione sociale, cittadinanza attiva, lavoro: sono questi i cardini di una politica del- l’immigrazione che genera sicurezza per tutti. Dobbiamo essere intransigenti con l’illegalità e la corruzione, ma a partire dalla cultura della fraternità. Chi fa politica non usi la paura per costruire consenso e raccogliere voti.
Come sfidare le parole e la cultura dell’odio?
È tempo di un’obiezione di coscienza culturale, è tempo di promuovere cittadinanza non violenta. Nel nome del Vangelo. E della Costituzione. Contro i linguaggi della paura e del rancore. Contro una politica che vorrebbe mettere a tutti le armi in mano. Per questo – da ex direttore di Caritas Ambrosiana – mi rivolgo ai tanti adulti di oggi che, da ragazzi, hanno fatto la scelta dell’obiezione di coscienza: fate sentire la vostra voce! Diamo cittadinanza alla non violenza, alla mitezza, alla tenerezza, portandole nelle parole e nei gesti della vita quotidiana come nelle strutture della vita sociale.
Paura e diffidenza verso lo straniero li vede crescere anche tra i fedeli cattolici?
Sì, ed è una preoccupazione grossa.
La Chiesa fa abbastanza o deve fare di più?
Credo ci sia molto da fare, per far capire ai credenti che il nostro atteggiamento verso gli stranieri e l’immigrazione non è una mera questione sociale ma ha a che vedere col Vangelo e la fede. Se il Papa parla tanto di accoglienza, non è perché è un agit prop politico, ma ad ispirarlo è la cultura della fraternità e dell’universalità che nasce dal Vangelo. Oggi c’è una religiosità del distacco tra fede e vita, una deriva individualista e intimista, che rischia di corrodere la Chiesa dall’interno. Serve una sveglia! Serve il coraggio della profezia, serve quella ‘evangelizzazione per attrazione’ alla quale ci chiama il Papa. E se reagiamo a leader politici come Salvini che usano ipocritamente i simboli religiosi per la loro battaglia politica, non è per una polemica politichese, ma perché questo ha a che vedere con la visione della fede. Anche nella cappella della Casa della Carità c’è il Crocifisso. E ci sono i nomi dei poveri cristi che hanno perso la vita nel Mediterraneo. Lì ci troviamo a pregare. Lì nasce quello che facciamo. Perché la Chiesa, ci ricorda il Papa, non è una ong. Ma la fede non può nemmeno essere un comodo, tranquillizzante cuscino sul quale adagiarsi per nascondere o giustificare problemi e ingiustizie.