Previdenza. Pensionati: quattordicesima in arrivo. Ecco quanto e a chi spetta

Pensionati: quattordicesima in arrivo. Ecco quanto e a chi spetta

Buone notizie per i pensionati: è in arrivo la «quattordicesima». Il 2 luglio, infatti, insieme alla rata di pensione l’Inps erogherà la cosiddetta “somma aggiuntiva” (secondo la terminologia tecnica), il cui importo varia da 336 a 655 euro a seconda del numero di anni di contributi con cui ci si è messi a riposo e dal reddito posseduto.

A beneficiarne sono i pensionati che, entro la fine del corrente anno, spegneranno almeno 64 candeline (classe ’54 e precedenti) e i pensionati che incassano un assegno mensile non oltre i 1.100 euro. Potenziali beneficiari, in particolare, sono i titolari di pensioni da lavoro dipendente e lavoro autonomo, a patto che non abbiano redditi personali (non si valuta il reddito dell’eventuale coniuge) superiori a certi limiti.

La legge Bilancio 2017, con decorrenza dall’anno scorso, ha fatto distinzione di due discipline: la prima rivolta ai pensionati che hanno un reddito lordo annuale fino a 9.894,70 euro (fino a 1,5 volte il minimo Inps), cioè circa 825 euro a mese; la seconda a quelli che hanno un reddito superiore e fino a 13.192,92 euro (fino a due volte il minimo Inps), cioè poco meno di 1.100 euro mensili. La prima disciplina riguarda i pensionati che, già fino all’anno 2016, ricevevano la quattordicesima e che hanno avuto la novità, dall’anno scorso, di incassarla con un importo maggiorato del 30% circa rispetto ai precedenti importi. Nello specifico, gli importi cui hanno diritto sono:
• 437,00 euro nel caso di pensionati ex lavoratori dipendenti che hanno fino a 15 anni di contributi versati e nel caso di pensionati ex lavoratori autonomi che hanno fino a 18 anni di contributi versati;
• 546,00 euro nel caso di pensionati ex lavoratori dipendenti che hanno più di 15 e fino a 25 anni di contributi versati e nel caso di pensionati ex lavoratori autonomi che hanno più di 18 e fino a 28 anni di contributi versati;
• 655,00 euro nel caso pensionati ex lavoratori dipendenti che hanno oltre 25 anni di contributi versati e nel caso pensionati ex lavoratori autonomi che hanno oltre 28 anni di contributi versati.
La seconda disciplina riguarda i pensionati con reddito lordo annuale superiore a 9.894,70 euro e fino a 13.192,92 euro. Sono pensionati che, fino all’anno 2016, erano esclusi dalla quattordicesima e che hanno cominciato a riceverla dallo scorso anno. Il prossimo 2 luglio, pertanto, la riceveranno per la seconda volta nei seguenti importi:
• 336,00 euro nel caso di pensionati ex lavoratori dipendenti che hanno fino a 15 anni di contributi versati e nel caso di pensionati ex lavoratori autonomi che hanno fino a 18 anni di contributi versati;
• 420,00 euro nel caso di pensionati ex lavoratori dipendenti che hanno più di 15 e fino a 25 anni di contributi versati e nel caso di pensionati ex lavoratori autonomi che hanno più di 18 e fino a 28 anni di contributi versati;
• 504,00 euro nel caso pensionati ex lavoratori dipendenti che hanno oltre 25 anni di contributi versati e nel caso pensionati ex lavoratori autonomi che hanno oltre 28 anni di contributi versati.

Nell’una e nell’altra disciplina, quando il reddito del pensionato supera di poco il limite per il diritto, ma non l’importo pari al limite più la quattordicesima, viene attribuita un importo di quattordicesima ridotto, ossia in misura tale da non far superare la soglia del limite più la quattordicesima (come indicato in tabella). Ad esempio, nel caso di pensionato ex lavoratore dipendente, in pensione con 33 anni di contributi e reddito personale pari a 13.370 euro, l’importo di quattordicesima spettante è pari a 300 euro. In questo caso, infatti, il reddito del pensionato supera il limite di 13.192,92 euro che attribuisce il diritto alla quattordicesima, ma è inferiore ai 13.696,92 euro che è la somma del limite più l’importo del beneficio spettante (504 euro): l’importo di 300 euro di quattordicesima spettante è pari alla differenza tra la predetta somma di 13.670 euro (limite più quattordicesima) e il reddito del pensionato.

Il pensionato non è tenuto a fare nulla per ricevere la quattordicesima: di norma, infatti, viene erogata dall’Inps automaticamente. Coloro che non la ricevano e ritengano di averne diritto, in ogni caso, possono presentare domanda, on-line sul sito internet dell’Inps (www.inps.gov.it), se in possesso di credenziali di accesso. La prestazione è soggetta a prescrizione quinquennale.

da Avvenire

Urbanesimo e globalizzazione. Le città, senza legami culturali, non hanno più un’anima

Milano vista dal grattacielo più alto d'Italia, la Torre dell'Unicredit

Milano vista dal grattacielo più alto d’Italia, la Torre dell’Unicredit

La città non è soltanto il luogo in cui si è, ma anche quello in cui si vorrebbe essere. Attraversando le strade della città in cui viviamo non possiamo fare a meno di pensare a come vorremmo che fossero. Abitiamo e immaginiamo contestualmente la stessa città, le apparteniamo e allo stesso tempo ci allontaniamo da essa per attribuirle un volto diverso. È questa la tensione vitale e costitutiva dell’urbanesimo. Abitare significa progettare e trasformare i luoghi della vita. Per questa ragione l’habitat urbano non si esaurisce nella somma dei suoi spazi; l’ambiente della città è inappropriabile dal momento che non coincide mai con la realtà abitata o percepita. Esso sfugge a ogni tentativo di contenimento poiché la città non si accontenta di essere rappresentata, ma chiede insistentemente di essere immaginata e cambiata. Anche per questo motivo le comunità cristiane dovrebbero prestare particolare cura e attenzione alla città in trasformazione. La riflessione comune sul “nuovo umanesimo” non può essere oggi disgiunta da quella sul “nuovo urbanesimo”. La città non è mai esclusivamente quella reale, né soltanto quella ideale, è invece qualcosa che eccede le singole parti, senza tuttavia ignorarle o sminuirle. Intere civiltà hanno trovato nella dimensione urbana il proprio ancoramento fondativo non solo perché la città mette ciascuno nelle condizioni di avere un posto all’interno di un insieme composito, ma perché essa educa a pensare l’insieme come una realtà diversa dalla somma delle parti. È oggi possibile oltreché necessario parlare di cristianesimo urbano muovendo dall’idea che «il tutto è superiore alla parte» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 234).

Il saggio di Richard Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, pagine 364, euro 25), è uno strumento indispensabile per comprendere le trasformazioni dell’urbano contemporaneo. Il libro completa la trilogia che il sociologo statunitense ha dedicato all’Homo faber: dopo aver riflettuto sulla collocazione dell’uomo artigiano nel mondo delle imprese e dei manufatti, dopo aver scandagliato la mente e il cuore dell’uomo collaboratore, Sennett indirizza lo sguardo verso l’uomo urbanizzato. Questo saggio è un invito ad attraversare la complessità dell’urbanizzazione contemporanea con un atteggiamento coinvolto e appassionato.
La città ha perso il suo retroterra. A causa della globalizzazione ogni agglomerato urbano non può essere naturalmente incastonato in un preciso ambiente regionale o nazionale: è la nascita della città globale o meglio della rete delle città globali, metropoli accomunate da traffici economici e da interessi finanziari più che da legami culturali e politici con i rispettivi contesti territoriali. «Come conseguenza della globalizzazione, il vecchio modo di pensare a una struttura politica è diventato obsoleto. Era una concezione simile alla costruzione di matrioske russe, che inserivano l’una dentro l’altra bamboline di dimensioni diverse; i quartieri sono inseriti nelle città, le città nelle regioni, le regioni nelle nazioni. Le città globali non sono più luoghi protetti inseriti in aree più grandi; si sono staccate dagli stati-nazione che le contengono. I più grandi partner dei mercati finanziari di Londra sono Francoforte e New York, non il resto della nazione britannica» (p. 121).

Le conseguenze di queste macroscopiche trasformazioni si riverberano nelle città che quotidianamente frequentiamo o abitiamo. Spezzati i legami e anestetizzati i rapporti con le comunità di vita, compromessi i tentativi di una pianificazione condivisa e partecipata, una città globale rischia di trasformarsi in una città-piovra: «Nuove strade si irradiano come tentacoli, collegando zone urbane in cui viene versato sempre nuovo denaro, unendo per esempio un centro commerciale a un grattacielo di uffici o a un nuovo quartiere residenziale; questi collegamenti attraversano un susseguirsi di quartieri disagiati e trascurati della città, oppure aggirano bidonville, barrios, favelas e insediamenti di squatter […] La piovra urbana è una bestia in cui prima crescono le teste e che poi sviluppa tentacoli per collegarsi a teste, nodi o centri di sviluppo» (p. 123).
La logica dell’urbanizzazione contemporanea ignora la preminenza dell’abitare sul costruire. La pianificazione dei luoghi sminuisce e sovente calpesta le pratiche feriali e fedeli del quotidiano, quelle in cui è ancora possibile “sentirsi a casa” senza rimuovere la fatica di costruire ogni giorno, daccapo, un luogo ospitale. La socialità sobria e coerente dell’urbanesimo di prossimità non si nutre di omogeneità culturale e sociale. La vita urbana è densa prima ancora di essere densamente abitata. Occorre riconoscere nella città il luogo mentale oltreché fisico della complessità e della corposità. Il quotidiano urbano è densamente ricco di simboli e frizioni, si compone di slanci e contraccolpi, non si lascia facilmente striare come vorrebbe l’ossessione globale per i flussi e i facili raccordi. Bisogna imparare a riconoscere l’attrito urbano senza temerlo o demonizzarlo. La vita quotidiana di chi abita e non solo attraversa una città è fatta di incontri mancati o spezzati, di visite inattese e spiazzanti. È questa la materia involontaria e allo stesso tempo vitale dell’attrito urbano. Sono questi i segni di un avamposto di alterità e di una riserva di trascendenza che ancora freme nelle pieghe dei tessuti urbani. Le smart cities, supportate dalla tecnologia user friendly, realizzano paesaggi urbani in cui l’attrito è assente, dove non si pretende nulla dal cittadino o dall’utente. L’abitante della città contemporanea deve essere prima di tutto sgravato, facilitato, alleggerito. In questo modo «il clamore della complessità è messo a tacere dalla comodità» (p. 176).

Occorre che le comunità e le associazioni ecclesiali siano in grado di formulare un’ermeneutica dell’attrito urbano. L’urbanità evangelica si riscontra nella frizione dialogica, non tanto nella contrapposizione dottrinale. Lo stile relazionale e urbano di Gesù si riconosce dal tono e dalla gestualità del contrappunto. Chi da esso si lascia plasmare non può limitarsi a facilitare o esonerare gli individui. Bisogna riconoscere la densità della vita urbana non rimuovendo ma valorizzando gli attriti del tempo feriale, senza farne detriti per il tempo produttivo. «Come può la città aprirsi in modo che l’esperienza diventi più densa?» (p. 191).

da Avvenire

La rivincita della fragilità: abitarla significa assumere il volto di Cristo

"Il sacrificio di Noè" (1574), dipinto di Jacopo da Bassano

“Il sacrificio di Noè” (1574), dipinto di Jacopo da Bassano

In un articolo folgorante uscito qualche anno fa sulla rivista “Etudes”, il teologo francese Paul Valadier fece un’«apologia della vulnerabilità». Una categoria che egli giudica più forte e autenticamente umana di altre oggi in voga nel linguaggio comune, come la resilienza. Per lui la vulnerabilità significa essere capaci di ricevere delle ferite, nel corpo e nell’anima. E di farvi fronte non solo e non tanto resistendovi, ma con l’atteggiamento dei poveri di spirito, quindi con gioia. Accettare di essere vulnerabili è proprium del cristianesimo e significa essere ben lontani dall’atarassia dello stoicismo o dall’imperturbabilità del buddhismo, perché vuol dire farsi carico della vulnerabilità dell’altro. In questo senso si va ben oltre le categorie della tecnoscienza e persino dell’etica.
Solo la fede in un Dio vulnerabile che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, perciò ancor più vulnerabile, può aiutarci a comprendere la condizione umana, superando la superba pseudo-autonomia dell’uomo moderno e postmoderno, ma anche l’immagine di un Dio altrettanto superbo, totalmente trascendente e lontano dall’uomo. D’altronde, è l’idea di un Dio che si fa compagno dell’uomo, che non è solitario e inaccessibile, che prevale nella teologia degli ultimi decenni. A formarla hanno contribuito pensatori di origine ebraica come Elie Wiesel e soprattutto Simone Weil ed Etty Hillesum. Essi lo chiamano in causa, lo interpellano, addirittura giungono a rielaborarne il volto parlando di «sofferenza di Dio»: mentre il male trionfa e dimostra il suo volto più terribile, Dio ha bisogno di aiuto. Scrive Etty nel suo famosissimo Diario: «Se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio».
Alla fragilità di Dio è dedicato un libro appena uscito da Laterza di Brunetto Salvarani, Teologia per tempi incerti(Pagine 200, euro 17,00), che a partire da uno studio approfondito della Bibbia delinea un percorso che giunge a porsi le domande più scomode su cosa significhi essere credenti oggi, in un tempo che sempre più si caratterizza per la sua caducità e friabilità. «I cristiani – dice l’autore – si scoprono partecipi di una società contraddistinta da una cultura di base indebolita, da una veemente frammentazione e da crisi di identità sociale. Lo sbriciolamento di una razionalità sistemica è evidente». Si tratta perciò di «abitare la fragilità», di capire e amare questa condizione, dato che «solo chi riconosce il proprio limite può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società», come scrive papa Francesco

Brunetto Salvarani

Brunetto Salvarani

Salvarani, giornalista e teologo, da sempre protagonista del dialogo interreligioso, direttore della rivista “Qol” e conduttore della trasmissione radiofonica “Uomini e profeti”, indaga il tema della fragilità attraverso alcuni personaggi biblici, da Giona a Noè, da Giacobbe a Giobbe, per arrivare a mettere a fuoco gli aspetti di debolezza, e perciò di umanità, di Gesù. Che soffre la stanchezza, che si fa catturare dal sonno come nella traversata notturna coi discepoli sul lago di Tiberiade, che ha sete come quando chiede da bere alla samaritana, che ha bisogno di starsene da solo, che prova collera verso chi sfrutta i sentimenti religiosi del popolo come i cambiavalute e i venditori di colombe nel tempio di Gerusalemme, e che si adira verso chi si dimostra ipocrita come i farisei. Si potrebbe dire, annota Salvarani, che l’unico sentimento assente nell’esistenza di Gesù sia l’indifferenza, la mancanza di interesse verso l’altro, i poveri in primo luogo.
Gesù se la prende spesso anche con gli apostoli ed è invaso dalla tristezza e dall’angoscia. È pieno di tenerezza verso le donne e i bambini, cioè coloro che non erano certo ai primi posti nella considerazione della società del tempo. Ha insomma ragione il teologo francese Joseph Moingt: «Il dogma dell’incarnazione è stato costruito proclamando che non bisogna arrossire delle humanitates, delle passività, delle sofferenze, delle infermità di Cristo, di tutto ciò che egli ha di simile a noi fin nelle nostre deficienze».
Per non parlare delle debolezze degli apostoli, che non si presentano certo come eroi né come intellettuali e non eccellono per speciali virtù o capacità, anzi spesso nelle pagine dei Vangeli risalta la propensione alla superbia e al tradimento. I primi testimoni di Gesù vengono mandati come pecore in mezzo ai lupi. «Qui probabilmente – dice ancora Salvarani – risiede il senso di quella scelta sorprendente e umanamente insensata: gente simile non poteva certo contare sulle proprie forze, ma solo su quella di Dio. Perché la precarietà e la pochezza degli apostoli si riflette in quella della Chiesa». Proprio come scrive san Paolo nella prima Lettera ai Corinti: «Fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio».
Mentre fra i saggisti del nostro tempo c’è chi rielabora in infiniti modi la sentenza nicciana sulla «morte di Dio» e chi prendendo spunto dai fatti di cronaca parla di «rivincita di Dio», il tema della debolezza e della fragilità di Dio si impone con maggiore chiarezza e plausibilità. Lo hanno fatto, come si diceva sopra, autorevoli pensatori ebraici (si aggiungano Jonas e Lévinas a quelli citati) ma anche cristiani, come ad esempio il teologo tedesco Jürgen Moltmann, il saggista Sergio Quinzio e la poetessa francese Sylvie Germain. O come, passando al versante ecclesiale, Albert Rouet, teologo e vescovo emerito di Poitiers nonché autore qualche anno fa del best seller La chance di un cristianesimo fragile, ove si può leggere questa frase illuminante: «Vorrei una Chiesa che osa mostrare la sua fragilità. A volte la Chiesa dà l’impressione di non aver bisogno di nulla e che gli uomini non abbiano nulla da darle. Desidererei una Chiesa che si metta al livello dell’uomo senza nascondere che è fragile, che non sa tutto e che anch’essa si pone degli interrogativi».

da Avvenire

Il parroco ai camorristi: «Convertitevi». Ma le donne lo minacciano sui social

Foto dal profilo Facebook di don Salvatore Purcaro

Foto dal profilo Facebook di don Salvatore Purcaro

“Vi imploro: convertitevi”. Sono bastate queste tre parole per scatenare la furia delle donne del clan Rega. A pronunciarle il giovane parroco di Brusciano, don Salvatore Purcaro, dopo aver appreso – insieme a tutta la città – la notizia della retata che ha portato in carcere 6 affiliati per estorsione, lesioni e aggressione a danno di imprenditori locali che dovevano pagare il “pizzo per i carcerati”.

In una città sotto choc, attraversata da mesi da una faida tra i Rega e un clan scissionista, don Salvatore ha pensato ieri pomeriggio di tendere la mano, di usare parole di misericordia cui potessero aggrapparsi familiari e affiliati dei clan per uscire dall’ombra della malavita. Già lo scorso Natale, le parrocchie di Brusciano conclusero i riti notturni della Vigilia in piazza, alla luce delle candele, per chiedere ai camorristi di “svegliarsi dal sonno”. Come simbolo don Salvatore e i fedeli scelsero Beniamino, il pastore che nel presepe napoletano resta addormentato mentre nella grotta nasce Gesù: la Brusciano che non ci sta ha scelto lui come metafora della camorra locale, uno stato di incoscienza, di sonno della ragione da cui, però, ci si può ancora risvegliare.

Nonostante l’attenzione di don Salvatore a non pronunciare parole di condanna prima che siano celebrati i processi, nonostante il desiderio di un dialogo “cuore a cuore”, la reazione dei familiari, in particolare delle donne del clan, è stata violentissima.

Sulla bacheca Facebook del sacerdote sono piovuti insulti e minacce che fanno impallidire “Gomorra”, estesi poi a coloro che difendevano e sostenevano don Salvatore. Diversi “commentatori” hanno anche ricevuto messaggi privati sui social network con minacce e offese – se possibile – ancora più esplicite. Ora tutto è al vaglio degli inquirenti che valuteranno se agire per calunnia, diffamazione e minaccia.

Il sostegno al coraggio di don Salvatore dal vescovo di Nola

Don Salvatore resta sereno: “Ho celebrato i funerali dei loro cari, li ho visti piangere, restano figli e figlie della mia comunità”, le sue parole dopo l’accaduto. Stamattina anche il vescovo di Nola Francesco Marino ha voluto inviare un messaggio di solidarietà al sacerdote: “Sono con te nell’opera di educativa a favore della giustizia e della legalità”, “la Chiesa non ha nulla da temere” e sostiene il coraggio della verità e della testimonianza di don Salvatore. Il vescovo Marino poi, rivolgendosi ai membri dei clan, fa sue le parole del parroco di Brusciano: “Convertitevi! Approfittate della presenza di don Salvatore in mezzo a voi: con lui, nelle vostre case, arriva il Signore. Convertitevi! Scegliete la comunità e non il clan”.

Eppure c’è altro ancora che inquieta nello sviluppo di questa storia: mano a mano, a commentare il post delsacerdote sono arrivati anche dei contatti “fake” ingaggiando con i familiari del boss Rega un duello di insulti e presunte rivelazioni di natura criminale e privata.

Un esponente del clan rivale “sotto copertura”? Un “pentito”? Un imprenditore vessato? Anche questo ora cadrà sotto gli occhi delle forze dell’ordine, che vedono rovesciate sulle piazze digitali informazioni di presunti reati che andranno vagliate. Forse questa storia scoppiata all’improvviso avrà almeno il merito di far vedere a chi ha il vizietto di minimizzare come parla e agisce la camorra vera, che poco ha a che fare con quella quasi romanzata dei film e delle serie tv.

Nel picco delle polemiche, tuttavia, il giovane parroco di Brusciano compie un altro gesto simbolico, che in qualche modo chiude il cerchio e abbassa la tensione: si reca di persona nella case dei familiari che gli hanno lanciato strali su Facebook. Incassa le scuse (alcuni commenti sgradevoli sono stati anche cancellati dai diretti interessati), ribadisce che l’invito alla conversione è un gesto che la Chiesa offre come opportunità e non come una condanna preventiva, infine invita il “popolo social” dalla sua bacheca a continuare insieme il cammino verso la legalità lasciando sempre aperta la porta del perdono. “Un sacerdote vuole condurre in Paradiso, non all’Inferno”, spiega. E con queste parole mette fine a 48 ore ad altissima tensione.

da Avvenire

Arriva in Italia Google WiFi, potenzia connessione di casa

Arriva in Italia Google WiFi, potenzia i router © ANSA

Arriva in Italia Google WiFi, il sistema pensato “per dare una connessione veloce in ogni stanza e su ogni dispositivo”. “Sostituisce e migliora i router tradizionali – spiega l’azienda di Mountain View – permette di gestire i dispositivi connessi e le attività online senza problemi”. In sostanza permette di gestire molti dispositivi in contemporanea e anche le attività che richiedono un’elevata ampiezza di banda in ogni zona della casa: dalle videoconferenze se si lavora in remoto fino alla fruizione di video in streaming o di videogiochi, ma anche il Wi-Fi in giardino.

Google Wifi è un sistema modulare: per le abitazioni più grandi si possono aggiungere altri punti di accesso che si connettono l’uno all’altro e diffondono un segnale potente in tutte le stanze. Il sistema funziona grazie alla tecnologia “mesh”, che permette di creare singoli punti di accesso Wi-Fi che operano insieme per diffondere un unico segnale forte, che risulterà quindi veloce in tutta la casa, non solo vicino al router. Google Wifi è su un’app complementare disponibile per Android o iOS. L’applicazione permette, ad esempio, anche di mettere in pausa il Wi-Fi sui dispositivi dei figli all’ora di cena. Mostra anche quali dispositivi sono connessi e quanta banda occupano, permettendo di dare priorità ad alcuni piuttosto che ad altri.

“Google Wifi – spiega infine Big G – è progettato per garantire la massima priorità alla privacy degli utenti. Per esempio, ha impostazioni per una gestione semplice del cloud e funzionalità di sicurezza all’avanguardia come la crittografia wireless, l’avvio verificato e gli aggiornamenti automatici per mantenere sicura la vostra rete.

ansa

LE DIECI SCUSE PIÙ RIDICOLE PER NON AVERE DONNE AI POSTI DI COMANDO

Di scuse ridicole per chiudere un rapporto ne abbiamo sentite tante (da “ti lascio perché di amo troppo” a “ho bisogno di una pausa di riflessione”. Sono meno conosciute ma ugualmente insensate quelle con le quali si continuano a limitare, anche oggi, in tempi di #metoo, le possibilità di carriera alle donne, anche ai livelli più alti. Ne scopriamo una top ten nelrapporto commissionato dal Governo Britannico al gruppo che realizza l’Hampton-Alexander Review, resoconto indipendente che monitora e supporta i progressi delle donne nelle maggiori aziende del Paese ( i nuovi dati in uscita). Stando all’indagine, redatta con interviste a membri dei board delle350 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange ( le cosiddette Ftse 350) ecco i motivi più comuni con cui i capi d’azienda tendono a tenere le colleghe lontane dai ruoli chiave:

– Le donne non si inserirebbero facilmente nel Consiglio d’amministrazione.
– Non ci sono molte donne con le credenziali e l’esperienza adeguata per affrontare i problemi molto complessi
– La maggiorparte delle donne non vogliono i problemi o la pressione di certi posti di comando.
– Gli azionisti non sono interessati a ‘rifare il trucco’ al Cda, quindi perché dovremmo esserlo noi?
– Gli altri membri non vogliono con loro una donna.
– Tutte le donne valide se le sono già accaparrate.
– Abbiamo già una donna nel Consiglio quindi siamo a posto, è il turno di qualcun altro.
– Al momento non ci sono posti liberi. Nel caso ne uscisse uno, potrei pensare a una donna.
– Dobbiamo costruire il palazzo dalle fondamenta, non si sono abbastanza dirigenti donne senior nel settore.
– Non posso nominare per la carica una donna solo perché lo voglio

Secondo Andrew Griffiths, Sottosegretario al Ministero delle imprese, dell’energia e della strategia industriale “è scioccante che alcune imprese considerino queste scuse condiscendenti e pietose come accettabili per tenere le donne lontane dalle principali cariche. Le nostre compagnie più di successo sono quelle che valorizzano la diversità”.
Secondo Amanda Mackenzie, direttore esecutivo della Ong Business in the Community, “leggendo queste scuse, ti verrebbe da pensare che siamo nel 1918 e non nel 2018. Sembra la sceneggiatura in una commedia parodistica ma invece è tutto vero. Sicuramente ora si può affrontare la questione una volta per tutte”. Invece per Lord Duncan, Sottosegretario e portavoce del governo – Uffici per la Scozia e’l’Irlanda del Nord “queste scuse scioccanti e patetiche per non dare cariche alle donne nei Board delle società Ftse evidenziano la necessità di continuare a sostenere che le donne arrivino a ruoli senior. Comunque il numero delle donne nelle principali società è raddoppiato dal 2011, c’è stato un progresso solido”.

Oltretutto, dice Sacha Sadan, direttore governo d’impresa alla Legal & General Investment Management (LGIM) che ha bandito i cda tutti al maschile dal 2015, “al giorno d’oggi un consiglio d’amministrazione composto solo da uomini, con lo stesso background socioeconomico non è ottimale per confronti cruciali”. Stando ai numeri infatti, nelle società principali i cda tutti al maschile sono passati da 152 nel 2011 a 10 nel 2017.
Anche le disparità di stipendio tra uomini e donne oltre che un’ingiustizia, sono un ‘cattivo affare’: stando ai numeri di una ricerca dell’Istituto McKinsey, arrivare a pari stipendi immetterebbe 150 miliardi di sterline nell’economia britannica entro il 2025 e creerebbe per le donne 840 mila posti di lavoro.

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Curando il sorriso potrebbe ridursi anche il rischio-cuore

Curando il sorriso potrebbe ridursi anche il rischio-cuore © Ansa

Curando la salute della bocca potrebbe ridursi anche il rischio cardiovascolare, con miglioramento del controllo glicemico, della funzione circolatoria (dello stato di salute dei vasi sanguigni), del profilo dei grassi nel sangue e anche una riduzione significativa di molecole infiammatorie presenti in circolo.
È quanto emerge dalla letteratura scientifica sull’argomento, sempre più ricca di risultati in favore della teoria che i trattamenti per la malattia delle gengive (parodontite) hanno ricadute positive tangibili anche sulla salute generale dell’individuo, specie se si tratta di una persona a rischio cardiovascolare.

A fare il punto sull’effetto del trattamento parodontale sui parametri di salute cardiovascolare è stato Filippo Graziani, ordinario di malattie Odontostomatologiche all’Università di Pisa e presidente eletto della Federazione Europea di Parodontologia, con uno studio presentato in occasione nel corso di Europerio9.
“Il trattamento della parodontite determina la riduzione significativa di numerosi parametri di salute cardio-vascolare quali ‘bio-marcatori’ (molecole che indicano presenza di) d’infiammazione sistemica e metabolismo glucosio-lipidico – spiega Graziani. Dobbiamo adesso iniziare studi per capire l’impatto a livello clinico, sul lungo termine, di prevenzione di eventi cardio-vascolari. Le premesse sono sicuramente molto interessanti”.

Ad esempio studi hanno evidenziato la possibilità che la cura della parodontite si accompagni a miglioramento della salute delle pareti dei vasi (endoteli), nonché a un miglioramento del profilo dei grassi circolanti nel sangue (possibile effetto correttivo sulle concentrazioni di colesterolo e trigliceridi).
Inoltre ormai è abbastanza consolidato il dato secondo cui, curando la parodontite nei pazienti diabetici, questi migliorano il controllo della glicemia. Infine, conclude Graziani, altri studi mostrano una riduzione delle molecole (citochine) infiammatorie sempre in seguito alla gestione della malattia gengivale.
Quando il nostro sorriso è a rischio, quindi, non bisogna fermarsi al problema estetico e all’impatto sulla funzione masticatoria, ma tenere presente che alle malattie della bocca possono seguire a cascata tanti altri problemi di salute generale.

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Mondiali 2018, Nigeria Argentina 1-2 e Islanda Croazia 1-2

L'esultanza di Marcos Rojo dopo il gol (foto: AP)

Per il girone D in campo
Nigeria-Argentina 1-2 (Messi al 14′, Moses al 51′ su rigore, Rojo 86′)  e
Islanda-Croazia 0-1 (Badelj al 53′, Sigurdsson 76′, Perisic 90′)

L’Argentina batte 2-1 la Nigeria e si qualifica agli ottavi di finale dei Mondiali di Russia 2018.

La Croazia batte l’Islanda 2-1 in un incontro della terza giornata del Gruppo D, disputato a Rostov. I croati chiudono a punteggio pieno e passano agli ottavi da prima classificata del girone.

Leo Messi finalmente in gol: la ‘Pulce’ sblocca alla sua maniera il match contro la Nigeria e scoppia la felicità nelle file dell’Albiceleste. Festeggia, sugli spalti, anche Diego Armando Maradona, ripreso dalle telecamere a braccia conserte e lo sguardo rivolto al cielo mentre grida “Gracias a dios”.

Messi: ‘Dio con noi, sapevo che non ci lasciava fuori’ – “Sapevo che Dio era con noi, e che non ci avrebbe lasciato fuori”: lo dice Lionel Messi, dopo la vittoria della Nigeria che qualifica l’Argentina agli ottavi. “La vittoria – ha aggiunto il 10 – e’ dedicata a tutta la nostra gente che era arrivata fin qui, per il loro sacrificio, e anche a tutta la gente che a casa ci e’ sempre stata vicina. Avevamo fiducia di poter vincere questa partita, ed e’ stato meraviglioso vincerla cosi'”.

Argentina trema e passa, ora trova la Francia – Al gol di Messi a inizio partita Diego Armando Maradona dalla tribuna dello Stadio di San Pietroburgo ha ringraziato gli dei del calcio. Ma a quello della liberazione, il 2-1 di Rojo a 4′ dalla fine del tremendo match con la Nigeria, El Pibe ha esultato con meno poesia. Le due dita medie rivolte a chissà chi riassumono la rabbia di una nazionale, e forse di un popolo intero di appassionati, che anche stasera ha visto la sua squadra soffrire all’inverosimile. Alla fine la vittoria dell’Argentina sui nigeriani vale gli ottavi, dove un’Albiceleste lenta, senza ideee nè personalità troverà la Francia, domenica prossima. La storia del Mondiale e’ intessuta di ribaltamenti di pronostici, di grandi squadre che arrancano e poi prendono il volo per non fermarsi più. Ma a dispetto del gran gol di Messi e di un primo tempo all’altezza, e soprattutto del risultato finale, nel complesso la nazionale di Sampaoli resta la grande malata di questo Mondiale. Sua ‘Maestà’ Messi, che finirà la partita con un’ammonizione per perdita di tempo e il premio di ‘man of the match’, entra nel Mondiale dopo 14′ di partita. Un gran lancio di Banega da 40 metri, lo stop e il tocco lieve di sinistro in area per aggiustarsi il pallone, e il suo destro vale l’1-0 e il riscatto da un inizio di torneo per lui devastante. Anche Maradona, in tribuna, alza le braccia al cielo e ringrazia Dio. Il vantaggio dell’Argentina e’ frutto di due colpi di genio – il lancio e la realizzazione – ma tutto sommato appare anche segno di una serata diversa. Sampaoli e’ stato costretto – dalle necessità o dai giocatori in rivolta, chissà – alla rivoluzione. Cinque i cambi. Con Higuain dentro, oltre a Di Maria, il 10 e’ più libero di muoversi sul fronte di attacco, partendo da destra e da sinistra. A togliergli il peso di marcature asfissianti e’ anche una Nigeria molto fisica ma poco squadra. Tanto che Banega, uno dei nuovi, è padrone del centrocampo. Al 27′ Messi lancia Higuain in area, Uzoho esce a tempo sui piedi dello juventino; passano una manciata di minuti e ancora Messi sfiora il raddoppio su punizione, ma sempre il portiere gli devia il pallone sul palo. Il finale di primo tempo si chiude con un arrembaggio tutto forza fisica dei nigeriani: un avviso che all’Argentina non può bastare una rete di scarto, anche perche’ nell’altro match l’Islanda cerca il suo gol qualificazione. E infatti, la ripresa si apre con il pari della Nigeria. E il 5′, Mascherano abbraccia Balogun in area e Cakir decide per il rigore: il Var e’ solo consultato, tra le proteste del difensore argentino, non c’e’ bisogno di consultare il video per mandare Moses dal dischetto per l’1-1. A questo punto l’Argentina va in confusione totale, la Nigeria chiude tutti gli spazi e si ripropone lo spartito dei primi due match. L’Argentina deve vincere per non uscire a favore della Nigeria, e invece e’ la nazionale africana a sfiorare tre volte il vantaggio in ripartenza: al 260 Ndidi calcia alto, al 30′ il mani di Rojo che Cakir giudica con Var non da rigore, e al 38′ Ighalo che si fa parare da Armani tutto solo. In mezzo, un destraccio alto da Higuain, capace di sbagliare un gol mille volte realizzato. Sembra il segno di una maledizione, cui mette rimedio un difensore. Mancano 4′ alla fine, il 2-1 fa esplodere la gioia dell’Argentina: e poco male sia arrivato dal destro di Rojo, difensore improvvisatosi centravanti. In questa Albiceleste, non sembra esserci nulla che va al suo posto.

Basta la Croazia-2 per il sogno ottavi – Basta la Croazia-2 per battere una orgogliosa Islanda e guadagnarsi il pass per gli ottavi di finale con la fascia della prima della classe. A Rostov finisce 2-1 per i biancorossi di Dalic, un punteggio che condanna l’Islanda e, allo stesso tempo, regala anche la certezza del passaggio del turno all’Argentina. Nell’ultimo match del girone D la squadra di Hallgrimsson cede solo al 90′ al cospetto della nazionale forse più forte insieme al Belgio vista fin qui al Mondiale. Nonostante l’amplissimo turnover della Croazia (con sei diffidati spazio alla seconde linee, con i soli Modric e Perisic in campo dal 1′), sono proprio i balcanici a fare la partita e a impensierire Halldórsson, anche se i vichinghi pungono appena possono in contropiede (Finnbogason, Bjarnason e Gunnarsson sul finire di tempo). Il fiorentino Badelj è in serata di grazia, corre e smista assist: prima (8′) colpisce la traversa con un potente destro dalla distanza, poi un minuto dopo va a segno con una conclusione su cross di Perisic. Lo svantaggio fa riversare l’Islanda nella metà campo croata (anche perchè arrivano le notizie da san Pietroburgo) a caccia del pari. Ci vanno vicino un paio di volte (Ingason prima e Bjarnason intorno alla mezzora dopo) poi, dai e dai il pareggio arriva anche se ci vuole l’intervento della Var che sanziona un braccio largo del neoentrato Lovren che intercetta il cross di Sigurdsson. E’ lo stesso Sigurdsson a trasformare il penalty che regala speranze e palpitazioni a go-go. Il grande sforzo profuso spegne però le residue speranze islandesi che alla fine (90′) si arrendono all’ennesimo soprassalto croato (che nel frattempo ha buttato in campo anche Rakitic) e a Perisic che finalizza al meglio l’assist del solito Badelj, con un preciso diagonale che trafigge Halldorsson. E’ il giusto premio per una nazionale partita col piede giusto e che adesso trova agli ottavi la non trascendentale Danimarca per un quarto di finale davvero alla portata.

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