Il caso. Chiusure, «blocchi navali», ong al bando: il Mediterraneo nel caos

da Avvenire

Chiusure, «blocchi navali», ong al bando: il Mediterraneo nel caos

Lo stesso scenario che si ripete, stancamente, una settimana dopo. L’allarme preventivo del Viminale per i soccorsi operati dalle navi delle Ong, il preannuncio di porti chiusi per tutti, la replica delle organizzazioni non governative, il tentativo di messa a punto del ministero delle Infrastrutture. Più la politica si infiamma, più si perde di vista quanto accade in acqua, dove migliaia di vite restano in bilico. Non c’è solo il caso Aquarius a tenere banco. Ci sono i 450 profughi messi in salvo in 4 diverse operazioni, che verranno portati nella nostra penisola dalla Guardia costiera e, più a ovest sempre nel Mediterraneo, i 629 presi in carico dal soccorso marittimo spagnolo (almeno 57 le imbarcazioni arrivate nelle ultime ore): cifre che da quelle parti non si vedevano dal 2014, con 191 persone salvate mentre viaggiavano su otto imbarcazioni nelle acque dello Stretto di Gibilterra e il Mar di Alboran.
A indispettire Roma è soprattutto l’attivismo delle imbarcazioni delle Ong che battono bandiera straniera, come Lifeline e Seefuchs, di provenienza olandese. «Sono arrivate al largo delle coste della Libia, in attesa del loro carico di esseri umani abbandonati dagli scafisti – scrive su Facebook il ministro dell’Interno, Matteo Salvini –. Sappiano questi signori che l’Italia non vuole più essere complice del business dell’immigrazione clandestina, e quindi dovranno cercarsi altri porti (non italiani) dove dirigersi». «Fascista» è la replica della Lifeline, poi cancellata da Twitter. «A casa nostra comandiamo noi» controreplica il ministro.

«Quello che sta succedendo – sottolinea Giorgia Linardi, portavoce dell’organizzazione non governativa tedesca Sea Watch – è il tentativo di cancellare la presenza di occhi liberi e indipendenti che raccontino quello che succede in mare». Martedì Sea Watch 3 aveva già rinunciato a prendere a bordo 42 migranti soccorsi dalla nave militare americana Trenton perché da Roma non era arrivata l’autorizzazione a portarli in Italia. La nave ora ha lasciato la zona di soccorso e si trova a Malta. «La questione della responsabilità condivisa non si risolve chiudendo i porti. Bisogna soccorrere chiunque venga trovato in difficoltà in mare» sottolineano ancora da Sea Watch. «Ci criminalizzano per farci sparire» accusa Riccardo Gatti, capomissione di Proactiva Open Arms.
La tensione politica resta alta, mentre dal resto d’Europa si cerca di smorzare i toni aprendo alla possibilità di una maggior condivisione dei carichi migratori, che sin qui è mancata. Il punto è che l’offensiva governativa sembra tutt’altro che terminata, con Danilo Toninelli, titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, che nel pomeriggio si accoda a Salvini. Le imbarcazioni «non hanno mezzi e personale adatti a salvare un gran numero di persone. E potrebbero mettere in pericolo equipaggi e naufraghi. L’Olanda le faccia rientrare». Ma la replica della rappresentanza olandese presso la Ue fa capire la non responsabilità del governo dei Paesi Bassi: «Non si tratta di Ong olandesi, né sono imbarcazioni registrate in Olanda».
Si arriva fino a Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia e alleata della Lega nel centrodestra, che chiede «il blocco navale subito». Sullo sfondo, c’è la consapevolezza dei volontari di essere finiti al centro di un cortocircuito mediatico per cui non si capisce più cosa sta succedendo al largo delle nostre coste, chi deve fare cosa e perché tutto ciò sta accadendo a fronte di meno del 20% degli arrivi avvenuti solo a un anno fa. Lo scontro col governo? «Noi ci occupiamo di soccorrere chiunque venga trovato in difficoltà in mare, ma non facciamo politica».

La campagna. «Chiudiamo la forbice»: lotta alle disuguaglianze

Ansa

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Il Magistero di papa Francesco sarà ricordato soprattutto per la lotta contro le disuguaglianze sociali. A prescindere dall’ermeneutica, questa è la percezione a livello di massa ed è la linea su cui una parte importante del mondo cattolico sta affinando la propria analisi, cercando di animare il dibattito ecclesiale e la stessa pastorale. Nulla di discontinuo rispetto all’immenso patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, se pensiamo che nel 2009, cioè in piena crisi economica, papa Benedetto XVI suturava il “prima” e il “dopo” con la Caritas in veritate, a sua volta debitrice – oltre che della Deus caritas est – della Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II.

Poiché però accanto al Magistero scorre da sempre la sua vulgata, e questa è solitamente più fragorosa del primo, la critica alla «economia che uccide» resta una delle riflessioni più popolari di questo pontificato, per quanto lo stesso messaggio sia argomentato anche in altri passaggi dell’insegnamento di papa Francesco. È proprio dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium che prende le mosse la campagna “Chiudiamo la forbice”, lanciata in queste ore da un gruppo di organizzazioni ecclesiali per dare concretezza al messaggio centrale di Bergoglio: «L’iniquità è la radice dei mali sociali» – che sprona i cristiani a lavorare sulle cause strutturali del sistema economico postcapitalista, che scarta uomini, donne e bambini, orientato al profitto nel breve termine» e addirittura «terroristico» secondo il pontefice, in quanto «con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura!». (IL DOCUMENTO INTEGRALE)

Il concetto della paura e del suo superamento – su cui ha lungamente insistito Giovanni Paolo II – rappresenta un cardine della campagna che oggi parte dal web, con tre concorsi presentati sul sito www.chiudiamolaforbice.it.L’elenco dei promotori è lunghissimo: Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Centro Turistico Giovanile, Fondazione Campagna Amica, Comunità Papa Giovanni XXIII, Earth Day Italia, Focsiv, Fondazione Missio, Mcl, Pax Christi, Giovani Salesiani per il Sociale, Vis, Cvx e Fondazione Finanza Etica. Ad accomunarli tutti, vi è, oltre all’adesione al Magistero sociale, la convinzione che, come ricorda la Laudato si’, «data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».

Perseguire un approccio integrale significa non escludere nessuno, neanche chi si percepisce escluso e alimenta quell’Italia del rancore che viene rappresentata nel rapporto Censis 2017: un Paese che fa una gran fatica a non avere paura, a ritrovare un immaginario collettivo positivo. «Questo Paese – osservano i promotori della campagna “Chiudiamo la forbice” – individualizza il benessere, la paura di scivolare ancora nella scala sociale verso il basso è il nuovo fantasma, a cui si risponde rimarcando le distanze dagli altri, costruendo barriere, difendendo certezze».

In questa situazione, la paura – commentano ancora – «diventa il facile collante per un’agenda politica che crede di affrontare i problemi approfondendo i solchi che attraversano la società». Chiudere la forbice è pertanto l’imperativo che si danno le organizzazioni ecclesiali impegnate nella campagna, la quale spingerà a interrogarsi sui temi della povertà e dell’esclusione sociale, in un quadro di riflessione sulla cittadinanza globale coerente con la visione di sviluppo sostenibile promossa dall’Agenda 2030 e in una prospettiva complementare con l’attività del “Forum Disuguaglianze Diversità”. Operativamente, oltre ai concorsi, ci saranno iniziative territoriali e nazionali che dovranno portare questa riflessione nelle parrocchie e nelle associazioni, nelle scuole, nelle cooperative e tra gli imprenditori, ossia nel corpo della Chiesa e della società italiana. In questa prospettiva, il tema della diseguaglianza verrà declinato in tre ambiti, campi di interazione in cui i fenomeni della diseguaglianza si manifestano in maniera significativa e pervasiva: l’ambito della produzione e del consumo del cibo, già oggetto della campagna “Cibo per tutti”; l’ambito della pace e dei conflitti, in particolare i molti conflitti dimenticati, che danno vita alla “terza guerra mondiale a pezzi”, più volte stigmatizzata dal pontefice; l’ambito della mobilità umana, oggetto di numerose campagne tra cui quella “Condividiamo il viaggio”, proposta a tutte le comunità per una cultura dell’incontro e della condivisione.

Parallelamente a questi tre ambiti, vengono riconosciuti alcuni elementi di contesto che generano dei focus specifici: ambiente e debito. Intersecando ambiti e contesti, si punta a costruire delle narrazioni positive, come, spiegano gli organizzatori, «il diritto alla terra, che prevale sull’accaparramento delle risorse naturali e sullo scandalo della fame, e il diritto al cibo, ad una alimentazione adeguata e nutriente, con il sostegno a pratiche rispettose del territorio come l’agroecologia, e alla capacità organizzativa contadina, nel favorire una nuova consapevolezza tra i consumatori e lo sviluppo di mercati locali orientati anche socialmente, secondo una logica di responsabilità dirette e indirette». Oppure come comunità «in grado di operare la trasformazione nonviolenta del conflitto, prevenendo guerra e violenza, contrastando il commercio delle armi. Servizio civile, operatori di pace, volontariato e attivismo per una cittadinanza in grado di costruire percorsi di giustizia e di pace negli scenari di conflitto e di tensione sociale». Le stesse migrazioni vanno vissute «come una scelta consapevole e l’occasione per accogliere in comunità solidali, al Sud e al Nord, persone e famiglie che vivono l’esclusione ambientale, sociale, economica e politica, superando approcci che, invece di proteggere, perpetuano e accentuano le disuguaglianze, promuovendo per ogni persona la pienezza dello slogan «liberi di partire e liberi di restare», della omonima campagna della Conferenza Episcopale Italiana (Cei)».

La campagna “Chiudiamo la forbice” infine insiste sulla diversità culturale vista non come problema ma come risorsa, attorno al riconoscimento di valori comuni che non cancellano ma valorizzano le identità, e sulla promozione dei diritti come premessa per una vita dignitosa, e sull’accesso ai servizi pubblici essenziali, alla sanità e all’istruzione. Il diritto al lavoro, sottolineano i promotori, «significa promuovere ad ogni livello in primo luogo un lavoro dignitoso e retribuito in modo equo modificando i rapporti di potere tra un precariato sempre più diffuso e la concentrazione della ricchezza in poche mani. La tassazione andrebbe riformata nella direzione di una progressiva riduzione della pressione sul lavoro ed eventualmente aumentando piuttosto quella sulle rendite, secondo un principio di progressività». La campagna lavora anche per una reale promozione della «uguale dignità e della parità tra uomini e donne» e un’attenzione particolare al tema della giustizia climatica: «Il degrado ambientale, amplificato dagli effetti del cambiamento climatico, si abbatte soprattutto sulle comunità povere e vulnerabili. Occorre promuovere la bellezza del creato, del paesaggio, delle periferie con iniziative di comunità che ricreino fiducia tra le persone, nuove relazioni sociali per il bene comune» si legge nel documento preparatorio, che insiste altresì su una finanza più giusta, in grado di rispettare la dignità delle persone, un rilancio della partecipazione e della democrazia e una comunicazione corretta e responsabile.